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Legge regionale 2 febbraio 1979, n. 11 (BUR n. 7/1979)

Approvazione del programma regionale di sviluppo

Legge regionale 2 febbraio 1979, n. 11 (BUR n. 7/1979) (Abrogata)

APPROVAZIONE DEL PROGRAMMA REGIONALE DI SVILUPPO

Legge tacitamente abrogata dalla legge regionale 31 gennaio 1989, n. 6 , nonché espressamente abrogata dall’articolo 1, comma 1, della legge regionale 7 aprile 2000, n. 15 .



SOMMARIO
Legge regionale 2 febbraio 1979, n. 11 (BUR n. 7/1979) - Testo storico

APPROVAZIONE DEL PROGRAMMA REGIONALE DI SVILUPPO.


Art. 1
Ai sensi del titolo I della legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 , è approvato il programma regionale di sviluppo 1978- 1982 allegato alla presente legge, con efficacia vincolante per i programmi e l'attività della Regione, degli Enti ed Aziende regionali e con funzione di indirizzo e coordinamento per gli Enti locali, relativamente alle materie ad essi delegate dalla Regione.
Art. 2
Per il coordinamento delle finalità del programma di cui al precedente articolo, la Giunta regionale assume le iniziative legislative, adotta i provvedimenti amministrativi e riferisce annualmente al Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 59 dello Statuto, sui provvedimenti adottati e sui risultati conseguiti.



















PROGRAMMA REGIONALE
DI SVILUPPO 1978-1982

PREMESSA

Il Programma Regionale di Sviluppo viene a porsi non solo come un adempimento tecnico-giuridico di grande rilievo, ma anche come lo strumento necessario per portare a realizzazione una reale politica di programmazione a livello regionale, compatibilmente con le risorse e le direttrici di riequilibrio a livello regionale, grazie alla connessione con il sistema dei bilanci pluriennali che la nuova legislazione sulla contabilità regionale consente.
In effetti la legge nazionale del 19 maggio 1976, n. 335 che definisce i principi fondamentali e le norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità regionale segna una tappa fondamentale nella definizione delle procedure della programmazione. Essa infatti fornisce la cornice giuridica entro cui si realizza la saldatura tra fase di elaborazione programmatica e la fase operativa di attuazione.
Sembrano quindi superate quelle carenze di strumentazione che hanno finora ostacolato l'attività della Regione alla realizzazione dei programmi approvati.
La stessa legge regionale di attuazione della 335 si è sviluppata lungo una interpretazione estensiva che tendeva a dare finalmente corpo allo spirito dello Statuto del Veneto il quale indica la programmazione come metodo permanente di governo.
In questa ottica assumono quindi chiaro rilievo tutti quei momenti di indirizzo, di precisazione e di controllo che sono a presidio di un corretto modo di intendere la programmazione e che proprio nella legge regionale n. 72 si è voluto esplicitare in tutto il loro significato politico.
In questi termini il P.R.S. deve costituire una base certa di reale confronto e partecipazione tra le forze politiche e tra le forze sociali per definire gli interventi, le scelte sull'utilizzo delle risorse, l'allargamento della base produttiva, il controllo del mercato del lavoro, la costituzione dei nuovi strumenti di partecipazione e di intervento per i servizi sociali, il coordinamento degli investimenti pubblici e privati, l'uso del territorio, il recupero dell'agricoltura e della pesca e del turismo al processo di sviluppo, la pianificazione dei servizi attinenti alla vita scolastica e la formazione professionale.
Affinchè il P.R.S. si ponga come strumento attuativo delle suddette esigenze politiche è necessario che siano:
a) definite in modo certo le finalità generali della programmazione, gli strumenti attuativi, i metodi per l'organica definizione nel quadro programmatico;
b) costituiti i necessari strumenti di garanzia della gestione del processo programmatico.
Coerentemente a questa impostazione, le finalità del “ programma ” si riassumono nella difesa dell'occupazione, nella politica di riequilibrio territoriale, nella costruzione di un nuovo assetto istituzionale.
Occupazione, riequilibrio, assetto istituzionale, vanno considerati come tre aspetti di un unico momento programmatico inteso a far sì che tutta l'attività dell'Ente Regione si basi su moduli di programmazione tra loro coordinati, mirando a incidere nei vari settori ed aree, afferenti ad un unico quadro complessivo che, sulla base di una precisa analisi delle risorse (sia finanziarie che tecnologiche, professionali, territoriali, ecc.) definisca priorità, scelte, interventi, politiche.

IL QUADRO ISTITUZIONALE VENETO E IL MODELLO ORGANIZZATIVO

E' stato sempre vivo, nel Veneto, il dibattito sulla struttura dell'Ente Regione, sulle sue prospettive, sul suo rapporto con le autonomie locali, sulle strumentazioni necessarie e possibili. L'attenzione è andata focalizzandosi sul tema dei livelli di governo a cui riferire la legislazione ed una azione amministrativa regionale coerente con i principi statutari di programmazione e partecipazione.
Nel D.P.R. 616/1977 applicativo della legge 382, gli enti locali territoriali sono individuati, e proprio in rapporto alla Regione, come titolari delle funzioni amministrative che riguardano le rispettive comunità; si riconosce che il Comune è l'Istituzione fondamentale delle autonomie, e che fra Comuni e Regione deve essere prevista una sola struttura intermedia.
Il Comune, singolo o associato, esce fortemente rafforzato dalle conclusioni del dibattito sulla 382, essendogli stata attribuita la responsabilità globale in ordine alla gestione di servizi di base: anche nel caso di servizi intercomunali o infracomunali le scelte politiche e le relative responsabilità restano riferite agli organi dei Comuni.
Su tutto questo complesso, sufficientemente organico, di indicazioni politiche e normative, va verificato il complesso delle leggi istituzionali del Veneto, con particolare riguardo alla legge regionale 80 e alla legge regionale 64, alla stessa legge n. 21 nonché alla redigenda legge urbanistica.

La legge regionale 80 e le esigenze evolutive
Con particolare attenzione la legge 80 va riguardata — nella disponibilità e nell'impegno ad una sua adeguata modifica — in rapporto al previsto livello intermedio di governo locale. Se una formulazione definitiva può solo appartenere alla futura legge nazionale di riforma delle autonomie locali, va, tuttavia, fatto uno sforzo di maturazione su una problematica in ordine alla quale non mancano indirizzi ed indicazioni.
Il tema dell'area vasta non è eludibile e va fin d'ora affrontato avviando un approfondito lavoro, attraverso analisi attente e con largo coinvolgimento degli enti locali e delle forze politiche, economiche e sociali.
Nell'organico e coerente intreccio dei riferimenti normativi e politici, è possibile individuare, nel tempo medio-lungo, tre livelli, a scale territoriali diverse.
Un livello, a scala superiore, coincide con un'area — il territorio regionale — alla quale si svolgono funzioni essen-zialmente di programmazione globale.
Un altro livello, a scala inferiore, è identificabile con l'area comprensoriale, in cui confluiscono in via normale le competenze gestionali, particolarmente quelle relative al settore scolastico, a quello assistenziale ed a quello sanitario.
A questo livello vanno inserite le Comunità Montane, confermando ad esse il ruolo comprensoriale nel caso di coincidenza di confini e assicurando comunque adeguata rappresentanza alle stesse negli organismi comprensoriali o sovracomunali nel caso di non coincidenza dei confini — secondo il criterio di rappresentanza regolato dalla L.R. n. 80.
A scala intermedia, si può fin d'ora promuovere un'azione di coordinamento e di aggregazione fra comprensori contigui, al fine di prefigurare un'area vasta — in prima approssimazione, il quadruplo di un'area di servizio — cui saranno attribuite funzioni di programmazione, di governo del territorio, di sviluppo economico, con particolare riguardo alla problematica connessa con la riconversione e ristrutturazione industriale, nonché con le implicazioni concernenti il mercato del lavoro, più avanti trattate.
A questa attività promozionale è già possibile collegare un ulteriore rilevante effetto, e cioè quello di precostituire una dimensione regionale già aggregata che verrà a facilitare l'operatività del livello intermedio di governo, una volta che questo sarà stato definito in sede nazionale.

La politica delle deleghe
II futuro assetto istituzionale e organizzativo non può prescindere da una considerazione, e cioè che la Regione, particolarmente nella logica del D.P.R. 616, si vede confermata quale alto soggetto di legislazione, di programmazione, di coordinamento e indirizzo e, quindi, di direzione politica, proprio nella misura segnata dalla Costituzione e dalla stessa carta statutaria del Veneto.
La scelta concreta delle materie delegabili ai diversi livelli di destinatari esige una puntuale verifica delle aree di delegabilità ispirata al criterio fondamentale della compattazione omogenea di materie in capo a livelli di governo resi responsabili per settori organici.
Questo criterio deve essere tenuto presente e deve ispirare le scelte in materia di delega. Tali scelte attengono a diversi aspetti e non si limitano solo all'oggetto della delega.
La determinazione dell'iter e del destinatario della delega sono fattori interagenti con l'oggetto della delega e tutti insieme necessari a costruire l'assetto istituzionale partecipato, che costituisce un obiettivo statutario della Regione.
Per quanto attiene particolarmente all'individuazione dei destinatari delle deleghe, è evidente che soltanto il completamento del processo in atto, in sede nazionale, di revisione istituzionale, potrà definire i nuovi livelli di governo locale e chiarire le direzioni lungo le quali sviluppare la politica delle deleghe. In ragione delle diverse materie delegabili, la delega può concettualmente riferirsi all'area di gestione e all'area vasta.
Per quanto attiene all'area di gestione, essa andrà attribuita al corrispondente organismo istituzionale, il cui titolo rappresentativo deriva dai Comuni interessati. Per quanto concerne l'area vasta, il futuro Ente intermedio può prefigurarsi quale ente delegatario.
E' già, tuttavia, possibile, in rapporto alle soluzioni emergenti, attribuire la delega all'area di gestione, individuando nel comprensorio della L.R. 80, previa revisione della legge stessa, un ente delegatario nella forma del consorzio di Enti locali, facenti parte del comprensorio, o altra forma associativa di comuni. In attesa di un tale riassetto istituzionale regionale, vanno attribuite agli attuali consigli di comprensorio le funzioni regionali delegabili, realizzando conseguentemente un effettivo decentramento di funzioni regionali, sostanzialmente riconducibile alla delega.
Nell'ambito di tale previsione viene confermato il ruolo delle Comunità Montane come previsto dalla legge statale n. 1102 e dalla L.R. n. 10, individuando in esse la funzione di destinatario di delega.

Il modello organizzativo
La problematica sul modello organizzativo si può incentrare intorno ad alcuni temi di carattere generale, quale è la realizzazione di una struttura in grado di assicurare con tempestività la attuale gestione diretta, ma capace di favorirne la trasformazione in altra struttura di prevalenti attività di programmazione, di legislazione e di controllo sulle funzioni delegate, e l'attuazione di nuovi schemi di organizzazione del lavoro.
Questo iter investirà l'Amministrazione regionale sia a livello centrale, che a livello periferico:
— le strutture centrali andranno ridisegnate, poiché da una parte perderanno molti compiti di amministrazione attiva, e dall'altro dovranno acquisire funzioni di controllo circa i tempi ed i modi di esercizio dei compiti delegati. Contestualmente, andrà meglio precisandosi il ruolo legislativo e programmatorio della Regione;
— le strutture periferiche, man mano che verranno attuandosi le deleghe, saranno poste a disposizione degli Enti delegatari.
Il correlato ricorso alla mobilità del personale regionale non comporterà, comunque, la perdita dello status di dipendente regionale, verificandosi soltanto una variazione nella dipendenza funzionale.

L'azione di adeguamento della legge regionale 64
In sede di aggiornamento della L.R. 64, non si può non tener conto di una serie di dati, già definiti dalla normativa del D.PJR, 616 che viene ad innovare radicalmente in materia, attribuendo poteri nuovi e offrendo soluzioni molto più articolate e flessibili.
Una rilevante innovazione del D.P.R. 616 riguarda il potere della Regione di promuovere forme “anche obbligatorie ” di associazione fra gli Enti Locali territoriali per la gestione dei servizi.
La soluzione del consorzio, già prevista dalla L.R. 64, continua a restare ammissibile, quanto meno nella maggior parte dei casi, trattandosi, in misura prevalente, di ULSSS intercomunali.
In ogni caso vanno esaminate possibili forme di asso-ciazione dei Comuni, più flessibili dei consorzi, in coerenza con i nuovi poteri riconosciuti alla Regione con il D.P.R. 616, secondo lo spirito delineato nella “finalità: sicurezza sociale”.

UNA STRATEGIA PER IL RILANCIO DELL'OCCUPAZIONE

L'economia veneta ha riprodotto, particolarmente nel corso degli anni '60 e negli anni più recenti, le contraddizioni tipiche del sistema economico italiano: una instabilità congiunturale che si intreccia in modo inestricabile con la debolezza strutturale dell'apparato produttivo.
Il processo di crisi e di ristrutturazione dell'economia veneta è caratterizzato dalla prevalente presenza della piccola e media industria. Da tempo il processo di diffusione spontanea di questa realtà industriale (sull'onda di fattori irripetibili, quali soprattutto un eccesso di offerta di lavoro a basso costo, ed una disponibilità finanziaria certo non selezionata in base ad una programmazione) si è fermato; ad esso si è andato sostituendo un processo di ristrutturazione caratterizzato più che da una dinamica espansiva, da una volontà di sopravvivenza sui mercati, in una situazione resa progressivamente più difficile dal sempre più frequente manifestarsi della fase negativa del ciclo economico a livello nazionale.
Le linee di questo processo di ristrutturazione spontanea possono sintetizzarsi in una accentuazione dei fenomeni di decentramento produttivo attraverso i quali si è cercato da parte delle imprese di ritagliarsi spazi di competitività di tipo “ interstiziale ” anche sul mercato estero: ciò ha dato luogo ad un processo “ ufficiale ” di crescita della produttività, ma ad un processo “ nascosto ” e connesso di crescita di occupazione marginale e precaria. Le possibilità di accesso stabile ed aperto al lavoro nell'industria appaiono così bloccate, e si va diffondendo la pressione per un allargamento dell'area di “ economia assistita ” nei casi sempre più frequenti in cui gli apparati produttivi “ ufficiali ” entrano in crisi.
Appare evidente la necessità di una inversione di tendenza nel processo di deterioramento qualitativo (sia da un punto di vista tecnologico sia da un punto di vista sociale) della struttura produttiva, che appare eccessivamente orientata alla produzione di beni destinati al consumo finale, che deve passare attraverso una predisposizione di un sistema di azioni programmatiche volte alla difesa e allo sviluppo dell'occupazione, e ciò soprattutto per dare una risposta concreta alle esigenze e alle richieste del lavoro giovanile e di quello femminile, superando così gli effetti destabilizzanti per il nostro sistema democratico che la mancata soluzione di tale problema certamente produce. Questo obiettivo fondamentale si articola in due sotto-obiettivi: a) il recupero e la stabilizzazione dei livelli occupazionali nelle aree e nei settori dove gli effetti di deterioramento del sistema produttivo sono stati più intensi; b) la creazione a livello dei settori produttivi di condizioni per la ripresa e la diffusione del processo di sviluppo su basi di maggiore stabilità; ciò comporta che la ristrutturazione del sistema economico sia sottratta alla logica dello spontaneismo, e ricondotta ad una logica di programmazione. Queste condizioni appaiono indispensabili anche dal punto di vista di un più corretto rilancio della funzione imprenditoriale, il cui ruolo va privilegiato nella misura in cui da vita a nuove iniziative produttive e ad azioni di riqualificazione di quelle esistenti e non a mere posizioni di difesa del profitto.
Una più approfondita analisi delle implicazioni quantitative di tali condizioni è esposta in appendice.

DIRETTRICI DI RIEQUILIBRIO TERRITORIALE

Al fine di garantire uguali opportunità a tutti i cittadini veneti in ordine alla qualità della vita e alla fruizione dei servizi, occorre riconsiderare il peculiare assetto territoriale della regione, nell'intento di superare i fattori di squilibrio nelle diverse aree.
Conseguentemente dovranno essere concentrate e coordinate le politiche di intervento nelle aree depresse promuovendo inoltre l'organizzazione in senso metropolitano dell'area centrale descritta da Padova, Venezia e Treviso.
La questione dell'assetto territoriale della Regione Veneto, va inoltre inquadrata nella necessità di un processo generale di riequilibrio dei rapporti attuali tra il quadrante dell'Italia nord-orientale e quelle nord-occidentale tra le regioni Veneto, Friuli-Venezia-Giulia e Trentino-Alto Adige da un lato e quelle della Lombardia, Piemonte e Liguria dall'altro.
Tale tematica è arricchita dall'avvenuta costituzione della Comunità delle regioni alpine orientali, l' “Alpe Adria”; la realizzazione .di programmi comuni richiederà il rafforzamento dei contatti tra le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, da un lato, e dall'altro con le province autonome di Trento, Bolzano e il Tirolo che aderiscono invece alla comunità di lavoro delle Alpi centrali, l' “ Arpe-Alpe ”.
Supporto fondamentale di questa linea di sviluppo dovrà essere una nuova politica portuale che ne esalti la funzione commerciale e metta il Veneto in grado di usufruire di quelle condizioni geografiche che ne fanno una regione cerniera dell'arco costiero nord-orientale ed il cardine naturale su cui impostare un nuovo assetto delle relazioni internazionali. Questo richiede anche che l'organizzazione portuale non sia vista isolatamente, ma venga considerata come parte di un'unica rete generale di trasporto, organizzando in modo adeguato il traffico marittimo, quello idroviario e ferroviario, quello stradale ed aereo.
Lo sviluppo del Porto va inteso nell'ambito dell'organizzazione complessiva del sistema portuale dell'Alto Adriatico segnando a Venezia un ruolo prevalente di porto commerciale, a Chioggia una specializzazione come Terminal Fluvio-Marittimo, prevedendo l'immediata soluzione dei problemi di uso di Porto Levante (possibilità di accesso), nonché tenendo conto delle indicazioni formulate al riguardo dagli Enti locali interessati.
Fondamentale risulta essere inoltre, per il governo del flusso dei traffici, la realizzazione del Quadrante Europa (Verona), tenendo anche conto delle scelte in sede locale.
Sia il Porto che il Quadrante devono essere visti come momenti integrati al territorio regionale e quindi non come elementi di ulteriore esclusivo rafforzamento delle aree forti, ma come veicoli di riequilibrio.
Particolare importanza deve essere attribuita alla funzionalità di tutta la rete stradale ordinaria in questo trovando opportuni momenti di raccordo con il programma ANAS.
La rete autostradale potrà essere integrata limitatamente al prolungamento a Longarone - Pieve di Cadore della Venezia-Vittorio Veneto ponendo immediatamente la proposta di realizzazione traforo delle Alpi Aurine e risolvendo quindi con la sistemazione della viabilità normale i problemi quantitativi e di abbattimento dei tempi di percorrenza.
Nel sistema dei trasporti ferroviari è riconosciuto il ruolo fondamentale della linea del Brennero e pertanto si pone come prioritaria la questione del traforo ferroviario del Brennero, il raddoppio della Modena-Verona e il potenziamento del nodo di Verona.
L'area Venezia-Padova-Treviso deve trovare l'opportunità nel servizio ferroviario che abbia oltre ad una funzione metropolitana anche lo scopo di decongestionare il nodo di Mestre. Va quindi previsto un potenziamento della linea Portogruaro-Treviso- Castelfranco-Vicenza, e della Valsugana da Venezia a Bassano. Vanno potenziate inoltre la Chioggia-Legnago, Mestre-Adria e le ferrovie dell'area Bellunese.
Ai fini del riequilibrio territoriale deve essere riconosciuta la priorità del Fissero-Tartaro-Canal Bianco con sbocco al Porto di Chioggia.
Ciò per consentire il collegamento con la Laguna, l'area di Porto Marghera, oltre ovviamente con una struttura portuale, che può costituire, pur nelle limitate dimensioni, un sostegno alla navigazione interna ed allo scopo dell'area attrezzata del Polesine.
Solo giungendo rapidamente alla realizzazione di primi stralci funzionali in questo definito quadro di priorità, acquista validità un sistema idroviario che si ricolleghi alla portualità ed alla rete interna che attraverso la laguna, il Canale di Valle si rapporti al Canal Bianco almeno fino a Rovigo ed attraverso la conca di Volta Grimana il Po, che allo stato attuale è navigabile per 8-9 mesi all'anno. In questo quadro acquista un significato economicamente valido il completamento fino a Padova dell'idrovia Padova-Venezia.
Nel sistema idroviario le decisioni più urgenti, in quanto anche comportano interventi di non rilevante costo, riguardano la realizzazione di opere di sistemazione della bocce Porto Levante mediante la ricostruzione della parte dello Scanno Cavallari.

IL PROCESSO DI PROGRAMMAZIONE:

Il quadro delle risorse
Per perseguire le finalità sopra descritte è necessario che il P.R.S. sia concepito come lo strumento di valorizzazione e di ottimale impiego delle risorse disponibili. E' questo il corrispettivo della visione “ totalizzante ” del P.R.S. Infatti, l'Ente Regione, data la limitatezza e rigidità di spese del suo bilancio non è in grado di condizionare in modo sufficiente la domanda complessiva che si rivolge al settore produttivo e dei servizi. Di contro l'Ente Regione può condizionare, orientare e migliorare l'offerta, cioè l'insieme di quei fattori quantitativi e qualitativi che costituiscono il patrimonio produttivo del Veneto, nonché quello di servizio nell'accezione più vasta. In questo la quantità, la qualità e la distribuzione territoriale del lavoro, del capitale, delle capacità imprenditoriali, dei servizi alle imprese e alla popolazione residente, il livello di informazione, l'offerta e la qualità burocratico-amministrativa, diventano le vere “ risorse ” di cui continuamente aggiornare ed approfondire l'analisi al fine di orientarle secondo opportune strumentazioni legislative.
In questa prospettiva generale assume significato e insieme possibilità di concreta realizzazione l'impegno della Regione di operare soprattutto in vista dei risultati da ottenere nei settori produttivi - sia quelli di competenza sia quelli (come l'industria) dove la marginalità delle competenze impone di dare il massimo impulso al coordinamento programmatorio e alle azioni di stimolo politico.
La mancanza di adeguati strumenti conoscitivi ha consentito in questa fase, nel P.R.S., solo le considerazioni in merito svolte nell'appendice. La Giunta è impegnata a proseguire nel lavoro di ampio respiro già intrapreso a questo proposito, garantendo peraltro la disponibilità di risultanze significative in tempi brevi.

Il metodo dei progetti
Il riferimento al quadro delle risorse nella loro accezione più ampia e al loro continuo aggiornamento ed affinamento costituisce da un lato il richiamo alla natura integrata della programmazione, soprattutto nei suoi aspetti economici e territoriali, dall'altro, il richiamo alla natura “ continua ” del processo di programmazione ovvero ad una concezione del P.R.S. come “piano-processo”.
Lo strumento operativo di questa nuova impostazione progammatoria dovrebbe essere rappresentato dai “ progetti ”, intesi come momento unificante di intervento intersettoriale.
I “ progetti ” sui quali si intende imperniare il presente P.R.S. sono sette:
a) agricolo-alimentare;
b) gestione delle risorse idriche;
c) organizzazione e formazione delle strutture funzionali, qualificazione e aggiornamento del personale della Regione, degli Enti Locali e degli organismi collegati;
d) settore secondario e mercato del lavoro;
e) sanità;
f) trasporti;
g) montagna, inteso ad orientare le risorse disponibili per lo sviluppo dell'agricoltura, della zootecnica, del turismo e della salvaguardia e tutela dell'ambiente collinare e montano, in un quadro coerente di compatibilità e di sviluppo dell'economia montana.
In particolare per quanto riguarda il progetto agroalimentare, il progetto per la gestione delle risorse idriche e il progetto per l'organizzazione e formazione delle strutture funzionali, le formulazioni contenute nella Proposta per l'approvazione definitiva del Programma Regionale di Sviluppo 1978-82 predisposto dalla Giunta saranno considerate documenti di base per la loro stesura definitiva.
La Regione dovrà inoltre coordinare una propria presenza nelle attività di ricerca soprattutto in rapporto con le università, il C.N.R., gli istituti di ricerca sulla base concreta delle proposte che scaturiranno dai singoli progetti.
E' necessario che, sul piano del metodo, i progetti presentino particolari caratteristiche.
I progetti non possono infatti essere dei documenti programmatici, cioè non devono limitarsi ad una analisi della situazione e dare indicazioni generiche la cui attuazione sia imprecisata nel tempo, ma devono essere supportati da scelte fondamentali circoscritte nel tempo, nel territorio e quantificate nella spesa e passibili di controllo.
In particolare, per ogni progetto devono essere definiti gli obiettivi generali e particolari verificati nella loro compatibilità intersettoriale, definita la spesa complessiva e per anno, stabiliti i tempi di realizzazione dei punti caratterizzanti ai quali riferire anche momenti di verifica, di controllo e di aggiustamento, individuati gli strumenti di attuazione.
Questa proposta viene ad assumere in questa fase un valore prevalentemente metodologico.
E' tuttavia necessario seguire questa impostazione se si vuole realmente avviare un processo di programmazione in grado di affrontare, coordinare e gestire misure di intervento capaci di attenuare gli effetti della crisi in atto.
Al di fuori di questa prospettiva non vi è alcuna credibilità per qualsiasi documento di piano che nella migliore delle ipotesi risulterebbe niente più che una raccolta di buone intenzioni la cui realizzazione viene lasciata al caso se non a particolari interessi categoriali.
L'impegno di agire secondo questo metodo dei progetti assume rilievo politico determinante e consente in questa fase del confronto politico di ritenere il P.R.S. sufficientemente garante di un nuovo metodo di gestione degli interventi regionali purché esso definisca i tempi (necessariamente brevi) di approntamento dei singoli progetti e le linee politiche, gli obiettivi e le scelte politiche che devono caratterizzare il contenuto degli stessi.



























LE POLITICHE SETTORIALI


FINALITÀ: RECUPERO E POTENZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ PRIMARIE

II quadro di riferimento legislativo e programmatico su cui le Regioni sono chiamate ad operare nel breve e medio periodo è rappresentato per il settore agricolo dalle direttive comunitarie sulla riforma dell'agricoltura e dalla legge n. 984 “Quadrifoglio”.
Il CNEL in un suo recente documento ha giustamente osservato, che le due linee di azione emergenti sono tra loro contrastanti, essendo la prima ispirata alla tradizionale politica di interventi settoriali e la seconda alla politica delle strutture.
Questo nodo dell'attuale politica agraria italiana, che vuole perseguire direttive di sviluppo e di riequilibrio intersettoriale e, allo stesso tempo, affrontare il problema del riequilibrio della nostra bilancia agricola alimentare, può essere ricolto in un quadro di compatibilità, che soltanto la programmazione è in grado di offrire.
La Regione Veneto, consapevole del problema che è stato delineato, da ad esso concreta risposta attraverso il PRS, che per il settore agricolo si compone di due parti: “ Recupero e potenziamento delle attività primarie ” e “ Progetto agricolo alimentare ”. La prima delinea i modi dell'azione regionale a favore del settore agricolo, che sono costituiti dalla programmazione articolata territorialmente nei piani zonali e, a livello d'azienda, da interventi, integrati e finalizzati alla riforma delle strutture, che trovano nel piano di sviluppo aziendale l'unico quadro di coerenza tra scelte programmatiche e convenienza privata. Il “ Progetto agricolo alimentare ” definisce, invece, gli obiettivi dei principali settori produttivi dell'agricoltura veneta, sia per rispondere alle indicazioni e agli impegni che la Regione deve assumere nei confronti dello “ Schema di piano agricolo nazionale ”, sia per l'obiettiva importanza che i settori prescelti hanno per l'agricoltura regionale. L'ottica seguita dalla Regione nel delineare gli interventi per settore non è, però, esclusivamente produttivistica, poiché, affrontando i problemi di settore per “ catena di produzione ”, si preoccupa soprattutto di rimuovere le strozzature che impediscono il corretto sviluppo economico di ciascuno.
Lo sforzo che la Regione intende compiere nel settore agricolo innova, quindi, completamente le linee di politica agraria fin qui seguite, per cui la Regione sa di dover anche rinnovare la struttura organizzativa di cui dispone nel settore agricolo per poter gestire gli interventi previsti dal PRS secondo i modi da essa prescelti.
Le incertezze in sede nazionale in tema di riforma degli enti locali ritardano la definizione della natura e dei compiti dell'ente intermedio, che la Regione Veneto ha individuato con legge regionale 9 giugno 1975, n. 80 , nel Comprensorio, quale proprio organo decentrato e non burocratico. Ed è alla dimensione comprensoriale o intercomprensoriale che il titolo VII della legge n. 21 riferisce la formulazione e attuazione del piano zonale di sviluppo agricolo.
La maglia comprensoriale veneta non sembra però adeguatamente dimensionata a fini di programmazione, per cui non potendo ancora assumere contorni definiti il tema dell' “area vasta”, è alla dimensione intercomprensoriale che può essere realisticamente riferita la formulazione del piano zonale agricolo.
Nell'attesa che la programmazione globale possa essere articolata territorialmente, grazie ad una ridefinizione degli organi e degli ambiti a cui può essere riferita, quella per il settore agricolo non può attendere ulteriormente, se non si vuole che l'azione settoriale si sviluppi in tempi e in modi diversi da quella strutturale, determinando forse una definitiva battuta d'arresto di quest'ultima, che può pregiudicare qualsiasi ulteriore tentativo di modernizzare le nostre strutture agricole.
In relazione a quanto detto è intenzione della Regione emanare in tempi brevi una “ legge quadro ” per il settore agricolo che, oltre a trasferire sul piano normativo gli interventi previsti dal PRS, indichi:
a) la riallocazione dei flussi finanziari relativi a tutti gli Enti operanti nel settore sulla base degli interventi finalizzati;
b) la definizione delle competenze istituzionali attraverso il decentramento ed il conferimento delle deleghe;
c) il ruolo dell'ESAV;
d) coordinamento e decentramento dei servizi;
e) il coordinamento finalizzato della formazione professionale;
f) il coordinamento dell'intervento del credito nel settore.
L'azienda diretto-coltivatrice a conduzione familiare costituirà il punto di riferimento delle politiche di intervento della Regione per il suo apporto alla realtà economica e sociale del Veneto. I finanziamenti regionali saranno diretti in modo particolare alle aziende in grado di formulare il piano di sviluppo o tendenzialmente capaci di raggiungere le condizioni richieste, con una azione che privilegi le zone montane e svantaggiate.
Le normative regionali si indirizzeranno in modo coordinato all'azienda, intesa come struttura complessiva di attività imprenditoriale e di mezzi di produzione, con un'azione diretta particolarmente a favore dei giovani e del lavoro femminile.
Le aziende singole dovranno confluire, quando possibile, in unità cooperative di produzione, conservazione, lavora-zione e vendita, le quali, a loro volta, si assoceranno in cooperative di grado superiore.
Nella logica dell'“area vasta” la Regione Veneto delimiterà aree intercomprensoriali di programmazione agricola, che rispondano a criteri di similarità al loro interno, ma soprattutto richiedono interventi di politica agraria organicamente composti sul territorio in relazione alle caratteristiche che ne giustificano la delimitazione.
Per ciascuna area di programmazione agricola verrà elaborato un piano zonale di sviluppo che sarà adottato dai Consigli dei Comprensori compresi nell'area, che agiranno nell'ambito di una struttura di coordinamento dei rispettivi poteri, che può venire configurata nel Consorzio intercomprensoriale.
I piani zonali di sviluppo agricolo dovranno attenersi a quanto indicato nel PRS e agli obiettivi programmatici di sviluppo che il Consiglio Regionale può stabilire per ciascuna area a norma dell'art. 23 della legge 31 gennaio 1975, n. 21.
La struttura tecnica e organizzativa per la redazione dei piani zonali agricoli verrà messa a disposizione dei Consigli di Comprensorio, operanti nel modo sopradetto, dall'Ente Sviluppo Agricolo del Veneto, che svolgerà tali funzioni nel rispetto di quanto disposto dalla sua legge istitutiva.
II piano zonale agricolo, una volta adottato, verrà trasmesso al Consiglio Regionale per l'approvazione.
L'art. 26 della legge n. 21 aveva istituito le Consulte agricole permanenti, le cui funzioni sono state in gran parte assorbite da quelle attribuite ai Comitati consultivi comprensoriali, previsti dalla legge di recepimento delle direttive comunitarie recentemente approvata dal Consiglio regionale.
Se non si vuole provocare una pericolosa sovrapposizione di funzioni, la “ legge quadro ” per il settore agricolo dovrà provvedere a un coordinamento legislativo, che potrà anche avvenire con la sostituzione dei Comitati consultivi comprensoriali alle Consulte agricole permanenti. In questo caso, i Comitati consultivi comprensoriali, oltre che attivare la diretta partecipazione dei produttori e lavoratori agricoli alla formulazione del piano zonale, dovranno anche partecipare alla sua attuazione sia approvando i piani di sviluppo aziendale, come previsto dalla legge, sia svolgendo un'azione di consulenza e proposta relativamente all'attività, che Comprensori e Comunità Montane sono chiamati a realizzare nel settore dell'agricoltura.
Per dare concreta attuazione alla volontà di decentramento, la Regione terrà conto nel formulare i programmi di spesa attinenti a proprie leggi dei corrispondenti interventi previsti dai programmi comprensoriali e trasferirà ai Comprensori l'esercizio di funzioni amministrative relative alla concessione delle provvidenze previste dalle stesse leggi.
In base a un preciso impegno già assunto dal Consiglio Regionale di procedere a un riordino di tutte le strutture regionali operanti nel settore agricolo, non si potrà fare a meno di valutare con la dovuta attenzione le necessità derivanti dal decentramento comprensoriale.
L'ESAV, quale organo tecnico regionale per gli interventi nel settore agricolo, dovrà, in relazione a questo nuovo modo di operare della Regione, mettere a disposizione dei Consigli di Comprensorio le proprie strutture, opportunamente riorganizzate, per svolgere le funzioni previste ai punti a, b, c, dell'art. 2 della legge istitutiva, mentre le funzioni di cui al punto (d) — assistenza finanziaria e creditizia — e (e) — esercizio delle funzioni di organismo fondiario — potranno essere svolte esclusivamente sotto il controllo della Regione.
In particolare, le funzioni che l'ESAV è chiamato a svolgere nell'ambito della struttura comprensoriale riguardano: la promozione e l'assistenza alla redazione dei piani di sviluppo aziendale e interaziendale; la promozione e l'assistenza alla cooperazione; attività di sperimentazione e assistenza tecnica, nonché coordinamento di quella svolta da Enti e associazioni; indirizzo dell'attività di informazione socio- economica; realizzazioni di impianti, attrezzature e servizi di interesse comune a più agricoltori, quando siano previsti dal piano zonale di sviluppo e siano stati regolarmente approvati dagli Organi regionali di controllo; attività di consulenza e di assistenza agli Organi comprensoriali.
Il quadro programmatorio della politica agricola regionale e la sua articolazione comprensoriale garantiscono che gli interventi avvengano secondo una logica globale, che ha come unico parametro il piano di sviluppo aziendale, che si inserisce in quello zonale, in funzione degli obiettivi da questo fissati.
Malgrado questa struttura e questa logica dell'intervento regionale, i fondi utilizzati per l'agricoltura dalle Regioni a statuto ordinario o sono fondi statali a destinazione vincolata o anche per quelli regionali è previsto che le forme finanziarie di agevolazione e il loro oggetto rispondano ai principi generali della legislazione nazionale.
L'organizzazione degli Ispettorati Provinciali dell'Agricoltura risponde a questi vincoli, in quanto le funzioni di controllo tecnico amministrativo devono essere svolte per settore di intervento come previsto dalle leggi in vigore. In conseguenza di ciò gli IPA dovranno prestare assistenza anche ai Comprensori nell'esercizio delle funzioni amministrative ad essi affidate.
Evidentemente la completa adozione di tale politica e dei modi per realizzarla, che sono stati prima delineati, deve avvenire con la gradualità necessaria ad evitare una brusca interruzione degli interventi su cui le aziende, particolarmente quelle più deboli, hanno già impostato i loro programmi. Tuttavia, ciò non vuol dire che la Regione non voglia svolgere un'azione anticipatrice in quelle aree che, per l'importanza nel settore agricolo e per le condizioni di sviluppo in cui si trova, richiedono in tempi più brevi l'attuazione di una politica di interventi strutturali.
La Regione individua fin d'ora almeno quattro aree:
— il Delta (Adria-Chioggia)
— l'area Noventa - Montagnana - Legnago
— l'area Portogruaro - S. Dona - Oderzo
— l'area Feltrino - Val Belluna
Per queste aree la Regione Veneto, ricorrendo ad una interpretazione estensiva dell'articolo 24, comma I, della legge n. 21, affiderà all'ESAV l'elaborazione di altrettanti piani di sviluppo agricolo e nello stesso tempo svolgerà un'azione di incentivazione, affinchè organi comprensoriali e organi di partecipazione delle categorie interessate divengano effettivamente operanti nel più breve tempo possibile.
L'ESAV dovrà operare entro quattro mesi dall'approvazione del PRS e con procedure semplificate, poiché la successiva partecipazione degli organi comprensoriali, se attivati, e delle categorie interessate permetterà un continuo adattamento del piano alla realtà che ne è oggetto.
A queste aree verrà riservata una percentuale del 10% dei fondi regionali destinati al settore primario ad incremento di quelli che saranno assegnati per l'attuazione dei piani zonali di sviluppo. L'ESAV sarà il fulcro dell'azione pubblica provvedendo alla progettazione e alla realizzazione di opere ed impianti che possono qualificare l'intervento programmatico della Regione in queste aree.
Nell'ambito dei settori, assume non nuova ma fondamentale importanza, la forestazione la quale completa e integra gli aspetti di cui sopra, particolarmente nelle zone dove l'abbandono di vaste aree marginali, prima utilizzate per le attività agrarie, richiede il recupero dal degrado geologico.
Anche la caccia e la pesca devono rientrare in questa prospettiva di mantenimento dell'equilibrio ecologico nel territorio e nelle acque venete e, limitatamente alla pesca, di aumento delle produzioni animali.
La Regione imposta la propria politica di orientamento e di spesa nel settore primario per il triennio 1979-81 nel presente capitolo e nel Progetto agricolo-alimentare, utilizzando, come finanziamento, mezzi regionali e somme che saranno devolute dallo Stato con leggi a destinazione vincolata, ma in genere affine a quelle della programmazione regionale, in particolare la legge 403 e la legge “ Quadrifoglio ”.

Obiettivo: Recupero e potenziamento dell'attività agricola
La crisi economica che sta attraversando il Paese ha messo in evidenza la debolezza di fondo che ha accompagnato l'evoluzione dell'agricoltura italiana, in parte notevole da ricondurre alla scelta industriale compiuta negli anni della ricostruzione e mantenuta fino ai nostri giorni, che ha relegato l'agricoltura al posto di settore residuale. E' stato trascurato così il potenziamento degli investimenti, il miglioramento e la diffusione dell'assistenza tecnica, della formazione professionale e della ricerca scientifica pubblica che costituiscono le basi per una politica agraria che voglia incidere in modo organico e duraturo sulle strutture.
La stessa adesione alla Comunità Economica Europea e la politica svoltavi dall'Italia per qualche periodo ha risentito di questa scelta di fondo per cui oggi la nostra agricoltura è, in parte, scoperta rispetto alla concorrenza delle altre agricolture europee.
Il meccanismo dei prezzi comunitari ha contribuito, inoltre, ad accentuare alcune carenze soprattutto strutturali e dimensionali della nostra agricoltura, anche perché non è stata sufficientemente studiata una tecnologia che, tenendo conto delle realtà produttive, consentisse il recupero delle aziende marginali.
In ordine all'obiettivo più sopra espresso, la Regione Veneto intende, quindi, attuare le seguenti azioni programmatiche:
1. Azione: Valorizzazione e qualificazione della professionalità agricola
Si realizzerà attraverso una serie di interventi coordinati comprendenti: la ricerca e la sperimentazione, la formazione professionale, l'assistenza tecnica e l'informazione socio-economica.
Le organizzazioni professionali agricole parteciperanno a queste attività nei modi che saranno stabiliti sotto il controllo e con il coordinamento della Regione.
Per disciplinare in modo organico l'assistenza tecnica, gli enti preposti a divulgarla, la qualificazione dei tecnici, sarà predisposta una normativa regionale che precisi e coordini gli ambiti di competenza dell'ESAV, della Regione, delle organizzazioni professionali e dei vari organismi economici dei produttori operanti nella Regione, garantendo precisi spazi per la autogestione. L'assistenza tecnica assumerà carattere spiccatamente specialistico quando sarà erogata nell'ambito delle azioni del progetto agricolo-alimentare.
Per quanto riguarda la sperimentazione, la Regione promuoverà il riordino delle attività e delle strutture interessate allo scopo di assicurare al settore primario, inteso in senso proprio, comprensivo cioè della pesca, un flusso di informazioni specialistiche. Relativamente alla ricerca, si impone prioritariamente un censimento di tutte le iniziative in atto ad opera degli Istituti scientifici e delle Università.
Al fine di coordinare tra loro le due attività, verrà predisposto un preciso programma inteso a promuovere una vasta attività di sperimentazione, dalla quale si attendono indicazioni significative a supporto delle scelte produttive del P.R.S., coinvolgendo e impegnando nella ricerca tutti gli enti preposti.
Nell'ambito di tale programma potrà essere previsto un organismo a livello regionale che indirizzi e segua questi due settori, così importanti per disporre di tecnologie veramente rispondenti alle caratteristiche dell'agricoltura veneta.
Poiché l'acquisizione di margini adeguati di efficienza — anche mediante l'attuazione del piano di sviluppo azien-dale previsto dalla diretta 159 — è uno degli scopi della programmazione, è evidente che bisognerà costituire un sistema generalizzato e diffuso di assistenza tecnica e di informazione socio-economica. Inoltre, dato che il credito agevolato dovrà essere uno strumento attivo di promozione di settori e strutture produttive nell'ambito dei spiani zonali di sviluppo agricolo, si dovrà dar vita a un costante sistema di informazioni sullo stato dell'agricoltura regionale, con l'ausilio dell'ESAV e degli Istituti di ricerca economica che baseranno le loro analisi particolarmente sulle rilevazioni contabili condotte a livello di azienda, secondo schemi e procedure uniformi fissate dalla Regione.
Il fabbisogno finanziario relativo alle attività previste da questa azione dovrà avere un andamento nettamente crescente nel triennio 1979-1981. A seguito del recepimento a livello regionale della legge n. 153, si presenterà la necessità di integrare i fondi accreditati dallo Stato per le attività previste dalla direttiva n. 161, per far assumere adeguate dimensioni all'intervento regionale per la formazione professionale e l'informazione socio-economica.
2. Azione: Interventi sulle infrastrutture
Tali interventi consentiranno la realizzazione di economie esterne e la riconversione produttiva verso i settori privilegiati della politica agraria nazionale e regionale a favore anche di aziende di capacità inferiori a quelle considerate nella direttiva 159, ma in grado di evolversi positivamente specie con l'associazionismo e l'aiuto di infrastrutture (centri di commercializzazione, cooperative di meccanizzazione, impianti di trasformazione, ma anche strutture per l'irrigazione ecc.), capaci di esaltarne la potenzialità.
Nell'ambito della presente azione programmatica si provvedere prioritariamente al finanziamento delle infrastrutture nelle quattro aree più sopra individuate aventi caratteristiche di intersettorialità, tra cui le grandi opere di approvvigionamento di acque irrigue e gli impianti di commercializzazione e di trasformazione, la cui dimensione sia tale da, coinvolgere interessi al di là del comparto direttamente oggetto dell'intervento (ad esempio: la ristrutturazione delle grandi centrali del latte). Dato il costo di tali opere, il finanziamento dovrà essere, nella sua parte più rilevante, a carico dello Stato e la Regione assolverà soprattutto una funzione di integrazione, peraltro in molti casi determinante per l'avvio concreto dei lavori.
Agli stanziamenti previsti per il triennio 1979-1981, da definirsi puntualmente con la relativa legge di autorizzazione, devono aggiungersi 4 miliardi, già stanziati per l'esercizio 1978, e trasferiti, in quanto finanziati con mutuo, all' esercizio 1979.
3. Azione: Interventi a favore delle unità produttive
La maggior parte delle provvidenze a favore delle aziende agricole — singole e cooperative — sono disciplinate nel Progetto agricolo-alimentare, nella cui cornice risultano meglio coordinate e più direttamente finalizzate all'incremento produttivo. Molti interventi essenziali per la vita delle unità produttive non possono però essere regolamentati, in sezioni così specifiche come le articolazioni settoriali del Progetto agricolo-alimentare, per il loro contenuto civile (elettrificazione rurali, acquedotti, azione sul territorio) o per la loro funzione generale (credito di conduzione) e che sono pertanto inseriti nella presente azione programmatica.
Numerose di queste misure sono già disciplinate dalla vigente legislazione regionale, ma si sente la necessità di rivederle per verificarne la coerenza con gli obiettivi del P.R.S. e con i principi delle direttive CEE.
Atto di preliminare importanza nell'ambito di tale revisione sarà il Testo unico delle leggi regionali in agricoltura, da tempo allo studio e non ancora varato per la necessità di dare attuazione, principalmente con tale strumento, all'insieme delle politiche regionali nel settore primario che dovranno armonizzarsi ai principi delle direttive CEE e della legislazione nazionale di programmazione in agricoltura, di cui la legge 984 costituisce il primo supporto legislativo e finanziario.
Relativamente ai giovani, è necessaria una politica sistematica di incentivazione e di provvidenze per restare sulla terra. A questo fine sarà approvata, in termini solleciti, una normativa regionale “ ad hoc ” che comprenderà l'istruzione professionale, la assistenza tecnica, l'informazione socioeconomica, la preferenza negli interventi regionali, soprat-tutto per quelli diretti a favorire l'accesso all'impresa, e assicurerà la continuità degli interventi in modo che i giovani possano guardare al loro domani in agricoltura con reali prospettive di stabilità e di soddisfazione professionale.
In tale normativa sarà disciplinata la concessione di contributi in conto capitale, a carattere biennale, per l'insediamento di giovani o giovani famiglie nella gestione diretta del fondo e per operazioni di trasformazione di indirizzo colturale.
Gli investimenti delle unità produttive saranno sostenuti soprattutto con una azione volta ad agevolare l'accesso al credito. In questa cornice si condurrà un attento esame per verificare l'opportunità di potenziare il credito in natura anche mediante accordi, con la Federazione italiana dei consorzi agrari, da collegare all'organizzazione cooperativa, all' interno di una precisa normativa che regolamenti le modalità creditizie e l'utilizzazione dei mezzi finanziari.
Per l'attuazione di questa azione programmatica, nel triennio 1979-81, saranno previsti interventi per la concessione sia di prestiti pluriennali che di prestiti di conduzione.

Obiettivo: Difesa e sviluppo della montagna
Il livello istituzionale offerto dalle Comunità Montane costituisce un momento determinante ai fini dell'avvio di una politica di programmazione socio-economica e di assetto dei territori montani.
Le azioni programmatiche sono due: difesa idrogeologica e rilancio delle risorse forestali, rafforzamento delle Comunità Montane.
1. Azione: Difesa idrogeologica dell'ambiente e potenziamento agro-silvo-pastorale
La difesa dell'ambiente montano si realizza anzitutto attraverso il risanamento dei territori degradati e di quelli sottoposti a vincolo idrogeologico da realizzarsi per unità idrografiche secondo i criteri della legge regionale n. 16/1975 .
Sarà curata con attenzione la materia del rilancio o rinnovo delle concessioni idroelettriche per evitare le già sperimentate conseguenze di dissesto idrogeologico. In materia sarà altresì operato un deciso intervento della Regione presso il Governo per una opportuna revisione della legge istitutiva dei Bacini Imbriferi Montani soprattutto in tema di aggiornamento e utilizzazione dei sovraccanoni idroelettrici.
Un deciso intervento verrà svolto dalla Regione nei confronti dell'ENEL per il rispetto dei disciplinari stipulati con gli enti pubblici.
Saranno quindi privilegiate le opere di sistemazione idraulico-forestale; in secondo luogo sarà privilegiata la forestazione che, pur costituendo un importante settore produttivo, riveste un ruolo fondamentale nel garantire un efficiente controllo dell'equilibrio idrogeologico ed un'attività di conservazione di valori ambientali. Saranno pertanto dettate nuove norme regionali in tema di forestazione, tenuto conto che la stessa, pur interessando in primo luogo la montagna, acquista rilievo pure in altri territori, come i colli Berici ed Euganei nonché le spiagge, che per le loro peculiari caratteristiche vanno adeguatamente conservati e difesi.
Le risorse finanziarie destinate a tal fine nel periodo di piano ascendono ad oltre 5 miliardi di lire, destinati ad opere manutentorie e di sistemazione idraulica, nonché alla forestazione, intesa non tanto sotto l'aspetto dell'allargamento della superficie boscata, quanto in termini di miglioramento dell'esistente ottenuto attraverso la normalizzazione dei soprassuoli, nonché in termini di utilizzazione produttiva del bosco ceduo e di valorizzazione delle piantagioni industriali.
Per la tutela del patrimonio boschivo sarà inoltre svolta una adeguata azione di prevenzione dagli incendi, dando attuazione da un lato al piano regionale antincendi boschivi, anche per i conseguenti finanziamenti, dall'altro promuovendo provvidenze, indicate in 100 milioni di lire dal 1978, per la prevenzione e l'estinzione degli incendi boschivi nonché per la ricostituzione dei boschi distrutti dal fuoco.
Congiuntamente sarà assicurata l'operatività dell'Azienda Regionale delle Foreste, istituita con legge regionale n. 67/1975 e per la quale erano riservati 300 milioni di lire nell'esercizio 1978 e 100 milioni dal 1979, in relazione anche al completo trasferimento dei beni dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali; nello stesso tempo sarà proseguita l'opera di promozione di quelle forme di cooperazione e di associazione fra proprietari boschivi, in primo luogo gli Enti, quali i Consorzi forestali, tendenti ad assicurare gestione tecnica, conservazione e miglioramento del patrimonio silvopastorale.
Per quanto concerne le infrastrutture di servizio, le priorità riguardano il rifornimento di acqua potabile, il potenziamento dell'elettrificazione rurale e azioni di recupero di terreni abbandonati o insufficientemente coltivati medianti interventi di trasformazione fondiaria già previsti e finanziati dalla legge 27-12-1977, n. 984 “ Quadrifoglio ”. Inoltre il miglioramento della rete di strade silvo-pastorali al fine di una economica utilizzazione dei boschi nonché per l'attuazione delle opere di difesa del suolo.
Questo complesso di iniziative richiede la corresponsabilizzazione delle aziende agricole montane e delle proprietà soggette ad uso civico gestite dai comuni associate nei consorzi di bonifica montana, nei confronti dei quali sarà realizzato il riordinamento previsto dalla legge regionale n. 3/1976 secondo delimitazioni tendenzialmente coincidenti con il territorio delle Comunità Montane o dei loro multipli.
In linea generale si conferma che per l'attuazione del programma di difesa idrogeologica e dell'ambiente sarà riconosciuto alle Comunità Montane il ruolo di unico tramite istituzionale per la programmazione e la realizzazione delle opere occorrenti anche mediante la collaborazione operativa dei vari Enti a specifica competenza.
Analogo ruolo verrà riconosciuto alle Comunità Montane in sede di attuazione del Progetto Agricolo-alimentare contenuto nel presente Programma all'interno dei territori montani.
2. Azione: Rafforzamento delle Comunità Montane
Il ruolo della Comunità Montana si esplica soprattutto nella redazione del piano generale di sviluppo e nella deliberazione dei conseguenti provvedimenti di attuazione.
In rapporto a questa funzione, diventa importante il coordinamento dei piani delle Comunità con le linee di programmazione regionale.
In tal senso, in linea generale, si conferma alle Comunità Montane la competenza globale per quanto concerne gli interventi finalizzati allo sviluppo della montagna e quindi si riconosce ad esse la funzione di tramite primario di ogni intervento regionale in questa direzione.
Sarà sostenuta la necessità di un sostanziale rifinanziamento della legge nazionale 1102 venuta a scadere con l'esercizio finanziario 1977 mentre sarà assicurato il finanziamento regionale per le spese di normale funzionamento previste in 250 milioni di lire all'anno per il periodo di piano. Congiuntamente sarà portata avanti la proposta di revisione della stessa 1102 per ricomporre ad unità i comuni classificati parzialmente montani.
Gli interventi pianificatori delle Comunità Montane si estenderanno anche alla individuazione delle opere di sistemazione idraulica e di forestazione e al potenziamento ed ammodernamento delle strutture zootecniche e lattierocasearie, per i quali sono stati stanziati nel 1978 4 miliardi di lire.
Elemento importante e significativo sarà l'attuazione della direttiva comunitaria n. 75/268, recepita dalla legge statale n. 352, di apertura intersettoriale. Gli interventi consentiranno lo sviluppo delle aziende agricole montane soprattutto a livello associativo, per le ridotte dimensioni di partenza.

Obiettivo: Caccia e pesca
Per quanto riguarda la caccia, l'applicazione della nuova legge regionale 14-7-1978, n. 30 porterà a una profonda ristrutturazione del sistema amministrativo e tecnico di gestione dell'attività venatoria, ristrutturazione da attuarsi tenute presenti le consuetudini, le tradizioni e la collabora-zione degli organi istituzionali locali.
In merito alla pesca, l'azione programmatica sarà principalmente rivolta al rafforzamento del sistema produttivo e all'ammodernamento delle imprese anche nelle attività di acquacoltura. Non saranno trascurati tuttavia gli aspetti sportivi.
1. Azione: Caccia
L'esercizio sarà consentito con un unico tesserino autorizzativo sia per i cacciatori residenti che per quelli delle altre regioni, con eccezione per la zona Alpi e la Laguna Veneta. Il finanziamento deriverà da tasse annuali per la licenza.
Per il triennio di piano ai Consorzi provinciali per la caccia saranno assicurati finanziamenti per la protezione dell'ambiente, indennizzi all'agricoltura e interventi di ripopolamento e servizi di vigilanza.
2. Azione: Pesca
L'azione programmatica nell'ambito del settore peschereccio si svolgerà attraverso le seguenti iniziative: sviluppo dell'impresa; politica di mercato; ricerca, sperimentazione e assistenza tecnica; normativa regionale per la pesca professionale.
Le azioni programmatiche privilegeranno i contributi in conto capitale nonché la promozione ed il potenziamento della cooperazione e dell'associazionismo, mentre, per quanto attiene alla politica di mercato, saranno incentivate le strutture di trasformazione e valorizzazione dei prodotti, soprattutto a livello cooperativo ed associativo. L'iniziativa sarà perseguita in collegamento con le strutture pubbliche a condizione che le stesse siano già presenti nel settore ed offrano garanzia di economicità degli impianti e di qualificata presenza sul mercato.
Per l'acquacoltura, la mitilicoltura, la vallicoltura verranno attuati interventi intesi a favorire la realizzazione, nel quadro della legge 192/77, di progetti presentati da cooperative, associazioni di produttori e pescatori singoli e a incoraggiare la concretizzazione di iniziative in fase avanzata di studio ma ancora non attuate per varie difficoltà.
Relativamente alla sperimentazione l'azione sarà diretta a perseguire una nuova strategia che consenta alla pesca di evolvere da “ produzione naturale ” a “ produzione tecnologica ” anche attraverso le iniziative esposte nell'azione “ valorizzazione e qualificazione della professionalità agricola ”. Si tratta di dare cornice unitaria a molte attività già esistenti, con la partecipazione anche degli operatori della pesca oltre che di tecnici e di ricercatori.
In merito all'assistenza tecnica, la Regione attiverà un adeguato servizio anche a seguito dell'applicazione del DPR 616 al Consorzio tutela pesca della Venezia Euganea. Per quanto riguarda infine la pesca sportiva sarà predisposta una idonea normativa che affronti la problematica delle esigenze locali di questo tipo di pesca, quella della tutela dell' ambiente, le funzioni e le competenze del citato Consorzio tutela pesca, infine la qualità e la titolarità della delega delle competenze amministrative. Naturalmente la normativa attuerà i principi del decreto 616/1977.
La Giunta presenterà entro sei mesi dall'entrata in vi-gore del PRS una legge quadro regionale sulla pesca nelle acque interne, anche sulla base della bozza proposta dalle province venete.
Nel contesto di tale legge particolare attenzione dovrà essere dedicata alla disciplina della pesca nella laguna di Venezia.

FINALITÀ': SOSTEGNO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
NEL SETTORE SECONDARIO

La delicatezza della situazione economica del Veneto se da un lato richiede una massiccia azione volta a riconvertire il suo apparato produttivo — ovviamente in piena coerenza con gli indirizzi nazionali, come sarà meglio in seguito specificato — dall'altro rende necessario che nell'impostare questa azione venga data la massima attenzione alla finalizzazione in termini di piena occupazione di tale riconversione. Talché se da un lato è necessario uno sforzo per allargare la base produttiva con attività alternative, dall'altro bisogna avere chiaro che sarà proprio dai settori tradizionali del Veneto che dovrà venire, ancora nei prossimi anni, il maggiore sostegno in termini occupazionali. Ma perché questi settori possano svolgere il proprio ruolo è necessario che al loro interno avvenga una profonda riorganizzazione fondata soprattutto su una intensiva utilizzazione del capitale investito, sulla ricerca di nuovi prodotti e nuovi sbocchi commerciali e sulla riorganizzazione di tutto l'apparato.
A tale scopo la Giunta regionale, nell'ambito della già richiamata politica dei “ progetti ”, redigerà un apposito progetto per il settore secondario e il mercato del lavoro che sarà articolato anzitutto secondo piani settoriali per i più rilevanti comparti manifatturieri nel proprio territorio.
La Regione compirà un attento esame delle modalità e degli strumenti di una politica industriale per un uso coordinato e finalizzato sia delle nuove possibilità di intervento date dalle leggi (675,183, 902, 285) sia dei poteri e degli strumenti di cui già dispone, aventi per obiettivo la riqualificazione della base produttiva, da realizzare attraverso: processi programmati di riconversione di settore, il controllo delle forme di decentramento patologico, la programmazione degli sbocchi occupazionali in relazione all'offerta, anche potenziale, della manodopera.
L'attività di programmazione per progetti (che consente di organizzare diversamente il bilancio della spesa pubblica, articolandolo per programmi finalizzati e localizzati — con il ruolo determinante dei comprensori) dovrà consentire di costituire blocchi aggregati di domanda che rappresentino per le aziende sicuri punti di riferimento ed occasioni di programmazione (riqualificazione, riconversione, forme di consorziazione, ecc.) della loro attività produttiva.
Nel progetto per il secondario dovranno essere esattamente definiti l'obiettivo occupazionale, i volumi di intervento necessari, le varie fasi della ristrutturazione, le possibili alternative e la loro articolazione territoriale.
A questo riguardo si individuano fin d'ora gli interventi fondamentali nei vari settori chiave della struttura produttiva veneta. Tali indicazioni pur coordinate in un disegno complessivo nazionale, dovranno essere territorialmente articolate per settori come più avanti indicato.
Le finalità di tale progetto sono complesse e polivalente esse dovranno essere precisate e definite nelle loro interrelazioni appunto in sede di messa a punto del “ progetto ” ma fin d'ora appare necessario perseguire tre distinti obiettivi, qui di seguito presentati: estensione della base produttiva; sviluppo del settore artigiano; edilizia abitativa.

Obiettivo: Estensione della base produttiva
La prefigurazione dei fabbisogni occupazionali del Veneto sinteticamente esposta in allegato, derivante dall'ipotesi obiettivo dì una graduale riduzione del tasso di disoccupazione dall'attuale 4,7% al 3,5% entro il 1982 comporta una estensione della base produttiva industriale regionale capace di assorbire circa 2500 forze di lavoro all'anno nel quinquennio 1978-1982.
L'estensione della base produttiva va vista comunque non solo in termini di difesa dei livelli occupazionali regionali, ma anche come componente significativa per quanto certamente non unica della manovra per il perseguimento del riequilibrio territoriale, anche produttivo, interno regionale, che costituisce uno dei fondamentali punti di riferimento del presente programma di sviluppo.
Nel perseguimento di questo obiettivo vanno portate avanti azioni tendenti, da un lato, ad influire sulla politica industriale nazionale e, dall'altro, a coordinare i poteri di intervento dei quali dispone.
1. Azione: Partecipazione della Regione atta formazione della politica industriale nazionale
Con l'approvazione da parte del C.I.P.I. delle direttive per l'attuazione della legge 675 sulla riconversione e ristrutturazione industriale si è entrati nella fase di applicazione di una legge che dovrà essere gestita per avviare su basi nuove la politica industriale italiana.
Di fronte alle misure di rilancio dell'apparato produttivo nazionale che l'amministrazione centrale sta definendo, la Regione ha già assunto e sempre più intende assumere un ruolo attivo (di proposta, di orientamento e di vera e propria contrattazione) che le consenta di raccordare le indicazioni di politica industriale nazionale con la realtà dei problemi dell'industria veneta. In tal senso sono stati fatti conoscere i problemi e sostenuti i punti di vista del Veneto in sede di elaborazione di tutti i programmi finalizzati previste dalle direttive CIPI.
In questo campo, a seguito dell'azione da tempo impostata e la cui prosecuzione ed organizzazione è delineata nella successiva “ Azione ”, la situazione è la seguente:
a) Alluminio: è questo un settore non considerato nelle recenti direttive C.I.P.I. a seguito del parallelo processo di formulazione di una legge ad hoc. In tale sede la Regione Veneto sosterrà sostanzialmente le linee già definite e basate sulla necessità strategica di adottare per il nostro paese un rapporto produzione/consumo di primario di circa il 60%. Ciò comporta, anzitutto, il raddoppio dell'Allumetal e il successivo raddoppio della SAVA e la triplicazione dell'Allumetal.
b) Zinco: in questo campo la Regione ribadisce quanto già sostenuto in sede di Commissione Consultiva Interregionale e cioè la validità del piano ENI per la ristrutturazione delle aziende ex EGAM, già approvato dal CIPI e comunicato al Parlamento, che prevede, per Marghera il mantenimento dell'insediamento esistente, con investimenti relativamente limitati (circa venticinquemiliardi) per l'aumento della capacità produttiva e l'ammodernamento degli impianti, anche ai fini del disinquinamento.
c) Ciclo tessile: nel definire il proprio atteggiamento sui problemi di tale settore, la Regione fa suoi alcuni presupposti tra i quali, segnatamente, il rilievo occupazionale del settore nella Regione (circa un settimo dell'occupazione del secondario); la considerazione che non si può accettare come legge ineluttabile la condanna del settore tessile (e più in generale dell'abbigliamento) nei paesi avanzati come effetto di una ridotta espansione dei consumi pro capite del mercato interno in funzione dell'espansione del reddito e delle difficoltà di esportazione per effetto della concorrenza dei paesi che imboccano ora la via dell'industrializzazione; tali fenomeni rappresentano difficoltà reali ma devono essere considerati in larga parte superabili attraverso la produzione di beni più “ sofisticati ”, e la loro produzione e vendita attraverso tecnologie parimenti più “ sofisticate ”; in definitiva non esiste una crisi generalizzata del settore mentre è vero che, alle difficoltà del sistema industriale nazionale, si sommano reali difficoltà che si manifestano concretamente in singoli punti di crisi. Esigenza generale è dunque quella di tener presente questa specificità di situazioni, a livello di subsettore, di singole aziende, ed eventualmente di aree.
Si intende che il Veneto si predisporrà per una gestione attiva — a livello regionale — del programma finalizzato “ sistema della moda ” in modo da affrontare i problemi della riorganizzazione produttiva attraverso un ciclo integrato che vada dal tessile-abbigliamento, alle fibre ed al meccano-tessile, che consentano di evitare drastici ridimensionamenti produttivi nelle grandi aziende regionali a prevalente partecipazione statale e le forme patologiche di decentramento e di lavoro nero.
La Regione si preoccuperà anche di coinvolgere le PP.SS. nella realizzazione di un centro di assistenza tecnico-commerciale per il settore tessile.
d) Chimica: nella problematica del settore chimico si è venuta sempre più definendo quella specifica della cosiddetta “ area interconnessa ” ovvero del coordinamento se non dell'integrazione tra i poli chimici di Mantova, Ferrara e Marghera. Il Veneto ritiene che l'obiettivo di puntare sulla chimica secondaria ovvero sulla chimica fine non ha e non può avere un significato alternativo ma soltanto quello dell'opportunità di raggiungere dinamicamente un diverso dosaggio tra le diverse componenti del settore. Il Veneto esprime l'avviso che la condizione prima perché esista una chimica secondaria è la presenza, il vigore, la competitivita della chimica di base; questa affermazione va peraltro corretta nel senso che la condizione perché la chimica di base possa essere tecnologicamente progressiva ed economicamente competitiva è che essa possa tradursi in una vitale chimica secondaria.
E' nella strategia dell'area petrolchimica integrata Mantova-Marghera-Ferrara che andranno precisate le politiche produttive nel rapporto tra la chimica ed i settori utilizzatori (agricoltura, edilizia, tessili, ecc.) con lo sviluppo delle produzioni indotte per le quali andrà, per quanto possibile, favorita la localizzazione nel Polesine.
Il Veneto condivide l'avviso secondo cui un rilancio del comparto chimico può avvenire solo in collegamento con il quadro degli investimenti, le scelte prioritarie e le linee di interventi per la qualificazione produttiva.
Gli investimenti dovranno essere inquadrati in programmi di sviluppo economico produttivo ed occupazione, nel contesto di una politica creditizia finalizzata.
E' in questo quadro che, tra l'altro, va pienamente utilizzato e potenziato il centro ricerche della Montefibre di Portomarghera per farne il centro di ricerca, servizio e assistenza.
Al riguardo, il Veneto si prospetta la necessità di promuovere specifiche iniziative nei confronti degli istituti di credito, per attivare una dinamica di investimenti, in linea con la legge di riconversione industriale.
Il Veneto, infine, non intende sottovalutare l'importanza e, nello stesso tempo il problema, della ricerca. La ricerca non può che partire da una conoscenza dell'esistente ed innestarsi su tale conoscenza per impostare processi di razionalizzazione e di qualificazione, consentendo, quindi, di realizzare precise scelte coordinate e programmate di specializzazione connesse alle produzioni.
e) Termomeccanica ed energia alternativa: in ordine a tale settore, la Regione si farà portavoce della esigenza di rimettere in funzione il comparto delle costruzioni sia esso inteso come nuove costruzioni sia esso — sperabilmente — inteso come restauro e riuso e ciò perché, rappresentando il Veneto una concentrazione fortissima dell'intera produzione nazionale, la ripresa del settore è prevalentemente determinata dall'andamento del comparto costruzioni a livello nazionale.
La Regione si impegna a perseguire, nell'ambito delle proprie competenze, una politica energetica che, nel settore edile, si realizzerà mediante normative di pianificazione territoriale indirizzata al risparmio energetico ed orientata alla più diffusa utilizzazione di fonti alternative (pannelli solari, risorse geotermiche).
Nel settore dei trasporti sarà incentivato l'uso dei mezzi collettivi, mentre nel campo degli usi industriali dell'energia saranno evitate incentivazioni a favore di produzioni con elevato contenuto energetico e per le quali non valgono altri motivi di interesse generale.
Nel contempo, ogni sforzo sarà fatto per agevolare le produzioni ed i processi alternativi, favorendo un uso integrato dell'energia nelle sue varie forme di utilizzazione (produzione combinata di energia elettrica e calore per usi industriali, agricoli, civili ecc.).
f) Cantieristica: è uno dei settori esclusi dalle recenti direttive C.I.P.I. in quanto in via di riorganizzazione attraverso un apposito provvedimento legislativo. Nella presente situazione il Veneto sosterrà il significato delle imprese operanti nell'Alto Adriatico (Italcantieri a Monfalcone e Breda a Marghera) sul piano del settore a livello nazionale. Quelle dell'Alto Adriatico sono infatti strutture recentemente rimodernate, tecnicamente accettabili e in grado di produrre con i minori costi a livello nazionale.
Infatti a Venezia non vi è solo un cantiere fra i più moderni (certamente il più competitivo per la produzione standardizzata) ma vi è la possibilità di creare un sistema di primo piano nel settore della riparazione, della cantieristica minore che può essere particolarmente valido se saranno eliminate le strozzature esistenti. La soluzione di questi problemi resta condizionata al passaggio della Breda dall'EFIM alla FINCantieri e alla disponibilità dell'Arsenale.
Va infine sottolineato che le principali aree di crisi della regione sono costituite da settori tutti praticamente ricadenti a vario titolo e con un diverso grado sotto il controllo delle Partecipazioni Statali.
Va impostato un diverso rapporto tra Regione e PP.SS. che consenta di far valere nell'ambito della più generale strategia delle stesse, le peculiari esigenze regionali che devono emergere dalle indicazioni progettuali di settore. Ciò significa che Partecipazioni Statali e Regione Veneto vengono a porsi naturalmente come interlocutori reciprocamente necessari e che sarà specifico compito anche della Regione fare in modo che le PP.SS. elaborino le loro decisioni operative non solo sulla base di logiche settoriali di livello nazionale, ma tenendo conto degli effetti, diretti ed indiretti, che ogni decisione in proposito comporta sulla struttura settoriale e territoriale dell'economia veneta.
2. Azione: Coordinamento dei poteri della Regione in materia industriale
I poteri dei quali la Regione dispone in materia industriale sono frammentali e tuttora non del tutto definiti, per cui va perseguito il coordinamento di questi poteri, in modo da esaltare la capacità di influire sull'evoluzione del sistema produttivo del Veneto, ovviamente, in coerenza con la programmazione nazionale e la giusta priorità del Mezzogiorno.
In tal senso l'azione regionale si muoverà in quattro direzioni e precisamente verso: a) il processo sistematico di conoscenza dei diversi settori, e l'elaborazione di politiche appropriate, b) la gestione unificata degli strumenti di intervento sul mercato del lavoro, c) il controllo dell'evoluzione territoriale dell'apparato industriale regionale, d) le politiche promozionali del credito.
a) L'elaborazione sistematica di politiche appropriate per i diversi settori.
Per dare consistenza alla propria azione di stimolo e di proposta durante l'elaborazione dei programmi finalizzati nazionali, ma per disporre altresì di linee guida per orientare i processi di riconversione anche nei settori per i quali non si prevedono piani nazionali a breve scadenza, saranno approfondite o avviate analisi per la formulazione di quadri di intervento regionale inizialmente nei settori:
— tessile, abbigliamento e calzature;
— chimico e agro-chimico (tenendo presente le necessarie interconnessioni col progetto agricolo-alimentare);
— alluminio, zinco;
— cantieristico;
— meccanico, termo-meccanico;
legno mobilio;
— vetro e ceramica.
Tale lavoro, parzialmente già in atto a livello tecnico-amministrativo, sarà progressivamente sistematizzato a livello metodologico e rafforzato a livello organizzativo o comunque di risorse ad esso destinate per confluire nel già citato “ Progetto secondario ” ed avrà come obiettivo la definizione anche di criteri di orientamento delle dislocazioni territoriali e di indirizzo dei flussi finanziari e degli incentivi di riconversione ed investimento.
b) Gestione unificata del mercato del lavoro.
Parallelamente alla definizione delle politiche sui richiamati settori industriali sarà necessario provvedere ad una articolazione territoriale di tali politiche.
Questa articolazione territoriale degli interventi industriali se nel suo disegno complessivo dovrà puntare ad una evoluzione e ricalibratura dell'attuale struttura industriale del Veneto, dovrà peraltro tener conto della peculiarità di alcune situazioni di crisi occupazionale in atto o potenziale e di conseguenza stabilire una strategia atta a prevenire e guidare i fenomeni di mobilità del lavoro in modo da precostituire o da consentire la ricerca di soluzioni il più possibile contenute all'interno delle aree individuate.
Tali aree dovrebbero essere individuate dalla presenza di quegli elementi (concentrazione di imprese operanti in settori deboli; presenza di aziende a struttura artigianale o parartigianale e funzionalmente dipendenti da altre aziende maggiori o da situazioni di mercato statiche o carenti; mancanza nell'area di fattori promozionali che consentano una autonoma ricollocazione su diversi e più avanzati standards produttivi, diffusione del decentramento produttivo e del lavoro nero, ecc.) che concorrono a definire o a prospettare nelle varie zone una immagine produttiva strutturalmente cedente con conseguenti situazioni di gravi tensioni occupazionali tali da definire le aree in questione come “ aree prioritarie di intervento per la riconversione e riorganizzazione produttiva e la gestione della mobilità del lavoro”.
Per tali aree dovrà definirsi nell'ambito del “ progetto secondario una strategia che consenta la manovra di più azioni convergenti al sostegno di alcune aziende e/o alla promozione di attività alternative, nonché soprattutto a un governo unitario degli strumenti attivanti il mercato del lavoro, con riferimento anche alla possibilità di una esperienza pilota collegata con la enunciata “ legge Scotti ”.
Tale manovra dovrà attuarsi utilizzando unitariamente gli strumenti di cui la Regione può disporre, coordinandoli in un organismo regionale con corrispondenti riferimenti a livello di area vasta, e orientandoli prioritariamente su queste aree:
1) finanziaria regionale
2) osservatorio del lavoro
3) sezioni decentrate della commissione per la mobilità ex legge 675
4) formazione professionale.
Parallelamente alla definizione delle politiche di settore dovranno essere presentate al Consiglio regionale anche le “ strategie ” relative alle aree di:
1) Castelfranco - Montebelluna - Asolo
2) Vicentino
3) Basso Veronese
4) Porto Marghera.
c) Controllo delle localizzazioni industriali.
Anche in tema di localizzazione industriale si farà luogo ad un coordinamento degli strumenti di intervento e controllo.
Con il D.P.R. 616 di attuazione della legge 382 i poteri della Regione si sono recentemente arricchiti della possibilità di promuovere e gestire consorzi per aree e nuclei di sviluppo industriale, di gestire aree industriali attrezzate nonché di realizzare infrastrutture per nuovi insediamenti industriali (art. 65 del D.P.R. 616). Questo significa che è passato alla Regione il potere di indirizzo e controllo sull' attività del Consorzio obbligatorio per l'ampliamento del porto e della zona industriale di Venezia-Marghera, dei Consorzi Industriali di Padova e di Verona nonché (a parte dubbi di natura giuridica) del Consorzio di sviluppo del Polesine e di quello di Longarone, ma soprattutto che la Regione viene a disporre di un potente strumento di gestione della localizzazione industriale che si affianca ai poteri diretti di approvazione delle zonizzazioni industriali comprese negli strumenti urbanistici, di approvazione dei piani per gli insediamenti produttivi ex legge 865/1971, e di determinazione dei costi di urbanizzazione per gli insediamenti industriali di attuazione della legge 10/1976.
Questo complesso di poteri verrà innanzitutto coordinato in vista del completamento del programma relativo alle aree attrezzate per l'industria previste — oltre che nella zona di Adria-Cavarzere per la quale esiste già il relativo quadro legislativo e finanziario — nel Veneto orientale, nel Feltrino e nell'area meridionale, alla confluenza delle province di Padova, Vicenza e Verona. Questo programma va portato avanti — comunque d'intesa con gli organismi comprensoriali interessati — nella convinzione che le localizzazioni individuate in zone a bassa densità di popolazione, prevalentemente agricole, risultino positive per una specializzazione delle aree attrezzate in vista del necessario potenziamento delle industrie collegate all'agricoltura, in un'azione parallela a quella generalmente prevista per il progetto agricolo-alimentare. Nelle stesse aree la Regione intende promuovere la realizzazione di dotazioni infrastrutturali antinquinamento che possono costituire un esempio per la soluzione del problema anche in altre parti del territorio regionale.
d) Politica di promozione e del credito.
La Regione si impegna a promuovere una conferenza del credito, obiettivo della quale deve essere la conoscenza delle risorse e la individuazione delle politiche di intervento.
Lo strumento fondamentale attraverso il quale sarà coordinato l'uso delle risorse pubbliche e creditizie per il sostegno dell'attività produttiva è la Veneto Sviluppo S.pA., che sarà immediatamente costituita sulla base della legge regionale a suo tempo approvata (con un'ulteriore quota di conferimento della Regione pari a 5 miliardi di aumento del capitale).
La Veneto Sviluppo inizierà la sua attività operando essenzialmente come tramite per la promozione e l'organizzazione dell'assistenza tecnica e commerciale alle imprese regionali, specie minori, artigianali e cooperative.
Ciò significa che essa agirà in favore di centri di assistenza tecnica e manageriale anche specializzati per settori, centri di assistenza commerciale a consorzi di import ed export, della creazione di marchi di qualità da spendere sul mercato interno ed estero, di consorzi per la ricerca scientifica applicata, curando anche la promozione di corsi di aggiornamento e formazione per quadri manageriali e piccoli imprenditori, artigiani e cooperatori, e di ogni altra iniziativa consimile che si riterrà utile.
In questo quadro andrà sollecitato il concorso determinante delle Partecipazioni Statali alla realizzazione di un “ centro di assistenza tecnica-commerciale ” per il settore tessile e per la ricerca e la diffusione di nuove tecniche e tipologie produttive e per una maggiore penetrazione nei mercati esteri.
Dal punto di vista territoriale particolare attenzione la Finanziaria dovrà dare all'azione coordinata nei riguardi delle quattro aree per il governo del mercato del lavoro più sopra individuato.
Ricadrà inoltre nelle competenze immediate della finanziaria la gestione del consorzio regionale di garanzia fidi (al quale sono stati destinati 200 milioni rispettivamente negli esercizi 1978 è 1979) e il favorire l'accesso al leasing mobiliare e immobiliare, considerato come strumento di ricapitalizzazione delle imprese regionali medie e piccole, ivi comprese quelle artigianali e cooperative.
E' in ogni modo escluso che la Veneto Sviluppo si impegni in questa fase in partecipazioni azionarie o in finanziamenti infrastrutturali che ne esaurirebbero in breve le risorse a disposizione e quindi la sua capacità di manovra.
Va infine ricordato che — anche al di là dell'attività della Veneto Sviluppo — la Regione ritiene suo compito controllare la formazione e la gestione di tutte le risorse finanziarie e creditizie attivabili ai fini dello sviluppo regionale.
e) Ruolo e promozione della componente estera.
Lo sviluppo economico del paese continua ad essere sostenuto dall'espansione dell'esportazione che, peraltro, è venuto progressivamente riducendosi ad un tasso annuo di crescita dell'ordine di grandezza di quello dell'interscambio mondiale. Inoltre la tendenza italiana di aderire allo SME difficilmente può essere considerata, nel breve termine, come un comportamento a favore delle esportazioni.
Pertanto, in prospettiva:
— non si può fare affidamento, o oltre un certo limite, su una “ naturale ” espansione delle esportazioni;
— la competitività nel settore del commercio estero si gioca ormai, più che sul prezzo, sul livello della cosiddetta “ qualità relativa ” intesa come comprensiva non solo di elementi di originalità e bontà del prodotto, ma di caratteristiche ad esso connesse quali il rispetto dei tempi di consegna, l'assistenza tecnica postvendita, l'accuratezza e la correttezza di tutto il servizio di commercializzazione.
Ciò richiede un lavoro organizzativo che, distinguendo il livello CEE (per i suoi risvolti organizzativi istituzionali) da quello degli altri paesi, investa le strutture dei canali di commercializzazione all'estero attuando misure volte a rimuovere gli ostacoli che limitano soprattutto la presenza delle piccole imprese sui mercati internazionali. La Regione deve dunque farsi carico di un coordinamento degli sforzi, inteso ad investire ciascun ente delle funzioni allo stesso più congeniali in modo da raggiungere un collegamento reciproco al fine di sviluppare una suddivisione di competenze che eviti le duplicazioni e la dispersione di risorse. Tale compito, rientra, prevalentemente e con tutta evidenza, nel ruolo della istituenda finanziaria regionale.

Obiettivo: Sviluppo del settore artigiano
Il PRS offre ai soggetti sociali ed economici dell'artigianato un quadro programmatico complessivo comprensivo di scelte concrete e operative in grado di porre le basi della necessaria trasformazione e riqualificazione del settore limitando i danni del decentramento selvaggio e della diffusione del lavoro nero.
Ciò comporta una rigorosa politica industriale che quantifichi le risorse esistenti e ne localizzi la destinazione con il coinvolgimento e la partecipazione degli Enti Locali.
Nell'ambito del settore produttivo secondario, una incisiva azione nei confronti dell'artigianato è suscettibile di determinare effetti positivi interagenti nell'intero apparato produttivo, in relazione sia alla diffusione delle attività artigianali, che si misura nell'84% in termini di unità locali e nel 26% in termini di addetti del settore manifatturiero, sia per la loro capacità espansiva (fra il 1971 ed il 1975 si è avuto un incremento del 37,5% delle unità locali e del 313% degli addetti).
E' comunque necessaria una definizione del quadro di riferimento nazionale, il che comporta una revisione della disciplina del settore data dalla legge 25 luglio 1956. n. 860, tenuto anche conto delle più ampie competenze attribuite alle Regioni dai decreti attuativi della legge 22 luglio 1975, n. 382. Per quel che concerne in particolare l'assetto istituzionale, sarà data una relazione funzionale più diretta tra Regine e Commissione Regionale per l'Artigianato, previo adeguamento della composizione di quest'ultima ai compiti derivanti dalla sua natura di organo consultivo della Regione.
Particolare interesse dovrà essere riservato ai problemi dell'artigianato e della piccola industria nei territori montai, dove si ravvisa la necessità di programmare infrastrutture a misura di area montana onde evitare l'ulteriore spopolamento e il conseguente dissesto delle valli.
Ogni qualsiasi politica di riconversione industriale nel Veneto non può essere avviata se non si affronta preliminarmente il problema dell'azienda artigianale e piccolo-industriale. In effetti, la piccola industria è l'industria del Veneto. Una politica per l'artigianato e la piccola industria può essere realizzata solo se la piccola impresa viene considerata non come una “ categoria ” particolare, ma come corpo centrale dell'intero settore secondario.
Una politica di rilancio dell'artigianato e della piccola industria passa quindi attraverso i piani di settore (che costituiscono parte integrante del più sopra richiamato “ progetto secondario ”).
All'interno dei quali bisogna definire i rapporti finanziari, produttivi e di mercato che devono intercorrere tra la piccola unità produttiva e quella di media e grande dimensione e in particolare delle imprese a partecipazione statale.
Questo disegno programmatorio deve essere naturalmente sostenuto da strumenti che consentano realistici interventi di promozione e di sostegno; strumenti che devono operare anche nei confronti della piccola unità produttiva. Proprio la valutazione che la piccola impresa non è una “ categoria ” particolare, sta a significare che gli strumenti devono essenzialmente corrispondere a due fondamentali e generali esigenze: l'assistenza finanziaria e quella tecnico-commerciale.
Le relative iniziative regionali per lo sviluppo del settore artigiano sono esposte nelle due “ azioni ” seguenti.
In questa sede, è opportuno rilevare che la Regione si propone di esaminare in ogni suo aspetto, d'intesa con la categoria artigiana, la destinazione delle risorse disponibili che attualmente vanno ad alimentare le contribuzioni in conto interessi dei prestiti Artigiancassa, investendo del problema — se del caso — anche la Finanziaria regionale.
1. Azione: Credito
Per avviare il processo di riconversione nella piccola impresa artigianale, è necessario far fluire a questa la necessaria quantità di mezzi finanziari e non soltanto di rendere più facile l'accesso al credito a questa o a quella impresa agendo essenzialmente con delle politiche di agevolazione sui tassi di interesse: ma indirizzando i flussi finanziari verso qualificate scelte programmatiche di settore.
Si tratta cioè di integrare il più possibile il sistema bancario con il sistema produttivo coinvolgendo il primo a sostegno delle urgenti necessità di ristrutturazione, organizzazione e riconversione dell'attività produttiva della nostra regione, propugnando una politica creditizia che veda una partecipazione diretta dell'Ente pubblico e, in primo luogo della Regione alla gestione delle risorse finanziarie degli istituti di credito che devono essere indirizzate verso operazioni produttive.
Per la priorità stessa dei problemi finanziari delle imprese artigiane, cui è connaturata una scarsa capacità di autofinanziamento, sarà proseguita l'azione rivolta ad agevolare l'accesso al credito sia mediante sgravi sugli interessi, sia mediante prestazioni di garanzia.
Peraltro poiché la corresponsione di contributi in conto interessi non sembra essere da solo lo strumento più adeguato per selezionare le imprese secondo indirizzi di sviluppo, tali azioni vanno integrate con interventi che offrono alle imprese strumenti più diversificati che agiscano indirettamente sugli organi finanziari. Fra questi deve essere identificato un servizio di leasing che la Regione promuoverà direttamente o indirettamente destinando allo scopo sufficienti risorse al fine di:
— abbattere i costi del leasing;
— favorirne l'accesso agli artigiani;
— consentire progettazioni specializzate;
— immediata disponibilità dell'impianto;
— favorire la localizzazione dell'impresa nell'area attrezzata per l'artigianato.
In ordine al credito d'impianto agevolato per il tramite della Cassa per il Credito alle Imprese artigiane con conferimenti al Fondo per il concorso nel pagamento degli interessi, va sottolineata la presenza di un numero crescente di richieste di finanziamento congiuntamente ad un incremento del loro valore unitario. Pertanto, le risorse da destinare a questo intervento troveranno adeguata corrispondenza; esse tuttavia saranno finalizzate al soddisfacimento di esigenze più direttamente connesse ad investimenti in impianti e altri capitali fissi con criteri privilegiami iniziative attuate in aree insufficientemente sviluppate e iniziative connesse a processi di ristrutturazione o di riconversione in settori importanti per il mantenimento e per l'incremento dei livelli occupazionali, quali il tessile, il vestiario e l'abbigliamento, le calzature, il legno, la ceramica e la meccanica. In tale ottica va vista la legge regionale n. 12/1978 ; quanto agli impegni finanziari, per il 1978, ed altrettanto dicasi per il successivo biennio, in termini reali, l'impegno è di 7,5 miliardi di lire, il che significa promuovere, per questa via, un congruo volume d'investimenti. Alle scelte settoriali e ai criteri prioritari indicati saranno conformi i pareri che la Regione deve esprimere per le agevolazioni creditizie disposte dalla legge 12-8-1977, n. 675, per il tramite dell'Artigiancassa.
La Regione si impegna a promuovere incontri con le altre Regioni italiane al fine di ottenere da parte del governo nazionale:
1) la piena attuazione degli obiettivi indicati dal recente ordine del giorno votato dal Parlamento sui problemi dell' artigianato con particolare riferimento all'elevamento del tetto massimo ammissibile per i singoli interventi da 25 a 80 milioni e un maggior sostegno al credito di esportazione; .
2) ampia possibilità di intervento della Regione stessa per la selezione di interventi di credito agevolato tramite l'Artigiancassa.
Relativamente agli interventi per le agevolazioni creditizie attraverso le cooperative artigiane di garanzia sarà proseguita l'azione già intrapresa per il potenziamento degli organismi associativi esistenti con conferimenti al loro patrimonio sociale.
Nel contempo sarà svolta una azione di potenziamento del consorzio di secondo grado che dovrà allargare la propria capacità di garanzia attraverso il collegamento tra Regione, Banche, Enti Locali e Camera di Commercio.
Le risorse finanziarie complessivamente destinate a tale scopo di intervento, comprendono anche l'erogazione di contributi in conto interessi per i prestiti di esercizio a favore dei soci delle cooperative artigiane di garanzia.
In tale azione rientrano, infine, gli interventi finanziari per favorire gli insediamenti artigianali. In proposito, è stata rivista la normativa regionale intesa ad adeguare le modalità di intervento alle esigenze e ai diversi potenziali di sviluppo di ciascun comparto artigianale. Pertanto, oltre ad una migliore utilizzazione di tali interventi per incentivare lo sviluppo delle iniziative artigianali nelle aree deboli della regione, sono previsti interventi per agevolare e consolidare le attività artigianali di servizio nei centri storici ed interventi per la creazione di aree artigianali attrezzate destinate prioritariamente alle attività del comparto manifatturiero. In questo senso va attuata rapidamente l'erogazione dei 7,5 miliardi già stanziati e nel contempo va attuata un' azione promozionale ed incentivante per facilitare il trasferimento di imprese nelle aree attrezzate e perché si propongano come aree di Sviluppo agendo su:
— leasing
— credito per le scorte
— istruzione professionale strutture di disinquinamento
— gestione per consorzi di Comuni
— preferenzialità per i centri storici.
2. Azione: Assistenza tecnico-commerciale, cooperazione e professionalità artigiana
Il raggiungimento di più elevati livelli di efficienza e di produttività, con il miglioramento del rapporto costi-ricavi delle singole aziende, trova adeguate e agevoli possibilità di concretizzarsi mediante un'efficace azione di assistenza tecnica-commerciale (cfr. anche Ante) la creazione di speciali strutture organizzative a carattere consortile e mediante il perfezionamento delle singole capacità imprenditoriali
Oggi l'artigianato e la piccola impresa, propongono pressanti problemi di valorizzazione delle proprie produzioni sui mercati, tali da assicurarne la diffusione e una giusta valorizzazione e per conseguire il raggiungimento di una sostanziale stabilità produttiva.
E' un dato caratteristico del nostro paese, rispetto alle economie capitalistiche sviluppate, la grave insufficienza di strutture organizzative e commerciali, effettivamente funzionanti, nel campo dell'assistenza all'artigianale) e alle piccole attività produttive.
Per questo è necessaria la promozione di centri di assistenza e promozione commerciale diffusi nel territorio, ad opera della Regione e degli Enti Pubblici e parapubblici.
Per quanto concerne il primo aspetto si tratta di mettere a disposizione delle aziende minori tutte quelle conoscenze e tutti quei mezzi operativi necessari affinchè esse siano in grado di ristrutturarsi in termini di nuove tecnologie, di nuove produzioni e soprattutto di nuovi sbocchi di mercato.
Il perseguimento della promozione dell'associazionismo, principalmente per l'approvvigionamento delle materie prime, per la produzione di semilavorati e per la commercializzazione dei prodotti, costituisce un impegno che trova già, quale strumento legislativo, la legge regionale n. 19/1977 . In relazione, tuttavia anche alle naturali tendenze individualistiche degli imprenditori artigiani e alla scarsa informazione sull'utilità delle forme associative di servizio per il potenziamento e lo sviluppo della presenza delle imprese artigiane nel mercato, parallelamente all'azione di sostegno finanziario già intrapresa per la promozione di consorzi tra imprese artigiane, sarà svolta un'azione divulgativa e assistenziale utilizzando anche le strutture associative sindacali alle quali, del resto, risalgono le attuali, anche se limitate, realizzazioni consortili. In ogni caso ciascun intervento dovrà trovare punto di riferimento e di coordinamento a livello esecutivo in centri od organismi consortili a competenza regionale con finalità promozionali, assistenziali e creditizie.
Quanto alla professionalità artigiana, l'esigenza di una maggiore qualificazione dell'imprenditorialità artigiana, emergente da motivazioni complesse, costituisce il punto nodale di qualsiasi azione promozionale. Nel campo della formazione e dell'aggiornamento professionale degli artigiani, saranno assunte iniziative volte alla effettiva riconversione della figura dell'artigiano da “ lavoratore-produttore ” a “ imprenditore ” nel senso pieno del termine, che implica una maggiore consapevolezza dei problemi organizzativi aziendali e una maggiore capacità di orientamento di fronte a possibili scelte alternative.
Nell'ambito dell'azione formativa, con particolare riferimento alla preparazione di nuove leve di imprenditori artigiani e alla rivalutazione dei mestieri artigiani, ultimata l'azione propedeutica, sarà data attuazione alla legge regionale per il riconoscimento delle botteghe-scuola e l'istituzione del titolo di maestro artigiano; al riguardo l'Istituto Veneto per il lavoro, previa revisione e ratifica del proprio statuto, costituisce una struttura idonea ai fini della promozione della formazione professionale degli imprenditori artigiani.
Per quanto riguarda la necessaria formazione e specializzazione dei lavoratori dipendenti del settore artigiano si ravvisa la opportunità di promuovere la costituzione di un “ fondo per l'istruzione professionale artigiana all'interno del programma triennale.

Obiettivo: Edilizia abitativa
I risultati degli studi preliminari alla redazione del piano casa hanno portato a stimare che oltre il 40% della popolazione del Veneto sopporta una qualche condizione di disagio.
Si rende pertanto urgente avviare una consistente azione di sostegno nel settore dell'edilizia residenziale con il duplice obiettivo di ampliare l'offerta di abitazioni, sia attraverso nuove costruzioni che attraverso la riqualificazione e ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente, e di recuperare e stabilizzare i livelli occupazionali del settore.
Tale azione di sostegno sarà in sintonia con la più generale politica del territorio e coerente all'obiettivo del riequilibrio. Ciò implica azioni diversificate per area e, in particolare, una maggiore concentrazione degli interventi di nuova edificazione in conseguenza del maggior fabbisogno quantitativo, nell'area centrale, prevedendo anche la costruzione di alloggi speciali per anziani (coabitazioni) e di alloggi di grandi dimensioni (affollamento); nelle aree depresse, ove si hanno le maggiori carenze qualitative, più consistenti dovranno essere gli interventi sul patrimonio esistente, mentre nelle aree metropolitane, ove si registrano gravi divari tra reddito e costo dell'abitazione, saranno da realizzare importanti interventi di edilizia convenzionata.
II provvedimento legislativo nazionale concernente il piano decennale della casa costituisce la base per la programmazione regionale.
Con questa legge nazionale, la n. 457 del 5 agosto 1978 sono stanziate le risorse più consistenti sulle quali la regione potrà contare per l'attuazione della politica della casa; tali risorse ammontano per il primo progetto biennale relativo agli anni 1978-1979 a circa 150 miliardi di lire di cui 73 miliardi per gli interventi di edilizia sovvenzionata e la restante parte per quelli di edilizia convenzionata; una quota non inferiore al 15% delle disponibilità sarà utilizzata per il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Al fine di realizzare un più soddisfacente equilibrio tra domanda e offerta di edilizia residenziale pubblica la Regione promuoverà la verifica dei parametri di ripartizione a livello nazionale che, per il settore dell'edilizia agevolata-convenzionata, risultano fortemente sperequativi nei confronti del Veneto.
Conformemente agli accordi sindacati/ANIA e alla programmazione di settore, la Regione procederà alla utilizzazione dei fondi delle compagnie di assicurazione.
A livello regionale potranno avere più immediata efficacia interventi volti a rendere meno oneroso, anche in relazione agli effetti della legge sul regime dei suoli, il reperimento delle aree per l'edilizia pubblica o convenzionata ed inoltre gli interventi finalizzati al riuso del patrimonio edilizio esistente e a rendere più razionale il processo di produzione dell'edilizia mediante le seguenti azioni:
1. Azione: Piano decennale della casa
Si tratta di un'azione per avviare a soluzione il problema dell'edilizia residenziale, nell'obiettivo più generale del riequilibrio del territorio, garantendo, tramite la programmazione, la massima efficacia agli interventi pubblici.
Il piano costituirà quindi nel suo complesso un importante momento di definizione della politica territoriale della Regione ed in tal senso deve essere inteso come una prima fase per la individuazione del modello di assetto urbano e come premessa al piano territoriale di coordinamento.
La razionale utilizzazione delle risorse presuppone inoltre la definizione del quadro normativo finalizzato alla riduzione dei costi tramite la riorganizzazione dei modi produttivi nel settore e l'utilizzazione delle moderne tecniche dell' edilizia industrializzata per componenti.
Anche per incentivare il ricorso all'edilizia convenzionata con la normativa tecnica occorre che, costi, prestazioni e requisiti del prodotto edile siano univocamente determinati e riscontrabili.
Saranno pertanto avviate le ricerche e gli studi, preliminari alla definizione della normativa, acquisendo la collaborazione del Consorzio regionale fra gli I.A.C.P., adeguatamente potenziato, quale coordinatore dei diversi Istituti, del movimento cooperativo, delle associazioni degli inquilini e delle forze produttive e verificando la possibilità di collaborazioni reciproche con le Regioni confinanti.
Attuateli del piano saranno gli IACP e il Consorzio Regionale, che dovrà essere reso operativo, i Comuni, le im-prese di costruzione e le cooperative di produzione e lavoro e i loro consorzi, le cooperative edilizie e i privati. Occorrerà che nella scelta degli operatori a cui affidare i programmi siano verificate le capacità produttive delle imprese, singole e consorziate, e delle cooperative di abitazione, mediante il più puntuale esercizio dei poteri di vigilanza tecnico-amministrativa attribuiti alla Regione dall'ari. 4 della legge 457/ 1978, al fine di favorire l'incremento e la stabilizzazione delle condizioni di impiego della manodopera.
Il costo dell'azione, per la parte che attiene alla definizione della normativa tecnica, può essere indicato in 100 milioni di lire all'anno per due anni.
Si conviene anche nell'opportunità di potenziare l'Ufficio regionale Casa al fine di renderlo adeguato agli impegni che la legge 457 impone alla Regione e in prospettiva della gestione del Piano Regionale Casa.
2. Azione: Fondo di rotazione per acquisizione e. urbanizzazione aree
La Regione si impegna a istituire un fondo di rotazione per la concessione ai comuni di mutui, a breve termine, per l'acquisizione e la urbanizzazione delle aree destinate all'edilizia abitativa. Tale fondo dovrà ammontare per il periodo 1979-1982 a 10 miliardi di lire per permettere una disponibilità di aree pubbliche edificabili sulle quali costruire almeno 10.000 alloggi, pari al 50% dell'attuale produzione media annua. L'azione ha validità non solo rispetto all'obiettivo del rilancio dell'edilizia e a quello della razionalizzazione degli insediamenti urbani, ma anche in relazione a quello della più avanzata applicazione della legislazione sul regime dei suoli che presuppone alternative pubbliche nel mercato delle aree fabbricabili in particolare nei comuni che hanno adottato il programma pluriennale. L'urgenza impone che la spesa di L. 10 miliardi, in quattro anni, sia posta a carico del bilancio regionale: in prospettiva la Regione si impegna a contrarre con gli istituti di credito un fondo sostitutivo di quello regionale.
3. Azione: Interventi di risanamento sul patrimonio edilizio esistente
Con la legge 8-8-1977, n. 513, è stata decisa l'applicazione del canone minimo di locazione dell'edilizia residenziale pubblica, come provvedimento provvisorio di anticipazione di quello relativo al canone sociale. A fronte di tale operazione che, in generale, comporterà per gli utenti un maggior costo per l'abitazione, è necessario prevedere una vasta opera di recupero e di risanamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica da attuare con una parte dei maggiori introiti che conseguiranno agli enti dall'applicazione del nuovo canone. Il consorzio regionale tra gli IACP sarà delegato a predisporre le operazioni di aggiornamento dell'anagrafe dell'utenza di tutto il patrimonio pubblico e il piano di risanamento.
Al fine di garantire un'adeguata struttura operativa presso il consorzio e per far fronte anche alle spese di primo impianto, è da prevedere la concessione di un contributo una-tantum.
Parallelamente per avviare l'azione di riutilizzazione e di recupero del patrimonio edilizio privato la Regione si impegna a concorrere nella spesa per la progettazione degli strumenti urbanistici esecutivi che sono premessa agli interventi nei centri storici.
Il costo di questa azione, diretta con prevalenza nei comuni di dimensione intermedia e minore, può essere indicato in 200 milioni di lire da usare per la concessione di contributi in conto capitale con i quali sarà possibile l'avvio delle progettazioni dei piani esecutivi in almeno 50 comuni della regione.
4. Azione: Programma sperimentale di edilizia convenzionata
Al fine di mettere a punto lo strumento dell'edilizia convenzionata, voluto dalla legge nazionale sul regime dei suoli come metodo innovativo per il rilancio dell'attività del settore e al fine anche di mettere a punto un primo insieme di elementi tecnici, tipologici e normativi nella prospettiva di superare gli schemi che comportano sprechi di spazi e di risorse, viene approvato un programma sperimentale di edilizia convenzionata. Allo scopo la regione si impegna a con-cordare con gli istituti di credito le necessarie disponibilità finanziarie a tassi di interesse contrattati e a intervenire con propri contributi al fine di contenere la spesa iniziale a carico dei beneficiari; il programma prevede un investimento attorno a 5 miliardi di lire.

FINALITÀ': RAZIONALIZZAZIONE NEL SETTORE DEI SERVIZI

II rilievo delle attività terziarie nel quadro del sistema economico regionale, sia in tema di occupazione che di formazione del reddito, giustifica l'assunzione di una specifica finalità intesa a porre le basi per una loro sostanziale riorganizzazione, con recupero di tutte le potenzialità esistenti.
Ciò vale sia per le attività di trasporto, per le quali va realizzata una più stretta integrazione e riutilizzazione dei diversi mezzi ai fini di una più elevata efficienza complessiva di tutto il sistema, con conseguente recupero del capitale fisso esistente, sia per le strutture distributive, per le quali sussiste una obiettiva esigenza di razionalizzazione, sia in-fine per le attività turistiche, ai fini del mantenimento e di una migliore distribuzione della domanda.

Obiettivo: Definizione della rete infrastrutturale
Il sistema regionale dei trasporti dovrà realizzare l'obiettivo di elevare il grado di partecipazione della regione al complesso delle relazioni economico-sociali nazionali ed internazionali. Il Veneto deve, infatti, assumere il ruolo di regione verso cui si dovrebbe espandere lo sviluppo del triangolo industriale italiano tenendo conto del ruolo nodale di Venezia rispetto alle relazioni tra l'Europa occidentale e quella orientale e soprattutto tra la Mitteleuropa ed il bacino del Mediterraneo. In tal senso la offerta di attrezzature di trasporto deve connettersi in un sistema i cui supporti sono nell'esistenza di una più efficiente portualità, secondo moderne specializzazioni di servizio, cui sono collegate attrezzature, nell'area centrale, quale l'autoporto del “ Quadrante Europa ” a Verona. In questa ottica si individua come prioritaria la direttrice di Alemagna, che pone in relazione il sistema della portualità veneta con le aree forti del Centro Europa. A tal fine va immediatamente avanzata, nelle competenti sedi nazionali, la proposta di realizzazione del traforo delle Alpi Aurine.
Con riferimento alla politica del territorio si sottolinea la potenzialità di alcuni assi longitudinali lungo la direzione est-ovest che attraversano nel senso della maggiore estensione le aree depresse: ad essi è assegnato il ruolo di direttrici, lungo le quali concentrare le azioni settoriali per lo sviluppo delle aree più deboli. Tale sviluppo può avvenire utilizzando opportunamente le diverse potenzialità che la forma del territorio compreso fra Venezia e il delta del Po offre, per cui si ritiene che, connettendo il sistema della portualità con quello della navigabilità interna, si realizzino le condizioni per il decollo dell'auspicato riequilibrio.
1. Azione: Ferrovie
Una opzione di fondo va espressa a proposito delle ferrovie in relazione anche alla possibilità di delegare specifiche competenze alla Regione (vedasi D.P.R. n. 5 del 1972; D.P.R. n. 616 del 1977): la gestione di questo sistema portante per tutto il territorio, soprattutto per i collegamenti intercity ed interbacino oltre che per le grandi direttrici, deve rimanere unitaria; come deve rimanere unitaria la rete, sia pure recuperata a nuovi ruoli di trasporto di massa a livello regionale. Ciò comporta conseguentemente una modifica della stessa organizzazione aziendale delle F.S. con privilegio della dimensione regionale superando strutture compartimentali non sempre adeguate alla mutata realtà e funzione.
Le grandi direttrici ferroviarie ed i collegamenti portuali: Nell'ambito del modello territoriale proposto per la Regione Veneta acquistano importanza fondamentale le due direttrici nord-sud ed est-ovest che costituiscono l'armatura portante dei trasporti ferroviari del Veneto.
Per la direttrice nord-sud la Regione riafferma il ruolo portante della linea del Brennero a servizio dei porti del terminale adriatico e dell'intera penisola: si ritiene pertanto essenziale — oltre al completamento del raddoppio della linea Verona-Bologna — la realizzazione con carattere di priorità e con un impegno più consistente dei seguenti interventi:
a) ammodernamento ed automatizzazione della linea Verona-Brennero;
b) definizione e realizzazione del traforo del Brennero;
c) ristrutturazione ed ampliamento del nodo di Verona come nodo fondamentale di smistamento al terminale meridionale della linea;
d) collegamento a Verona con le attrezzature del Quadrante Europa;
e) potenziamento della linea della Valsugana con riferimento specifico al traffico merci.
Per quanto riguarda la direttrice est-ovest assume particolare rilevanza, anche ai fini della definizione delle priorità, la realizzazione del sistema di scorrimento, tangenziale rispetto a Venezia-Mestre, che è costituito dalla linea Portogruaro-Treviso-Castelfranco-Vicenza con diramazione Castel-franco-Padova rispettivamente per le direzioni di Milano e di Bologna.
La realizzazione di questo “ sistema tangenziale centro-veneto ”, consente da un lato di decongestionare il nodo di Mestre con evidenti vantaggi per i flussi delle merci afferenti al porto di Venezia e dall'altro di realizzare, in tempi brevi, quel sistema di trasporti metropolitani che costituisce uno degli obiettivi fondamentali della politica regionale dei trasporti (raccomandato nello studio Battelle) in coeren-za con il modello di assetto assunto per l'area centrale veneta con le direttive per la redazione del Piano Territoriale di Coordinamento.
La direttrice est-ovest sopra accennata viene completata dal tracciato primario Chioggia-Rovigo-Legnago-Mantova che costituisce una nuova importante linea della rete nazionale, recuperabile al servizio portuale della testata Alto-adriatica e alla politica di sostegno delle zone depresse.
Nell'ambito di queste scelte, l'itinerario primario dovrà partire dal porto di Chioggia assegnando carattere di priorità al tratto Chioggia-Rovigo-Legnago rispetto al tratto Monselice-Legnago, nell'ambito della stessa direttrice.
Per quanto riguarda un intervento specifico su impianti fissi ferroviari, il caso della linea Mestre-Piove di Sacco-Adria attualmente gestita in concessione governativa dalla “ Veneta S.pA. ”, assume rilevanza del tutto nuova in rapporto alle caratteristiche che detta linea viene ad assumere quale vera e propria linea metropolitana lagunare avente specifica funzione di:
— collegamento ferroviario fra il porto di Marghera e quello di Chioggia, favorendone così l'integrazione;
— collegamento tra l'area industriale di Mestre e quella di sviluppo che gravita intorno ad Adria.
Nell'ambito del “ sistema tangenziale centro-veneto ” assume ovviamente particolare rilevanza il problema della sistemazione dei nodi ferroviari.
Il nodo di Padova richiede una sistemazione generale dello scalo e della stazione, oltre al collegamento con l'Interporto ed al ripristino del by-pass denominato Bivio Altichiero. Per ciò che riguarda Venezia e Mestre, in futuro i due nodi dovranno essere il più possibile specializzati nel senso che la stazione di Venezia S.L. venga utilizzata per il traffico terminale di viaggiatori e per quello di merci dirette a Venezia marittima; mentre lo scalo di Mestre venga invece utilizzato per il traffico terminale e la movimentazione delle merci che fanno capo ai porti di Marghera e di Venezia, nonché per il traffico viaggiatori in transito.
Il servizio locale regionale dovrà infine essere svolto da entrambe le stazioni di Mestre e Venezia S.L. collegate fra loro da 4 binari, dei quali due destinati ai treni intercity ed al treno-navetta (Mestre-Venezia).
Per quanto riguarda infine Verona, appare essenziale la installazione dello scalo per lo smistamento dei treni da e per il Brennero e il collegamento del “ Quadrante Europa ”.
Nel sistema regionale assumono inoltre grande rilevanza le linee di adduzione alle zone pedemontane e montane, dove la rilevanza dei flussi turistici e delle localizzazioni industriali esistenti e programmate rendono necessario un collegamento efficiente anche in relazione alla politica in favore dei territori depressi. E' questo il caso dell'itinerario Conegliano-Ponte nelle Alpi-Belluno-Feltre-Montebelluna, con diramazione per Calalzo e dell'itinerario Mestre-Castelfranco-Bassano-Trento.
Funzione metropolitana della ferrovia: La creazione di un efficiente sistema di trasporti infraregionali di massa nel Veneto deve prendere necessariamente in considerazione l' area metropolitana di Padova-Treviso-Venezia, ove la popolazione residente supera i 2 milioni e mezzo di abitanti.
La soluzione dovrà essere tale da soddisfare le prevedibili esigenze a lungo termine, nonché da fornire apprezzabili risultati a breve scadenza. Inoltre, essa dovrà potersi attuare per fasi successive, onde evitare di dover provvedere contestualmente a tutti gli investimenti necessari per la realizzazione completa del sistema. Una scelta possibile è quella del tipo “ rete periferica ”, con linee dell'estensione di 30 Km. e fermate scaglionate ogni 5 Km. circa.
L'esistenza nell'area centrale veneta di una fitta rete ferroviaria attorno alla quale si sviluppano zone di forte densità di popolazione, costituisce già la base di un idoneo sistema di trasporti in funzione regionale, distinto dalla rete fondamentale F.S. e come tale non ostacolata dal traffico a lunga distanza.
2. Azione: La viabilità
Vanno fin d'ora determinate concretamente le principali priorità che emergono nel settore, anche per poter coordinare l'annunciato programma di interventi dello Stato (ANAS) con la programmazione regionale, data la particolare importanza che deve essere attribuita alla funzionalità di tutta la rete stradale ordinaria.
In questa prospettiva è essenziale il completamento delle direttrici interregionali e di accesso ai territori depressi, montani e meridionali, da tempo iniziate e particolarmente la superstrada Transpolesana, mentre va rilevato con particolare preoccupazione il permanere dello stato di difficile accessibilità di tutta la valle del Piave.
E' altresì essenziale il completamento della Mare-Monselice e l'ampliamento della strada Statale Padana inferiore, quanto meno nel tratto Monselice-Legnago quali direttrici di collegamento della Bassa Padovana-Vicentina-Veronese, con la strada Romea, con l'autostrada Padova-Bologna e con la Transpolesana a Legnago, e quali supporti infrastrutturali alla realizzanda area attrezzata per l'industria alla confluenza delle province di Padova, Vicenza e Verona.
Nel riaffermare la validità della direttrice di Alemagna si sottolinea l'opportunità che la sua realizzazione sia sottoposta ai criteri di gradualità; è comunque da avviarne immediatamente il proseguimento autostradale da Vittorio Veneto che, tenuto conto della limitatezza delle risorse prevedibilmente disponibili, potrebbe avvenire gradualmente, ad esempio, ad una sola carreggiata.
La direttrice potrà proseguire su viabilità ordinaria, sia pure ricalibrata, ma fin d'ora deve essere assunta la decisione di realizzare il traforo in valle Aurina in funzione delle esigenze di collegamento con i paesi dell'Europa centrale.
Gli assi fondamentali prima accennati sono tuttavia integrati da un sistema di collegamenti interregionali e regionali di cui da tempo si è iniziato l'ammodernamento per i quali esistono progettazioni ad un avanzato stadio di definizione.
Si tratta delle statali Triestina, Feltrina, Valsugana, Gardesana, Mantovana, Padana inferiore, Pedemontana, Valdagnese e della riviera Berica in collegamento con la mediana. Il riassetto di tali assi va visto in rapporto alla realizzazione delle tangenziali urbane e con l'obiettivo del massimo recupero dei tracciati esistenti, oltre che per garantire efficaci collegamenti con aree interessate a fenomeni di massiccia riconversione industriale o a fenomeni di sottoccupazione o di occupazione marginale.
Ciò in altri termini potrà portare ad una revisione di programmi e di progetti al fine di soddisfare le priorità sopra accennate.
Va infatti segnalata l'opportunità di completare le tangenziali di Padova, Verona, Treviso e Bassano del Grappa e di realizzare quelle di Vicenza, Cittadella, Belluno, Legnago nonché quelle anche di centri di più modesta dimensione, che penalizzano gli itinerari regionali principali. Tramite la politica urbanistica la Regione assume l'impegno di operare per eliminare ulteriori possibili forme di compromissione di tali itinerari. Risulta inoltre urgente la costruzione del raccordo fra la tangenziale mestrina e l'aeroporto di Venezia.
Il raccordo fra i sistemi portuali e la rete principale costituisce peraltro un altro dei temi prioritari delle situazioni urbane; è necessario infatti migliorare ed attrezzare i collegamenti anche in relazione all'area del Quadrante Europa di Verona, al porto di Venezia e di Chioggia.
Una particolare trattazione meritano l'area polesana e quella bellunese.
Nel Polesine, specie nel Delta sono evidenti le conseguenze del bradisismo che ha determinato l'abbassamento del suolo e parallelamente l'assoggettamento di molte opere d'arte relative alla viabilità (in particolare ponti ed arginature) alle piene dei fiumi. Specie nelle direttrici verticali è necessario un lavoro capillare di riattamento dei manufatti in modo da ovviare alle penalità oggi determinate sia alla rete viaria, sia alla rete navigabile.
Nel Bellunese ai già citati problemi generali si aggiungono, ad un livello ovviamente diverso, quelli relativi alla viabilità traversa. Diventa infatti essenziale per il funzionamento del sistema viario di base rispetto alle diverse penetrazioni vallive l'ammodernamento della statale della Val Belluna che costituisce un tratto del noto itinerario transalpino. Del pari, appare opportuna la ricalibratura della statale della Mauria che assieme alla parte terminale delle statali 51 e 51 bis costituisce l'asse di collegamento fra la Carnia, il Cadore e la Pusteria. E' pure prioritario l'intervento per la costruzione della galleria della “Valle” per il collegamento con il Comelico. E' infine essenziale richiedere all'ANAS l' apertura invernale di alcuni passi traversi che vengono tradizionalmente esclusi dallo sgombero della neve.
I criteri sovraesposti che riguardano il sistema viario fondamentale e quindi principalmente la rete statale, deb-bono essere applicati anche alle reti provinciale e comunale.
A tale riguardo va innanzitutto rilevato come l'estensione chilometrica della rete provinciale subisca variazioni notevoli da provincia a provincia, risultando ad esempio eccezionalmente sviluppata in provincia di Padova fino a comprendere strade con caratteristiche comunali e assai ridotta in provincia di Belluno, dove, per converso, esistono tratte comunali con funzioni tipiche della viabilità provinciale.
I problemi di intervento delle province dovranno pertanto tener conto di tali situazioni ed essere orientali al recupero degli itinerari principali al servizio dei territori emarginati nonché alla risoluzione delle situazioni di pericolosità anche attraverso la realizzazione delle varianti all'attraversamento dei centri abitati.
Nel quadro degli obiettivi enunciati, ed in particolare dell'obiettivo del riequilibrio territoriale e del potenziamento della viabilità minore si stanziano, nel triennio 1977-80, L. 6 miliardi per la costruzione del collegamento stradale Verona-Rovigo-Mare (Transpolesana).
Inoltre, una quota rilevante dello stanziamento di L. 30 miliardi, iscritto in bilancio per opere pubbliche di interesse comunale, sarà destinata ad interventi di sistemazione e potenziamento della viabilità minore.
3. Azione: Sistema portuale e idroviario
In primo luogo si pone il problema dell'efficienza del Veneto in termini di portualità. Le esigenze del commercio estero e la necessità di non restare tagliati fuori da tecniche di trasporto che interessano crescenti correnti di traffico inducono a concentrare ogni sforzo nell'immediata promozione del più efficiente ed integrale sfruttamento del porto di Venezia nonché del potenziamento di quello di Chioggia; per quest'ultimo appare necessario un immediato intervento regionale sotto forma di contributo straordinario dell'importo di 1 miliardo di lire.
Per quanto riguarda il porto di Venezia, oltre al già disposto contributo di lire 2 miliardi (esercizio finanziario 1978) destinato al potenziamento del “ terminal containers ” la Regione ritiene indispensabile intervenire nel settore — importante anche ai fini occupazionali — delle attività collaterali e di supporto concorrenti allo sviluppo e potenziamento dei traffici portuali; segnatamente in quelle relative alla riparazione, revisione e carenaggio delle navi, destinando a tale fine l'importo di lire 1 miliardo per il 1978.
Inoltre, va previsto un contributo regionale finalizzato all'ammodernamento delle strutture dell'emporio veneziano onde renderle adeguate alle nuove esigenze che vanno sempre più affermandosi nel settore dei traffici marittimi.
L'evoluzione della politica dei traffici commerciali vede oggi una preferenza per la combinazione nave più treno, un sistema integrato di trasporto che, sebbene più costoso, viene preferito per la rapidità d'inoltro, il che consente, nel caso di merci facilmente deperibili, come le derrate alimentari, una sensibile riduzione delle perdite. Si deve quindi, porre al servizio di tali traffici una struttura portuale in grado di stabilire rapidi collegamenti con tutta la rete ferroviaria del continente europeo.
Le direttrici per il rilancio dell'attività emporiale lagunare vengono identificate nell'integrazione di un sistema portuale veneto, o più ampiamente, dell'alto Adriatico e nel recupero della funzione del porto di Venezia quale anello di congiunzione fra il Centro Europa e il Medio ed Estremo Oriente.
Le preminenti esigenze della portualità veneta hanno, del resto, trovato ampio riconoscimento anche negli “ indirizzi governativi ” per la formulazione del piano comprensoriale di Venezia, laddove si afferma che “ il governo è impegnato a favorire lo sviluppo dei traffici commerciali del porto di Venezia anche con stanziamenti infrastruitturali specifici ”. Tali investimenti, secondo gli operatori economici, possono favorevolmente giocare in direzione di tre grandi settori: quello meccanico, tessile e manifatturiero in genere che non può ancora utilizzare le nuove tecniche di trasporto per contenitori, mentre Venezia, per i suoi larghi spazi, si presta più razionalmente che altrove a tale movimentazione; il settore dell'agricoltura veneta e le collegate industrie della carne che abbisognano di più appropriati interscambi con l'estero; l'industria del mobile e del legno che, in genere, trova nel porto una strozzatura per la mancanza di adeguate attrezzature che accrescono i costi di sbarco di materie prime.
Ulteriori condizioni per il decollo di tale peculiare funzione possono realizzarsi con la connessione del sistema della portualità con quello della navigazione interna.
Lo sviluppo portuale commerciale va realizzato in modo organico all'interno del sistema portuale lagunare (Venezia-Chioggia) sia attraverso una migliore utilizzazione delle sezioni portuali esistenti destinando a ciò i finanziamenti necessari (anche al fine di garantire la permanenza nel centro storico dell'attività portuale), sia programmando la realizzazione di nuove sezioni portuali nelle aree imbonite della terza zona e a Val del Rio, e ottenendo i necessari finanziamenti attraverso le disponibilità del piano triennale per i porti.
Il sistema portuale veneto dovrà concretizzarsi nella realizzazione degli ammodernamenti strutturali e dello sviluppo nel porto di Venezia, del sistema idroviario Fissero-Tartaro-Canal Bianco collegato, attraverso il Canale di Valle e la Laguna, al progettato canale Venezia-Padova; nell'attuazione di una più rilevante funzione commerciale e fluvio marittima del porto di Chioggia e, infine, nell'attuazione, lungo l'asse terminale del Canale Fissero-Tartaro-Canal Bianco, dell'area attrezzata di Adria, specializzata in termini di navigazione interna.
Il Canale Fissero-Tartaro-Canal Bianco-Po di Levante già progettato ai fini di sistemazione idraulica, di bonifica e di irrigazione della vasta zona depressa attraversata dal canale, costituisce un'eccellente linea navigabile, a livello d'acqua costante, alternativa al tratto parallelo del Po che congiunge Mantova all'Adriatico.
Il potenziamento della navigazione interna commerciale e di cabotaggio marittimo rafforza i collegamenti diretti (o mediante trasbordi su navi di maggiore stazza attraccate a Porto Marghera, Venezia, Chioggia, Porto Garibaldi e Ravenna) dei mercati di produzione e consumo dell'entroterra padano con i mercati di produzione e consumo dell'Italia centrale, meridionale, della Sicilia e, di conseguenza, con quelli del Mediterraneo.
Analogamente va visto il canale Venezia-Padova, per alcune opere già avviato, il quale, se collocato in un sistema di trasporti alternativi a quelli via terra fortemente interconnessi, viene ad assumere una sua adeguata funzione.
Nuovo impulso, negli ultimi tempi, ha ricevuto il progetto dell'idrovia litoranea veneta, parte integrante del progettato collegamento idroviario Adriatico-Sava-Danubio che, partendo dal tratto finale della litoranea veneta vicino a Monfalcone e risalendo l'Isonzo, attraverserebbe il confine italo-jugoslavo presso Nuova Corica per raggiungere, quindi, l'Europa Centrale.
In materia idroviaria va tenuto presente che con il D.P.R. 616/1977 sono state trasferite o delegate alle regioni diverse funzioni relative al bacino ed all'asta fluviale del Po: dalla difesa del suolo all'irrigazione, agli inquinamenti e tutela ambientale, dalla polizia delle acque agli usi turistici e ricreativi di zone del demanio idrico; dall'escavazione di sabbia e ghiaia agli acquedotti e relativo piano regolatore generale, ecc.
In particolare, sono state trasferite alle Regioni tutte le funzioni relative alla navigazione interna e relative opere portuali e non.
In proposito le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto hanno affermato che la navigazione sul Po costituisce un problema tipicamente interregionale, e come tale rientra in quanto previsto dall'ari. 98, primo comma, del decreto 616: “ Le funzioni amministrative... quando sono interessati i servizi in territori finitimi di più regioni, sono esercitate mediante intesa fra le regioni interessate ovvero mediante gestioni comuni anche in forma consortile ”.
Le modalità possibili sono diverse e cioè:
— l'esercizio delle funzioni mediante intesa fra le tre regioni;
— l'esercizio delle funzioni mediante un consorzio fra le tre regioni;
— l'esercizio delle funzioni mediante gestione comune non consortile (cioè con uffici comuni o simile forma).
Altra problematica è quella riguardante la navigazione dei laghi Maggiore, di Como e di Carda, la cui (unica) gestione governativa “ viene trasferita alle regioni territorialmente competenti previo risanamento tecnico ed economico a cura dello Stato” (art. 98, II comma, del decreto 616); la questione interessa il Piemonte, la Lombardia, il Veneto (oltre alla provincia autonoma di Trento).
4. Azione: Realizzazione dei Centri merci
Nel quadro del sistema unitario portuale, si pone la realizzazione anche di sistemi intermodali e di interscambio merci. In proposito vanno maturando iniziative a respiro regionale e nazionale, quali quelle riguardanti il “ Quadrante Europa ” di Verona, il “ Centro smistamento merci ” di Padova e l'interporto a servizio del porto di Venezia.
Il “ Quadrante Europa ” è caratterizzato dalla intersezione della rete autostradale e dalle linee ferroviarie del quadrante Nord-Est che, integrandosi, determinano un vero Centro di smistamento merci ” a raggio internazionale, potendo accogliere e smistare anche le merci provenienti dai porti del Nord-Europa, dalla costa atlantica e da quelle mediterranee. La realizzazione di tale infrastruttura potrà contribuire a dotare l'Italia nord-orientale di un complesso organico che darà un grande sviluppo alle attività terziarie a vastissimo raggio per il commercio estero e nazionale, per valorizzare le produzioni agricole e industriali della Regione e con effetto in tutte le regioni italiane del Nord-Est.
Nella medesima direzione va collocata l'iniziativa diretta alla realizzazione di un interporto al servizio del porto di Venezia e degli insediamenti urbani di Venezia, Mestre, Marghera e Treviso.
Il Centro smistamento merci di Padova si collega, nell' ambito della vera e propria “ Città commerciale ” che sta sorgendo a sud del comprensorio industriale, con gli insediamenti già realizzati dei Mercati Generali, della Dogana e del Mercato ortofrutticolo, ai quali dovrà aggiungersi quello del programmato centro containers F.S. - Al servizio di tale organica struttura si porranno un'attrezzata viabilità, un nuovo raccordo ferroviario, cioè, un sistema integrato di trasporto che garantirà l'agevole e immediato trasbordo delle merci da un nodo all'altro.
5. Azione: Sistema aeroportuale
II trasporto aereo nel Veneto — a livello nazionale ed internazionale — fa capo all'aeroporto di Venezia-Tessera, che costituisce la principale struttura regionale al livello indicalo. Gli aeroporti di Verona-Villafranca e Treviso-S. Angelo hanno funzione di scali nazionali e per voli charters; esistono poi nel Veneto altri dodici scali (militari e privati aperti al traffico turistico e sportivo), la cui esistenza potrebbe essere di qualche utilità per il trasporto aereo di terzo livello.
Per ciò che riguarda l'aeroporto “ M. Polo ”, ad un abbastanza confortante andamento del movimento passeggeri (nel 1977 sono stati 806.000, mentre nell'intero anno 1976 ammontavano a 645.000), fa riscontro l'assoluta esigenza di rendere l'aeroscalo veneziano il più possibile sicuro, moderno e funzionale, in conformità agli alti standards richiesti attualmente per il trasporto aereo. Ciò comporta (oltre alla progettata costruzione della nuova aerostazione ed alla avvenuta realizzazione della torre di controllo, la dotazione di nuove e sofisticate attrezzature per la sicurezza e regolarità dei voli. Dovrà, inoltre, prevedersi una revisione dell'attuale assetto del settore merci (nuovo aeroscalo merci e dotazione di attrezzature “ cargo ”). Da rilevare che solo una parte delle menzionate esigenze possono essere soddisfatte con gli stanziamenti della legge n. 825/1973 e successivi.
Essenziale per il funzionamento e lo sviluppo dell'aeroporto “ M. Polo ” è la soluzione del problema del suo collegamento con la rete viaria e ferroviaria (realizzazione del raccordo tra la tangenziale di Mestre e la sede aeroportuale; collegamento ferroviario, in funzione metropolitana).
Per ciò che riguarda Verona-Villafranca si impone l'ammodernamento dell'aeroscalo, sia pure per fasi successive. Nella prima fase si procederà all'ampliamento e, quindi, all'abilitazione della pista a velivoli del tipo DC8 e B707; alla costruzione di un piazzale velivoli di circa 50.000 mq.; alla costruzione di una nuova aerostazione passeggeri, di uno scalo merci e di adeguati stabulari per un movimento di oltre 15.000 tonnellate annue, in particolare prodotti ortofrutticoli per il Centro e il Nord-Europa. Oltre alle strutture complementari e di servizio saranno anche realizzati gli impianti di assistenza al volo. Successivamente si potrà procedere — oltre all'ampliamento delle principali infrastrutture (aerostazione passeggeri e merci, piazzale velivoli, parcheggi) — alla realizzazione di una pista di rullaggio per una più razionale utilizzazione della pista di volo.
Per ciò che riguarda i problemi di gestione, va confermato l'orientamento in ordine alla necessità della presenza, a livello gestionale, dei rappresentanti delle autonomie locali e delle componenti sociali interessate, al fine anche di sollecitare in loco quelle attività promozionali che un complesso aeroportuale comporta. Inoltre, non va dimenticata la più volte affermata esigenza di giungere per il Veneto ad un unico Ente regionale per la gestione degli aeroporti.

Obiettivo: Sviluppo dei servizi di trasporto
L'obiettivo regionale per lo sviluppo dei servizi di trasporto in coerenza con l'obiettivo del riequilibrio, pone la finalità della costituzione di aziende pubbliche, quali unità di gestione a livello di bacino, per favorire il trasporto dei pendolari per le relazioni residenza-lavoro, residenza-scuola e l'intermodalità dei trasporti, sia per le persone che per le cose.
Si rileva preziosa, a questi fini, la dimensione dei bacini di trasporto.
La crisi dei trasporti pubblici di massa va affrontata modificando con adeguate azioni la distribuzione attuale della domanda fra i vari mezzi di trasporto, fra mezzo individuale e mezzo collettivo e , nell'ambito del mezzo collettivo, fra autobus e' ferrovia. Va altresì potenziato il trasporto pubblico di persone inteso quale fondamentale servizio sociale; nell'ambito dei servizi pubblici di trasporto di massa in particolare, si deve tener conto della finalità di inserire i trasporti infraregionali in concessione in un sistema integrato dei vari modi di trasporto (tra questi, specialmente, il trasporto per ferrovia ed i trasporti urbani.
Lo strumento indispensabile per il conseguimento di questo obiettivo è il “ Piano Regionale dei Trasporti ”, che la Regione si impegna a predisporre come piano di settore strettamente correlato con il Piano Territoriale di Coordinamento.
Il perseguimento dell'obiettivo fissato si realizza attraverso una serie combinata di azioni programmatiche, dove con le risorse finanziarie, vengono in particolare individuati gli interlocutori istituzionali capaci di dare realizzazione alle stesse azioni. Al riguardo va sottolineato che la Regione, nel riservare a se stessa un insopprimibile ruolo politico e legislativo, si è già espressa nella scelta di governare i trasporti locali mediante le deleghe agli enti locali a livello di bacino.
1. Azione: Pubblicizzazione delle autolinee
La nuova organizzazione e la pubblicizzazione dei servizi di trasporto è stata sanzionata con la L.R. 4 novembre 1977, n. 63 . La attivazione dei “ Consorzi di bacino di trasporto ” in tutta la regione, quali Enti pubblici a base comprensoriale, o multicomprensoriale, soggetti di delega, rappresenta il raggiungimento di una dimensione-obiettivo per un efficiente sistema di trasporto soprattutto a servizio dei pendolari. Attraverso tale passaggio verrà a realizzarsi la pubblicizzazione delle autolinee in concessione, ad eccezione delle piccole linee a scarso traffico, la costituzione delle comunità tariffarie nonché innovazioni organizzative in termini di integrazione di sistemi di trasporti (rotaia-autobus).
Successivamente si procederà alla riorganizzazione graduale delle linee nei vari bacini, favorendo la loro assunzione da parte di aziende pubbliche già costituite o da costituire promuovendo, quindi, la costituzione di Consorzi fra Enti locali a livello di bacino o di sub-bacino.
Il processo di pubblicizzazione si svolgerà per aree omogenee più che per singole linee o aziende e mirerà, inoltre, a costituire aziende pubbliche nei centri di bacino che ne siano prive.
Va aggiunto, altresì, che il programma di pubblicizzazione 1975 a suo tempo approvato prevedeva il passaggio alla gestione pubblica di sette aziende, di cui cinque praticamente già acquisite.
Ulteriori decisioni dovranno ovviamente tener conto di tali disposizioni pur nella volontà di perseguire gli obiettivi già indicati di cui in ogni caso si dovranno far carico, nei loro orientamenti, gli enti locali.
2. Azione: Piano autobus
In presenza (al 31-12-1976) di un parco regionale autobus di complessivi 2.566 automezzi (1.009 autobus urbani; 1.557 autobus extraurbani), con un rapporto autobus-abitanti di 6,2 per 10.000 abitanti, l'obiettivo (ottimale) sarebbe di portare tale rapporto ad 8 x 10.000 abitanti (complessivamente 3.720 autobus).
L'incremento reale — tenuto conto della dismissione dei veicoli vecchi di oltre 15 anni — dovrebbe raggiungere in questo caso le 2289 unità. Considerando il solo parco extraurbano, l'incremento reale sarebbe di 1.643 autobus e l'onere finanziario relativo (75% del costo complessivo) ammonterebbe per la Regione ad oltre 80 miliardi.
Limitando il piano al solo rinnovo del parco (anziché rinnovo ed incremento) e riducendo il contributo regionale al 65% (anziché al 75%) si avrebbe un onere complessivo di circa 40 miliardi per l'acquisto di 943 autobus extraurbani, con una quota annua a carico della Regione di circa 8 miliardi per 5 anni, utilizzando a tal fine sia le disponibilità già esistenti sia quelle che perverranno dallo Stato fino al 1979 in base alla legge 16-10-1975, n. 493.
Tenuto conto però delle difficoltà finanziarie soprattutto degli Enti pubblici, si è ritenuto però di portare il contributo all'80% del costo dei veicoli. Ciò comporterà un maggior impegno regionale che in ogni caso viene fissato per i prossimi 5 anni in L. 40 miliardi con un impegno di L. 8 miliardi per ciascuno degli esercizi finanziari 1978/1982.
I fondi verranno ripartiti in modo da privilegiare le aziende pubbliche (o quelle inserite nei programmi di pubblicizzazioni già approvati) e per gli enti locali esercenti servizi di trasporti regionali od urbani. Una quota sarà riservata anche ai concessionari privati.
Un intervento comunque assai rilevante per il potenziamento del parco rotabile regionale, che assume significato anche per le implicazioni di carattere occupazionale e di potenziamento della struttura produttiva della stessa Regione, comporta peraltro l'indicazione di una serie di obiettivi intesi alla gestione più razionale del parco autobus regionale, quali:
— gestione unitaria del parco a livello di bacino o eventualmente di interbacino, per quanto concerne la manutenzione e riparazione;
— unificazione e standardizzazione europea dei tipi;
— aumento del livello di utilizzo dei mezzi (50 mila Km. annui);
— intensificazione delle corse.
3. Azione: Indirizzi per i piani di bacino
I bacini di trasporto vanno ulteriormente definiti in relazione ai sistemi urbani, creando quindi sostanziali connessioni tra pianificazione del territorio e rete dei servizi di trasporto. L'attuale situazione geografica di 8 bacini, pur ulteriormente verificabile, tende a rispondere ai seguenti requisiti:
1. ovviare alla soluzione di continuità che si è storicamente venuta determinando tra gli spostamenti urbani, suburbani ed extraurbani, mediante una organizzazione territoriale che sappia utilizzare le possibilità di integrazione delle economie esterne ai poli di sviluppo. Si tratta cioè di minimizzare i costi di spostamento in modo da far assumere ai poli decentrati le stesse caratteristiche ubicazionali delle località centrali;
2. raggiungere livelli accettabili di coordinamento tra diversi sistemi e forme di gestione dei trasporti, intesi come strumenti di piano e come servizio che la collettività assume dal punto di vista gestionale per una riduzione delle spese sociali e con beneficio della qualità stessa dell'offerta del servizio;
3. individuare un grado di governabilità economica della gestione, ad un livello che veda unitariamente corresponsabilizzata la finanza pubblica, sia quella degli Enti locali, come quella regionale e statale. Vanno infatti rimosse le cause interne ed esterne che hanno reso pressoché ingovernabile il sistema dei trasporti pubblici e rotto ogni equilibrio economico delle aziende di gestione. E' indicativa del livello di guardia a cui è giunta la distorsione del fenomeno da arginare, la progressione dei disavanzi che rivela una “ sistematicità ” che è ancora più allarmante della loro stessa consistenza assoluta.
Il potenziamento qualitativo dei trasporti pubblici comporta anzitutto una strategia di risanamento economico che viene così riassunta:
a) contenimento dei costi e recupero di efficienza: contenimento dell'organico mediante riscossione meccanizzata ed agente unico in vettura; efficace controllo dei costi di esercizio;
b) indicizzazione delle tariffe: si tratta di fissare la soglia minima percentuale di copertura del costo con i proventi tariffali — a livello di bacino — almeno al 50%, in armonia anche con le indicazioni della CISPEL. Ciò potrà essere mantenuto o elevato mediante revisione annuale dei livelli tariffari, in base ad indici quali la variazione del reddito medio regionale; l'andamento dei costi d'esercizio; la situazione finanziaria degli Enti locali;
c) scelta di un assetto gestionale “ ottimale ” in funzione della governabilità economica. Tendenzialmente va affermato che ad unità territoriale di bacino dovrà corrispondere anche unità gestionale a livello di bacino o eccezionalmente di sub-bacino. Dalla riunione delle aziende esercenti (in tale direzione si muove la stessa logica della pubblicizzazione) può derivare un recupero di economicità;
d) unificazione ed armonizzazione dei sistemi di rilevazione ed elaborazione dati; dei sistemi di contabilità generale e di bilancio; unificazione e standardizzazione dei sistemi di controllo di efficienza e di produttività (es. indici di confronto ed omogenizzazione quali: posti-Km. offerti/n. addetti; ricavi/percorrenze). Ciò comporta da un lato la possibilità di un bilancio di bacino (budget di unità gestionale) e successivamente di un budget generale dei trasporti pubblici su base regionale (conto regionale dei trasporti) finalizzato ad una efficace pianificazione dei costi e degli investimenti derivanti dalle esigenze del settore;
e) contributi regionali per il funzionamento dei trasporti a livello di bacino: in relazione al criterio che comunque i proventi dell'esercizio devono coprire almeno il 50% dei costi, vanno erogati, in conformità agli stessi indirizzi della legge regionale sui trasporti, contributi a favore dei Consorzi di bacino in base a parametri oggettivi;
f) razionalizzazione delle linee di concessione mediante l'integrazione delle linee automobilistiche con gli altri modi di trasporto e limitazione della consistenza autobus-kilometro assegnati ad ogni bacino.

Obiettivo: Riorganizzazione delle attività distributive
La situazione dell'attività distributiva regionale in cui si registrano fenomeni di congestione e di polverizzazione che in qualche caso coesistono territorialmente, necessita di adeguate misure di razionalizzazione che debbono rispondere all'obiettivo primario del “ servizio per il cittadino ”. Occorre procedere quindi ad una ristrutturazione, da effettuarsi evitando negativi riflessi di ordine occupazionale e da realizzarsi con la partecipazione degli attuali operatori, che deve avere un carattere globale, interessando tutti gli aspetti del settore, per cui va superata, anche attraverso una modifica del quadro di riferimento legislativo statale e la formazione di una legge quadro, l'attuale frammentazione normativa, con discipline differenziate per ciascuna delle articolazioni del settore.
In tale ambito programmatico deve essere privilegiata la struttura del “ medio dettaglio ”, ritenuta la più adeguata per dimensioni e funzionalità al peculiare modello insediativo della Regione in contrapposizione da un lato alle strutture di vendita di grande dimensione e dall'altro alla rete del piccolo dettaglio per il quale si dovrà perseguire l'obiettivo della specializzazione e dell'incremento di produttività.
A fianco del “ medio dettaglio ”, che ha funzioni di tessuto connettivo, dovranno trovare posto strutture di portata maggiore con dimensioni e localizzazioni predefinite, destinate anche ad incrementare, il livello di servizio dei centri urbani di dimensione intermedia e le zone di particolare concentrazione turistica, in armonia con gli obiettivi della pianificazione territoriale.
In questo ambito dovranno essere valorizzate le iniziative razionalizzanti degli attuali piccoli imprenditori commerciali, in particolare attraverso la diffusione e la valorizzazione dell'associazionismo e della cooperazione.
1. Azione: Adeguamento delle tecniche distributive
L'insieme delle leggi statali 426/1971, 524/1974 e 398/1976, introducendo il principio della pianificazione urbanistica commerciale, innova largamente la precedente normativa sul commercio; ai comuni viene così assegnato il compito di predisporre gli strumenti pianificatori commerciali su indicazioni e direttive regionali, mentre la Regione ha facoltà di definire criteri di programmazione della rete distributiva attinenti alle grandi strutture di vendita, la cui apertura è pertanto subordinata ad apposito nullaosta regionale.
Saranno di conseguenza definiti i “ criteri regionali di programmazione ” che, mentre da un lato confermeranno la scelta delle strutture commerciali di dimensione intermedia (il “ medio dettaglio ”), destinate a costituire la struttura portante della rete distributiva regionale, dall'altro individueranno le possibilità localizzative di strutture commerciali capaci di fornire alla totalità degli utenti un servizio di livello qualitativo e quantitativo più elevato, con dimensioni più ampie del medio dettaglio, e tuttavia contenute, in modo che la loro distribuzione territoriale — più diffusa di quanto sarebbe compatibile con le grandi dimensioni — consenta la disponibilità del servizio entro un accettabile tempo di spostamento, e contribuisca al perseguimento degli obiettivi di riqualificazione e di riequilibrio individuati in sede di politica del territorio.
Le strutture previste saranno inoltre differenziate per dimensioni, caratteristiche, area di potenziale gravitazione, in relazione alle condizioni insediative, demografiche, fisiche ed infrastrutturali delle zone in cui potenzialmente sarebbe possibile la loro localizzazione, in modo da aversi “ centri commerciali primati ”, “ di supporto ”, “ autonomi ” e “ autonomi turistici ”, con ulteriori articolazioni all'interno delle categorie. Saranno infine stabilite soluzioni alternative, basate su processo di “ razionalizzazione interna ”, attraverso aggregazioni e ristrutturazioni di punti di vendita esistenti, consentendo quindi che la riorganizzazione delle attività distributive possa avvenire con la partecipazione degli attuali operatori in tutti i casi in cui, nelle aree scelte come possibile localizzazione per una delle articolazioni del modello di rete definito, risulti una dotazione commerciale sufficiente o esuberante.
Congiuntamente si avvierà analogo processo di ristrutturazione su un fondamentale canale attraverso il quale i beni prodotti affluiscano alla distribuzione finale, quello dei mercati all'ingrosso, la cui regolamentazione è in gran parte superata dall'attuale realtà distributiva; si procederà pertanto alla formulazione di un piano regionale sui mercati all'ingrosso che, tenendo conto dell'esigenza di una programmazione globale e non settoriale delle attività distributive, definisca le zone di influenza dei mercati, le loro categorie merceologiche e funzionali, i requisiti tecnici e le dotazioni infrastrutturali, determinando la maglia localizzativa e dimensionale più adatta a garantire un corretto raccordo tra produzione e distribuzione. Con dispositivo legislativo verranno fissate le norme sui contenuti fondamentali di detto piano, tra i quali in particolare: l'accesso privilegiato per i produttori agricoli singoli ed associati che provvedono direttamente alla vendita dei propri prodotti; l'estensione di parte della regolamentazione propria del mercato alla commercializzazione all'ingrosso fuori mercato, per evitare che da un possibile diverso rispetto di leggi generali, in particolare igieniche e sanitarie, possa derivare una posizione di concorrenza sleale ed un danno per i consumatori; l'affermazione del principio per cui i proventi della gestione del mercato non possono essere in nessun caso superiori alle spese per il funzionamento e per l'ammodernamento, confermando così la concezione del mercato come servizio.
Per quanto attiene alla eccessiva lunghezza dei circuiti distributivi, essa riguarda in particolare il commercio all' ingrosso, non soggetto (tranne che per i mercati all'ingrosso) agli strumenti pianificatori comunali e regionali; al riguardo saranno incentivati i “ sistemi distributivi verticali ” (associazioni fra grossisti e dettaglianti, tra dettaglianti, cooperazione integrata, e così via).
Quanto al dettaglio in tutte le sue forme, la scelta regionale è di agevolare, nell'ambito delle proprie competenze, l'evoluzione del commercio tradizionale secondo le due linee alternative della specializzazione e dell'incremento della produttività aziendale: in particolare quest'ultima consente una diretta partecipazione degli attuali operatori alla ristrutturazione dell'apparato commerciale, anche attraverso la diffusione delle forme associative e delle tipologie commerciali di dimensioni intermedie (“ medio dettaglio ”) che si prestano ad essere realizzate da dettaglianti tradizionali che si associno per la gestione comune di un unico punto di vendita.
L'azione indicata pertanto configura prevalentemente un impegno di regolamentazione e di fissazione di criteri guida, unitamente all'impegno di stimolo nei confronti dei comuni che non abbiano ancora adottato i propri strumenti di pianificazione commerciale. Essa tuttavia individua anche delle forme di incentivazione, da attuarsi con la formula dei contributi, per la formazione e lo sviluppo delle forme di associazionismo economico fra i piccoli e medi esercenti al dettaglio e della cooperazione di consumo sia in fase di vendita che di acquisto dei beni o comunque per favorire la diffusione di tecniche distributive più avanzate. Tali incentivi per il triennio 1978-1980 saranno di importo pari a 300 milioni annui, con utilizzazione flessibile relativamente alle loro caratteristiche (contributi in conto capitale, in conto ammortamento mutui, in conto interessi).
2. Azione: Fiere, Mostre ed Esposizioni
Su questo tema la normativa vigente mostra le sue carenze soprattutto laddove attribuisce a più Enti la facoltà di autorizzare e disciplinare lo svolgimento delle manifestazioni: si provvedere, pertanto, con apposite iniziative legislative a configurare una disciplina che, privilegiando la funzione promozionale ai fini dello sviluppo dei vari settori della produzione regionale, dia organicità alla materia sia per quanto riguarda le autorizzazioni, sia in ordine al livello e carattere delle manifestazioni.
In questo ambito sarà rivalutato e valorizzato il ruolo delle Fiere come strumento pubblico della programmazione economica: conseguentemente l'azione regionale privilegierà le iniziative degli Enti fieristici, pubblici e privati, che, superando l'ottica della semplice economicità gestionale, si configurano come un servizio continuativo a supporto dell'economia regionale con particolare riguardo alle produzioni tipiche e specializzate.
L'esercizio delle competenze in ordine al sistema fieristico verrà svolto in base al principio del raccordo tra la politica promozionale e quelle industriale, artigianale ed agricola, principio al quale saranno uniformati anche gli interventi diretti dalla Regione attraverso un univoco coordinamento delle iniziative nei diversi settori. L'azione descritta richiederà un impegno finanziario di 200 milioni ali' anno.

Obiettivo: Rafforzamento delle attività turistiche
L'importanza che il settore del turismo occupa nel Veneto è messa in luce sia dall'entità della domanda che dalla completezza e dalla della sua offerta. Il Veneto infatti con i suoi 44 milioni circa di presenze si colloca al primo posto fra le regioni italiane (15,5% del movimento turistico nazionale); il patrimonio ricettivo a sua volta tra esercizi alberghieri ed extra alberghieri si misura in oltre 640 mila posti letto, mentre l'occupazione ascende a 75 mila unità che raggiungono le 300 mila se si comprendono le persone impiegate nelle attività collaterali che trovano nel turismo il loro unico o prevalente sostegno.
In termini meramente economici tale movimento produce un apporto superiore ai 900 miliardi di lire, mentre gli investimenti nel settore ricettivo sono stimati in 800/1.000 miliardi di lire, che raggiungono i 1300 miliardi se si comprendono anche i complessi complementari.
L'obiettivo posto mira ad accrescere la domanda soprattutto ai fini di una migliore utilizzazione del Patrimonio ricettivo e, nello stesso tempo, realizzare quella politica del turismo diretta a sostituire al concetto di turismo di massa, come entità puramente quantitativa, quello di turismo sociale cioè un turismo come servizio e diritto sociale in quanto esigenza di tutti e non più solo di alcune classi, nonché a privilegiare la scelta, tra i vari tipi di turismo, di quello cosiddetto innovativo, che risponde alle esigenze di una nuova società in cui i problemi del recupero psico-fisico, dell'impiego del tempo libero e dell'ampliamento culturale vanno emergendo con sempre maggiore evidenza. In questo ambito sarà dedicata particolare attenzione al termalismo sociale, con specifico riferimento alla struttura pubblica di Recoaro ed al sistema idro-termale Euganeo, nonché al movimento dei campeggiatori.
Il conseguimento di tale obiettivo si realizza attraverso un'azione generale, intesa di promozione turistica in senso lato.
1. Azione: Promozione turistica
Il patrimonio ricettivo regionale, salvo talune deficienze individuate prevalentemente in alcune zone montane e nelle zone depresse, può considerarsi sia sotto il profilo quantitativo che quello qualitativo generalmente adeguato: gravi carenze si registrano al contrario nel settore dei servizi e delle attrezzature turistiche complementari (impianti sportivi e ricreativi, porti ed approdi turistici, servizi di assistenza e di informazioni turistiche e così via). L'intervento si muoverà quindi su una linea che, senza trascurare il miglioramento delle attrezzature ricettive esistenti, punti soprattutto al potenziamento di tali servizi ed impianti complementari, in coerenza anche ai contenuti della legge regionale n. 13/1974 . Al riguardo gli interventi saranno attuati per progetti temporalizzati, su base comprensoriale, privilegiando la valorizzazione di nuove aree, in particolare quelle marginali rispetto al tipo di sviluppo spontaneo prodottosi sinora. A tal fine sono destinate risorse finanziarie per il prossimo triennio pari a 1.200 milioni di lire all'anno, da utilizzare sotto forma di contributi in conto capitale e in conto interessi su mutui.
Per quanto concerne la domanda, si opererà per rendere più incisiva la funzione sociale del turismo; in particolare quattro sono gli aspetti del turismo sociale che vanno opportunamente considerati e potenziati: il turismo scolastico giovanile, quello dei lavoratori, quello della terza età ed il termalismo sociale.
Al fine di rendere più concreta e realistica la programmazione dello sviluppo turistico della regione, verranno completate le indagini conoscitive per la definizione della struttura turistica, per la individuazione della tipologia gestionale, nonché per la definizione dei modelli di consumo turisti-co e la loro influenza nella scelta dei comportamenti.
Quanto alle manifestazioni di interesse turistico, in grado di richiamare un apprezzabile movimento o quanto meno di costituire un efficace strumento promozionale si opererà in modo che le manifestazioni abbiano una capacità di richiamo quanto meno regionale, che esse vengano coordinate in maniera da evitare duplicazioni e sovrapposizione di date, che vengano annunciate con sufficiente anticipo, eventualmente attraverso un calendario regionale.
In parallelo, sarà accentuato lo sforzo per allargare l'attività promozionale in Italia e all'estero, diretta in particolare alla formazione di un'immagine turistica del Veneto differenziata non solo per i diversi settori di cui si compone l'offerta turistica della nostra regione, ma anche in relazione alle diverse caratteristiche dei mercati in cui si dovrà operare, tenendo conto della tipologia della domanda proveniente dal mercato internazionale e cioè quella fornita dal turismo spontaneo, quella proveniente dal turismo organizzato, orientato sulla base dei programmi varati dai “ Tours operators ”, quella infine derivante dal turismo promosso da enti e organismi che operano nel campo del turismo sociale. L'investimento regionale in tale settore va pertanto adeguatamente rinforzato, utilizzando risorse per almeno un miliardo di lire all'anno.
In termini di fiancheggiamento saranno inoltre portate avanti le proposte di istituzione di parchi di interesse regionale, con un finanziamento di 200 milioni di lire all'anno intesi nel senso non di pura conservazione ma di realtà dinamiche e propulsive, con capacità di influenza e di trasformazione delle zone vicine; i parchi cioè non vanno pensati solo fine a se stessi, ma in rapporto con il territorio circostante ed in funzione di esso, per cui si rende possibile una sintesi dei valori ambientali e di quelli funzionali derivante dalla società circostante, turismo compreso, di cui è necessario individuare gli interessi convergenti per creare un rapporto positivo, coerente ed unitario di tutta una zona. In tale settore precise competenze saranno riservate alle Comunità Montane, così come in generale nell'ambito dei problemi turistico-montani.
Relativamente all'organizzazione turistica sub-regionale (Enti provinciali per il turismo, Aziende autonome di soggiorno. Associazioni Pro-Loco) malgrado il finanziamento regionale ad essa diretta abbia subito un costante e tangibile incremento nel corso degli ultimi anni, non si è potuto evitare che nei bilanci degli E.P.T. e delle Aziende autonome le spese generali subissero aumenti più rilevanti e tali da ridurre notevolmente e, in alcuni casi quasi ad annullare gli stanziamenti per gli interventi operativi. Si tratta comunque di un problema non solo e non tanto da risolvere sotto l'aspetto del finanziamento, previsto in 1300 milioni di lire all'anno, quanto di procedere ad un riordinamento di tutta l'organizzazione turistica sub-regionale, che tenga conto delle esigenze turistiche del Veneto e dello spirito del decreto 616/1977. La Giunta è pertanto impegnata a varare in tempi brevi una legge sul riordinamento dell'organizzazione turistica sub-regionale, secondo un'ottica comprensoriale, che esalti le funzioni delle aziende di soggiorno, che riconosca il ruolo delle prò-loco nell'ambito di una collaborazione e integrazione delle strutture pubbliche, che preveda eventual-mente una struttura intermedia diversa rispetto agli E.P.T.
Alle iniziative in corso di attuazione riguardanti la disciplina e la classificazione dei campeggi e dei villaggi turistici e la classificazione degli esercizi alberghieri, si aggiungeranno in tempi brevi, sempre attraverso provvedimenti coordinati interregionalmente, una nuova disciplina dei complessi ricettivi a carattere sociale e la disciplina del contenzioso alberghiero.
Per quanto riguarda un ulteriore obiettivo, il sostegno delle attività sportive, opportuni stanziamenti all'anno saranno pure destinate per iniziative orientale verso lo spazio di tipo sociale, inteso non come semplice moltiplicazione numerica dello sport che si è praticato sinora, bensì nel senso di una pratica con presupposti più ampi, di carattere culturale, educativo e di autentica partecipazione di massa. In tal senso particolare attenzione sarà posta al problema dell'ISEF regionale, alla necessità di personale specializzato per le scuole elementari e per gli Enti locali, attraverso adeguate campagne di propaganda, si punterà alla sensibilizzazione sportiva, alla educazione sanitaria e alla creazione di una coscienza sportiva del cittadino.
L'azione regionale nel settore si svilupperà, ovviamente, nell'ambito delle competenze e con le finalità previste dal D.P.R. 616.
Il primo momento qualificante per poter programmare dei corretti interventi nel settore dello sport, è l'attuazione di un'accurata indagine conoscitiva dell'esistente, riferito alle attività, agli impianti, ai quadri e alla tutela sanitaria. In riferimento a ciò si evidenzia l'opportunità di una consulta regionale per lo sport che, sulla scorta delle indicazioni emerse, possa coadiuvare gli organi regionali nelle scelte e negli interventi nel settore.
Per quanto concerne l'impiantistica, la Regione si atterrà, sulla scorta delle indicazioni del censimento, ad un primo intervento sul riutilizzabile, recuperabile o convertibile, nella individuazione degli spazi e delle aree disagiate per un riequilibrio territoriale, che tenga conto del piano di sviluppo regionale. Avendo esaurito la legge regionale n. 15/73 i fondi messi a disposizione, risulta essenziale l'emanazione di una legge che investa nella sua globalità il settore e in questo senso si sta operando concretamente. La tutela sanitaria delle attività sportive al contrario, attende una concreta applicazione della legge regionale n. 48 del 1977, affinchè possano essere attuate le indicazioni del disposto legislativo con la realizzazione, nell'ambito delle ULSSS, del servizio di medicina preventiva e di centri specializzati di medicina sportiva, per l'accertamento dell'idoneità specifica di coloro che accedono alle attività agonistiche.
Particolare cura sarà posta per il coordinamento delle iniziative, che si attueranno per lo sport, tra tutti gli enti ad esso interessati.

FINALITÀ: VENEZIA

Venezia ha nel quadro regionale una evidenza particolare: la questione di fondo sta nella necessità di individuare le ragioni di compatibilità tra le strutture di un ambiente e di un territorio denso di valori della storia, dell'arte e del paesaggio e le strutture di un apparato produttivo cui è per gran parte legato l'assetto urbano attuale, le attività e il lavoro della popolazione dell'area.
La ricerca del mantenimento di una funzione vitale alla città di Venezia ed al suo entroterra, la salvaguardia del patrimonio artistico nonché il rispetto dell'equilibrio naturale dell'ambiente fisico, nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della regione veneta, costituiscono i punti nodali della legge nazionale n. 171/1973. Salvaguardia e sviluppo quindi vanno visti come due momenti di uno stesso processo per cui, da un lato si deve perseguire il raggiungimento di livelli crescenti di benessere socio-economico, qualificato da un'espansione qualitativa e da un miglioramento quantitativo dei beni e dei servizi pubblici, dall' altro pervenire alla ricostruzione e salvaguardia dell'equilibrio ambientale, in tutti i suoi aspetti, nonché alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico esistente.

Obiettivo: Salvaguardia - Sviluppo
L'obiettivo della salvaguardia e dello sviluppo di Venezia va perseguito nell'ambito delle linee determinate dalla legge nazionale 171/73, dalla delibera governativa sugli “ Indirizzi ” per il piano comprensoriale e dalla legge regionale n. 49/74, anche se non sono da escludere modifiche a questo quadro normativo suggerito dalle esperienze di attuazione della legge speciale 171 che si vanno facendo da parte oltre che della Regione, dei Comuni di Venezia e di Chioggia e del Consiglio di Comprensorio speciale. Poiché è a quest'ultimo organo che, in ossequio alla legge nazionale n. 171 e nei modi stabiliti dalla legge regionale n. 49, è stato affidato il compito di redigere ed adottare il piano che dovrà tracciare le linee della strategia complessiva di salvaguardia e sviluppo di Venezia e della sua laguna, la Regione, pur mantenendo la responsabilità politica delle soluzioni da dare al problema, non ritiene di dover entrare in questa sede nel merito delle indicazioni di piano comprensoriale, se non rinviando alle parti di questo P.R.S. nelle quali è delineata la strategia convergente di adeguamento della rete infrastrutturale e delle attrezzature lagunari capaci di porre la portualità lagunare al servizio dell'intero assetto produttivo e territoriale regionale, con particolare riguardo al poten-ziamento della sua sezione commerciale.
Si intende che per tale potenziamento essenziale resta tuttavia la individuazione delle ragioni di compatibilità tra il potenziamento della funzione portuale lagunare ed il suo assetto idraulico. Risulta quindi necessario puntare, al fine della regolamentazione progressiva del rapporto mare-laguna su un sistema articolato e complesso di interventi realizzabili gradualmente e che presentino le caratteristiche della flessibilità, della manovrabilità e della reversibilità.
E' compito della Regione preoccuparsi invece sin d'ora affinché le indicazioni del piano che il Consiglio di Comprensorio adotterà e che la Regione sarà chiamata ad approvare possano trovare rapida ed efficace attuazione.
E' con questa prospettiva che, nel confermare l'impegno a contribuire a creare le condizioni istituzionali, tecniche, legislative e finanziarie previste dall'art. 12 della legge 49/1974 andrà definito il livello di responsabilità attuativa capace di gestire il lavoro programmatorio attualmente svolto dal Consiglio del Comprensorio speciale, nell'ambito della definizione geografica e funzionale del livello di governo di area vasta.
La Regione deve comunque, per parte sua, operare direttamente per il risanamento edilizio dei centri storici di Venezia e Chioggia e per la tutela dall'inquinamento. Questa attività va organizzata all'interno delle seguenti due azioni.
1. Azione: Risanamento edilizio dei centri storici di Venezia e Chioggia
La legge regionale n. 56 del 9 settembre 1977 disciplina la attuazione dei piani particolareggiati del centro storico veneziano, dettando norme sulle modalità di formazione e di approvazione dei piani di coordinamento; con l'approvazione dei piani particolareggiati del centro storico, il Comune di Venezia è ora in grado di avviare la formazione dei piani di coordinamento, con la conseguente individuazione dei comparti. Il Comune di Chioggia, a sua volta, il cui piano regolatore generale è da tempo approvato dovrà procedere alla formulazione degli strumenti attuativi, tramite i quali sarà consentita l'operazione di risanamento del centro storico.
Tutte queste operazioni sono preliminari alla operatività delle due aziende a prevalente partecipazione pubblica previste dall'art. 12 del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 791, i cui compiti riguardano in particolare l'esecuzione di interventi di restauro e di risanamento conservativo, nei comparti in cui i comuni di Venezia e di Chioggia intendono operare direttamente per ragioni di preminente interesse pubblico. La Regione è impegnata entro il 31-1-1979 alla costituzione della “ Edilvenezia S.pA. ”, con una partecipazione pubblica pari ad una quota dell'80% del capitale così ripartita: 40% allo Stato, 5% alla Regione Veneto, 30% al Comune di Venezia, 5% all'Amministrazione Provinciale di Venezia; la partecipazione dello Stato avverrà attraverso due società a partecipazione statale.
2. Azione: Tutela dall'inquinamento
II tema del disinquinamento lagunare non consente una visione settoriale o angustamente limitata ai confini amministrativi, ma va inquadrata in una visione unitaria e globale ed estesa ad un territorio ben più ampio di quello relativo al Comune capoluogo. In tale ottica va vista l'iniziativa di far redigere un “ Piano direttore per il disinquinamento della laguna di Venezia ”, con il fine appunto di individuare il “ bacino inquinante ” e di considerarlo come unità organica nonché di precisare le linee fondamentali per la realizzazione delle strutture fognarie e di depurazione di tutte le acque reflue scolanti dal bacino in laguna.
Sulla scorta anche delle risultanze del primo stralcio di questo documento si è proceduto all'assetto generale delle opere fognarie, all'interno della fascia più prossima alla laguna, nonché all'affidamento delle progettazioni esecutive, tenendo evidentemente conto dei vincoli delle strutture preesistenti, ed in modo tale da ottenere, con le opere di prima fase, compatibilmente con i fondi disponibili, il maggior beneficio ai fini del disinquinamento della laguna nonché a garantire le maggiori possibilità di adattamenti a condizioni future diverse da quelle previste. Va a questo scopo segnalata l'urgente opportunità di un rifinanziamento statale che consente di procedere nella realizzazione dei progetti. Relativamente al riassetto degli impianti acquedottistici, le indicazioni formulate a suo tempo dal Comitato per la difesa della città di Venezia prevedevano la costruzione degli acquedotti del Sile e del Piave, soluzione peraltro che ha provocato numerose perplessità da parte di taluni comuni, anche di notevole importanza, mentre d'altro canto, in seguito anche alle conclusioni di uno studio condotto per conto della Regione ai fini di una proposta di revisione generale del Piano regolatore degli acquedotti del Veneto, si è fatta strada la tesi secondo cui le acque di falda, le migliori dal punto di vista igienico, debbano essere riservate ad uso potabile, mentre quelle superficiali, di qualità più scadente, debbano essere utilizzate per casi irrigui ed industriali. Poiché nell'area interessante il fenomeno del bradisismo esistono numerosi pozzi utilizzati a fini agricoli, sembra più conveniente, anziché eliminare i pozzi a servizio di acquedotti, chiudere i pozzi per l'agricoltura e sostituirli con acque di superficie, il che richiederebbe molto probabilmente una spesa inferiore rispetto a quella necessaria per la realizzazione di grossi acquedotti ad uso idropotabile. Queste considerazioni inducono pertanto ad un rinvio della progettata costruzione dell'acquedotto del Sile mentre, in accordo con gli Enti interessati verranno ricercate e definite le soluzioni alternative ottimali per l'approvvigionamento ed il riassetto della rete acquedottistica.
Poiché dei 58 miliardi di lire assegnati dalla legge speciale sono stati sinora impiegati 8.170 milioni (4.000 milioni per le fognature di Venezia terraferma, 4.000 milioni per quelle di Chioggia e 170 milioni per spese generali) resta una disponibilità di 49.830 milioni di lire che ha la seguente destinazione:
— 9.000 milioni di lire per le opere fognarie di Venezia insulare ed estuario che comprendono la costruzione della rete sperimentale di Cannaregio e dell'isola della Giudecca (3.000 milioni), il completamento della rete del Cavallino (2.000 milioni), nonché l'avvio della costruzione della rete fognaria del Lido (4.000 milioni);
— 24.930 milioni di lire per le opere fognarie dell'area di Venezia terraferma, che comprendono il riassetto dei collettori per acque bianche e miste e dei collettori per acque nere per 13.430 milioni nonché la costruzione di collettori nella zona industriale di Marghera per 11.500 milioni;
— 12.900 milioni di lire per le opere fognarie dell'entroterra, che comprendono interventi a Mogliano (1.200 milioni), a Martellago (1.000 milioni), a Marcon-Quarto (500 milioni), a Chioggia (3200 milioni), nella zona del Mirese nord (6500 milioni), a Codevigo (500 milioni);
— 3.000 milioni di lire per il potenziamento dell'acquedotto comunale di Venezia, intervenendo sul suo potabilizzatore.
In questo quadro di assetto generale vanno poi visti gli interventi di cui al D.P.R. n. 962, laddove cioè si fa obbligo ai privati, imprese ed enti pubblici che scarichino rifiuti nelle fognature o nelle acque della laguna o nei corsi d'acqua che comunque si immettono nella laguna, di costruire, mantenere e gestire impianti di depurazione. Al riguardo una funzione di rilievo spetterà al “ Consorzio comunale per la costruzione, manutenzione e gestione di impianti per la depurazione delle acque del comprensorio di Porto Marghera ” costituito, ai sensi del quarto comma dell'articolo 9 della legge speciale n. 171/1973, con provvedimento del Consiglio regionale del 19 maggio 1977, che dovrà di norma gestire gli scarichi e gli impianti di depurazione riguardanti la zona Industriale di Porto Marghera che si propone appunto, tra l'altro, la costruzione, ristrutturazione, manutenzione e gestione di impianti ad uso consortile per la depurazione delle acque di rifiuto, provenienti dagli stabilimenti o da altri complessi produttivi ovvero da insediamenti urbani del comprensorio di Porto Marghera che scaricano nella laguna di Venezia.
A tal fine sarà utilizzato l'importo di 22 miliardi di lire previsto dalla legge speciale che comprende tuttavia anche i contributi per la trasformazione degli impianti termici ed industriali situati in Venezia insulare e nelle altre isole della laguna che utilizzino combustibili diversi dal metano, contributi però che sono stati solo parzialmente erogati, poiché l'adeguamento della rete di distribuzione del metano nonché l'esecuzione dei lavori di allacciamento hanno comportato tempi tecnici notevolmente superiori a quelli previsti dalla legge. Sempre in tema di disinquinamento atmosferico, sarà inoltre assicurata una costante attenzione al funzionamento del CRIAV (Comitato Regionale Inquina : mento Atmosferico del Veneto), che, pur avendo competenza nell'intero territorio regionale, ha nell'area di Porto Marghera un rilevante campo di azione.
3. Azione: Pianificazione del comprensorio
Con legge regionale n. 49 dell'8 settembre 1974 si è identificato l'ambito territoriale oggetto del piano comprensoriale, definiti i contenuti del piano stesso e fissati i criteri per la sua adozione e successiva approvazione. Poiché il piano comprensoriale dovrà essere recepito (a norma dell' art. 4 della legge n. 171/1973) nel Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, con le eventuali varianti che si rendessero necessarie, la sua redazione dovrà tener conto del presente Programma Regionale di Sviluppo e, in particolare, delle indicazioni di carattere territoriale in esso contenute.
E' peraltro evidente che, a norma della predetta legge, il piano comprensoriale veneziano resta il luogo di elaborazione della strategia complessiva per la salvaguardia e sviluppo di Venezia.
Ciò premesso e anche sulla base degli indirizzi governa-tivi, il piano quindi dovrà:
a) identificare il carico demografico da sostenere nell' area veneziana corrispondente all'incremento naturale della popolazione in essa eventualmente residente;
b) determinare la dimensione della base occupazionale necessaria a sostenere la predetta popolazione e la sua ripartizione settoriale tenendo conto dell'obiettivo-vincolo del mantenimento dell'attuale peso dell'occupazione industriale sul totale delle forze di lavoro del comprensorio;
c) identificare le attività produttive lagunari — con particolare riferimento a quelle portuali — necessarie per il sostegno occupazionale dell'area e compatibili con l'equilibrio idraulico ed ambientale della laguna di Venezia;
d) determinare l'entità e la distribuzione territoriale degli interventi necessari per adeguare il patrimonio residenziale dell'area all'incremento e alla distribuzione territoriale della popolazione prevista sub a);
e) determinare — tenuto conto delle indicazioni con-tenute in questo P.R.S. — le politiche dei trasporti e delle infrastrutture più opportune per aumentare l'accessibilità economica e civile dell'area veneziana;
f) chiarire il ruolo culturale, produttivo e sociale da riservare al Centro storico di Venezia come centro del più ampio sistema urbano veneziano.
I risultati della elaborazione di piano dovranno tradursi nei programmi di intervento settoriale previsti dall'alt. 12 della legge regionale n. 49/1974 , nei confronti dei quali si conferma l'impegno a contribuire a creare le condizioni istituzionali, tecniche, legislative e finanziarie che ne garantiscano una efficace attuazione.

FINALITÀ': SICUREZZA SOCIALE

Le influenze reciproche dei fattori appartenenti all'ambiente bio-fisico e all'ambiente economico e sociale sullo stato di benessere delle persone e delle comunità comportano l'esigenza dell'integrazione dei servizi sociali e sanitari nella politica generale di sviluppo economico e di assetto istituzionale, organizzativo e territoriale e della loro connessione con le politiche settoriali di sviluppo. Rispondere a queste esigenze significa quindi, nell'ambito delle norme nazionali, proporsi di:
— coordinare l'intervento sanitario e assistenziale con gli interventi negli altri settori economici, sociali e di organizzazione del territorio;
— assicurare condizioni e garanzie di salute per quanto attiene: ai provvedimenti atti ad evitare l'inquinamento dell' atmosfera, delle acque e del suolo, all'igiene e alla sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro; alla tutela igienica degli alimenti e delle bevande.
Per quanto concerne gli interventi di carattere più strettamente sanitario ed assistenziale, si deve precisare come la tutela della salute richieda lo svolgimento di compiti di educazione, prevenzione, diagnosi e cura, riabilitazione e assistenza della persona fra loro strettamente interconnessi, ciascuno modificando il modo e la necessità di espletamento degli altri.
A questa visione integrata del bisogno va contrapposto un sistema di strutture sanitarie e assistenziali in grado di fornire un complesso integrato di servizi decentrati sul territorio dove la gente vive e lavora, organizzati in funzione dei bisogni mutevoli di tutti i cittadini, secondo fasce di età, gruppi sociali, tipo di comunità locali cui corrispondono esigenze particolari e diverse.
La tutela della salute fisica e mentale del cittadino va quindi perseguita prevenendo prima, curando poi, riabilitando, assistendo in modo da lasciare l'individuo il più a lungo possibile inserito nel proprio ambiente familiare, sociale e di lavoro; da privarlo di tale situazione solo nei casi e per i periodi strettamente richiesti da esigenze diagnostiche e curative non altrimenti realizzabili; da restituirlo il più rapidamente possibile al proprio ambiente eventualmente proseguendo l'intervento socio-sanitario con altri momenti curativi ed assistenziali, necessari per garantire accettabili condizioni di vita, in particolare per gli anziani, gli handicappati e i disadattati e per coloro che soffrono di disturbi mentali.
In questo senso viene ampiamente recepito il concetto di “ deospedalizzazione ”, inteso come rifiuto di assegnare istituzionalmente all'ospedale tutte le funzioni proprie del sistema sanitario.
Questa cornice riformatrice comporta decisioni coerenti a livello di programmazione organizzazione e gestione dei servizi socio-sanitari, volti ad una trasformazione del sistema verso una migliore efficienza globale intesa come rapporto tra qualità del servizio offerto e suo costo. Questi obiettivi devono però essere conseguiti tenendo conto della imprescindibile esigenza di perseguire una politica di contenimento e di riqualificazione della spesa che privilegi gli interventi preventivi e territoriali, che deve assumere il significato di una lotta agli sprechi e di un indirizzo a distribuire le risorse al complesso dei servizi che devono essere offerti. Particolare attenzione va quindi dedicata ad un più efficiente uso delle strutture ospedaliere ed extraospedaliere in modo da liberare, soprattutto attraverso il ridimensionamento e la programmazione della rete ospedaliera sulla base di criteri e parametri obiettivi e rigorosi, la riduzione della spedalità e quindi della spesa ospedaliera, le risorse necessarie a promuovere la diffusione nel territorio di efficaci strumenti di intervento socio-sanitario.
Va anche sottolineato che i provvedimenti legislativi regionali vigenti in tema di sicurezza sociale necessitano di un momento di coordinamento con i provvedimenti da adottare in conseguenza del trasferimento alle Regioni delle competenze degli enti mutualistici (legge 349), delle competenze e possibilità offerte dal D.P.R. 616/1977 attuativo della legge 382/75 e della legge di Riforma sanitaria nazionale per la quale si sta accelerando l'iter di approvazione. La non definitiva e completa situazione del quadro legislativo nazionale comporta infatti la possibilità di ulteriori sviluppi ed integrazioni, per cui in questa sede vanno formulati degli indirizzi sulla base dei quali dovranno svilupparsi le molteplici azioni rese necessarie dagli obiettivi che si vogliono raggiungere e che potranno essere precisate ed esplicitate via via che si definisce in tutti i suoi contorni il complesso assetto legislativo nazionale in tema di sicurezza sociale.
In proposito, si ribadiscono i seguenti indirizzi:
1. accentuazione del momento preventivo rispetto a quello riparativo (cura e riabilitazione);
2. le strutture erogatrici degli interventi sia preventivi che curativi e riabilitativi devono avere competenza globale;
3. gli interventi sia nel campo sanitario che in quello della assistenza sociale debbono essere praticati da organismi più prossimi possibile all'utente;
4. i servizi ospedalieri ed extraospedalieri fanno capo all'unità sanitaria locale e si strutturano in un sistema integrato ed articolato su base territoriale e funzionale;
5. il miglioramento del livello dei servizi socio-sanitari si persegue attraverso la razionalizzazione e l'integrazione delle strutture ricercando le soluzioni idonee a garantirne una efficiente gestione;
6. nelle more della riforma sanitaria, che supera positivamente il problema della molteplicità degli enti inglobandoli nella unità sanitaria locale, per gli enti socio-sanitari che in ambiti territoriali limitrofi svolgono le stesse funzioni, o funzioni integrabili, si procederà ad una loro graduale fusione in modo da facilitare la ristrutturazione dei servizi ed anticipare la riforma stessa;
7. nella enucleazione delle diverse azioni si terranno in particolare considerazione le esigenze primarie della ricerca scientifica e della preparazione professionale degli operatori socio-sanitari;
8. gli interventi saranno graduati secondo criteri di priorità e nel rispetto della compatibilità economico-finanziaria.
Va ancora sottolineato che rimangono aperti alcuni problemi, specie di carattere istituzionale, il più importante dei quali è certamente quello che riguarda l'ambito territoriale dell'attività di ciascuna unità sanitaria locale. La legge di riforma sanitaria approvata dal Parlamento istituendo all' art. 11 le Unità Sanitarie Locali e definendo le loro caratteristiche istituzionali all'ari. 15, potrebbe anche condurre ad una articolazione territoriale e organizzativa diversa da quella adottata dalla Regione con le L.R. n. 64/1975 e n. 80/1975: non vengono però modificati in ogni caso dalla legge nazionale gli obiettivi e le priorità che la Regione si da con questo piano.
Nel riconfermare la validità delle scelte comprensoriali, nel rispetto delle leggi nazionali, indipendentemente dalla soluzione istituzionale che sarà approvata, vengono ribadite le esigenze irrinunciabili a cui dovrà sottostare la scelta dell'ambito territoriale di intervento dell'unità sanitaria locale:
— rispetto dei criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dei servizi da fornire ai cittadini;
— gestione dei servizi in stretto collegamento con l' utenza;
— tutela delle particolari esigenze delle comunità montane e garanzia di una uniforme distribuzione sul territorio dei servizi salutari ed assistenziali idi base;
— articolazione delle strutture per consentire, da un lato un conveniente sfruttamento, dall'altro una integrazione fra servizi di diverso livello.
Un secondo ordine di problemi che rimane aperto è quello connesso al passaggio delle competenze degli enti mutualistici. Anche per questo aspetto vanno comunque garantiti il rispetto dei principi cui si uniforma l'azione regionale.
La Regione è impegnata a dare sollecita attuazione a tutti i provvedimenti di sua competenza relativi alla applicazione della convenzione unica, allo scioglimento degli enti mutualistici, applicando tempestivamente le direttive emanate dal Comitato centrale per lo scioglimento degli enti mutualistici facendo dei consorzi socio-sanitari i reali protagonisti dei processi di formazione e di attuazione delle decisioni.
Un terzo problema, quello riguardante l'assistenza psichiatrica, rimasto aperto sino a pochi mesi or sono, è stato definito dalla legge 17 maggio 1978, n. 180.
Ribadita la preminenza dell'attività psichiatrica territoriale su quella degenziale, la nuova normativa limita drasticamente i posti letto ospedalieri destinati ai malati di mente, come già era stato delineato dalla Quinta Commissione Consiliare veneta, nel noto documento del dicembre 1977.
Riaffermata per la psichiatria l'intrinseca natura di specialità medica, pur con profonde connessioni ed implicazioni socio-ambientali, il momento ospedaliero — inevitabile in alcune situazioni — è stato ricondotto a fatto di eccezione, nei confronti di una attività che “ di norma ” deve svol-gersi sul territorio.
I posti letto ospedalieri dovranno essere estremamente ridotti ed inseriti nelle strutture normali di ricovero degli ospedali generali, secondo le modalità previste dalla legge di riforma.
L'attuazione di tale programma implica l'utilizzazione di strutture integrative socio-assistenziali, di appoggio, anche di carattere residenziale e comunitario, che vanno realizzate in funzione delle effettive esigenze sociali delle singole aree di servizio. Tali interventi, peraltro, non possono rientrare nell'ambito dell'assistenza ospedaliera, ma vanno ricondotti alla competenza istituzionale dei consorzi socio-sanitari.
Si dovrà comunque garantire l'integrazione dei servizi relativi all'igiene mentale e all'assistenza psichiatrica nel più vasto contesto dei servizi socio sanitari, trasferendone quanto prima la gestione ai consorzi socio sanitari.
Per garantire un più elevato livello di sicurezza sociale ai cittadini, vengono quindi enucleati due obiettivi, il primo riferito alla ristrutturazione del servizio ospedaliero, il secondo all'integrazione e sviluppo dei servizi sociali e sanitari extraospedalieri, nel contesto di uno strumento generale e unitario che la legge di riforma sanitaria identifica nel piano sanitario regionale da definire da parte della Regione entro il 30 giugno 1979.

Obiettivo: Ristrutturazione del servizio ospedaliero
Per quanto concerne questo importante settore dell'intervento sanitario, la Giunta regionale anticipando i tempi delle riforme nazionali ha predisposto, fin dal giugno '76, una proposta di piano regionale ospedaliero che risulta in larga parte in linea con gli indirizzi ora enunciati e che va inserito armonicamente nel più vasto contesto del piano della sicurezza sociale, recependone gli obiettivi, il quadro generale di riferimento e le premesse istituzionali (Unità Sanitarie Locali).
In questa sede si precisa che il piano ospedaliero e poliambulatoriale dovrà definire, fra l'altro, gli indici di piano per le singole funzioni ospedaliere, e quindi le strutture divisionali, e la localizzazione delle strutture specialistiche.
All'interno dei singoli comprensori, la localizzazione delle strutture sarà definita di concerto con gli organi di gestione (Unità Sanitarie Locali).
Le azioni di ristrutturazione della rete ospedaliera dovranno comunque garantire la presenza, nelle sedi in cui si rendesse necessario sopprimere degli stabilimenti, di un efficace servizio di guardia medica e di servizi per lo svolgimento di funzioni poliambulatoriali a carattere specialistico.
Il piano di ristrutturazione degli ospedali e dei poliambulatori diviene parte integrante di questo programma, con particolare riguardo ai collegamenti con gli altri aspetti e le altre strutture dell'intervento socio-sanitario in modo da realizzare quella unitarietà e globalità di interventi che il sistema della sicurezza sociale richiede.
Si richiamano inoltre i principali problemi e obiettivi del Piano Ospedaliero e Poliambulatoriale — presentato dalla Giunta reg.le nel 1976 e riformato nel 1978 — che pur tuttavia dovrà essere adeguato e correlato in rapporto all' attuazione della Riforma, alle modificazioni anche istituzionali che essa introduce, all'esigenza di collegare — in un organico processo riformatore — la programmazione ospedaliera e poliambulatoriale per la costruzione di un nuovo assetto socio-sanitario.
L'attuale situazione della spedalità pubblica nel Veneto (31-12-1976) può così essere rapidamente sintetizzata:

Ospedali
pubblici
Ospedali psichiatrici
Posti letto


- totale
45.100
10.500
- per 1.000 abitanti
10,5
2,4



Personale dipendente


- totale
43.000
4.000
- per 1.000 abitanti
10,0
0,9



Ricoveri


- totale
850.000
----
- per 1.000 abitanti
197,7
----



Giornate di degenza


- totale
12.000.000
----
- media per ricovero
14,1
----


Per avere un quadro completo della situazione ospedaliera, ai valori indicati si devono aggiungere circa 5.900 posti letto privati 80.000 ricoveri e 1.500.000 giornate di degenza.
Rispetto agli anni immediatamente precedenti (1974-75) si è assistito ad un ulteriore incremento dei ricoveri — che peraltro ha registrato una lieve ma significativa inversione di tendenza nel 1977 — ad un contenuto incremento dei dipendenti, ad una leggera flessione della degenza media e dei posti letto.
Gli indici più significativi, in particolare il numero dei ricoveri ed il personale ospedaliero per mille abitanti, pongono il Veneto notevolmente al di sopra della media nazionale, analogamente a quanto avviene per la disponibilità di strutture ospedaliere (anche se espressa da un indice piuttosto discutibile, posti letto per mille abitanti) per le quali la regione appare, tenendo conto dell'apporto delle strutture, private, anche sensibilmente più dotata di paesi quali la Francia, l'Inghilterra, la Germania Federale e gli Stati Uniti.
Questa constatazione porta necessariamente ad un sensibile ridimensionamento della rete ospedaliera regionale che permetta di colmare il grave deficit finanziario degli enti ospedalieri che costituisce uno degli obiettivi della programmazione ospedaliera, ad una profonda revisione del ruolo dell'ospedale e delle sue integrazioni sul territorio. Si deve pertanto operare per la “ deospedalizzazione ” come modo di concepire ed organizzare l'assistenza, utilizzando tuttavia l'ospedale come il più sperimentato presidio sanitario per tutto quanto esso può offrire in termini di strutture e competenze.
In questa ottica il ruolo dell'ospedale va trasformato da centro sanitario omnicomprensivo a strumento operativo della U.S.L. dotato di rilevante investimento clinico e strumentale.
Nella rete sanitaria territoriale le strutture devono assumere il ruolo di qualificato organismo di appello per la medicina di base, non solo a livello degenziale, ma anche nel settore della diagnostica più specializzata, nonché della funzione riabilitativa.
L'elevato numero di ricoveri è certamente imputabile alla mancanza di una valida funzione di filtro che ponga un freno allo indiscriminato ricorso all'urgenza ed al ricovero ingiustificato. L'ospedale subisce una pressione che non è in grado di arginare, che è originata dalla fiducia del malato nell'intervento ospedaliero piuttosto che nella cura extra-ospedaliera, dalla scarsa organizzazione e responsabilizzazione delle strutture che fanno capo alla medicina di base e infine dalla funzione di supplenza che è chiamato spesso a svolgere dalla mancanza di idonee strutture di recupero funzionale e di assistenza, in particolare agli anziani.
Per rimuovere queste cause ed elevare il livello di servizio delle strutture ospedaliere si individuano i seguenti interventi.
Creazione di strutture intra ed extra ospedaliere
I “ lungoassistiti ” e quella categoria di soggetti di incerta “ collocazione ”, comunemente denominati “ cronici ”, dovranno trovare accoglimento in ambiente extraospedaliero, pur dotato di adeguate strutture assistenziali, o addirittura a domicilio, quando le condizioni del paziente e quelle socio-economiche della famiglia lo consentano. Il ricovero ospedaliere dovrà essere limitato, per questi soggetti, agli inevitabili periodi di riacutizzazione della malattia non altrimenti dominabili.
La promozione della spedalizzazione diurna potrà consentire anzitutto la dimissione precoce del degente, ed in molti casi evitare addirittura il suo internamento in ospedale. La spedalizzazione diurna esplica inoltre positivi effetti psicologici sul malato conseguenti al suo anticipato rientro in famiglia — che rimane coinvolta nel suo recupero — ed alla possibilità di riprendere sollecitamente la vita di relazione e di contatti con l'ambiente.
La progressiva realizzazione nella regione di tali nuove strutture è subordinata alla contemporanea chiusura e riconversione di ospedali o reparti che il piano ospedaliere e poliambulatoriale reputa eccedenti.
Potenziamento dei servizi diagnostici
In una pianificazione ospedaliera, è necessario distribuire questi servizi in modo che tutta la gamma di competenze e tecnologie necessarie sia disponibile per gli utenti, evitando tuttavia costose duplicazioni e sottoutilizzazioni di impianti e di organici, che potrebbero essere determinate da una eccessiva capillarizzazione dei servizi di più raffinata specializzazione.
Ciò esige che:
a) i compiti dei laboratori ospedalieri siano ripartiti in modo che il loro livello operativo sia commisurato al fabbisogno dell'area servita dall'ospedale ed al livello funzionale dell'ospedale stesso;
b) nel pianificare la distribuzione dei servizi diagnostici si tenga conto delle altre strutture che nel territorio svolgono funzioni analoghe o complementari;
e) per il pieno impiego delle apparecchiature e l'incremento di attività delle strutture esistenti, laddove esse siano insufficienti, si studino sistemi per aumentarne la produttività, eventualmente adottando diversi ritmi di lavoro o altri accorgimenti che abbiano di mira il contenimento dei costi.
L'insieme di queste azioni va realizzato attraverso il meccanismo delle fusioni, delle chiusure o trasformazioni di reparti o stabilimenti secondo la tempizzazione prevista dal piano ospedaliere.
La ristrutturazione sarà inoltre resa possibile da una maggiore mobilità del personale all'interno del sistema sanitario regionale e da un non completo rimpiazzo del normale turnover (che si aggira mediamente in quasi il 5% circa del personale complessivo), soprattutto del personale amministrativo e di quello addetto ai servizi generali.
Per parte di questo personale va invece promossa una riconversione; va comunque garantito un potenziamento del personale sanitario e tecnico.
Infine, per i servizi generali ed amministrativi dell'ospedale si devono ricercare, anche attraverso lo strumento associativo, più efficienti soluzioni.
Con questi interventi, la Regione si propone di ridurre, nel periodo di attuazione del piano ospedaliero e poliambulatoriale, dopo la sua approvazione da parte del Consiglio regionale, il numero dei posti letto per le strutture pubbliche, compresa la psichiatria, dagli attuali 53.900 a 36.600, mentre dei 4.000 posti letto delle case di cura private ne verranno convenzionati nel 1978 2.400 con possibilità di ulteriori lievi riduzioni, negli anni successivi. Per gli addetti alle strutture ospedaliere pubbliche, il loro numero dovrà es-sere ridotto da 47.000 a circa 42.000 (dei quali 38.000 degli ospedali generali).
Questi obiettivi generali trovano ovviamente esplicazione e dettaglio nel piano ospedaliero e poliambulatoriale. Comunque le altre indicazioni emerse in sede di discussione della proposta per la approvazione definitiva del PRS consentiranno di definire più compiutamente il piano stesso, il cui stato di attuazione, una volta approvato, sarà oggetto di una relazione al Consiglio presentata annualmente d Giunta in occasione della presentazione del bilancio.

Obiettivo: Integrazione e sviluppo dei servizi socio-sanitari extraospedalieri
E' in questo settore che la Riforma sanitaria e le altre norme di decentramento delle strutture e dei servizi assistenziali produrranno, nei prossimi anni, le più consistenti modifiche. In particolare, i provvedimenti di completamento e di attuazione della legge 349 e la creazione delle Unità Sanitarie Locali, modificheranno sostanzialmente l'attuale assetto dei servizi relativi alla medicina di base. A tale proposito occorre precisare che tutta la gestione della materia sanitaria e dell'assistenza dovrà essere concentrata nei Consorzi socio-sanitari.
Per quanto attiene a tali aspetti, tuttavia, pur riconoscendo che la materia è in fase di definizione in sede nazionale, vanno precisate le seguenti linee di indirizzo, che costituiscono un preciso impegno regionale.
Per la medicina di base la Regione fisserà degli standards attuativi tenendo conto che l'area di intervento sarà il distretto, che dovrà essere garantita una dotazione adeguata, in relazione all'utenza, di medici generici e pediatrici, e che dovrà essere attuata su tutto il territorio regionale la guardia medica.
Questi interventi si dimostreranno efficaci, oltre che nella riscoperta del ruolo imprescindibile del “ medico di famiglia ”, se saranno integrati da una rete poliambulatoriale che svolga anche funzioni specialistiche e che sia strutturata il più possibile su base distrettuale.
Per le prestazioni specialistiche di più alto livello, o che richiedono investimenti tecnologici rilevanti (laboratori di analisi, radiologie, ecc.), si dovrà provvedere su base consortile.
Sia per i medici generici, sia per quelli specialistici che verranno a comporre la struttura sanitaria extraospedaliera vanno previste, con opportune sostituzioni, periodi di aggiornamento nelle nuove tecniche diagnostiche e curative da svolgersi presso la struttura ospedaliera.
Prioritaria attenzione sarà destinata alla prevenzione dagli inquinamenti, alla tutela igienica degli ambienti e delle bevande, all'igiene e alla sicurezza in ambienti di vita e di lavoro.
A questo proposito, la Regione si impegna a definire, sulla base del lavoro svolto dalla Commissione Interregionale, una legge quadro sull'igiene ambientale e del lavoro che permetta alle Unità Sanitarie Locali di attuare un rigoroso controllo dell'ambiente, mediante la gestione diretta di funzioni e competenze trasferite alle Regioni e agli altri enti locali dal D.PJR.. 616 e riorganizzate dalla riforma sanitaria.
Le azioni in tema di assistenza che qui vengono enucleate consistono essenzialmente nella indicazione e previsione dei mezzi legislativi, dei finanziamenti e delle risorse per il raggiungimento dell'obiettivo di organizzazione istituzionale e operativa dei servizi, che, in modo specifico, sono diretti alla promozione dello sviluppo individuale e sociale e alla rimozione delle cause di difficoltà.
1. Azione: Tutela, della, maternità, e asili-nido
Nella more di un riordino della materia assistenziale si darà piena attuazione, attraverso i Consorzi socio-sanitari, alle leggi regionali 57/1975 e 28/1977 per le rispettive parti che riguardano la lotta alle cause della mortalità perinatale e infantile e la lotta alle cause portatrici di handicap.
La Giunta Regionale è inoltre impegnata a presentare un disegno di legge sul riordino dei servizi che riguardano l'assistenza alla maternità, all'infanzia e all'età evolutiva, al fine di offrire ai Consorzi socio-sanitari un quadro di riferimento preciso in questo delicato settore della prevenzione.
Per quanto concerne i consultori previsti dalla legge regionale n. 28/1977 , per i quali si sta completando il piano di localizzazione e di finanziamento, l'impegno è di dotare, entro il 1979, di questo importante servizio tutti i Consorzi socio-sanitari della Regione, con equipe integrate nelle aree vaste.
Per gli asili-nido i progetti attualmente in esecuzione ( legge regionale n. 7/1973 ) prevedono la costruzione di 115 asili-nido per un totale di circa 5000 posti disponibili. Aggiungendo a questi gli asili-nido comunali (attualmente 11) e gli ex OMNI (34), la regione verrà a disporre per il 1980 di circa 6.600 posti.
Tenendo conto del rilevante onere connesso con l'erogazione di tale servizio, l'impegno è di continuare ed incrementare nel triennio l'erogazione dei contributi per la loro gestione e, in relazione anche al rifinanziamento della legge statale 1044, di predisporre un piano di localizzazione e di finanziamento di nuovi asili-nido in modo da distribuirli più equamente sul territorio. A tal fine si stanziano 1.000 milioni per l'anno 1979 e 1200 milioni per il 1980.
2. Azione: Recupero dei disadattati sociali e degli handi-cappati
Nell'applicazione della legge regionale n. 57/1975 , l'azione regionale, sempre attraverso la gestione da parte dei Consorzi socio-sanitari, è diretta:
— alla prevenzione delle minorazioni fisiche e psichiche che ha inizio nella fase preconcezionale e prenatale. A questo ime concorrono anche i consultori familiari previsti dalla legge regionale n. 28/1977 ;
— al controllo costante della salute dei minori, anche attraverso la medicina prescolastica e scolastica;
— alla tutela della salute nei luoghi di lavoro;
— al recupero dei soggetti portatori di tare alla nascita;
— alla riabilitazione con mantenimento dell'handicappato nel proprio ambiente familiare e sociale, con la promozione e la creazione di servizi volti alla deistituzionalizzazione, quali centri diurni, focolari, assistenza domiciliare e ambulatoriale, sostegno economico;
— alla riabilitazione socio-educativa mediante l'inserimento dell'handicappato nella scuola normale che, a tal fine, deve essere dotata di adeguati mezzi e collegata con i servizi sociali e sanitari del territorio;
— alla formazione professionale mediante corsi con conseguente inserimento nel mondo del lavoro.
In particolare, la Regione dovrà intervenire per la ristrutturazione e la riqualificazione dell'attività degli istituti per minori handicappati che, seppure sufficienti sotto il profilo quantitativo, sono certamente carenti sotto il profilo qualitativo e dei servizi erogati. Per tali interventi si procederà entro breve tempo alla predisposizione di un piano settoriale.
3. Azione: Assistenza, alle persone anziane
Tale azione, anche in coerenza e in applicazione della legge regionale n. 72/1975 , è volta:
— a prevenire, sia sul piano sociale sia su quello sanitario, la emarginazione dell'anziano derivante da cause fisiche o da inadeguatezza economica e abitativa, o dal concorso di esse;
— a favorire la partecipazione attiva dell'anziano alla vita sociale;
— alla creazione, quindi, di quei servizi volti alla deistituzionalizzazione e al mantenimento dell'anziano nel suo am-biente familiare: l'assistenza abitativa e l'assistenza economica.
Per il prossimo triennio l'azione si indirizzerà al potenziamento da un lato dei servizi di assistenza aperta al fine di perseguire in modo più efficace l'obiettivo del mantenimento dell'anziano nel suo ambiente familiare, dall'altro dei servizi residenziali.
Per i servizi residenziali, l'attuale offerta veneta di ospitalità agli anziani, pari a circa 20.000 posti letto, risulta concentrata prevalentemente nell'area centrale della regione e nella fascia pedemontana ed è composta, almeno in parte da strutture non del tutto idonee. Ciò determina una quota di posti letto non utilizzati stimabile mediamente in un 10% e la contemporanea presenza di un numero elevato di domande inevase.
L'azione regionale si concreterà quindi in un duplice intervento:
— graduale ristrutturazione delle case di riposo esistenti in modo da elevare il livello di servizio offerto agli ospiti anziani;
— istituzione di nuovi servizi residenziali di tipo comunitario secondo le esigenze locali e sulla base di un piano che consenta di riequilibrare territorialmente l'offerta.
Per il triennio 1978-80, si stanziano:
— per la ristrutturazione delle case di riposo esistenti lire 2.800 milioni;
— per il piano dei nuovi servizi residenziali di tipo comunitario lire 2500 milioni.

FINALITÀ': SERVIZI FORMATIVI E DIRITTO ALLO STUDIO
La formazione individuale e sociale della comunità veneta può realizzarsi solo attraverso un sistema capace di soddisfare le esigenze culturali e professionali di ciascun individuo, nel quadro di una reale parità di condizioni culturali e professionali. Tali esigenze costituiscono una entità dinamica, continuamente rinnovantesi nei propri contenuti e nelle proprie linee di tendenza, che fanno comunque salvo il pluralismo ideologico, sia come libertà di scelta, che come possibilità di realizzare liberamente le proprie scelte. Nel quadro di tale finalità generale si inseriscono quindi i due obiettivi diretti all'attività formativa ed al diritto allo studio.

Obiettivo: Qualificazione dell'attività formativa
I servizi formativi sono aperti a tutte le componenti del mondo del lavoro: non solo ogni comparto produttivo ne è interessato, ma ogni lavoratore ne diviene potenziale utente. Nel rapporto tra offerta e domanda di lavoro, i servizi formativi devono qualificare, aggiornare, perfezionare e riqualificare l'offerta ed in particolare essi devono rispondere a tre “ domande ”. La prima, deriva dalla necessità di un raccordo più organico tra la scuola ed il mercato del lavoro; la seconda deriva dall'esigenza di aggiornamento, di perfezionamento e di riqualificazione dei lavoratori già occupati; la terza, infine, deriva dall'esigenza (ridotta rispetto alle prime due, ma pur sempre presente) di azioni di formazione permanente e di acculturamento nei confronti di quanti abbisognano di integrazione, senza con ciò escludere una funzione complementare rispetto a quanti non hanno concluso la scuola dell'obbligo.
Principi informatori e strutture portanti dell'intero sistema formativo veneto rimangono: il pluralismo ideologico operativo; la libertà di insegnamento; la partecipazione.
Pluralismo ideologico operativo significa pluralità di soggetti (pubblici e privati), pluralità di proposte formative, pluralità di realizzazioni. Libertà di insegnamento significa non solo esercizio di un diritto fondamentale personale e soggettivo, ma anche libertà per i soggetti che fanno formazione. Partecipazione, infine, è pluralità di presenze e possibilità di espressione concreta ed incisiva di queste presenze.
1. Azione: Costituzione “ Osservatoriopermanente del mercato del lavoro
La costituzione di un “ Osservatorio ” permanente del mercato del lavoro e delle professioni, è una “ azione ” di fondamentale importanza. Rappresenta non solo un fatto di natura tecnica: questo aspetto si attaglia all'impostazione, alla rilevazione ed alla lettura dei dati che, con periodico aggiornamento, l'“ Osservatorio ” andrà a fornire. L'“ Osservatorio ” costituisce uno strumento per la programmazione di una politica del lavoro, da cui dedurre quella serie di indicazioni atte a promuovere interventi formativi commisurati, qualitativamente e quantitativamente, alle esigenze della occupazione e quanto anche serve ad individuare forme di gestione della formazione e/o dell'occupazione.
2. Azione: L'attività -formativa
La Regione del Veneto, ispirandosi ai principi statutari della programmazione e della partecipazione, regola l'attività di formazione professionale per attuare un servizio pubblico teso a realizzare lo sviluppo della personalità e delle capacità tecniche-professionali dei cittadini che abbiano assolto l'obbligo scolastico o ne siano stati prosciolti. Tale servizio favorisce la politica attiva dell'occupazione che rende effettivo il diritto al lavoro e alla libera scelta della professione, e favorisce altresì la mobilità professionale dei lavoratori. Il raggiungimento di detti obiettivi va perseguito nell'ambito delle esigenze del Piano Regionale di Sviluppo e degli indirizzi espressi dallo Stato e dalla Comunità economica Europea. Il servizio è realizzato mediante un unico programma per l'utilizzo di tutte le risorse del settore. La formazione professionale si attua, nell'ambito del quadro programmatorio degli interventi che realizza la funzione pubblica del servizio, nel rispetto della diversità delle proposte e iniziative formative, con la partecipazione delle forze sociali e culturali interessate e in armonia con le attività scolastiche. L'azione è diretta in particolare alla cosiddetta prima formazione, è cioè rivolta ai giovani che hanno assolto all'obbligo scolastico.
Non si tratta di intervento di supplenza, né di intervento succedaneo; i dati raccolti confermano che è necessario subordinare indirizzi, qualificazioni e programmi alla dinamica occupazionale, ma confermano anche che puntare sulle attività di prima formazione corrisponde a soddisfare, in questo momento, reali bisogni. Altro potrà essere il programma una volta che sia dato di conoscere i contenuti della legge di riforma della scuola media superiore.
Il piano di formazione professionale 1977/78 approvato dal Consiglio regionale alla luce di tali criteri, ha in sé le premesse per l'avvio di una migliore qualificazione dell'attività formativa regionale e per una sua saldatura ad un organico disegno formativo pluriennale, che potrà articolarsi in una serie di piani-stralcio di durata annuale, che non saranno però una derivazione puramente meccanica del primo, ma consentiranno al loro interno dei margini di flessibilità e di adattabilità alle situazioni ed alle realtà in movimento.
In questa ottica, l'attività formativa dovrà ispirarsi ad un contenimento degli attuali livelli di spesa, sempre più qualificata in termini produttivi.
I margini di flessibilità previsti nel piano di formazione sono anche destinati a far fronte ai problemi connessi alla mobilità del lavoro ed ai programmi di ristrutturazione e di riconversione aziendale, mantenendo adeguati spazi alle iniziative ed agli adempimenti conseguenti all'attuazione della normativa vigente in materia di occupazione giovanile, quale risulta dopo l'entrata in vigore della legge 479/1978.
Per quanto riguarda il programma triennale transitorio approvato congiuntamente con il piano formativo 1978/79 si rende necessario un attento controllo e rispetto del contenuto e delle scadenze per portare avanti il processo programmatorio previsto dalla legge regionale.
Le risorse finanziarie destinate alla formazione professionale nell'ambito del primo stralcio e iscritte in bilancio 1978 per circa 14 miliardi di lire, riguardano in larga misura il settore secondario, circa 8,5 miliardi, e quello del commercio e dei servizi, oltre 2 miliardi, per i quali vengono previsti corsi di tipo modulare per fasce di qualificazione; circa 1,5 miliardi è destinato all'agricoltura ed oltre 13 miliardi ai servizi formativi in favore degli invalidi civili e delle categorie assimilate. A tale importo vanno aggiunti 5 miliardi di lire per coprire il primo periodo relativo al 1978 della formazione professionale 1978/79.
Nel quadro di tale azione rientrano le attività di orientamento professionale che sono state acquisite alla competenza regionale e che saranno curate in sintonia con quelle di orientamento scolastico affidate alla competenza dei distretti scolastici. Troveranno altresì spazio le attività connesse alle ragioni che hanno determinato la costituzione dell'ISAPREL, di cui alla legge regionale n. 28/1974 , nonché quelle delle Scuole Superiori di Servizio Sociale di alcune province venete.
Quanto all'intervento straordinario conseguente ai provvedimenti per l'occupazione giovanile di cui alla legge 1 giugno 1977, n. 285, saranno predisposti programmi regionali al cui interno saranno definiti — rispetto alla domanda, quale si andrà configurando per qualità, per quantità e per dislocazione territoriale — gli opportuni servizi formativi.

Obiettivo: Diritto all'istruzione
L'obiettivo fondamentale per una istruzione moderna-mente intesa, è quello di consentire un processo generalizzato di trasmissione critica e di costruzione della cultura, quale condizione di eguaglianza e promozione umana.
I contenuti di questa attività sono dinamici, nel senso che si rinnovano continuamente, anche nelle loro linee di tendenza. Anche questo obiettivo si richiama ovviamente ai principi del pluralismo ideologico operativo, alla libertà di insegnamento ed alla partecipazione, ed il richiamo in questa sede non è formulato per mera assimilazione formale a quanto esposto in ordine alla qualificazione dei servizi formativi.
1. Azione: Assistenza scolastica
Per assistenza scolastica è da intendersi l'insieme degli strumenti che consentono di offrire alla popolazione regionale una reale condizione di parità che dia modo a tutti coloro che siano capaci e meritevoli, anche se privi o carenti di mezzi economici, di raggiungere le stesse mete culturali e civili. Ciò si realizza mediante un progressivo adattamento alle strutture, dei servizi — individuali e collettivi — e delle attività che attualmente assicurano erogazioni e provvidenze in denaro alle esigenze, in costante evoluzione, della collettività veneta.
La Regione, in questa materia, riconosce il ruolo degli Enti Locali nella realizzazione del diritto allo studio e in tal senso sin dal 1974 ( L.R. n. 38/1974 ) ai Comuni è stata delegata l'attività di assistenza scolastica; il D.P.R. 616 prescrive che le strutture ed i servizi dell'assistenza scolastica siano di competenza comunale, fatta salva la funzione programmatoria regionale. Pertanto, la distribuzione dei fondi avverrà per distretto scolastico secondo criteri di equilibrio territoriale; al Comune sarà riservato il ruolo di provvedere alla programmazione dei servizi relativamente al proprio territorio e di provvedere alla gestione dei relativi servizi; ai distretti scolastici spetterà di formulare alla Regione le proposte dei servizi necessari per il proprio territorio e di manifestare il proprio parere sui programmi dei Comuni del proprio distretto, oltre che eventualmente gestire i servizi che i Comuni intendessero loro affidare.
Anche nel settore universitario saranno predisposti strumenti e mezzi che consentano la prosecuzione dell'attività di assistenza scolastica. Al riguardo sarà attuato il disposto del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emanato in attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 382, là dove si trasferiscono alla Regione le funzioni amministrative esercitate dallo Stato in materia di assistenza scolastica a favore degli studenti universitari. Questo trasferimento, anche se avviene nel contesto attuativo della legge di riforma dell'ordinamento universitario, e, in mancanza, decorrerà dall'1 novembre 1979, costituisce un impegno a curare un sostanziale raccordo tra attività assistenziale svolta a livello scolastico e attività svolte e da svolgere a livello universitario.
Il rapporto con l'Università va inoltre collocato nel quadro del coordinamento e della valorizzazione della ricerca scientifica teorica e applicata allo scopo di finalizzarla in modo sintetico ed efficiente al sostegno della iniziativa pubblica. Sempre in materia di Università sarà formulato il parere che la Regione è chiamata ad esprimere sulla collocazione di nuove sedi universitarie e sui corsi di laurea ritenuti particolarmente utili ai fini dello sviluppo regionale, mentre analogo parere sarà formulato in ordine all'istituzione di scuole statali materne, elementari e secondarie.
Quanto all'edilizia scolastica, si procederà alla ripartizione dei fondi del programma triennale 1978-80, di cui alla legge n. 412/1975 per un ammontare di 62 miliardi di lire, secondo criteri basati sull'analisi degli indici di carenza qualitativa e quantitativa in ciascun comprensorio distintamente per tipo di scuola nonché in ordine al completamento delle opere già finanziate con il precedente programma triennale, per un importo di oltre 43 miliardi di lire.
2. Azione: Cultura e informazione
Complementare alla precedente è l'azione rivolta ad avviare una politica di promozione culturale, intesa a favorire la possibilità da parte di tutta la collettività regionale di fruire di quei centri culturali che concretamente sono in grado di realizzare l'educazione permanente e quella degli adulti, per le quali sarà perseguita una accurata analisi sui contenuti da attribuire alle necessario attività promozionali culturali ed educative promuovendo, comunque, quelle dirette a favorire il pluralismo delle espressioni ed informazioni culturali, delle attività di studio e di ricerca.
In tale contesto saranno altresì ristrutturati in forma coordinata i centri di lettura, le biblioteche ed i musei di enti locali, le istituzioni musicali ed i teatri.
Per le biblioteche di enti locali o di interesse locale sarà rinforzato quel rapporto organico di interventi che, a prescindere dalla entità del finanziamento, hanno dato impulso alle biblioteche operanti, che sono cresciute nel numero — sono infatti oltre 360 le biblioteche di enti locali o di interesse locale operanti nel Veneto — e nella importanza delle attività e delle raccolte curate. Quanto alla salvaguardia dell'immenso patrimonio custodito nei musei del Veneto, realizzate le preliminari ed essenziali operazioni di catalogazione fotografica e di schedatura, sarà proseguito l'intervento per consentire ai musei operanti nel Veneto di disporre degli indispensabili strumenti per la custodia del loro patrimonio ed il miglioramento dei servizi. A tali fini sono destinate risorse finanziarie per oltre 500 milioni di lire all'anno.
La Regione intende intervenire anche nel settore delle attività musicali. La fruizione del bene musicale, che deve tendere a interessare un'utenza sempre più allargata, non è perseguita soltanto dagli Enti lirici, dai Teatri di tradizione, dai Centri musicali di cultura e dai Conservatori, ma anche da Istituzioni ed Associazioni di vario genere e dimensione. In tal senso viene riconosciuta l'utilità dell'azione culturale e pubblica svolta anche dai complessi corali e bandistici operanti nel Veneto, preso atto del numero assai rilevante di essi (i cori popolari di livello spesso eccellente sono oltre 400, i polifonici molte decine ed una cinquantina circa le bande).
Per il 1978 le risorse destinate a questa attività si aggirano sui 500 milioni di lire, mentre con ulteriori risorse pari a circa 650 milioni di lire si provvederà nei confronti di altre iniziative culturali, ivi compreso il settore teatrale, per il quale vengono riproposti pressanti appelli affinchè la Regione si faccia carico di un'opera di coordinamento e di sostegno delle manifestazioni in atto. La costituzione di una Commissione tecnico-consultiva costituisce un primo momento operativo per la individuazione delle linee di intervento regionale in questo settore, in modo da contribuire al superamento di una realtà condizionata da disorientamenti, perplessità ed incertezze che riflettono nel teatro l'attuale crisi che travaglia il mondo culturale.
Anticipando le linee della legge nazionale di riforma dei settori della prosa, della musica e della cinematografia, che ai sensi del decreto 616 deve essere emanata entro il 31-12-79, la Regione Venata procederà ad una organica revisione della sua legislazione vigente unificando la propria legge sulle biblioteche e archivi di Enti locali o interesse locale con quella sui musei, ed accorpando la propria legislazione esistente in materia di promozione della cultura musicale, teatrale e di orientamento musicale e per tutti gli altri aspetti dello spettacolo inteso nei suoi valori culturali.
In tema di informazione, particolare impegno sarà diretto a promuovere la partecipazione collettiva alla determinazione delle scelte legislative ed amministrative. Infatti, la partecipazione può trarre benefici effetti anche dall'impiego di speciali strumenti di comunicazione. Pertanto, si provvederà alla redazione di quelle pubblicazioni periodiche che illustrino le attività legislative ed amministrative della Regione ed i problemi di interesse regionale; in questa ottica vanno inquadrate le collane di volumi che riportino studi e ricerche di carattere regionale nonché l'analitica divulgazione dell'attività legislativa e amministrativa regionale, di saggi e di monografie, di opinioni e di problemi di interesse regionale. Le risorse finanziarie destinate a tal fine ammontano a 580 milioni nel 1978 e a 380 milioni sia per il 1979 che per il 1980.
Inoltre verrà perseguita la collaborazione con le altre testate di quotidiani e periodici divulgati nel territorio regionale per suscitare, con il pluralismo dell'informazione, maggiore e partecipato interesse per la problematica e l'attività regionale. Nella consapevolezza infine dell'importanza che riveste il mezzo audiovisivo per quanto riguarda l'informazione si condivide la necessità che la riforma radiotelevisiva venga attuata con celerilà ed in ogni suo aspetto, chiarendo il ruolo della Regione nella gestione dei programmi e dell' informazione pluralistica radiotelevisiva, comprendendovi anche la regolamentazione delle radio e tv private.























LA POLITICA DEL TERRITORIO

LA POLITICA DEL TERRITORIO


Programma regionale di sviluppo e strategia territoriale per il Veneto: le linee fondamentali per il P.T.R.C.
Le linee fondamentali per la predisposizione del piano territoriale di coordinamento, approvate dal Consiglio regionale nel 1974, costituiscono la sintesi, a livello territoriale, degli obiettivi dei singoli progetti, in cui era strutturato il “Programma regionale 1975”, e individuano gli orientamenti per la redazione del PTRC.
A norma degli artt. 3 e 4 della legge regionale di attuazione della legge statale n. 335/1976, il Piano Regionale di Sviluppo, delinea ora la strategia territoriale della Regione in quanto esso “ ...costituisce il termine di riferimento... per il piano territoriale regionale di coordinamento e le sue varianti... ” (art. 3) e “ ...deve comunque indicare... le finalità... territoriali dell'azione regionale e la localizzazione degli , obiettivi specifici e intermedi...” (art. 4).
Ciò risponde, correttamente, alla convinzione che le finalità territoriali dell'azione regionale si perseguano attraverso il coordinamento di tutte le politiche regionali, e non solo di quelle tradizionalmente definite urbanistiche.
Dal punto di vista procedurale il PRS nel complesso e le scelte del presente capitolo rappresentano le nuove “ linee fondamentali ” a norma dell'art. 2 della legge regionale n. 27/1973 .
La necessità di aggiornamento delle “ linee fondamentali ” deriva dalle seguenti considerazioni:
— sono stati completati gli studi preliminari alla redazione del PTRC e pertanto si ha una precisa conoscenza delle modificazioni e dell'assetto del sistema insediativo Veneto;
— una più aggiornata analisi dell'evoluzione territoriale del sistema produttivo ed il perdurare della negativa congiuntura economica impongono l'assunzione dell'obiettivo del superamento della crisi accanto a quello del riequilibrio;
— con l'approvazione della legge nazionale 28-1-1977, n. 10 recante “ norme per la edificabilità dei suoli ” e della relativa legge regionale di attuazione, l'operatore pubblico ha acquistato un ruolo nuovo ed una più completa possibilità di controllo, di indirizzo e di programmazione dello sviluppo urbano, che presuppone, a livello regionale, un quadro aggiornato e congruente di obiettivi e di direttive urbanistiche;
— l'avvenuta maturazione di alcuni piani di settore, in assenza del piano territoriale di coordinamento, ha come conseguenza la necessità di ridefinire la natura stessa del piano territoriale.
In ordine alla interdipendenza e alla natura stessa del PTRC è necessario specificare che il Piano territoriale va inteso, con più concreto realismo rispetto le ipotesi di piano totalizzante, come il quadro di riferimento all'interno del quale verificare la congruenza di ciascun piano di settore, e quindi anche di ogni azione prevista dal PRS, rispetto agli obiettivi territoriali generali della programmazione.
Quale piano direttore il PTRC realizza anche il legame tra il momento della pianificazione e quello della localizzazione territoriale delle scelte tramite gli strumenti urbanistici locali.
Si ritiene di dover richiamare, come riferimento di sintesi, quanto già più estesamente detto, a proposito dei piani di settore (1), in singoli capitoli del presente PRS.
Poiché ogni sistema insediativo è insieme sistema insediativo “ produttivo ” e sistema insediativo “ residenziale e di servizio ”, si è ritenuto opportuno esaminare separatamente le due componenti indicando anche differenti strategie per l'azione territoriale.
Va sottolineata infine l'importanza della politica dei trasporti come componente della più generale politica di assetto e riequilibrio del territorio: in generale la viabilità, nelle sue molteplici tipologie costituisce l'elemento strutturale fondamentale dell'assetto del territorio ed al tempo stesso, in termini funzionali, il punto di connessione principale tra il settore dell'urbanistica in quanto pianificazione urbana ed il settore dei trasporti in quanto gestione dei flussi e della mobilità regionale.
Il recupero del patrimonio esistente, la razionalizzazione ed il consolidamento delle strutture attuali, il coordinamento e la integrazione fra i vari modi di trasporto, appaiono anche per il settore della viabilità, assieme ad una maggiore utilizzazione in funzione del trasporto pubblico, obiettivi comuni al Piano Regionale di Sviluppo e al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, il quale ultimo dovrà dare forma concreta ai manufatti nel campo territoriale definendo le norme, l'uso e la tipologia di intervento e connettendo il ruolo funzionale di ciascuna infrastruttura con gli obiettivi dell'assetto del territorio.
Quanto agli aspetti territoriali della viabilità, in coerenza con gli obiettivi generali e a completamento delle linee assunte per la politica del territorio, vanno enunciati alcuni criteri specifici riguardanti la definizione delle proposte di intervento.
Essi riguardano essenzialmente l'integrazione extra-regionale ed infraregionale della rete, nonché la sua razionalizzazione ed ammodernamento; più precisamente si considerano prioritari:
a) l'incremento dell'accessibilità ai territori marginali e depressi anche in rapporto al potenziamento delle infrastrutture porti-valichi;
b) la realizzazione delle tangenziali urbane e le soluzioni dei problemi relativi alle principali concentrazioni metropolitane;
e) il recupero, ricalibratura e completamento, della rete esistente, comprendendo la risoluzione delle situazioni di pericolosità.
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(1) I piani di settore attualmente in corso di approva-zione da parte della Regione sono i seguenti:
— Piano regionale delle attività estrattive
— Piano regionale delle terme euganee
— Piano decennale della casa
— Revisione del piano regionale degli acquedotti
— Piano regionale ospedaliere
— Programmazione delle grandi strutture di vendita
— Piano direttore per il disinquinamento della laguna di Venezia
— Ridelimitazione dei Consorzi di Bonifica
— Piano regionale dei trasporti.
E' da ricordare inoltre che “ la carta tecnica regionale ” risulta attualmente in corso di formazione.



Tali indicazioni, che sono qui assunte nel quadro delle linee fondamentali per la redazione del PTRC, saranno specificate e dettagliate appunto nell'ambito del Piano Territoriale e del Piano Regionale dei Trasporti.

La reinterpretazione del policentrismo: il sistema insediativo della residenza e dei servizi
Il sistema delle aree omogenee e dei poli urbani
II modello di assetto territoriale e le differenze rilevabili all'interno della regione, così come emerge dagli studi preliminari al PTRC, può essere interpretato come “intersezione ” tra due sistemi di aree: quello delle “ aree omogenee ” e quello delle “ aree polarizzate ”; un particolare tipo di aree polarizzate è costituito dalle “ aree metropolitane ”.
Il sistema urbano veneto è inoltre caratterizzato dal ruolo svolto dai centri ed in particolare da quelli che hanno un ruolo di “ località centrale ” o “ polo ” nei confronti del territorio circostante. Le aree dalle quali si ha gravitazione verso ciascun polo sono raggruppate in “ aree omogenee ” allorché le variabili di natura economica e demografica assumono valori simili: tali aree sono raggruppate in modo da risultare somma dei comprensori di cui alla legge regionale n. 80/1975 e successive modifiche e integrazioni.
Rispetto alla delimitazione assunta nelle precedenti analisi territoriali (area centrale e area depressa) quella individuata in base agli studi è meglio caratterizzata in relazione ai differenti comportamenti territoriali e mette in evidenza i nuclei insediativi maggiormente importanti ai fini delle politiche regionali.
Il quadro interpretativo proposto per il modello insediativo rappresenta un momento rilevante di chiarimento da utilizzare per la definizione dei piani di settore allo studio.
L'individuazione dei centri in grado di svolgere un ruolo di tipo urbano, e la loro classificazione gerarchico-tipologica, è stata fatta in base al livello e al tipo di servizi offerti evidenziando anche quali di tali centri, che essendo in grado di esercitare attrazioni per una gamma completa di servizi nei confronti dei comuni contermini, hanno funzione di “ polo ”.
L'elenco dei “ poli urbani ” e dei “ centri ” è contenuto nella tabella a) nella quale è anche evidenziato il rango dei poli; nella tabella b) è riportato il prospetto delle “ aree omogenee ”.
I poli sono stati divisi in cinque classi differenziate in modo tale da far risultare il grado (rango) delle funzioni territoriali svolte da ciascun centro.




TABELLA “A”





Classificazione dei poli urbani in base al livello complessivo di dotazione dei servizi pubblici e privati
Poli urbani
Classe



Poli regionali
1
Padova
Verona



Treviso
Vicenza



Venezia


Poli urbani intermedi
2
Belluno
Rovigo



Bassano
Conegliano

Poli urbani locali
3
Castelfranco
S. Dona



Feltre
Senio



Legnago
Thiene



Portogruaro
Vittorio Veneto

Poli urbani locali
4
Adria
Oderzo



Cittadella
Piove di Sacco
(x)


Este
S. Bonifacio
(x)


Monselice
Valdagno



Montebelluna


Poli urbani locali
5
Arzignano
Isola della Scala



Badia Polesine
Lendinara



Cologna Veneta
Lonigo



Camposampiero
Montagnana



Caprino V.
Novanta Vicentina



Castelmassa
Pieve di Cadere



Conselve
Pieve di Soligo



Dolo
Valdobbiadene



Agordo (0)


Centri urbani con discreta dotazione di servizi
3
Chioggia



4
Mirano



5
Cavarzere
Motta di Livenza



Mogliano Veneto
Noale



Montecchio M.
Villafranca Vicentina

Poli turistici


Abano

Cortina



Asiago
Jesolo



Bardolino
Peschiera



Caorle
S. Michele al Tagliamento



(x): poli di classe intermedia fra 4 e 5
(0): polo urbano incompleto




TABELLA “B”


Province
MACRO AREE
Area centrale
Area marginale
Area di transizione
Verona
1.1 pianura centrale e collina veronese
1.2 bassa pianura veronese
Belluno
2.1 montagna bellunese
Vicenza
3 fascia pedemont.
4 nucleo centrale
2.2 montagna vicentina
5.1 bassa pianura vicentina
Treviso
3 fascia pedemont.
4 nucleo centrale
5.3 pianura opitergina
Padova
3 fascia pedemont.
4 nucleo centrale
5.2 bassa pianura padovana
Venezia
4 nucleo centrale
7.2 fascia litoranea orientale
Rovigo
7.1 basso polesine
6 alto e medio polesine

1, 2, 3, 4, 5, 6, 7: aree omogenee 1.1: sub-aree omogenee





Aree territoriali omogenee e poli urbani

Planimetria omessa


Alle prime due classi appartengono i centri che, per la rarità dei servizi presentì, ma anche per la qualità e pluralità degli stessi, sono in grado di esercitare una funzione portante non solo nei confronti dei comuni dell'area di gravitazione diretta, ma anche nei confronti di poli urbani di ordine inferiore e del resto del territorio.
I poli urbani locali di classi 3 e 4, localizzati i primi soprattutto nella fascia pedemontana e nell'area orientale, i secondi nell'area meridionale, assolvono al compito di diffondere la “ qualità urbana ” sul resto del territorio regionale.
I poli di classe 1 sono stati messi in evidenza rispetto a quelli della classe 2 in quanto nei primi compaiono, nei processi di crescita fenomeni di tipo metropolitano; questo termine va inteso, con riferimento alla specifica realtà veneta, nel senso che, dal 1961, si verifica un consistente fenomeno di decentramento demografico dai comuni capoluogo dell'area centrale verso l'area circostante. Altro carattere tipico, presente nelle aree metropolitane, è quello di decentrare dal capoluogo le attività “povere”, come ad esempio la residenza e le attività industriali, e di richiamare invece funzioni che ne aumentano il grado di centralità.
Ciascun comune del Veneto, in relazione a tutta una serie di variabili socio economiche e territoriali può essere quindi classificato in funzione:
— del comportamento complessivo medio dell'“ area omogenea ” a cui appartiene;
— dal livello qualitativo delle funzioni urbane svolte (gerarchia del polo) e della sua collocazione territoriale in ordine anche all'accessibilità del sistema urbano;
— della sua appartenenza o meno alle aree metropolitane, a quelle turistiche o a quelle di montagna o collinari.
Più avanti sarà affrontata la questione dell'opportunità di assumere il modello interpretativo delle aree omogenee e delle aree polarizzate come modello programmatico, sul quale cioè impostare le azioni regionali, e saranno indicate le categorie di azione territoriale.
Il policentrismo e gli squilibri territoriali
Fin da quando nei primi documenti programmatici degli anni '60, è sorto nel Veneto un reale interesse per i problemi territoriali dello sviluppo, l'attenzione è stata puntata su due tematiche, che poi sono state al centro del dibattito culturale e politico successivo: gli squilibri territoriali fra aree a diverso livello di sviluppo e il cosiddetto “ policentrismo ”. Questi due aspetti sono però stati sviluppati finora su piani non omogenei, senza essere ricondotti ad un'unica ipotesi interpretativa.
Il riconoscimento e l'esistenza di un “ ritardo storico ” tra il livello di sviluppo del Veneto e quello delle regioni del triangolo industriale e di differenze rimarchevoli tra i livelli di reddito prò-capite dell'area centrale del Veneto (il triangolo Venezia, Vittorio Veneto, Verona) e le tre aree periferiche settentrionale, orientale e meridionale, aveva portato ad attribuire la massima importanza alla finalità del riequilibrio regionale sia esterno che interno.
Parallelamente il riconoscimento dell'esistenza nel Veneto di una maglia di centri urbani di medie dimensioni ben distribuiti sul territorio regionale, avevano portato ad individuare una strategia territoriale tesa a rafforzare questa struttura policentrica.
Una prima qualificazione di carattere generale può essere ottenuta da una rilettura della finalità del riequilibrio interno regionale distintamente nelle due ottiche definite sopra del sistema insediativo produttivo e del sistema insediativo residenziale.
Per il riequilibrio residenziale e di servizio possono essere individuate “ norme ” operative per guidare il processo: è legittima infatti ogni politica tendente a rendere quanto più possibile indifferente la localizzazione residenziale sul territorio regionale.
Molto più difficile appare invece l'identificazione di “ norme ” alle quali riferire politiche di riequilibrio del sistema insediativo produttivo; si può legittimamente parlare di sostanziale parificazione del reddito pro-capite tra aree, ma questo obiettivo può essere raggiunto con una vasta gamma di politiche.
Parlando ora del policentrismo è necessario riconoscere, sulla base degli studi condotti, che si tratta di un carattere presente a livelli molto diversi all'interno delle varie aree regionali. Il “ policentrismo ” era stato indicato come elemento tradizionale della struttura territoriale veneta, genericamente attribuito alla Regione nel suo complesso, e caratterizzato dal fatto che esso era basato su una maglia di centri a carattere urbano quasi uniformemente distribuiti sul territorio. Ma questo carattere è in effetti proprio solo dell'area centrale che al suo interno, si qualifica per:
— la presenza di più centri al vertice della struttura urbana, ciascuno dei quali con funzioni di livello non inferiore — e spesso superiori — a quelle esercitate nelle altre regioni italiane dal solo capoluogo;
— la notevole articolazione gerarchica delle funzioni tra i centri di livello intermedio;
— l'esistenza di una fitta rete di piccoli centri di raccordo con la trama insediativa minore.
Nelle altre aree è invece possibile riscontrare — ma non sempre — una omogeneità della distribuzione spaziale solo se si prescinde dal livello dei centri.
Nell'area meridionale la rete urbana è formata quasi unicamente da centri di livello minimo non differenziati gerarchicamente fra loro, mentre il centro di rango massimo non si distingue per le funzioni esercitate da poli subregionali quali Bassano e Conegliano dell'area centrale.
Nell'area orientale, all'opposto, esistono solo centri di livello medio all'interno di una maglia assai più rada della precedente e sono del tutto assenti sia la trama minore di raccordo con il territorio rurale, sia un centro di sostegno di livello sub-regionale.
Nell'area montana viene infine a cadere anche il carattere dell'omogenea distribuzione spaziale.
Possiamo dire che, in generale, gli squilibri fra le diverse aree sono squilibri dovuti alla qualità dei servizi, al livello delle funzioni esercitate dai poli e alle stesse forme di attività.
Non solo queste differenze non sono andate attenuandosi recentemente, ma anzi sono state esaltate a partire dal dopoguerra sia per quanto riguarda le forme fisiche della crescita urbana, sia per quanto riguarda il tipo di evoluzione economico e sociale. Tanto che, sembra che non si possa parlare oggi per le varie aree della regione di diversi stadi di sviluppo, quanto di modelli di crescita sostanzialmente diversi.
Finalità della politica regionale di riequilibrio territoriale del sistema insediativo della residenza e dei servizi
Si è detto dell'opportunità di assumere le aree omogenee ed i poli e centri urbani precedentemente individuati, come strutture di base per definire le linee dell'azione sul territorio.
Le aree omogenee, come somma di aree polarizzate, sono caratterizzate dal perdurare nel tempo di comportamenti territoriali simili: una volta assunte come aree programma è probabile che mantengano tale caratteristica anche in relazione agli effetti positivi delle azioni pubbliche.
Oltre a ciò è da ritenere che le omogeneità di comportamento ammettano la definizione di politiche complessivamente unitarie finalizzate a obiettivi territoriali validi per l'intera area.
I poli ed i centri urbani rappresentano poi il fatto emergente della struttura insediativa ed è su di essi che la gran parte delle azioni programmatiche regionali dovranno concentrarsi.
II perseguimento di obiettivi di riqualificazione funzionale, all'interno dei singoli piani di settore, costituisce una sicura garanzia per il raggiungimento dell'obiettivo generale del riequilibrio territoriale.
Come direttiva di carattere generale, in relazione ali' obiettivo del riequilibrio, possiamo distinguere tre situazioni:
Area centrale costituita dall'insieme delle aree omogenee 3 e 4 escluse le aree metropolitane; lo sviluppo insediativo è avvenuto in quest'area sulla base di costi sopportati direttamente dal singolo con modalità che hanno reso minore, rispetto ad altre parti, la domanda esplicita di interventi pubblici. Lo sviluppo si basa largamente sulla casa unifamiliare, con eccessivo sperpero della risorsa territoriale e dispersione individualistica dei nuclei familiari che ha distorto i precedenti modelli comunitari.
Gli obiettivi da perseguire in quest'area sono:
— dare una più consistente risposta in termini di edilizia a basso costo e di servizi civili per garantire una alternativa agli sviluppi di tipo spontaneo;
— favorire l'accentramento urbano in modo da rendere più efficace la politica dei servizi e permettere lo sviluppo industriale solo all'interno di aree di dimensioni e collocazioni tali da consentire un effettivo controllo preventivo degli inquinamenti ed effettivi benefici anche economici di carattere pubblico;
— adeguare la rete infrastrutturale dei servizi tecnologici;
— adeguare l'offerta di aree verdi e per il tempo libero; tale questione è da affrontare contestualmente a quella della valorizzazione del sistema dei beni storico-culturali.
Aree marginali: anche in queste aree è stata data una risposta di tipo individuale alla mancanza di risorse e di servizi, tramite il massiccio ricorso all'esodo e l'accettazione di case, servizi e città a un livello qualitativo minore. Il problema di maggior rilevanza è quello di una struttura urbana e insediativa sovradimensionata ma qualitativamente non soddisfacente.
Gli obiettivi da perseguire sono:
— riqualificare la struttura urbana attraverso l'uso dei piani di settore soprattutto per quanto riguarda la casa, i servizi ed i trasporti;
— ricreare una struttura policentrica, oggi non più esistente, operando una selezione dei ruoli e delle funzioni fra i diversi centri/attraverso l'uso dei piani di settore ed in particolare quelli dei servizi;
— adeguare un sistema di trasporti efficiente secondo un modello che accentui i rapporti gerarchici tra le diverse parti basandosi anche sulle possibilità offerte dall'attuale rete infrastrutturale a trama più larga rispetto a quella dell'area centrale;
— potenziare il ruolo del settore turistico che, per quanto riguarda la montagna risulta non ancora compromesso come in altre regioni limitrofe.
Aree metropolitane: sono quelle più dinamiche nell' attuale fase di stagnazione per il resto del territorio. Le modalità con cui è avvenuto lo sviluppo insediativo sono state tali da provocare in queste aree la massima domanda sociale conseguente a carenze quantitative in ordine ai servizi: alto costo della casa, dei servizi e dei trasporti, problema del verde.
Il polo tende ad accentrare tutti i servizi, non solo quelli di rango più elevato, che gli spettano, ma anche quelli di rango inferiore il che crea, all'intorno dei poli, l'assenza di alternative urbane a livello intermedio. Ciò determina una dequalificazione della periferia, un aumento dei costi delle aree centrali e riduce il grado di accessibilità dall'esterno.
Gli obiettivi da perseguire in quest'area sono:
— creare dei poli di decentramento funzionale puntando, soprattutto nelle aree limitrofe a Venezia e a Verona, sulla struttura policentrica esistente;
— rispondere alla domanda sociale attraverso l'aumento della dotazione di case e servizi a costi accessibili e la riorganizzazione del sistema dei trasporti;
— soddisfare il maggior bisogno di aree verdi attraverso la istituzione di “ parchi metropolitani ” puntando sulle risorse già oggi esistenti.
Politica dei trasporti: in ordine all'obiettivo dello sviluppo dei servizi di trasporto, si rinvia alla trattazione fatta nello specifico capitolo. Nel presente contesto si richiamano le finalità di base della politica dei trasporti per evidenziare i contenuti in funzione degli obiettivi territoriali.
L'azione della Regione nei trasporti intende realizzare più efficaci interrelazioni con le aree esterne e aumentare e razionalizzare l'offerta della mobilità all'interno della Regione e ciò in coerenza con l'obiettivo del riequilibrio.
L'azione legislativa per il territorio ed i contenuti del PTRC
Tra le azioni per il raggiungimento degli obiettivi finalizzati al riequilibrio territoriale, è preliminare quella legislativa. Adempimento preliminare alla formazione del PTRC è l'approvazione della legge urbanistica .regionale che fissi per i contenuti del Piano, le procedure di formazione, di approvazione e di attuazione.
Per quanto riguarda queste ultime non si potrà prescindere da una fase obbligatoria intesa a realizzare il massimo di conoscenza sull'uso storico e attuale del territorio e sul controllo costante della sua evoluzione nel tempo.
A tale proposito si ribadisce la convinzione che l'uso del suolo debba essere programmato, nei contenuti essenziali di occupazione, residenza, infrastrutture e servizi, a livello comprensoriale. Pertanto, il Piano Urbanistico Comprensoriale, pur rimanendo necessariamente di carattere “ direttore ”, deve contenere il massimo di definizione in termini quantitativi e qualitativi di occupazione, residenza, servizi e infrastrutture, precisati anche per ambito comunale. Il Piano Regolatore Comunale assume in questo quadro carattere di attuazione pluriennale del Piano Comprensoriale.
E' invece importante che sia mantenuta la possibilità di articolare il PTRC per aree sub-regionali (aree vaste) per rendere più specifico e dettagliato il carattere che deve avere il P.R.S. di intervento prioritario in determinati ambiti territoriali da riequilibrare in termini di sviluppo.
Per quanto riguarda i contenuti del PTRC, va specificato che, con tale strumento, sarà determinato l'insieme dei parametri necessari alla pianificazione di livello inferiore.
In particolare il PTRC individuerà il ruolo gerarchico e funzionale dei centri e dei poli urbani, le politiche di assetto territoriale per ciascuna area omogenea nonché l'insieme degli interventi in tema di trasporti.
Nel suo insieme l'azione legislativa costituisce assieme al PTRC il quadro di riferimento per l'approvazione dei singoli strumenti urbanistici comunali e comprensoriali.

La ridefinizione della finalità del riequilibrio territoriale: il sistema insediativo produttivo
// Veneto e l'evoluzione territoriale del sistema produttivo
Le “ norme ” per la identificazione degli obiettivi specifici ed intermedi nei quali tradurre la finalità del riequilibrio territoriale con riferimento al sistema insediativo produttivo debbono tener conto della evoluzione del sistema stesso, e delle possibilità di orientarne l'organizzazione territoriale, collocando l'evoluzione subita dal Veneto nell'ambito del più ampio processo di diffusione dello sviluppo italiano.
Questa analisi finalizzata, nel contesto del presente capitolo, a individuare i modi dell'azione territoriale, va letta anche in funzione delle scelte di fondo del programma regionale ed in particolare dell'obiettivo dell'occupazione.
Dalle analisi condotte sulle variazioni regionali di occupazione nell'industria manifatturiera nei due periodi intercensuari e, nel periodo più recente, per l'industria dei prodotti della trasformazione industriale si può constatare l' operare di un processo di consistente estensione della base territoriale del sistema industriale italiano da Nord verso Sud, anche se in larga misura ciò è dovuto alle crisi che, dal 1964 in poi, hanno investito le regioni più industrializzate.
Mentre le regioni Nord-Ovest hanno goduto della massima partecipazione all'incremento fallano di occupazione manifatturiera .nel .decennio 1951-61, assorbendo da sole il 47% di tale incremento, le regioni del Nord-Est (tra le quali il Veneto) presentano la percentuale più alta di partecipazione nel decennio 1961-71. Nel settennio 1970-76, e soprattutto negli ultimi tre anni di crisi, è invece il Sud ad assorbire il 53% di incremento di occupazione nelle industrie della trasformazione industriale, seguito dalle regioni del Centro (40%), mentre le regioni del Nord-Ovest perdono occupazione in misura pari al 13% dell'incremento totale.
Il Veneto ha avuto, quindi, la sua fase di prima industria-lizzazione diffusa nel periodo del “ miracolo economico ”, ricevendo così la massima spinta alla sua trasformazione strutturale con tutte le conseguenze positive e negative che ciò ha comportato. Negli anni '60 venuta meno la spinta che aveva caratterizzato il periodo precedente, estesosi ad altre regioni il processo di prima industrializzazione, la struttura industriale veneta è entrata in quella crisi di crescenza (verso unità produttive di media dimensione, prodotti a più alto contenuto tecnologico e meno legati al consumo finale) nella quale è stata colta dalla profonda revisione delle relazioni industriali avviatasi nel 1969 e dalle crisi degli anni 70.
I modi e i tempi della partecipazione del Veneto al processo di crescita territoriale del sistema industriale italiano hanno condizionato, e ancor più condizionano oggi, la possibilità di perseguire la finalità del riequilibrio regionale sia esterno che interno.
L'onda di prima industrializzazione, che non aveva trovato fin dagli anni del miracolo economico condizioni insediative appetibili nelle aree periferiche (per l'isolamento relativo di esso, si pensi alle aree di montagna, ma anche al Polesine e, soprattutto, per la maggior fragilità dell'organizzazione produttiva agricola nella quale ha prodotto il suo impatto lo sviluppo industriale e urbano), è andata ad investire territori di altre regioni italiane; la struttura urbana, e insediativa in generale, dell'area centrale ha “ catturato ” la crescita industriale trovandosi pronta a fornire i servizi e le infrastrutture necessarie per contenere i rischi imprenditoriali e ridurre il costo del lavoro sia alle (piccole) imprese di prima industrializzazione, che agli impianti (medi e grandi) decentrati nel Veneto dal triangolo industriale.
Anche se all'inizio le nuove attività manifatturiere si sono localizzate prevalentemente nei grandi comuni, successivamente prevale una diffusione degli insediamenti industriali regionali solo in parte e solo recentemente legata a fenomeni di suburbanizzazione anche delle attività produttive dalle città maggiori; il processo di consolidamento dell'apparato industriale regionale nato negli anni '50 è dunque avvenuto, ed avviene tuttora, tutto all'interno dell'area centrale con una tendenza manifestatasi fin dal 1971 ad “ appoggiarsi ” a comuni molto grandi (20-50 mila abitanti) o ai comuni di corona dei capoluoghi provinciali.
Finalità detta politica regionale di riequilibrio territoriale produttivo
Nel corso del processo di industrializzazione sostenuta del Veneto e di “ adeguamento ” della sua struttura insediativa si sono comunque avuti degli allargamenti — anche se non così estesi come si era sperato — della cosiddetta area centrale. Oggi possiamo ancora riconoscere le tradizionali aree “depresse” meridionale, settentrionale e orientale, da definirsi più correttamente aree “marginali” (nel senso di aree rimaste ai margini del processo di trasformazione urbana-industriale della più gran parte della regione), ma esse sono ora meno estese comprendendo l'area settentrionale, l'alta montagna bellunese, l'area orientale, la fascia litoranea (i comprensori di S. Dona di Piave e Portogruaro) e l'area meridionale tutto il Polesine.
Secondo la nuova delimitazione, proposta nei precedenti paragrafi, in base all'analisi del sistema delle aree omogenee e dei poli urbani, la bassa pianura padana, veronese e vicentina, la vai bellunese e la montagna vicentina e l'opitergino, possono considerarsi aree di transizione (tra l'area centrale e quelle marginali) recuperate o recuperabili al mo-dello di sviluppo dell'area centrale.
Se si tiene conto del fatto che — se si esclude il Polesine, quasi per intero — le aree marginali hanno goduto di uno sviluppo turistico di notevoli dimensioni e che tutte queste aree hanno sofferto per flussi emigratori di grande consistenza, non è ingiustificato ipotizzare una riduzione nelle differenze di reddito pro capite tra le aree marginali e l'area centrale.
In questa situazione, prendendo atto del fatto che le aree marginali hanno perso l'occasione di godere dell'onda di diffusione dello sviluppo industriale (prevalentemente sotto forma di prima industrializzazione) sfruttata dal Veneto e che non è prevedibile il ripetersi del fenomeno (anche se ovviamente in nuove forme) per la “ concorrenza ” oggi esercitata dalle regioni centro meridionali, perché le attività localizzate nell'area centrale — tuttora in crisi di crescenza ed assestamento — non hanno ancora raggiunto livelli di attività tali da far prevedere fenomeni di decentramento e perché, ove tali fenomeni si dovessero avviare, essi investirebbero più probabilmente le “ aree di transizione ” che non le vere e proprie aree marginali, non pare realistico conti-nuare a contare sulla diffusione spontanea di attività industriali (per quanto orientata e incentivata) per il raggiungimento del riequilibrio interno regionale (inteso come recupero al “modello veneto” anche delle “aree marginali”). Le prospettive attuali e soprattutto a medio termine, dell' agricoltura e del turismo dovrebbero venir sempre più valutate anche come parte di una strategia di riequilibrio intesa, correttamente, come parificazione tendenziale dei livelli di reddito pro capite.
Più realistiche appaiono invece le prospettive di politiche industriali di riequilibrio organizzate a favore delle aree di transizione.
Questo non vuoi peraltro dire che si debba abbandonare ogni prospettiva di politica industriale per le aree marginali. Anzi essa può addirittura contare ancora su alcuni degli strumenti concettuali — le aree attrezzate per l'industria — sui quali si era fondata l'ipotesi di diffusione spontanea, anche se orientata e incentivata, degli insediamenti industriali dell'area centrale alle aree periferiche.
Solo che in una prospettiva realistica le aree attrezzate vanno oggi pensate come strumenti per la creazione, nelle aree marginali di vantaggi localizzativi sostitutivi di quelli (basso costo del lavoro e servizi urbani facilmente disponibili) che hanno motivato la miriade di piccole e medie iniziative industriali venete a cavallo dei primi anni '60.
Non si tratta più di catturare in luoghi prestabiliti uno sviluppo industriale esuberante e spontaneo, ma di creare le condizioni insediative adatte per impianti di media dimensione, tecnologicamente aggiornati, operanti sul mercato nazionale se non internazionale. Si tratta cioè di saltare la fase della prima industrializzazione per avviare nel Polesine, come nelle aree marginali orientale e settentrionale, episodi industriali capaci di contribuire a ricreare un tessuto insediativo civile.
Il compito, di eccezionale difficoltà, assomiglia, anche se su scala ridotta, ai problemi di industrializzazione del Mezzogiorno ed avrà tante più probabilità di successo quanto più si interverrà in un numero limitato di aree (quattro), e quanto più si opererà per l'insediamento di industrie legate all'agricoltura e al turismo, quanto più ci si appoggerà a centri urbani di media dimensione già esistenti; quanto più si concentreranno anche nel tempo le risorse disponibili per questa operazione, e quanto più si realizzeranno politiche infrastrutturali coordinate e coerenti.




















APPENDICE



Un'ipotesi di prefigurazione di fabbisogni occupazionali e di impiego delle risorse per il Veneto
1. La necessità di prefigurare obiettivi occupazionali per la politica di sviluppo economico regionale è particolarmente urgente con riferimento alle sfide poste dalla disoccupa-zione giovanile, che si presenta secondo un modello struttu-rale di offerta non facilmente assorbibile se perdureranno le attuali condizioni di degrado del sistema produttivo.
La sempre maggiore scolarizzazione, e quindi il peso crescente delle nuove forze di lavoro “ intellettuali ” in cerca di primo impiego, farebbero ritenere prevedibile un modello fondato sull'assorbimento di tali nuove leve nel settore terziario e dei servizi sociali.
Ma questo modo di risolvere nel medio termine il problema potrà essere concretamente affrontato solo se il sistema industriale riuscirà a sviluppare una sufficiente produttività in maniera che si formino le risorse necessario ad occupare i giovani nei settori dei servizi, specialmente sociali. Il problema coinvolge aspetti rilevanti di distribuzione del prodotto affinchè i maggiori redditi non assorbano in maggiori consumi l'aumento di produttività destinato all'ampliamento dell'occupazione giovanile. In ogni caso non si tratta che di un modo diverso di formulare l'esigenza che la difesa delle condizioni dei già occupati non costituisca un ostacolo alla espansione dell'impiego dei giovani non ancora occupati.
Se così non avverrà infatti i costi connessi alla espansione del settore dei servizi, anche sociali, verranno ugualmente pagati dalla collettività, ma attraverso l'inflazione.
Anche in questo modello di lungo periodo, comunque, non appare fondata l'ipotesi di escludere il settore industriale dal compito dell'assorbimento delle nuove leve di lavoro non solo per la semplice sostituzione delle forze di lavoro che lasciano il settore, ma anche per un ampliamento netto dei posti di lavoro creati. Naturalmente ciò esige che si riesca ad impostare e a risolvere anche presso le giovani generazioni il problema dell'atteggiamento di fronte al lavoro dell'industria, predisponendo e utilizzando positivamente una rete di meccanismi informativi sulle possibilità di lavoro e contribuendo alla diffusione di un modello culturale che non crei una contrapposizione frontale tra la diffusione dei processi educativi e il lavoro manuale.
2. L'evoluzione recente dell'occupazione regionale può sintetizzarsi: 1) nella continuazione dell'esodo per motivi di età delle forze di lavoro dall'agricoltura; 2) in un andamento decrescente dell'occupazione nell'industria; 3) in uno sviluppo occupazionale nei servizi, che tuttavia ha rallentato di intensità negli anni più recenti.
Il modo più corretto per affrontare il problema sembra essere quello di delineare una strategia con un orizzonte temporale non troppo ravvicinato nel tempo (ad es. la metà degli anni '80) e di derivare poi degli obiettivi intermedi per l'orizzonte del piano (1982) mediante un adattamento critico del sentiero di crescita medio prevedibile.
Nella prima colonna della tabella che segue, sono richia-mati i dati 1977. Nella seconda colonna si presentano i risultati di una ipotesi previsionale dell'occupazione al 1982 sulla base di una semplice estrapolazione delle tendenze che sono rilevabili dalla serie occupazionale ISTAT per il periodo 1970-76; chiameremo tale ipotesi “ spontanea ”.
Lo sviluppo prevedibile della popolazione del Veneto deve scontare un attenuarsi del saldo naturale e di quello sociale dovuto alla situazione di crisi e di incertezza economico-sociale oltre che ad una modificazione dei valori culturali che avranno certo il loro influsso sulla dinamica della natalità.
Previsioni di occupazione per il 1982
(migliaia di unità)


1977
Ipotesi
"spontanea"
Ipotesi
"programma"
Agricoltura
206,5
180
190
Industria
703,3
695
716
in senso stretto
555,3
560
562
costruzioni
148,0
135
154
Servizi destinabili



alla vendita
530,7
585
593
Commercio
311,3
327
325
Trasporti
77,8
85
92
Credito
27,6
33
36
Vari
114,0
140
140
Servizi non destin.



alla persona
165,0
180
175
Totale occupazione
1605,5
1640
1674
Forze di lavoro
1685,0
1735
1735
Tasso di disoccup.
4,7%
5,5%
3,5%

Previsioni elaborate sulla base di queste ipotesi indicano la popolazione del Veneto per il 1982 ad un livello di poco inferiore ai 4 milioni e mezzo.
Per quanto riguarda il tasso di attività, si può mantenere quello più recente, pari al 39%. Per quanto riguarda poi il tasso di disoccupazione, che è attualmente del 4,7% appare come obiettivo razionale l'ipotesi di una sua graduale riduzione su valori del 33% nel 1982, cioè per l'orizzonte i temporale del piano, fino a raggiungere un limite quasi fisiologico del 3% nel 1985.
Come si vede, nel caso dell'ipotesi spontanea, la continuazione dell'esodo dall'agricoltura soprattutto degli indipendenti (e scontando i minori ritmi successivi al 1974) e la complessiva continuazione di una lieve diminuzione dell'occupazione industriale, non troverebbero nella pur sostenuta dinamica occupazionale dei servizi una compensazione i capace di impedire il deteriorarsi del tasso di disoccupazione fino a un livello superiore a quello attuale e quindi assolutamente non accettabile da un processo di programmazione.
Accanto dunque alle previsioni di occupazione puramente spontanea, vengono indicate delle previsioni basate sull'obiettivo di modificare le tendenze spontanee in atto in modo da raggiungere per il 1982 un tasso di disoccupazione del 3,5% (ipotesi-programma). L'obiettivo occupazionale richiede il coinvolgimento di tutti e tre i grandi settori produttivi nel processo di inversione di tendenza. Coinvolgere per esempio il solo settore terziario ne implicherebbe un eccessivo gonfiamento e contraddirebbe la linea politica di evitare un eccessivo assorbimento di nuove forze di lavoro nel settore pubblico in posizioni che sarebbero di sostanziale improduttività.
Le linee principali lungo le quali ci si dovrebbe muovere per raggiungere l'obiettivo di un tasso di disoccupazione del 3,5% sono le seguenti:
1) innalzamento dell'obiettivo occupazionale in agricoltura rispetto a quello tendenziale. Con un livello di 190 mila occupati in agricoltura al 1982 si contempererebbe una tendenza fisiologica connessa all'espulsione delle forze di lavoro alla fine del loro ciclo vitale con la necessità di non privare l'agricoltura veneta di risorse umane che le sono necessario per attuare un programma di modernizzazione.
2) Nell'industria si tratta di invertire le tendenze ad una lieve ma progressiva caduta dei livelli occupazionali “ufficiali ”, che maschera la più consistente caduta comprendente parte di coloro che sono in Cassa integrazione. L'inversione rispetto alle previsioni deve riguardare soprattutto il settore edilizio: complessivamente all'industria veneta e all'artigianato di produzione è richiesto di partecipare allo sforzo per il rovesciamento delle tendenze occupazionali in atto con la creazione di 12.700 nuovi posti di lavoro in cinque anni (circa 2.500 all'anno), oltre a quelli che si renderanno liberi grazie al meccanismo del “ turnover ”.
3) La previsione occupazionale nel settore dei servizi destinabili alla vendita si richiama ai seguenti obiettivi e vincoli che si traducono in una modificazione compositiva delle tendenze in atto:
a) è necessario, in nome di una esigenza di razionalizzazione del settore commerciale, prevedere una stabilizzazione o meglio una riduzione degli indipendenti nel commercio; un aumento dei dipendenti deve essere invece messo nel conto, seppure scontando una maggiore razionalizzazione delle strutture distributive; b) analoga modificazione strutturale con riduzione degli indipendenti e aumento dei dipendenti viene ipotizzata nel settore turistico; e) una dinamica occupazionale più accentuata è prevista per trasporti e credito ed assicurazioni; d) il settore dei servizi vendibili vari va seguito con particolare attenzione: infatti in esso si concentrano piccole attività artigianali al confine tra industria e servizi che attirano i giovani, soprattutto laddove esista un tessuto urbano minimamente sviluppato, immettendoli nel processo lavorativo in modo creativo e non dequalificato. Sulla base di queste ipotesi il settore terziario relativo ai servizi vendibili che occupava nel 1977 circa 530 mila persone dovrebbe aver per il 1982 una occupazione di 593 mila unità.
4) Il settore dei servizi non destinabili alla vendita comprende gli occupati nel settore pubblico, ma anche quelli delle istituzioni sociali private e gli occupati nei servizi domestici al netto — nelle previsioni del piano — delle convivenze.
L'obiettivo di 10 mila occupati in più rispetto al 1977, minore dell'incremento tendenziale, si giustifica con il necessario sforzo per arrivare ad un ridimensionamento delle tendenze occupazionali in atto in alcuni comparti del settore pubblico del Veneto. Un discorso in termini aggregati per quel che riguarda le prospettive dell'occupazione pubblica non si può fare perché se esistono esigenze di contenimento in alcuni servizi, esistono anche esigenze di espansione qualificata in altri. Inoltre una azione per la promozione occupazionale nel settore dei servizi pubblici potrà avere maggiore o minore intensità a seconda delle possibilità del settore industriale e di quello dei servizi vendibili, di creare nuovi posti di lavoro in condizioni adeguate di produttività.
3. L'obiettivo di orientare tutti gli strumenti di azione diretta ed indiretta a disposizione della Regione verso l'acquisizione di una significativa riduzione del 3,5% del tasso di disoccupazione e verso una maggiore stabilità dei livelli occupazionali esistenti, rappresenta la volontà di una decisa inversione di tendenza rispetto alle tendenze in atto che, qualora non venissero guidate da interventi consapevoli, porterebbero ad un ulteriore aggravamento del problema occupazionale.
Dal punto di vista settoriale, l'agricoltura veneta dovrà riuscire a garantire un tasso di crescita della produttività almeno del 6% all'anno; il settore industriale dovrà elevare il tasso di crescita del prodotto per occupato dall'attuale 4% al 4,5%; il settore dei servizi anche dovrà accrescere il proprio saggio di crescita della produttività dal 2,2% al 2,5%.
Per raggiungere questi obiettivi lo strumento fondamentale è costituito dal processo di accumulazione e dalla struttura degli investimenti. Ciò che dovrà essere garantito, infatti, è un livello reale di investimenti da distribuire tra i diversi settori produttivi: ma questo significa che il valore monetario degli investimenti dovrà crescere per fronteggiare il prevedibile tasso di inflazione.
Il nodo centrale della manovra della programmazione con riferimento al problema degli investimenti nel quale si può proficuamente collocare il ruolo della Regione, è costituito dalla saldatura tra flussi reali di investimenti e flussi finanziari per rendere possibile la voluta realizzazione dei flussi reali.
Il sistema produttivo regionale ha delle caratteristiche tali da rendere possibile che almeno il 60% del fabbisogno di nuovo capitale sia copribile mediante autofinanziamento o aumento di capitale proprio.
Il settore pubblico attraverso le imprese pubbliche presenti nella regione e l'azione dell'amministrazione pubblica allargata nel campo delle spese di investimento dovrebbe impegnarsi all'obiettivo di garantire la necessaria accumulazione di capitale per una quota stimabile intorno al 15-20%. Sotto questo profilo è necessario sviluppare una azione di consolidamento e di programmazione della spesa pubblica per investimenti che si svolgerà nella regione. Tale azione dovrà riguardare da un lato i progetti di intervento delle imprese pubbliche e dall'altro lato la politica di bilancio degli enti locali in collegamento con la spesa statale effettuata sul territorio regionale.
Nel complesso le risorse finanziarie che sono prevedibilmente mobilitabili verso l'accumulazione di capitale nella Regione nei cinque anni del piano si possono valutare (sulla base dell'ipotesi di graduale rientro dall'inflazione) in circa 10 mila miliardi, di cui circa il 60% come flussi di credito dal sistema bancario ordinario e speciale e poco più del 40% come spese di investimento delle Pubbliche Amministrazioni e delle PP.SS. nella Regione.
E' chiaro che l'intervento della Regione con rispetto a queste due forme di mobilitazione di apporti finanziari va tenuto distinto.
Per quanto riguarda il ruolo della Regione nell'orientamento degli investimenti pubblici nella Regione è necessario fare una ulteriore distinzione tra investimenti delle PPSS e delle imprese pubbliche autonome, e investimenti delle Pubbliche Amministrazioni propriamente dette. Nel primo caso la Regione dovrebbe indicare nel proprio programma di sviluppo le linee di intervento delle imprese pubbliche (specie nell'industria e nelle infrastrutture di servizio) arrivando alla specificazione di un programma coordinato di azione di tali imprese sul territorio attraverso un'opera di collegamento con le sedi decisionali a livello nazionale.
Nel caso della spesa delle Pubbliche Amministrazioni propriamente detta, si deve innanzitutto notare che il peso della Regione sulla quota di spesa pubblica (corrente e in conto capitale) impiegata nel Veneto è destinato ad aumentare.
Nel 1972 ad esempio la spesa della Regione sul totale della spesa pubblica nella Regione al netto della spesa degli Enti Previdenziali poteva stimarsi nella irrisoria percentuale del 2,7%, contro il 29% degli enti locali e il 68,3% della spesa dell'Amministrazione Centrale dello Stato. La spesa pubblica nel Veneto al netto della spesa degli Enti previdenziali non superava i 1.100 miliardi. Infatti la Regione si presenta come il centro di spesa più coordinato e unitario di fronte alla miriade di centri decisionali che costituiscono la spesa degli enti locali e alle varie vie per le quali discende la spesa statale della Regione. Questo elemento di unità è automaticamente un elemento di potenziale razionalizzazione nella gestione della spesa pubblica che la Regione deve pienamente sfruttare.
Si deve, d'altro lato ricordare che con il progressivo trasferimento dell'intero settore della sicurezza sociale a livello regionale, il peso crescente della quota di spesa pubblica controllata dalla Regione riguarderà soprattutto la spesa corrente, e di essa la parte più rigida costituita dai trasferimenti. Proprio per evitare di trasformarsi esclusivamente in centro erogatore di trasferimenti, la Regione può e deve incrementare il suo ruolo di centro di coordinamento della spesa pubblica per investimenti attraverso le azioni programmatiche indicate nelle varie parti del programma regionale.





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