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Sabato 7 giugno, a Verona, è stata commemorata la figura di Angelo Tomelleri, primo presidente della Regione Veneto
Sabato 7 giugno, a Verona, presso il palazzo Scaligero, Loggia ‘Fra Giocondo’, piazza dei Signori, è stata commemorata la figura di Angelo Tomelleri, primo presidente della Regione del Veneto, con gli interventi del Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, del Segretario Generale, Roberto Valente, del consigliere regionale Alberto Bozza, di Flavio Massimo Pasini, Presidente della Provincia di Verona, di Luciano Righi, rappresentante associazione consiglieri regionali del Veneto, già assessore Giunta Tomelleri, di Silvano Zavetti, Presidente dei Consiglieri comunali emeriti di Verona, di Filiberto Agostini, autore del libro 'Angelo Tomelleri. Primo presidente della Regione del Veneto (1970-1980)', di Maurizio Pulica, già Segretario provinciale DC e assessore comunale di Verona alla Cultura, e di Carlo Tomelleri, figlio di Angelo Tomelleri.
In particolare, nel suo intervento, il Segretario Generale del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Valente, dopo aver premesso di "non aver avuto la possibilità di conoscere personalmente l’ing. Angelo Tomelleri. Ho fatto ingresso nell’amministrazione della Regione Veneto a fine degli anni ’80, quando il senatore Tomelleri era ormai scomparso", ha aggiunto "dopo aver letto gli articoli in memoria dedicatigli dalla stampa veneta, raccogliendo ricordi e considerazioni dei testimoni, documentandomi sulla storia della Regione e, in particolare, approfondendo il volume curato dal prof. Filiberto Agostini sul primo Presidente della Regione Veneto (1970-1980), mi sono costruita una idea ben definita dell’uomo e del politico Tomelleri. Potrei dire di averne colto il carattere, le capacità, l’empatia, l’intelligenza, l’esplosività operativa. Chi l’ha conosciuto non esita a testimoniare che “Il Veneto non poteva avere di meglio come ‘primo nocchiero regionale’, in quel giugno 1970 per l’impresa costituzionale di “fondare” ex nihilo la nuova istituzione, “la Regione”. I contributi di consiglieri regionali, assessori, esponenti di Partiti dell’epoca, dirigenti della Regione del decennio in contesto, hanno focalizzato la molteplicità prometeica di iniziare un’opera senza riferimenti, a cominciare dalla ubicazione fisica, dall’articolazione dei compiti assegnati dalla legge, dalle esigenze socio-culturali-politiche delle genti venete, dall’attivare relazioni con le altre Regioni ( a partire dalle confinanti Friuli Venezia Giulia e due Province Autonome a statuto speciale costituenti il Trentino Alto Adige) e anche con le regioni degli stati confinanti, come la vicina Slovenia. La guida di Angelo Tomelleri ha avuto il pregio dell’originalità, dell’immediatezza, della passione, e del successo. Va ricordato che un avvio così promettente ha ingenerato immancabili perplessità, quanto meno per i non simpatizzanti del Veneto e nei confronti dei suoi rappresentanti politici, sì da inaugurare prematuramente la stagione delle calunnie giudiziarie, costituenti il refrain in tempi successivi, nel decennio a seguire, catastrofico per il Veneto. E chi colpire allora, se non l’Artefice del nuovo Rinascimento del 900 per il Veneto? Il Presidente della Giunta Regionale. E l’architettura è stata magistralmente progettata, perché lo strale non è stato scoccato da un politico, da un partito o da un avversario, ma dall’autista della Provincia di Verona incaricato di accompagnare il Presidente della Provincia, che era anche Presidente dell’Autostrada del Veneto, Commissario di Governo dell’Ente Nazionale per le Tre Venezie, divenuto per elezione Consigliere Regionale del Veneto e Presidente della Giunta Regionale. Il quia ed il come si sono rivelati un non sense: si sarebbe trattato di una duplicazione di una diaria di viaggio intestata al Presidente, il cui ricavato, da sempre, il Presidente elargiva allo stesso autista, del valore al tempo di milleseicento lire. Correttamente puntuale l’indagine giudiziaria, e il relativo procedimento dibattimentale, conclusosi con la piena assoluzione, con sentenza pronunciata nove mesi più tardi, come ci ricorda l’avvocato Romano Morra, stretto collaboratore di Tomelleri in quegli anni. Questa circostanza pone in evidenza la concretezza dell’uomo Tomelleri, la Sua onestà, il suo senso dell’etica, la sua coscienza di cittadino e di politico: presentò dimissioni irrevocabili dalla carica di Presidente della Giunta Regionale per non ingenerare impedimenti, ad un biennio dalla nascita della Regione Veneto, con un marchio giudiziario pendente. Le dimissioni vennero accolte e subito nominato un nuovo Presidente: l’onore e il prestigio dell’istituzione erano salvaguardate! All’esito processuale il Presidente subentrato, che va pur esso menzionato, avv. Pietro Feltrin di Treviso, diede le dimissioni e consentì all’ing. Angelo Tomelleri di riprendere, in pace con la propria coscienza e dovere civico, e con immutata lena, la fruttuosa corsa al progresso del Veneto. Il ricordo di questo episodio (che - non dimentichiamo - durò per nove mesi) apre uno squarcio di nostalgica ammirazione verso un uomo che ha saputo gestire non solo l’Istituzione, ma l’onore della medesima, e di salvaguardare la dignità del voto ricevuto dai cittadini elettori (fece ingresso in Consiglio regionale forte di ben 32.276 preferenze) e dai consiglieri – affidatari di 4 milioni di veneti - che lo elessero presidente a maggioranza assoluta. Se il sentimento di rispetto, di dignità e di onore per l’istituzione può essere assunto come cifra interpretativa dell’uomo Tomelleri, dal punto di vista politico mi preme sottolineare l’idea-chiave che ha fatto da stella polare alla sua esperienza di primo presidente della Regione Veneto: il concetto di programmazione. È stata sua l’intuizione, condivisa con il presidente del Consiglio Vito Orcalli (guida ventennale della Dc veneta), di perseguire una visione unitaria e coordinata dell’operato della nuova Regione, come centro di programmazione delle politiche locali e di coordinamento tra politiche statali e i diversi livello di governo. Tomelleri definiva il Piano regionale di Sviluppo (messo in cantiere nella prima legislatura e approvato a fine 1978) la “pietra miliare del nostro operare”, sulla quale – spiegava – “si sono innestate tutte le leggi successive”. Che non furono poche: nel secondo quinquennio degli anni Settanta furono formulate e approvate oltre 400 leggi! La prima Regione si poneva come ‘ente di mediazione’ e di programmazione, di fronte ad una complessa architettura istituzionale di enti e realtà tra loro non coordinati, che moltiplicarono i luoghi della partecipazione e della rappresentanza secondo un disegno di sussidiarietà e di democrazia partecipativa spesso illusoria. Il disegno statutario di una “Regione indiretta”, “programmatoria partecipativa e delegante” – secondo il motto di Tomelleri - pagò pegno all’assenza di un processo nazionale di programmazione soprattutto economica, e di politiche di bilancio coerenti e adeguate alle competenze e ai poteri assegnati. Lo stato d’animo di chi guidava le Regioni negli anni ’70 era quello – per usare una metafora di Tomelleri - di “chi deve salire su un treno in corsa a destinazione incerta”. La Regione, il nuovo ente costituzionale, non doveva essere un maxi-Comune o una maxi-Provincia o un terminale decentrato dell’amministrazione dello Stato per erogare pubblici servizi. Ma un organo dotato di propri poteri decisionali e ampia autonomia, capace di fare sintesi dei bisogni e delle istanze della propria popolazione, di snellire i processi burocratici e di assumere in proprio decisioni coerenti e responsabili in materia di agricoltura, mercati, trasporti, infrastrutture, artigianato, commercio, istruzione professionale, assistenza, sanità, cultura, sport, caccia e via elencando, sempre nel rispetto delle “funzioni di indirizzo e di coordinamento” che la carta costituzionale riserva allo Stato nazionale. “Programmazione” è stata pertanto la bussola della decennale presidenza Tomelleri. Si trattava di un termine nuovo per gli uomini delle istituzioni di allora; la parola ‘programmazione’ non compare nella Carta Costituzionale, ma risulta scritta in tutti gli statuti regionali approvati nel 1971 dal Parlamento nazionale. Sono state le Regioni, quindi, le “cavie”, le prime istituzioni a darsi il compito statutario di pianificare e coordinare le azioni politiche nel proprio territorio e a sperimentare, per obbligo di legge, la programmazione “vincolata” a precisi impegni finanziari pluriennali. La ‘programmazione’ è stata una scommessa prima di tutto per gli uomini che hanno danno vita e forma agli organi della Regione. Ed è stata una scommessa per lo Stato che, vincendo gelosie ministeriali e grandi resistenze, si doveva spogliare a poco a poco di parte delle proprie competenze, del proprio funzionariato e delle proprie strutture operative, vigilando tuttavia che il decentramento non degenerasse nella frammentazione dei sistemi di governo, nella confusione legislativa e amministrativa e nell’esplosione della spesa pubblica. Ed è stata una scommessa anche per gli enti locali e i loro amministratori, che guardavano con una certa diffidenza al nuovo ente sovraordinato che sta prendendo vita. Tomelleri, sempre diretto e chiaro nel suo discorso pubblico, spiegava che “la Regione non può essere l’attaccapanni al quale si appendono tutte le speranze e le aspettative”. Ma era profondamente convinto che la funzione programmatoria era la vera leva inesplorata della nuova “macchina” regionale. I decreti delegati del 1972 avevano trasferito in modo incompleto e non organico le materie di competenza (e relativi uomini, risorse e mezzi) delle Regioni; mancavano le leggi cornice dello Stato, quello che avrebbero dovuto dare certezza di diritto all’operato dei primi legislatori regionali; lo Stato ripartiva il fondo tra le Regioni anno per anno, senza alcuna prospettiva pianificatoria per gli esercizi successivi; le risorse finanziarie erano esigue e rigide (tanto per capirci, ogni 100 lire trasferite dallo Stato solo su 26 le Regioni hanno effettiva autonomia di spesa). Nonostante queste quadro di incertezze e di sfide inedite, il Veneto è stata la prima regione in Italia a dotarsi del Piano regionale di sviluppo, grazie in primis al presidente Tomelleri. Il Prs, presentato dalla Giunta al Consiglio nel febbraio 1978 e approvato dall’assemblea il 22 dicembre dello stesso anno dopo due giorni di ampio dibattito e un vasto giro di consultazioni, convegni e tavole rotonde, ottenne il consenso anche del partito socialista, dei socialdemocratici e dei liberali, che non facevano parte della Giunta. Contrari, per opposte ragioni, solo gli esponenti di Pci, Pri e Msi. Attorno al documento di programmazione Tomelleri e la Dc avevano costruito una maggioranza inedita nel Veneto monocolore, di ampie convergenze rinsaldate anche da quel clima di ‘solidarietà nazionale’ creato dal tragico sequestro e assassinio del leader nazionale della Dc Aldo Moro. Il primo Programma regionale di sviluppo della Regione Veneto, diventato legge il 2 febbraio 1979, è un documento assai voluminoso, che traccia ampie panoramiche di scenario e prospetta criteri-guida e linee di intervento per la Regione. L’obiettivo ultimo – oggi lo definiremmo ambizioso - è il riequilibrio territoriale, economico, produttivo, ambientale del Veneto. Supera la scelta dei comprensori, istituiti sulla carta dal 1975 ma mai entrati in funzione, proponendo di articolare la programmazione su scala più ampia, definita “area vasta”. Prospetta la creazione di 15 mila nuovi posti di lavoro e il riassorbimento di 12 mila cassaintegrati nell’arco di un quinquennio. Stralcia dai progetti infrastrutturali il sogno impossibile dell’autostrada Venezia-Monaco, riducendola al prolungamento della Treviso-Vittorio Veneto fino a Longarone. Prevede l’istituzione di tre aree attrezzate per dare sostegno e slancio al sistema produttivo nelle zone più depresse (Val Belluna, Veneto Orientale e la Bassa Veronese), fa decollare con appositi finanziamenti regionali la prima zona produttiva del Polesine. Articolato in sette progetti (agricolo-alimentare; gestione delle risorse idriche; organizzazione delle strutture funzionali; secondario; sanità; trasporti e montagna, quest’ultimo aggiunto per iniziativa specifica del Consiglio regionale) il Prs innesca un ritrovato slancio programmatorio nei provvedimenti e negli interventi regionali, di cui sono prova (solo per citare i più significativi) la prima legge urbanistica (approvata il 1° febbraio 1980), che istituisce il Piano territoriale regionale di coordinamento come strumento ordinatore e programmatorio dei piani comprensoriali e dei piani attuativi comunali;
la disciplina per le attività estrattive e il relativo primo piano cave; il piano per l’utilizzo delle risorse termali, tuttora in vigore; i piani zonali per lo sviluppo agricolo collegati con il piano agricolo-alimentare; il piano biennale per la formazione professionale (che stanzia 19 miliardi per il 1978 e ’79 per iniziative di formazione per 24 mila allievi, primo piano in Italia ad anticipare la legge nazionale in materia); il piano dei servizi socio-assistenziali per gli anziani, che per la prima volta affronta il problema del diritto all’assistenza dei non-autosufficienti; la legge per l’inserimento delle persone con disabilità nella scuola e nel mondo del lavoro; l’avvio delle opere di disinquinamento delle acque mediante impianti di depurazione a carattere consortile (LR 79/78); il primo piano di smaltimento rifiuti che pone il Veneto all’avanguardia nel rispetto dei criteri guida indicati dalla direttiva Cee del 1975; il rifinanziamento del piano per gli asili nido;
la pubblicizzazione dei servizi di trasporto pubblico; la legge per l’edilizia residenziale pubblica;
e, ultimo ma non ultimo, l’istituzione delle Unità sanitarie locali che con il 1° gennaio 1980 danno concreto avvio alla riforma sanitaria. Tomelleri ne fu il riconosciuto regista. Nel decennio di guida dell’organo esecutivo della Regione ha incarnato con coraggio e lungimiranza i sentimenti della classe politica del primo decennio della Regione: da un lato la consapevolezza di aver lavorato per costruire dal niente strutture e capacità di un nuovo interlocutore politico e di un nuovo livello di governo; dall’altro l’insoddisfazione per la lentezza delle riforme e le difficoltà incontrate. “Il Veneto ha incontrato una difficoltà in più”, ricordava il presidente Tomelleri nel marzo del 1980 ai quadri della Dc veneta, alludendo ai rapporti con il governo centrale a trazione Dc: “E’ più difficile rivendicare con gli interlocutori della stessa parte politica”. La grande novità dell’istituzione delle Regioni - ammetteva il fondatore e regista della Regione Veneto - non era coincisa con un altrettanto ampio e tempestivo passaggio di risorse dallo Stato al nuovo livello di governo. “Lo Stato centrale ha difeso le sue prerogative – disse nel 1980 - attraverso un disordinato affidamento di poteri. Le Regioni hanno bisogno di una partecipazione al prelievo fiscale, secondo quote da determinare, tenendo presenti le necessità della politica nazionale e gli obiettivi di sviluppo del Paese. Senza una finanza propria, la Regioni continueranno a svolgere un ruolo ambiguo, a scrivere ponderosi libri dei sogni, a non fare programmazione”.
"Il primo presidente del Veneto ci ha lasciato una lezione umana, fatta di impegno e di coerenza, di dialogo e di sapienza pragmatica, e una lezione politica di metodo e di merito che risulta di straordinaria attualità: ancor oggi dà senso e ragion d’essere all’ente Regione", ha concluso Roberto Valente.