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Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 (BUR n. 133/2018)

Piano socio sanitario regionale 2019-2023

Sommario: Legge Regionale 48/2018
S O M M A R I O
Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 (BUR n. 133/2018)

PIANO SOCIO SANITARIO REGIONALE 2019-2023 (1) (2)

Art. 1 - Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
1. In conformità all’articolo 1, comma 13, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421” e successive modifiche ed integrazioni e nel rispetto dei principi fondamentali ivi contenuti, in attuazione degli articoli 2 e 6 della legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 “Norme e principi per il riordino del Servizio sanitario regionale in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, così come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517”, in coerenza con il vigente Piano sanitario nazionale, è approvato il Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
2. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 individua gli indirizzi di programmazione socio-sanitaria regionale per il quinquennio 2019-2023 ed è approvato nel testo allegato che costituisce parte integrante della presente legge. ( 3)
3. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 è attuato dai provvedimenti adottati dalla Giunta regionale nei settori dell’assistenza territoriale, dell’assistenza ospedaliera, delle reti assistenziali e socio sanitarie e trasmessi alla commissione consiliare competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di ricevimento. Acquisito il parere della commissione consiliare, la Giunta regionale approva i provvedimenti di attuazione di cui al presente comma.
4. La Regione assicura le necessarie risorse per garantire sul territorio regionale i livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e di cui all’articolo 22, commi 2 e 4 della legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. ( 4)
Art. 2 - Esercizio delle forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto.
1. Le forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e legislativa nella materia “Tutela della Salute” previste in capo alla Regione del Veneto sulla base dell’Accordo preliminare all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, firmato il 28 febbraio 2018 tra il Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto, nonché le ulteriori forme di autonomia differenziata che saranno concesse nel prosieguo del negoziato, come previsto dall’Accordo medesimo, saranno esercitate a seguito dell’approvazione della legge statale di recepimento dell’Intesa ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Art. 3 - Modifiche alla legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 “Norme per la riorganizzazione del Servizio ispettivo e di vigilanza per il sistema socio-sanitario veneto”.
1. I commi 1 e 2 dell’ articolo 2 della legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 “Norme per la riorganizzazione del Servizio ispettivo e di vigilanza per il sistema socio-sanitario veneto” sono sostituiti dai seguenti:
omissis ( 5)
Art. 4 - Salvaguardia delle specificità territoriali.
1. La Regione garantisce cura, assistenza e servizi socio-sanitari in modo uniforme, appropriato e responsabile su tutto il territorio regionale, salvaguardando, in conformità a quanto previsto dall’articolo 15 della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 “Statuto del Veneto”, le specificità del territorio bellunese, del Polesine e lagunari.
Art. 5 - Valutazione del Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
1. Al fine di valutare l’efficacia degli interventi previsti nel Piano socio sanitario regionale 2019-2023, la Giunta regionale, per il tramite dell’Area Sanità e Sociale, attua il monitoraggio sull’attuazione del Piano presso le singole aziende ed enti del servizio sanitario regionale.
2. I risultati del monitoraggio sono raccolti da Azienda Zero e trasmessi all’Area Sanità e Sociale, che semestralmente relaziona alla Giunta regionale e alla competente commissione consiliare.
Art. 6 - Definizione delle dotazioni standard e dei costi standard.
1. Entro il 2019 la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, definisce le dotazioni standard del personale sanitario, professionale e amministrativo dei servizi sanitari e socio-sanitari necessari a garantire l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), con riferimento ai bacini territoriali coincidenti con le aziende ULSS, in conformità a quanto previsto dall’articolo 128, comma 4, della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”.
Art. 7 - Schede di dotazione territoriale dei servizi e delle strutture di ricovero intermedie.
1. La Giunta regionale approva, sentita la competente commissione consiliare, contestualmente alle schede di dotazione ospedaliera, al fine di rendere omogenea la prevenzione, l’assistenza e la cura nel proprio territorio e per garantire la continuità dell’assistenza e delle cure, le schede di dotazione territoriale delle unità organizzative dei servizi e delle strutture di ricovero intermedie da garantire in ogni azienda ULSS, tenendo conto dell’articolazione distrettuale, della distribuzione delle strutture sul territorio regionale nonché dell’accessibilità da parte del cittadino.
2. Le schede di dotazione territoriale contengono anche la previsione delle strutture residenziali e semiresidenziali sanitarie e socio-sanitarie. I posti letto delle strutture intermedie avranno come indice minimo lo 0,6 per mille della popolazione di età superiore ai 45 anni presente nell’Azienda ULSS di appartenenza.
3. Le specificità del territorio bellunese, del polesine, delle aree montane e lagunari, delle aree a bassa densità abitativa possono dotarsi di un incremento dei posti letto delle strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2 per mille.
3 bis. L’Ospedale del centro storico di Venezia è classificato come presidio ospedaliero di primo livello, tenuto conto che il bacino di utenza di afferenza dell’ospedale è comprensivo, oltre che della popolazione del territorio insulare, anche della forte presenza turistica e della mobilità urbana giornaliere, e considerate altresì, in conformità all’articolo 15, comma 3, dello Statuto del Veneto, le peculiari e disagiate condizioni geomorfologiche e insulari. ( 6)
Art. 8 - Conferimento incarichi e valutazione dei dirigenti apicali di unità operative complesse.
1. Il direttore generale delle aziende ULSS, ospedaliere, ospedaliero-universitarie integrate e dell’Istituto oncologico veneto (IOV) procede al conferimento degli incarichi di dirigenti apicali di unità operativa complesse rendendo pubbliche le motivazioni professionali ed evidenziando qualità e meriti del soggetto al quale viene conferito l’incarico.
2. La Giunta regionale provvede, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, alla formulazione di uno schema-tipo di contratto di lavoro che, nel rispetto della vigente normativa, individua i seguenti criteri ai quali è obbligatorio far riferimento per la valutazione di fine incarico dei dirigenti apicali di unità operativa complesse:
a) quantità e qualità delle prestazioni sanitarie erogate in relazione agli obiettivi assistenziali concordati preventivamente in sede di discussione del budget;
b) valorizzazione dei collaboratori;
c) soddisfazione degli utenti;
d) strategie adottate per il contenimento dei costi tramite l’uso appropriato delle risorse.
3. L’esito positivo della valutazione di cui al comma 2 determina la conferma dell’incarico.
Art. 9 - Trasparenza.
1. L’ articolo 15 della legge regionale 29 giugno 2012, n. 23 “Norme in materia di programmazione socio sanitaria e approvazione del piano socio-sanitario regionale 2012-2016” è sostituito dal seguente:
omissis ( 7)
Art. 10 - Forme integrative regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria.
1. La Giunta regionale promuove lo sviluppo di forme integrative regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, in particolare per la non autosufficienza, coinvolgendo le parti sociali, i soggetti e le organizzazioni finanziarie e assicurative e altri enti e istituzioni al fine di darne un’ampia diffusione, nell’interesse della popolazione. Inoltre assicura il coordinamento e l’unitarietà della politica sanitaria e l’integrazione del servizio sanitario regionale con le prestazioni finanziate attraverso le forme integrative.
Art. 11 - Fascicolo sanitario elettronico. Attuazione dell’articolo 2, comma 1, lettera g), numero 11, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 “Istituzione dell’ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS”.
1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Piano socio sanitario 2019-2023, la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, approva i provvedimenti attuativi del fascicolo sanitario elettronico con particolare riferimento alla realizzazione di un’unica rete regionale per interconnettere tutte le aziende sanitarie e gli enti socio-sanitari. Gli enti privati accreditati con il sistema socio-sanitario avranno l’obbligo di partecipare al fascicolo sanitario elettronico. Il fascicolo sanitario elettronico e la conseguente tessera sanitaria elettronica per tutta la popolazione veneta verranno attivati entro un anno dall’entrata in vigore del Piano socio sanitario 2019-2023.
Art. 12 - Prestazioni dei dirigenti veterinari.
1. Al fine di assicurare l’erogazione di prestazioni obbligatorie per legge che non possano essere effettuate in orario diurno o esclusivamente nei giorni feriali, le Aziende ULSS, nel rispetto del sistema di relazioni sindacali previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro della dirigenza medico-veterinaria, possono disporre della presenza in servizio dei dirigenti veterinari durante le ore notturne e nei giorni festivi. L’attività è espletata nell’ambito dell’orario di lavoro settimanale ovvero in regime di prestazioni aggiuntive qualora ricorrano i presupposti e le condizioni stabiliti dai predetti contratti collettivi, nel rispetto della normativa nazionale sull’orario di lavoro.
Art. 13 - Direttore sanitario di struttura privata accreditata.
1. Il direttore sanitario di struttura privata accreditata che gestisce ospedali con più di cento posti letto deve possedere gli stessi requisiti richiesti per il direttore medico ospedaliero di ospedali pubblici
Art. 14 - Disposizioni in materia di personale di Azienda Zero. (8)
1. In considerazione degli esiti delle procedure di mobilità esperite ai sensi della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , articolo 7 articolo 7, comma 1, a seguito degli accordi conclusi con le aziende ed enti del servizio sanitario regionale in sede sindacale ai sensi dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, al fine di limitare il disagio organizzativo alle aziende ed enti che, avendo sede limitrofa a quella di Azienda Zero, hanno già sopportato un rilevante esodo di personale, Azienda Zero è autorizzata ad effettuare assunzioni dirette, previa autorizzazione della Giunta regionale sentita la competente commissione consiliare, di personale mediante procedure concorsuali per la copertura di posti di dotazione organica, così come definita dall’ articolo 7, comma 3 della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , che non siano stati coperti a seguito delle medesime procedure di mobilità.
2. Il finanziamento destinato ad Azienda Zero considera il trasferimento di risorse effettuato dalle aziende ed enti del servizio sanitario regionale sulla base degli accordi sindacali di cui al comma 1 che deve considerarsi confermato.
Art. 15 - Interventi per la razionalizzazione della spesa delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale. (9)
1. La disciplina di cui all’ articolo 37, commi 2, 3, 4 e 5 della legge regionale 19 febbraio 2007, n. 2 “Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2007” è confermata per il triennio 2019-2021.
Art. 16 - Commissione regionale per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE). (10)
1. La Commissione regionale per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE) supporta la Giunta regionale nella funzione di definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e amministrazione sulla base dei principi ed indirizzi generali della programmazione regionale generale di competenza del Consiglio regionale, verificando la coerenza con la programmazione regionale e la sostenibilità economico finanziaria dei progetti d’investimento, di tecnologia e di edilizia in ambito sanitario e socio-sanitario.
2. La Giunta regionale può altresì incaricare la CRITE di effettuare la disamina/analisi dei piani trimestrali di assunzione del personale delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale al fine di verificarne la coerenza con la normativa nazionale e regionale, nonché con gli atti di programmazione regionale.
3. La CRITE supporta la Giunta regionale nel processo di approvazione dei Piani degli investimenti triennali delle aziende sanitarie, esaminando la loro compatibilità rispetto alle risorse disponibili o rispetto a eventuali finanziamenti specificamente dedicati.
4. La Giunta regionale approva i Piani degli investimenti triennali di cui al comma 3 previo parere della commissione consiliare competente.
5. La composizione della CRITE e il ruolo di supporto della CRITE che può esplicarsi in tutti quegli ambiti in cui vi sia l’esigenza di verificare la sostenibilità economica di azioni attuative della programmazione regionale, anche in relazione a eventuali limiti di spesa o di risorse assegnate, sono definiti con provvedimento della Giunta regionale.
Art. 17 - Modifica dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 “Istituzione dell’ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS”.
1. All’ articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , dopo la lettera f) è inserita la seguente:
omissis ( 11)
Art. 18 - Clausola di neutralità finanziaria.
1. All’attuazione della presente legge si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione.
Art. 19 - Norma transitoria.
1. Il Piano socio sanitario regionale ha durata e validità per il quinquennio 2019-2023. Le norme e le disposizioni del Piano medesimo mantengono efficacia fino all’approvazione del Piano socio sanitario regionale successivo.
2. Le disposizioni del Piano socio sanitario regionale 2012-2016 mantengono la loro efficacia fino all’approvazione degli specifici provvedimenti di attuazione di cui all’articolo 1, comma 3.


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CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO
X LEGISLATURA

ALLEGATO ALLA LEGGE REGIONALE RELATIVA A:















PIANO SOCIO SANITARIO REGIONALE 2019-2023


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PIANO SOCIO-SANITARIO REGIONALE DELLA REGIONE DEL VENETO

2019-2023


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INTRODUZIONE:

L’APPROCCIO METODOLOGICO PER LA STESURA DEL PSSR 2019-2023
La persona al centro è uno degli slogan più frequenti delle politiche sanitarie e socio-sanitarie introdotte in questi ultimi anni a livello nazionale ed internazionale.
Ma come, concretamente, è possibile porre davvero il cittadino, utente, contribuente, la persona al centro delle politiche per la promozione e lo sviluppo della salute individuale e collettiva?
Il tentativo di rispondere a questa domanda ha guidato l’impostazione del nuovo PSSR del Veneto per il quinquennio 2019-2023.
Per tale motivo il Piano non si sviluppa, come di consueto, descrivendo servizi e responsabilità, secondo le note strutture organizzative (Ospedale, Distretto, Dipartimento di Prevenzione) e relative curve di specializzazione, ma cerca di evidenziare i diversi percorsi degli utenti in relazione alle principali tipologie di bisogni/domanda a cui i servizi per la salute si trovano a dovere rispondere nell’attuale fase di transizione demografica, epidemiologica, sociale ed economica.
Naturalmente i servizi sono presenti, ma vengono descritti in funzione dei bisogni dei cittadini sani, del percoso nascita, delle fasi acute, della cronicità.
Lo schema di lavoro del Piano è riassunto nella Figura 1: le righe descrivono sinteticamente i percorsi degli utenti; le colonne elencano la geografia dei servizi/luoghi di cura e la parte inferiore esplicita le attività di supporto che il sistema deve garantire per assicurare una presa in carico globale nel rispetto dei principi di equità, sostenibilità ed efficienza.
Figura 1: La mappa dei bisogni e dei servizi
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Il PSSR si articola in una premessa di carattere generale (La salute in un sistema integrato), in cui sono illustrate gli indirizzi fondamentali che caratterizzano l’attuale fase di pianificazione del SSSR del Veneto; in un capitolo dedicato all’attuale scenario epidemilogico e sociale (Lo scenario epidemiologico e sociale e l’impatto sulla domanda di servizi socio-sanitari); in due Parti, relative, rispettivamente a Bisogni, Domanda e Offerta ed ai Sistemi di Supporto.
Per ogni capitolo viene riproposto il seguente schema di sintesi:

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LA SALUTE IN UN SISTEMA INTEGRATO

La Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che “la salute è uno stato completo di benessere, fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un’assenza di malattia o infermità”.
In particolare, nella Carta di Ottawa del 1986, e nel più recente modello di politica europea per la salute denominato Salute 2020 (OMS Europa, 2012), la salute è considerata una risorsa per la vita quotidiana, non solo come obiettivo di vita: un concetto positivo che insiste sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche; è un bene essenziale per lo sviluppo sociale, economico e personale, ed è aspetto fondamentale della qualità della vita. Grazie ad un buono stato di salute, l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni; un buono stato di salute produce infatti benefici in tutti i settori e nell’intera comunità. La salute infatti “contribuisce all’aumento della produttività, a una maggiore efficienza della forza lavoro, a un invecchiamento più sano, a ridurre i costi sanitari e sociali e a limitare le perdite di gettito fiscale” (OMS, 2012).
La prosperità futura di ogni persona e della Regione nel suo complesso dipenderà dalla capacità delle politiche di porre al centro l’obiettivo Salute fondato sul coinvolgimento attivo del singolo e della collettività per cogliere nuove opportunità di miglioramento della salute e del benessere delle generazioni presenti e a venire.
A tal fine è necessario che la Regione del Veneto adotti un approccio multisettoriale che coinvolga la pluralità delle politiche di promozione della salute che favoriscano la creazione di condizioni sociali, economiche ed ambientali.
Intervenire su questi fattori che incidono altresì sull’accesso ai sistemi socio-sanitari di qualità assicura la riduzione delle disuguaglianze di salute per gli individui più disagiati della comunità.
Un buon governo per la salute promuove l’azione congiunta del settore sanitario e di altri settori, degli attori pubblici e privati e dei cittadini. Essa richiede un insieme sinergico di politiche, la maggior parte delle quali appartengono a settori interconnessi a quello sanitario e devono essere sostenute da politiche che ne favoriscano la collaborazione.
Si intende quindi far propri i contenuti del documento Salute 2020 dove si delinea un modello di politica europea a sostegno di un’azione trasversale al governo e alla società a favore della salute e del benessere, ciò impone ai decisori politici e alle agenzie di sanità pubblica, di garantire l’impegno di assumere nuovi ruoli nell’elaborazione delle politiche favorevoli alla salute e al benessere.

Salute e Comunità

Esiste una interdipendenza tra le persone e il loro ambiente di vita naturale e sociale; per poter migliorare tale equilibrio diviene necessario coinvolgere le comunità locali, i cittadini, adottando una prospettiva socio-ecologica e integrata sugli stili di vita. La comunità deve rappresentare quindi un luogo favorevole alla salute, “salutogenico”, attraverso politiche di intervento specifiche per contesto di vita.
Uno dei fattori chiave per la tutela e promozione della salute individuale e di comunità è quello di creare comunità resilienti e ambienti favorevoli, in grado di reagire a situazioni nuove o avverse. Appare dunque essenziale responsabilizzare prima di tutto chi è alla guida dell’amministrazione nelle scelte allocative, poi coloro che operano nelle strutture sanitarie e infine i cittadini
nell’adozione di corretti stili di vita al fine anche di ridurre il carico prevedibile e prevenibile di malattie croniche non trasmissibili.
Ogni singola persona, quale risorsa per la comunità, deve essere sensibilizzata ad esempio alla prevenzione delle malattie infettive mediante l’adozione di comportamenti consapevoli che preservino la propria salute e quella della collettività. A questo proposito si intende rafforzare la cultura della prevenzione attraverso la diffusione di un’informazione corretta e fondata su base scientifica, promuovendo iniziative che favoriscano un’adesione consapevole al calendario vaccinale. Allo scopo di eradicare le malattie prevenibili con vaccinazione, ci si propone di consolidare il ruolo dei professionisti sanitari nell’educazione alla promozione ed alla informazione attuando anche specifiche azioni di contrasto alla controinformazione.
Il SSSR si impegna a disporre per l’intera collettività degli interventi basati sulle migliori evidenze di efficacia, in modo equo ed uniforme su tutto il territorio regionale, programmati per ridurre le diseguaglianze allo scopo di assicurare così il benessere comune.
Al fine di concorrere all’attuazione delle politiche di contrasto della povertà nel proprio territorio, si intende infine promuovere un’azione di rete con tutti i servizi sociali, socio-sanitari, della formazione, del lavoro ed inoltre con il terzo settore e con il privato sociale, agendo con una progettazione personalizzata che intervenga sui bisogni della famiglia, sull’accompagnamento verso l’autonomia e sulla sua piena inclusione nella comunità.

Salute e ambiente

Nell’ambito del tema salute e ambiente si inserisce con particolare rilevanza l’orientamento sullo sviluppo sostenibile espresso dalle Nazioni Unite (Programma 2030), che fornisce un’indicazione chiara agli Stati affinché essi predispongano azioni sui temi ambientali di impatto sanitario caratterizzate dalla massima interistituzionalità e interdisciplinarietà.
Nel rispetto degli indirizzi degli istituti internazionali di riferimento, a livello regionale, è in corso, da qualche anno, un consistente investimento delle istituzioni per riportare il governo dei temi ambientali all’interno degli ambiti della prevenzione sanitaria e tutela della salute collettiva. Come evidente, una politica ambientale volta alla tutela della salute non può restare confinata all’interno degli ambiti amministrativi delle Aziende Sanitarie, ma prevede l’attivazione di un’Autorità Regionale di Controllo e Coordinamento capace di operare in maniera integrata su molteplici ambiti di studio quali aria, acqua, suolo e rifiuti, prevedendo analisi e valutazioni comparative su scale geografiche di dimensioni diverse.
Ampliare la collaborazione interdisciplinare e intersettoriale per la salute umana, ambientale e animale migliora l’efficacia della sanità pubblica, nell’unico obiettivo di tutelare e garantire la sicurezza e la salubrità di vita per tutti gli individui.

Salute e lavoro

Nell'economia regionale il sistema sanitario ha un ruolo fondamentale e costituisce una importante voce di investimento sia dal punto di vista finanziario che organizzativo.
In Veneto, ai circa 70.000 professionisti impegnati direttamente nelle diverse strutture del servizio sanitario si affiancano, molte altre migliaia di professionisti impiegati nelle strutture private accreditate e nelle diverse unità di offerta del servizio socio sanitario, sia di carattere residenziale che domiciliare.
Con riferimento alle risorse umane, la spesa sostenuta nel SSSR, in termini di costo del personale, deve essere rivalutata nell'ottica di un investimento capace di generare occupazione qualificata e
un significativo progresso in termini di sviluppo. Il volume occupazionale, sia a livello ospedaliero che territoriale, genera effetti positivi sul territorio e favorisce la crescita dell'economia locale.
In questo senso, gli investimenti in capitale umano devono essere orientati a valorizzare le professionalità presenti e a mantenere elevato il livello qualitativo offerto, non limitandosi semplicemente alla valutazione della produttività. L’evoluzione dei dati demografici ed epidemiologici determinerà nei prossimi anni una crescita della domanda di cura e di assistenza. Il settore sanitario inoltre si caratterizzerà ancor più quale settore innovativo anche in termini di investimenti e ricerca tecnologica.
La domanda di qualificati operatori sanitari tenderà pertanto ad aumentare e richiederà di mantenere una rete formativa diffusa, capace di adattarsi sia in termini quantitativi che qualitativi all’evoluzione del sistema.
Investire in tali fattori consentirà di rendere la sanità uno tra i maggiori motori di sviluppo economico e con interessanti prospettive occupazionali in ambito pubblico e privato, rimanendo la gestione e valutazione del controllo in materia di Sanità pubblica veterinaria nell’ambito della pubblica amministrazione per motivi di indipendenza e di competenza specifica.
All’interno del sistema economico e occupazionale il settore sanitario pubblico si inserisce in una “filiera della salute” dove si sviluppano (direttamente e attraverso l’indotto) altre attività economiche come, a titolo esemplificativo, la ricerca, produzione e commercio dei prodotti e dispositivi sanitari, socio-sanitari, farmaceutici, altresì la fornitura di servizi e beni.
Si può infatti affermare che la filiera della salute rappresenta oggi una delle maggiori fonti di ricchezza del territorio e per tale motivo è corretto parlare di investimenti in sanità (e non di spesa) poiché produce benefici non solo in termini di guadagno di salute, ma anche di ricchezza economica.
Un altro settore di sviluppo è quello legato alla mobilità sanitaria. Nelle strutture sanitarie venete, a conferma della qualità dell’assistenza sanitaria che si eroga, si curano sempre di più pazienti provenienti non solo da altre regioni ma anche dagli stati esteri.
Essa può rappresentare una ulteriore opportunità di crescita per il sistema sanitario e anche turistico della nostra Regione.
La direttiva europea 2011/24/UE sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, ha come scopo garantire la possibilità di accesso alle cure sanitarie ai cittadini europei in ogni paese dell’Unione.
A tal fine le strutture sanitarie venete per poter essere riconosciute all’interno della rete degli ospedali europei per i quali è previsto il rimborso, devono continuare a mantenere livelli di eccellenza attraverso sistemi di qualità come l’accreditamento.
Si intende inoltre continuare a sostenere la collaborazione attiva ai lavori del programma formativo Hospitals for eurOPE “HOPE” al quale il Veneto aderisce con il ruolo di Regione capofila in rappresentanza di tutte le altre Regioni e Province Autonome, che prevede lo scambio di personale appartenente ai servizi sanitari dei Paesi partner tra le Strutture ospedaliere dei diversi membri.
Infine è importante ricordare il ruolo del sistema sanitario anche per la tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro attraverso il controllo del rispetto delle norme e la promozione della salute con il sostegno ai soggetti attivi nella prevenzione.
Il metodo più efficace per garantire la salute e il benessere della popolazione lavorativa è che tutti i livelli di governo agiscano insieme per contrastare infortuni sul lavoro e malattie professionali,
promuovere processi culturali atti ad aumentare la responsabilizzazione delle persone e delle comunità di vita e di lavoro.
Nell’azione di contrasto a infortuni sul lavoro e malattie professionali nella programmazione regionale si perseguono le seguenti linee strategiche: il perfezionamento dei sistemi di conoscenza dei rischi e dei danni da lavoro: il rafforzamento del coordinamento tra istituzioni e partenariato economico sociale e tecnico scientifico; il miglioramento dell’efficacia delle attività di controllo e dell’attuazione da parte dei destinatari delle norme.










PARTE I:
BISOGNI, DOMANDA E OFFERTA




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1. LO SCENARIO EPIDEMIOLOGICO E SOCIALE E L’IMPATTO SULLA DOMANDA DI SERVIZI SOCIO-SANITARI


Parole chiave
Diseguaglianze di salute, Fattori di rischio, Invecchiamento, Multietnicità, Multimorbidità

Lo scenario socio-demografico

La popolazione residente in Veneto al 1 gennaio 2017 è pari a 4.907.529 persone, in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente (-0,2%); l’andamento della popolazione, crescente fino al 2014, si è stabilizzato negli ultimi anni con le nascite in continua diminuzione e un saldo migratorio (interno e con l’estero) che si mantiene positivo. Infatti, a partire dal 2011 il numero dei decessi ha superato il numero dei nati (Figura 1.1) e nel 2016 il tasso di natalità è sceso sotto l’8 per 1.000 abitanti.
Figura 1.1 - Trend di natalità e di mortalità in Regione del Veneto. Anni 2005-2016 (Fonte: ISTAT)
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La maggior longevità (la speranza di vita alla nascita in Veneto è di 81 anni per gli uomini e 85 anni per le donne) unita al declino della natalità determina un progressivo invecchiamento della popolazione: i residenti con più di 64 anni sono il 22% del totale con un rapporto rispetto alla popolazione 0-14 anni di 1,6 a 1.
La popolazione straniera, pari al 10% della popolazione complessiva, ha una struttura per età più giovane di quella della popolazione italiana, collocandosi prevalentemente nelle fasce di età infantili e lavorative (Figura 1.2).
Convenzionalmente si ritiene il 65° anno di età il limite per indicare l’ingresso nell’età anziana, collegando tale età con l’uscita dal mercato del lavoro.
Tuttavia va considerato che l’invecchiamento è un processo progressivo e variabile da una generazione all’altra, considerati anche l’aumento della vita media e soprattutto dell’aspettativa di vita attuale quali risultati dei continui progressi in ambito di tutela della salute; ciò ha comportato
una migliore qualità di vita di cui beneficia la popolazione: un 65enne di oggi è difficilmente confrontabile con un coetaneo di cinquant’anni fa. La definizione e l’individuazione della soglia di anzianità a 65 anni attualmente utilizzata risulta pertanto inadeguata a rappresentare la società contemporanea; di conseguenza l’aumento della soglia di ingresso nell’età anziana a 70 anni costituisce un obiettivo cui tendere in sede di programmazione.
Figura 1.2 - Piramide d’età per genere e cittadinanza residente in Veneto al 1° gennaio 2017 (Fonte: ISTAT)
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Con riferimento al contesto socio-economico il Veneto gode di una situazione migliore rispetto al resto del Paese: l’incidenza delle famiglie che vivono in condizione di povertà relativa (secondo la definizione dell’ISTAT) è in Veneto del 4,9% rispetto al 5,4% delle Regioni del Nord e al 10,4% dell’Italia. Va inoltre evidenziato come le persone che vivono da sole, che quindi potrebbero non contare su una rete di supporto familiare, siano l’11% della popolazione: sebbene il dato sia inferiore a quello delle altre regioni del Nord, rappresenta comunque un numero rilevante di persone, molte delle quali anche in età avanzata.
In sostanziale continuità con quanto evidenziato nel passato quinquennio di programmazione, l’analisi socio-demografica pone in rilevo alcune caratteristiche che influenzano il panorama dei bisogni e dell’offerta di servizi attuale e futura:
- progressivo invecchiamento della popolazione;
- quota di residenti stranieri che si attesta attorno al 10% del totale dei residenti, con una distribuzione per età più giovane rispetto a quella degli italiani;
- presenza di un numero rilevante di persone che vivono da sole, molte delle quali in età avanzata.

Fattori di rischio e diseguaglianze

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’86% dei decessi e il 75% della spesa sanitaria in Europa e in Italia sono determinati da patologie croniche, dovute anche a scorretta alimentazione, inattività fisica, abitudine al fumo ed abuso di alcol, principali fattori di rischio di malattie cronico-degenerative. Il monitoraggio di questi fattori di rischio legati a comportamenti individuali viene effettuato in Veneto attraverso specifici programmi di sorveglianza, inseriti anche nel Piano Regionale Prevenzione 2014-2018. Fra questi, lo studio PASSI, indagine campionaria attiva da una decina d’anni, è finalizzato a raccogliere dati sulla percezione della propria salute, sugli stili di vita e sui comportamenti a rischio della popolazione adulta di età compresa tra 18 e 69 anni. Nel futuro dovrà essere posta sempre maggiore attenzione all’integrazione dei sistemi di sorveglianza sui fattori di rischio con i sistemi routinari di raccolta di dati sulle condizioni di salute e sull’accesso ai servizi sanitari, al fine di dotarsi di
strumenti di lettura della salute della popolazione dal punto di vista non solo degli esiti, ma anche dei determinanti. In particolare, nella raccolta dei dati sulle condizioni di salute sarà necessario considerare, insieme alla malattia e ai fattori di rischio, le varie fragilità, vulnerabilità e/o disagio in quanto situazioni che possono evolvere in malattia o psicopatologia.
Nella Tabella 1.1 vengono riassunti alcuni risultati che emergono dall’indagine PASSI in Veneto nel periodo 2008-2016.

Tabella 1.1. Prevalenza (%) dei principali fattori di rischio individuali nella popolazione di età 18-69 anni. Veneto, anni 2008-2016 (Fonte: Sistema di Sorveglianza PASSI Regione del Veneto)
Fattori di rischio
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
Fumo
25,9
24,9
24,0
24,5
23,6
23,4
21,9
23,4
22,3
Consumatore di alcol a maggior rischio
22,5
21,4
24,0
24,9
25,1
23,8
23,8
23,9
26,1
Eccesso ponderale
40,2
40,1
39,7
41,7
40,3
39,7
38,9
42,0
40,2
Sedentarietà
25,0
25,5
23,2
23,9
22,8
23,4
22,5
22,5
19,5
Il fumo di tabacco e il consumo eccessivo di alcol rappresentano importanti determinanti per malattie croniche e per l’insorgenza di neoplasie. In Veneto la maggioranza degli adulti non fuma o ha smesso di fumare, mentre il 22% si dichiara fumatore. L’abitudine al fumo nel tempo è in diminuzione e rimane sistematicamente più diffusa tra gli uomini, nella popolazione giovanile e tra le persone con basso livello socio-economico. L’eccessivo consumo di alcol riguarda circa un quarto della popolazione adulta, coinvolge soprattutto i giovani-adulti di età compresa tra 18 e 34 anni (45% nel 2016) e gli uomini.
L’eccesso ponderale è uno dei principali fattori che determinano l’aumento delle malattie croniche non trasmissibili; questa condizione riguarda il 40% degli intervistati di età 18-69 anni (il 31% è in sovrappeso e il 9% obeso), con un andamento stabile nel tempo. L’eccesso ponderale è più frequente al crescere dell’età, nei maschi, nelle persone con basso livello di istruzione e nelle persone con difficoltà economiche. L’eccesso ponderale è collegato in parte all’attività fisica: nella popolazione intervistata solo il 34% ha dichiarato di avere uno stile di vita attivo, nel senso che svolge un lavoro che richiede un importante sforzo fisico o pratica l’attività fisica settimanale raccomandata. Le persone sedentarie sono 1 su 5, una proporzione che appare tuttavia in diminuzione nel tempo: la sedentarietà cresce all’aumentare dell’età ed è più diffusa nelle persone con basso livello d’istruzione e con maggiori difficoltà economiche.
I risultati dell’indagine PASSI mettono in evidenza come non solo i profili di rischio della popolazione siano diversificati per genere e per età, ma anche come le disuguaglianze socio- economiche abbiano importanti riflessi sull’esposizione a stili di vita non salutari, offrendo interessanti spunti di riflessione per i servizi sanitari e socio-sanitari sulla necessità di intercettare i bisogni non espressi della popolazione e di favorire il coinvolgimento attivo delle persone nella promozione della propria salute.

Lo scenario epidemiologico

Con l’allungamento della vita media anche il profilo epidemiologico della popolazione è in evoluzione.
Malattie acute come l’infarto e l’ictus, pur avendo ancora un importante impatto sulla popolazione, sono in riduzione e tendono a manifestarsi in età più avanzata. Il tasso di ospedalizzazione di eventi di infarto acuto del miocardio (IMA) è andato riducendosi nel periodo 2006-2016 in tutte le classi di età. In particolare, il tasso di eventi con sopraslivellamento del tratto
ST (STEMI) è in continua ed importante riduzione, mentre il tasso di eventi senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) evidenzia delle oscillazioni, con un lieve aumento negli ultimi anni; di rilievo il sorpasso degli eventi NSTEMI a scapito degli STEMI nell’ultimo anno di osservazione. L’incidenza della malattia è superiore nei maschi, dove quasi il 40% dei ricoveri per IMA avviene prima dei 65 anni.
Le malattie cerebrovascolari acute costituiscono un ambito estremamente rilevante per la loro diffusione e per le gravi conseguenze sullo stato di salute delle persone colpite. Ogni anno tra i residenti in Veneto si verificano circa 9.000 eventi di ictus che vengono ospedalizzati; nel 77% circa dei casi si tratta di ictus ischemico, nel 19% di emorragia cerebrale e nel 4% di emorragia subaracnoidea. Negli ultimi anni si osserva una riduzione dei tassi standardizzati: oltre il 62% degli eventi avviene in soggetti di età superiore ai 74 anni.
Anche per la mortalità, le malattie cardiovascolari, che rappresentavano fino a una decina di anni fa la causa di morte più frequente, oggi sono state sopravanzate nella popolazione maschile dai tumori.
L’analisi delle cause di morte evidenzia inoltre come si sia amplificata nel 2015 e nel 2016 la mortalità per le patologie neurologiche/psichiatriche (rappresentate principalmente da demenza, Parkinson, ed altre patologie degenerative tipiche della popolazione anziana) e per altre patologie degenerative ed infettive tipiche dei grandi anziani con ridotto grado di autonomia e multiple comorbidità. La mortalità per malattie dell’apparato respiratorio ha registrato l’incremento più consistente nel 2015, dato, quest’ultimo, fortemente influenzato dalla mortalità per polmonite ed altre infezioni respiratorie (Figura 1.3).

Figura 1.3: Distribuzione dei decessi per principali settori nosologici: anni 2007 e 2016 a confronto.
COREVE COREVE

La Regione del Veneto si caratterizza per una presenza di stranieri residenti superiore alla media nazionale (10% e 8% rispettivamente). L’importante flusso migratorio da altri Paesi, in particolare Europa dell’Est, Africa e Sud-Est asiatico, ha posto la necessità di valutare i possibili diversi profili di rischio delle etnie presenti in Veneto, al fine di supportare efficaci strategie di prevenzione e di assistenza. Dall’analisi delle cause di mortalità tra gli immigrati nel Veneto si evidenziano differenze tra gruppi di popolazione provenienti da differenti aree geografiche; in particolare, elevati rischi per malattie circolatorie tra gli immigrati provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Sud asiatico e un minor rischio per le donne provenienti dall’Europa dell’Est. Eccessi di rischio si sono verificati anche per alcune specifiche neoplasie; tumore al fegato (Paesi asiatici e dell’Africa sub-sahariana), tumore al polmone (Paesi asiatici e dell’Est Europa) e tumore alla cervice uterina
(donne dell’Est Europa). L’aumento di mortalità per malattie infettive è limitata agli stranieri provenienti dall’Africa sub-sahariana e per gli incidenti stradali alle donne dell’Est Europa.
Il tema della misurazione della prevalenza delle patologie cronico-degenerative e della valutazione del carico complessivo di malattia di un territorio rappresenta un ambito di indagine particolarmente rilevante per la programmazione dell’assistenza alla popolazione. Per questo motivo, da alcuni anni la Regione del Veneto è impegnata nell’analisi del case-mix di malattia della popolazione utilizzando anche il Sistema di classificazione ACG (Adjusted Clinical Groups) che, integrando sul paziente i dati dei flussi informativi sanitari correnti, stratifica la popolazione generale in un numero limitato di categorie che identificano profili simili per carico di malattia e conseguente impatto assistenziale.
I dati del 2015, elaborati con il Sistema ACG, evidenziano che a partire dai 55 anni, quasi il 50% della popolazione risulta affetto da almeno una patologia cronica e circa il 20% è in condizione di multimorbilità. Al progredire dell’età, i soggetti affetti da almeno due patologie diventano la maggioranza, arrivando a quasi i due terzi del totale oltre gli 85 anni (Figura 1.4).

Figura 1.4 - Popolazione per numero di condizioni croniche e classi di età, Veneto, 2015. (Fonte: Archivio ACG Regione del Veneto)
COREVE
Tra le patologie croniche più diffuse si rilevano l’ipertensione arteriosa, le dislipidemie, il diabete, le demenze, la broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) e lo scompenso cardiaco. L’ipertensione arteriosa, le dislipidemie e il diabete rappresentano anche importanti fattori di rischio per le patologie cardiovascolari e per l’insorgenza di gravi complicanze.
L’ipertensione arteriosa è la patologia più diffusa nella popolazione. La prevalenza complessiva, pari al 24,4%, aumenta all’aumentare dell’età: dal 60,5% tra i 65 e i 74 anni al 79,5% oltre gli 85 anni. Fino ai 74 anni la prevalenza risulta maggiore nel sesso maschile, ma la differenza tra maschi e femmine tende a diminuire, fino a quasi annullarsi, all’aumentare dell’età. Il 50% delle persone con ipertensione arteriosa è affetto da almeno un’altra patologia cronica, il 28,9% da almeno due. Le più frequenti sono le patologie cardiache (aritmie, nel 12,3% dei casi), il diabete (11,7%) e le dislipidemie (7,1%).
Le dislipidemie presentano una prevalenza complessiva del 10,4%. La differenza tra i generi è piuttosto marcata, a svantaggio dei maschi in tutte le classi di età. Il 59,6% delle persone con dislipidemia è affetto da almeno un’altra patologia cronica, il 35,8% da almeno due. Le patologie
associate più frequenti sono l’ipertensione arteriosa (43,5%), le malattie ischemiche del cuore (19,8%) e il diabete (18,4%).
Il diabete è una malattia che si presenta spesso in associazione ad altre condizioni determinando un elevato carico assistenziale: il 46,2% dei pazienti affetti da diabete presenta in media almeno tre condizioni croniche, che sale al 61,1% nella fascia con 75 e più anni. Nella popolazione generale ha una prevalenza del 5,3%, risulta maggiore nel sesso maschile e tende ad aumentare notevolmente in entrambi i sessi all'aumentare dell'età.
La demenza è una condizione molto diffusa nella popolazione anziana, con un fortissimo impatto sia dal punto di vista assistenziale che del carico familiare e sociale. Le stime ottenute indicano una prevalenza nella popolazione ultrasessantacinquenne pari al 52,2 ‰ (35,9‰ negli uomini e 64,6‰ nelle donne, figure 1.4bis e 1.4ter); in linea con i dati di letteratura, la prevalenza di demenza tende ad aumentare con l’età, sia negli uomini che nelle donne, più che raddoppiando circa ogni 5 anni a partire dai 65 anni. La demenza è una patologia che oltre a determinare di per sé un forte impatto assistenziale, rappresenta spesso anche una condizione in grado di “scompensare” situazioni di cronicità in equilibrio, con effetti negativi a cascata sulla salute della persona e sull’utilizzo dei servizi.
Figura 1.4bis – Soggetti con demenza residenti in Veneto, in rapporto alla popolazione (Fonte: Archivio 2016 ACG Regione del Veneto)
COREVE

Figura 1.4ter – Prevalenza della demenza per sesso e quinquenni di età. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Sesso
Classi di età quinquennali

65-69
70-74
75-79
80-84
85 +
TOT
Femmine
5,31
14,12
37,96
87,21
191,15
64,60
Maschi
5,05
13,05
32,46
66,79
125,96
35,94
Totale
5,18
13,62
35,48
78,88
171,14
52,18

Per la BPCO è stata stimata una prevalenza del 4,5% tra i soggetti con più di 45 anni; la malattia colpisce maggiormente gli uomini rispetto alle donne e diviene più frequente all’aumentare dell’età. Il 41,4% dei pazienti affetti da BPCO presenta almeno tre condizioni croniche co-presenti, tra le più frequenti: ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, scompenso cardiaco e malattie ischemiche del cuore.
Lo scompenso cardiaco presenta una prevalenza pari all’1,5% per la popolazione generale. Osservando però la prevalenza per classi di età si rileva un andamento crescente al crescere dell’età, con valori più elevati sia per gli uomini che per le donne. Il 90,5% dei soggetti con
scompenso registra almeno 3 patologie croniche co-presenti; si tratta soprattutto di patologie cardiache (aritmie, ipertensione, malattie ischemiche), seguite da diabete mellito (17,9%), BPCO (16,6%) e insufficienza renale (16,1%).
Un’altra condizione che necessita di valutazione è la sclerosi multipla, patologia a bassa prevalenza nella popolazione, ma con notevole impatto sul Sistema Sanitario a causa dei costi assistenziali molto elevati. La prevalenza di sclerosi multipla è complessivamente pari a 166,3 casi per centomila abitanti; colpisce le donne in numero pressoché doppio rispetto agli uomini (218,5 casi per centomila abitanti tra le donne, 111,5 casi tra i maschi) ed è la prima causa non traumatica di disabilità nei giovani adulti, essendo una patologia che registra il picco di esordio intorno ai 20-40 anni.

La stratificazione della popolazione del Veneto per complessità assistenziale

Il modello concettuale della piramide del rischio, mutuato dal Population Health Management, utilizza le fonti informative di dati sanitari provenienti da flussi correnti per suddividere in diversi segmenti di complessità assistenziale la popolazione generale.
Utilizzando il sistema di classificazione ACG e le diagnosi di malattia, codificate nei percorsi clinici, è possibile classificare la popolazione rispetto a categorie di carico di malattia (categorie RUB) e calcolare, in termini relativi, l’indice di rischio attribuito ad ogni segmento di popolazione (indice di morbilità). Questo indice è una misura del carico di malattia nelle diverse categorie RUB rispetto al carico di malattia osservato in media nell’intera popolazione (carico medio=1) e va da un valore minimo nei soggetti non-utilizzatori (in azzurro chiaro nella Figura 1.5) ad un valore massimo nei soggetti con carico di malattia molto elevato (in rosso nella Figura 1.5). In Figura 1.5, vengono rappresentate le frequenze dei soggetti per età, genere e categorie di carico di malattia (RUB). L’evidente gap dei soggetti di 71 anni, senza distinzione di genere, è la conseguenza demografica dell’ultimo anno della seconda guerra mondiale sulla popolazione del Veneto.
Figura 1.5 – Assistiti per età in anni, genere e carico di malattia (RUB). (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
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La piramide del rischio, costruita usando il sistema ACG, evidenzia che la maggior parte della popolazione (76%) si distribuisce nella parte bassa della piramide del rischio, ma utilizza solo una piccola parte delle risorse del sistema (il 24% in termini di costi), mentre i soggetti nella parte alta della piramide (24%, rischio moderato, elevato e molto elevato) spiegano la maggior parte dei costi (76%) (Figure 1.6 e 1.7).
Figura 1.6 - Piramide del rischio (case-mix della popolazione) nelle categorie RUB e Indice di Morbilità. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Figura 1.7 – Popolazione e costi nelle categorie RUB. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
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L’indice di morbilità può essere usato anche per stimare i costi dei soggetti appartenenti ad un segmento, considerando come riferimento il costo unitario pro-capite medio stimato nella popolazione veneta che è di circa 1.020 euro nel 2015: così il costo stimato per le 6 categorie RUB va da 0 per i soggetti in salute o non utilizzatori ai 212 euro per i cosiddetti utilizzatori sani, ai 723, 2.357, 6.211 e 13.020 euro per coloro con basso, moderato, elevato e molto elevato rischio rispettivamente.
Il costo totale per tutte le prestazioni mappate da ACG per i quasi 5 milioni di veneti è di circa 5 miliardi di euro, corrispondente al 60% del Fondo Sanitario Regionale. Nel calcolo non vengono considerati i costi per la non autosufficienza ed altre prestazioni che attualmente non sono riferibili direttamente al singolo paziente (es. assistenza protesica, integrativa, farmaci nelle residenze sanitarie).
Nella piramide, i soggetti che sono raggruppati nei due segmenti più alti rappresentano circa il 5% della popolazione (Figura 1.6), ma utilizzano più del 33% delle risorse sanitarie (Figura 1.7). Se poi si considerassero anche i costi legati alla residenzialità extra-ospedaliera, qui non quantificati, a questo 5% della popolazione sarebbe attribuibile, anche nella popolazione del Veneto, circa il 50% dei costi sanitari totali.
Stratificando poi i segmenti di rischio per età, è possibile cogliere l’importante concentrazione dei costi dei soggetti con RUB 4 o 5 (definibili anche pazienti con cronicità avanzata e cronicità complessa) nella fascia d’età superiore ai 49 anni.
Con questo sistema di segmentazione è possibile identificare e profilare due gruppi di popolazione nelle fasce più elevate della piramide del rischio che nel Veneto sommano a circa 135.000 persone a domicilio e circa 24.000 persona in struttura residenziale, come presentato in Tabella 1.2.
Tabella 1.2 - Frequenza e % di assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5 per azienda sanitaria e luogo di assistenza. Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
Nuova Azienda ULSS
Non in struttura residenziale
In struttura residenziale
N
%
N
%
1-Dolomiti
6.192
4,6
1.689
7,1
2-Marca Trevigiana
22.696
16,8
4.662
19,7
3-Serenissima
18.765
13,9
2.962
12,5
4-Veneto Orientale
5.730
4,2
794
3,4
5-Polesana
9.134
6,8
1.359
5,7
6-Euganea
26.186
19,4
3.394
14,4
7-Pedemontana
7.746
5,7
2.010
8,5
8-Berica
11.211
8,3
2.990
12,7
9-Scaligera
27.187
20,2
3.775
16,0
Totale
134.847
100,0
23.635
100,0
Gli assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5 hanno profili di morbilità molto complessi ed in particolare sono caratterizzati da elevata co-prevalenza di patologie croniche ed elevato tasso di ospedalizzazione (Figura 1.8); per questo, possono essere definiti soggetti “ad elevate necessità e ad elevato costo”, come confermato dalla distribuzione del costo totale per età e per RUB in Figura 1.9, che evidenzia che la maggior parte dei costi, ad ogni età, è attribuibile alle due categorie RUB elevato e molto elevato, rappresentate cromaticamente con l’arancione e il rosso.

Figura 1.8 - Numero di ricoveri per 1.000 assistiti per carico di malattia (RUB).
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)

Figura 1.9 -Distribuzione del costo totale per anno di età e carico di malattia (RUB).
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)

COREVE COREVE
Con ACG è possibile inoltre definire il profilo di multimorbilità che descrive questa popolazione a rischio elevato e molto elevato. Il 99% di questa popolazione è classificabile con solo 5 diverse categorie ACG ad elevata comorbilità, elencate nella Figura 1.10, dove sono riportate le frequenze assolute di queste categorie ACG nella popolazione del Veneto.
Figura 1.10 – Categorie ACG degli assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5. Età 50 anni e oltre.
Frequenze assolute. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
COREVE
Il costo medio dell’assistenza sanitaria di questi soggetti nell’anno 2015, come atteso, incrementa proporzionalmente all’aumentare della complessità, come descritto nella Tabella 1.4.

Tabella 1.4 - Costo medio in Euro delle prestazioni sanitarie erogate agli assistiti appartenenti ai RUB 4 e 5 per categoria ACG. Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
ACG
Costo Medio in Euro nella popolazione >=50 anni
4-5 problemi di salute, due o più patologie maggiori, età > 44
6.696
6-9 problemi di salute, 2 patologie maggiori, età > 34
9.317
6-9 problemi di salute, 3 patologie maggiori, età > 34
11.313
6-9 problemi di salute, 4 o più patologie maggiori, età > 34
13.261
10 o più problemi di salute, 4 o più patologie maggiori, età > 17
18.789
Le 20 patologie più frequenti in questi soggetti sono rappresentate nella Figura 1.11 sottostante e sono per la maggior parte croniche; ma si evidenziano, per elevata prevalenza, anche alcune patologie acute. Tra queste, di rilievo, sono le infezioni respiratorie, le fratture, l’insufficienza respiratoria e nelle categorie con maggiore comorbidità (10 o più patologie), in separate analisi, compaiono anche le infezioni urinarie.
Questa combinazione non casuale di patologie croniche ed acute caratterizza in modo particolare questo segmento di popolazione, che è ad alto rischio di eventi avversi non tanto per la sommatoria di diverse e numerose patologie croniche, ma per l’associazione, spesso catastrofica, tra patologie croniche multiple e singole patologie acute. L’esempio è dato dalle infezioni respiratorie, dalle infezioni urinarie, dalle fratture, spesso conseguenza di cadute, che nel soggetto anziano con polipatologia costituiscono la causa precipitante della maggior parte degli accessi all’ospedale o al Pronto Soccorso, e spiegano il dato, osservato nei nostri ospedali “teoricamente per acuti”, per cui il 75% dei soggetti ricoverati è affetto da una o più patologie croniche, e che la patologia acuta, anche minore, è l’evento scatenante per una riacutizzazione di una patologia cronica o il fattore destabilizzante di un precario equilibrio omeostatico in soggetti particolarmente fragili per multimorbilità, deficit funzionali ed età.
In Figura 1.11, tra le patologie croniche più prevalenti, si evidenziano patologie cardiovascolari, neurologiche, neoplastiche e metaboliche, ma quando la distribuzione dei soggetti con singole patologie ad alta prevalenza come BPCO, scompenso cardiaco, demenza e diabete viene rappresentata per età, genere e carico di malattia (RUB) (Figura 1.12), si evidenzia l’importante concentrazione per età dei soggetti, che si polarizzano quasi tutti oltre i 50 anni. Questi soggetti, pur con la stessa patologia cronica, si caratterizzano per una eterogeneo grado di complessità.

Figura 1.11 – Frequenza di patologie negli assistiti con RUB 4 e 5. Età 50 anni e oltre. (Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto)
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Questa eterogeneità è dovuta all’associazione con altre patologie co-prevalenti ed è graficamente evidenziata dalla transizione cromatica dei RUB dal giallo chiaro (basso o moderato carico di malattie) al rosso acceso (carico molto elevato) della Figura 1.12.
Figura 1.12 - Distribuzione per età, genere e carico di malattia (RUB) di assistiti con BPCO, Scompenso cardiaco, demenza e diabete.
(Fonte: Archivio 2015 ACG Regione del Veneto).
COREVE

Queste osservazioni confermano non solo l’importanza della singola patologia cronica come il diabete o lo scompenso per identificare i soggetti all’interno di PDTA, ma anche l’elevato grado di eterogeneità e complessità che caratterizza tutti gli assistiti con queste malattie croniche, che rende necessario un approccio multidimensionale e centrato sulla persona e non sulla malattia singola.

Caratteristiche della popolazione materno-infantile

In Regione del Veneto risiedono 2.512.962 donne, di queste 1.029.388 sono in età fertile (15-44 aa); i bambini e adolescenti sono 809.344 (Tabella 1.5).
Tabella 1.5. Donne ed adolescenti residenti in Veneto, anno 2016

Nr.
%
Totale popolazione residente
4.907.529

Donne
2.512.962
51,2%
Donne in età fertile (15-44 anni)
1.029.388
21,0%
Bambini e adolescenti (0-17 anni)
809.344
16,5%
Nel 2016 si sono registrate 47.837 gravidanze. In Tabella 1.5 alcune caratteristiche della gravidanza rilevate in Veneto.
Tabella 1.5. Gravidanze, parti e indagini prenatali – Regione del Veneto, anno 2016

Nr.

Gravidanze
47.837

Aborti spontanei
5.985

IVG
5.087

Parti con nascita
36.765

Bambini nati
37.418

Gravidanze tramite procreazione assistita
989
2,7%*
(% su totale parti con nascita)
Indagine prenatali
41.047

Indagini prenatali invasive: villo, amnio o funicolo centesi
5.133
14%
(% su totale parti con nascita)
Ecografie per diagnosi di malformazioni fetali
35.914
98%
(% su totale parti con nascita)
*In aumento nel tempo
Per quanto riguarda i ricoveri subiti nel 2016 dalla popolazione femminile veneta (Tabella 1.5),
73.251 di questi sono avvenuti nei 37 reparti di ginecologia e ostetricia. In questi reparti sono posizionati i 37 punti nascita regionali (34 in ospedali pubblici, 3 in ospedali privati convenzionati), in 31 si effettuano IVG. I punti nascita sotto soglia nazionale (meno di 500 nati anno) sono 6, di cui 4 in territori di alta montagna o in isole.

Tabella 1.6. Frequenza e caratteristiche ricoveri di donne – Regione del Veneto, 2016

Nr.
Ricoveri ordinari (donne)
270.459
Ricoveri Day Hospital (donne)
61.460
Ricoveri nei 37 reparti di ginecologia e ostetricia
73.251
Nel territorio sono attivi 107 consultori familiari.
Dei minori di 18 anni che hanno subito lo scorso anno ricovero (Tabella 1.7), il 64% è stato ricoverato in reparti a vocazione pediatrica (38 di cui 32 pediatrie) e 1.868 in reparti intensivi.
Tabella 1.7. Frequenza e caratteristiche ricoveri di < 18 aa – Regione del Veneto, 2016

Nr.
Ricoveri ordinari (< 18 aa)
34.107
Ricoveri Day Hospital (< 18 aa)
16.022
Sono attivi 122 servizi territoriali ad attività consultoriale dedicata all’infanzia e adolescenza e/o ad attività di riabilitazione e di neuropsichiatria infantile, oltre che circa 550 Pediatri di Libera Scelta (PLS), nonché servizi di Psicologia Ospedaliera.
La speranza di vita femminile è di 84,6 anni, relativamente stabile nel tempo. In Tabella 1.8 alcuni indicatori riguardanti donne e gravidanza.
Tabella 1.8. Dati e indicatori donne e gravidanza. Regione del Veneto, anno 2016
Speranza di vita (donne)
84,6 aa
Età media al parto
32 aa
(8% parti > 40 aa)
Morti materne
0-3 casi per anno proporzione tra precoci e tardive di 2 su 3
Il tasso grezzo di cesarei è di 25%, in calo negli ultimi anni, con un tasso per la classe 1 di Robson di 9,7%.
L’indice complessivo di eventi sfavorevoli al parto per donna e nato AOI è di 5,2, valore in assoluto discreto, ma con forti variabilità tra punti nascita, scarsa relazione con il numero di parti e debole rapporto inverso con il tasso di cesarei. Tale variabilità, come il valore generale dell’indice, sono in evidente calo nell’ultimo anno, periodo nel quale la sua misura è stata inserita nel pacchetto degli indicatori di performance delle Direzioni delle Aziende Sanitarie.
Anche nella nostra Regione si evidenzia una selezione di genere nelle opportunità di vita e di accesso alle cure. Ad esempio, il rapporto maschi-femmine alla nascita biologicamente atteso è di 51 su 49 mentre per alcuni gruppi etnici nella nostra Regione è di 57 su 43, denunciando una evidente quota di IVG selettive per genere. Analogamente il 55% delle femmine SGA nasce e rimane in punti nascita di primo livello contro il 42% dei maschi. A questa scelta assistenziale è in parte legata la maggiore mortalità delle femmine SGA rispetto ai maschi (52% contro 48%). Anche nelle altre fasi della vita una certa selezione per genere permane. Ad esempio nel sistema dei trapianti da donatore vivente le femmine sono il 66% dei donatori e solo il 35% dei riceventi, squilibrio non del tutto giustificato da una distribuzione disomogenea delle patologie.
I tassi di nati mortalità (2,8 per mille), mortalità neonatale precoce (1,3), infantile (2,4), pediatrica (2,5 per 10.000), sono in generale tra i più bassi nel panorama nazionale.
Buoni successi si sono ottenuti soprattutto per quanto attiene la sopravvivenza dei gravi prematuri (sotto 32 sett.), attualmente 1,5% dei nati, con una sopravvivenza all’anno per i nati sotto le 28 settimane del 66%.
Molto alta (intorno al 90%) è la concentrazione delle nascite dei fortemente pretermine nei pochi punti nascita dotati di reparti di cure intensive neonatali, molto disperse sono invece le nascite degli SGA, che avvengono ancora in punti nascita di primo livello. Buono è il funzionamento del trasporto neonatale, da potenziare lo STAM (Sistema di Trasporto Materno Assistito).
Il tasso di paralisi cerebrali è intorno al 1,5 per mille nati vivi, mentre il tasso dei minori affetti da condizioni croniche e/o rare e/o disabilitanti rilevanti è intorno al 9 % (circa 70.000 bambini). Essi comprendono 40.000 minori con patologie croniche più comuni (come epilessia, asma, diabete, etc.), 9.763 bambini con malattie rare, 20.000 disabili medio gravi, 3.500 maltrattati.
Circa 2.000 adolescenti o preadolescenti hanno subito un ricovero ospedaliero per incidente, di cui
9 deceduti e 32 con esiti disabilitanti gravi. Oltre 500 adolescenti subiscono un ricovero psichiatrico; 168 presentano un episodio critico per uso di droghe e/o alcool tanto da richiedere un ricovero ospedaliero d’urgenza, il 40% ha sintomi gravi di dipendenza cronica. Una gravidanza ogni 200 (1.959) è portata avanti da ragazze adolescenti, di cui il 36% arriva al parto.
La condizione di salute di questa fascia di popolazione è quindi mediamente discreta, con elementi in chiaro scuro, situazioni di ottimo o buon livello, che convivono con vecchie criticità ancora non risolte e con nuovi o emergenti problemi di salute. In questa fascia di popolazione poi si esplicitano con più evidenza le contemporanee conseguenze della rivoluzione demografica e di

costituzione sociale della popolazione e delle famiglie, delle nuove attese, valori, abitudini e percezioni di diritti presunti, dell’implementazione di nuove tecnologie predittive e di trattamenti innovativi.

2. LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E LA PREVENZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO

COREVE

Parole chiave
Ambiente-salute, Interdisciplinarietà, Intersettorialità, Multisettorialità, Salute come risorsa
Obiettivi strategici
OS1. Ridurre le disuguaglianze di salute
OS2. Sviluppare l’approccio strategico “Salute in tutte le politiche”
OS3. Rendere il cittadino protagonista e responsabile del proprio stato di salute (educazione - promozione stili di vita) e promuovere l’invecchiamento attivo e in salute
OS4. Sviluppare il binomio ambiente-salute OS5. Ridurre l’incidenza delle malattie croniche
OS6. Ridurre l’incidenza delle malattie trasmissibili
OS7. Aumentare l’adesione consapevole alle vaccinazioni
OS8. Sviluppare piani integrati per la gestione delle emergenze (epidemiche e non) OS9. Prevenire infortuni e malattie professionali
OS10. Potenziare i sistemi di sorveglianza sullo stato di salute della popolazione OS11. Garantire i sistemi di sorveglianza sulla sicurezza alimentare (veterinaria)
OS12. Definire un programma di sorveglianza e controllo correlati all’assistenza (antibiotico-resistenza)

Il Piano Regionale Prevenzione

Il Piano Regionale Prevenzione (PRP) 2014-2018, prorogato al 2019, è contraddistinto da novità di rilievo nella programmazione regionale, in linea con la visione, i principi e la struttura del Piano Nazionale per la Prevenzione, garantendo nel contempo la continuità con quanto realizzato in Veneto nel precedente PRP 2010-2012 e successive proroghe, la valorizzazione delle conoscenze acquisite e il rispetto della specificità territoriale.
I punti cardine che lo contraddistinguono e che rappresentano le novità di rilievo nella programmazione regionale, possono così essere sintetizzati:
- da progetti a programmi: il PRP 2014-2018 si basa sulla convinzione che è necessario superare l'ottica parcellizzata di singole azioni di progetti settoriali arrivando ad una logica di Piani/Programmi e processi legati ad attività istituzionali, tra loro coerenti, coordinate, sinergiche e continuative;
- programmazione per setting di vita quali, in particolare, la scuola, gli ambienti di lavoro, l'ambiente sanitario e la comunità, si tratta di ambienti significativi di vita delle persone. La scelta di incontrare le persone nei loro luoghi di vita è determinata dalla volontà di sottolineare l'obiettivo di supportare il protagonismo quotidiano delle persone che costruiscono la propria salute "là dove si studia, si lavora, si gioca e si ama" (Carta di Ottawa, 1986). Un'azione volta a promuovere la salute attraverso ambienti differenti può assumere forme diverse, spesso mediante alcune tipologie di sviluppo organizzativo come il cambiamento dell'ambiente fisico, della struttura organizzativa, degli aspetti amministrativi e gestionali. I risultati attesi sono interventi trasversali e globali nella promozione di stili di vita sani all'interno di uno stesso ambiente di vita, tra questi il progetto “InOltre” previsto dall’articolo 48 della legge regionale n. 45/2017 , realizzato dall’Azienda Ulss n. 7 Pedemontana, rivolto ai cittadini che attraversano situazioni emergenziali;
- approccio per tutto il ciclo di vita (life-course): significa prendersi cura della persona lungo tutto l’arco della vita, mettere al centro la persona fin dal periodo preconcezionale, riconoscendo la profonda interconnessione tra le diverse fasi della vita. Tale approccio si basa sulle evidenze che favorire il mantenimento di un buono stato di salute lungo tutto il corso dell'esistenza, porta all'aumento dell'aspettativa di vita in buona salute e a un bonus in termini di longevità, fattori entrambi che possono produrre benefici importanti a livello economico, sociale e individuale. In questa logica si collocano anche le strategie volte a garantire un invecchiamento attivo e in buona salute;
- intersettorialità: è la parola chiave per sviluppare condivisione e comune comprensione tra settori diversi sui determinanti della salute e per definire comuni obiettivi di intervento. Per agire sui determinanti socio-economici e ambientali delle malattie croniche, per dare maggior credibilità ai messaggi da veicolare, per consolidare il rapporto tra cittadini e istituzioni, per assicurare un’informazione univoca e completa, sono necessarie alleanze tra forze diverse e azioni sinergiche. La maggior parte degli interventi efficaci di contrasto ai fattori di rischio e di promozione di comportamenti salutari sono esterni alla capacità di intervento del Servizio sanitario, pertanto la programmazione regionale, nell’ottica di Guadagnare Salute e attuando l’approccio Salute in tutte le politiche, punta sull’avvio di una “politica delle alleanze” tra soggetti portatori di interesse e settori diversi della società (Amministrazioni locali, Organizzazioni, Enti, Associazioni, Istituzioni, ecc.), che è l'obiettivo trainante dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel documento Salute 2020;
- contrasto alle diseguaglianze in salute: coerentemente con il PNP 2014-2018 che indica chiaramente la necessità di adottare un approccio di sanità pubblica che garantisca equità, il PRP della Regione del Veneto si pone l'obiettivo del contrasto alle diseguaglianze come azione innovativa e trasversale. È indispensabile, infatti, assumere un approccio capace di leggere le disuguaglianze in salute con riferimento sia ai determinanti distali (condizioni socio- economiche, istruzione, provenienza geografica, ecc.) sia ai determinanti prossimali (stili di vita, ecc.), di effettuare una attenta ricognizione regionale degli interventi e, di conseguenza, la valutazione degli interventi di contrasto, il loro monitoraggio nel tempo, la formazione degli operatori, l'implementazione di azioni efficaci.
Unitamente a questi punti cardine sui quali poggia il PRP e i suoi obiettivi, si fa sempre più strada il concetto di engagement, ovvero il coinvolgimento attivo della persona nella prevenzione e nella gestione della propria salute e di quella della propria comunità, che rappresenta un innovativo cambio di paradigma culturale in sanità. Tale concetto comprende quello di partecipazione attiva (empowerment), di comunità e individuale, che si riferisce all’acquisizione di un maggior controllo rispetto alle decisioni e alle azioni che riguardano la propria ed altrui salute in senso lato, mentre engagement sottolinea la presenza di una relazione compartecipativa che il cittadino, in ogni fase della vita, instaura o può instaurare con il suo sistema socio sanitario di riferimento nei vari ambiti della promozione della salute, della prevenzione, cura e riabilitazione.
In questo quadro, il Dipartimento di Prevenzione, all'interno delle singole Aziende ULSS, è l'asse portante e il nodo strategico garante di una forte e valida collaborazione tra le Strutture, i Servizi e le Unità Operative, interni ed esterni all'Azienda ULSS, impegnati nella promozione e nella tutela della salute dei cittadini e conseguentemente nello sviluppo sociale ed economico della realtà veneta.
I Dipartimenti di Prevenzione assumono un ruolo di regia sia delle funzioni di erogazione diretta delle prestazioni sia di governo di interventi non erogati direttamente, costruendo e sviluppando una rete di collegamenti fra interlocutori (istituzionali e no), che in senso bidirezionale connetta il
territorio al governo regionale e nazionale, garantendo, inoltre, gli obiettivi individuati dal Reg.UE n.625/2017.

Ambiente e salute

La letteratura scientifica disponibile è oggi ricca di studi che evidenziano il nesso tra ambiente e salute, ovvero quanto l’esposizione alle sostanze nocive presenti nell'aria, nell'acqua, nel suolo o negli alimenti rappresenti un importante determinante della salute.
Sono quindi forti le esigenze di:
- riqualificare le valutazioni preventive effettuate dagli operatori della sanità pubblica a supporto delle Amministrazioni e delle Istituzioni, a tal fine, va mantenuta l’esperienza di strutture epidemiologiche regionali, quali ad esempio, il Centro di Epidemiologia Veterinaria (CREV) istituito presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie”;
- integrare le azioni dei diversi soggetti sanitari e non sanitari che concorrono al raggiungimento degli obiettivi di salute e al contrasto delle disuguaglianze, causate anche dai determinanti ambientali. La tutela del suolo, delle acque e dell'aria, le politiche di prevenzione della produzione e di smaltimento dei rifiuti, la prevenzione dall’esposizione ai rumori, alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, le politiche sulla sicurezza chimica, il contrasto agli inquinanti e alle produzioni climalteranti, la qualità degli interventi in edilizia, costituiscono opportunità di sviluppo delle politiche intersettoriali e di possibile integrazione tra gli obiettivi di salute;
- fornire indicazioni per sviluppare adeguatamente la componente salute nell’ambito delle procedure di VAS-Valutazione Ambientale Strategica e di VIA-Valutazione di Impatto Sanitario di tipo prospettivo per nuovi insediamenti produttivi e di tipo retrospettivo, con mappe di rischio, per gli insediamenti esistenti;
- rafforzare le strategie di sanità pubblica per contrasto alla contaminazione da Sostanze Perfluoralchiliche (famiglia di composti chimici, prodotti dall’uomo, utilizzati per rendere i materiali resistenti ai grassi e all’acqua) che interessa una parte del territorio regionale. In alcuni Comuni del Veneto si è verificato un inquinamento da PFAS o composti similari delle acque a partire dagli anni ’70. Le Strutture regionali della Sanità sono venute a conoscenza di tale fenomeno nel 2013 attraverso la relazione elaborata dall’Istituto di Ricerca sulle Acque – CNR, trasmessa dal Ministero della Salute. Da allora, la Regione del Veneto ha messo in atto numerose azioni, come l’individuazione dell’area di contaminazione e della principale fonte responsabile; la messa in sicurezza della distribuzione dell’acqua potabile e la mappatura ed il controllo dei pozzi privati; l’avvio di uno studio di biomonitoraggio; l’avvio di studi retrospettivi ed ecologici sulle patologie tumorali; l’istituzione di Gruppi di lavoro ad hoc e di una specifica Commissione sul tema. Nell’ottica della fondamentale importanza di tutelare la salute pubblica, anche nei prossimi anni, si intende portare avanti le azioni finora intraprese, con particolare riferimento al monitoraggio degli alimenti e alla presa in carico della popolazione esposta con la continuazione di un programma di screening di I e II livello con approfondimenti specialistici. In aggiunta è resa disponibile e volontaria la possibilità di riduzione delle sostanze nel sangue attraverso procedure cliniche di plasmaferesi o di scambio plasmatico a seconda delle concentrazioni di PFAS nel sangue. Intende, inoltre, avviare una più approfondita valutazione epidemiologica di tipo prospettico e retrospettivo e approfondire le valutazioni epidemiologiche sui lavoratori della Ditta. La presa in carico della popolazione dell’area arancione sarà valutata a seguito dell’approfondimento del monitoraggio ambientale e degli esiti del follow del biomonitoraggio. L’estensione della sorveglianza ad altre fasce di
popolazione verrà inserita sulla base delle evidenze scientifiche e dei risultati del Piano attualmente in corso. Si ritiene, inoltre necessario ampliare i sistemi di comunicazione alla popolazione attraverso la diffusione di materiale informativo e l’implementazione del sito istituzionale regionale;
- attivare l’Autorità Regionale di Controllo e Coordinamento, come previsto al paragrafo Salute e Ambiente;
- migliorare i processi partecipativi considerando le istanze provenienti dalla popolazione in tema di programmazione e gestione di attività che hanno impatto sull’ambiente e sulla salute;
- garantire una adeguata comunicazione del rischio alla popolazione, che sempre più chiede agli operatori del Servizio Sanitario risposte competenti, non solo in materia di assistenza medica, ma anche in relazione a tematiche di prevenzione e protezione da danni ambientali;
- riattivare il controllo sistematico sulle produzioni industriali più pericolose e procedere con le misure di contenimento e riduzione degli inquinanti, anche attraverso un adeguato aumento del personale con funzioni ispettive.
Inoltre, nell'ambito delle attività in tema di salute ed ambiente si intendono garantire i presidi sui temi storicamente in carico alla prevenzione e alla sanità: fitosanitari, REACH, ambiente indoor, igiene edilizia, amianto, radon, radiazioni ionizzanti e non, U.V.A..
La nuova organizzazione del Dipartimento di Prevenzione intende rispondere a tale pianificazione garantendo, oltre alle attività di controllo in integrazione con l’ARPAV, anche una adeguata ed articolata comunicazione alla popolazione e alle Istituzioni in merito alle ricadute dei determinanti ambientali sulla salute.

Strategie per il futuro

Rafforzare le strategie di sanità pubblica per il contrasto alle contaminazioni da inquinanti, emergenti e non, nel Veneto, alcune zone del territorio della nostra regione sono soggette a pressioni costanti con un probabile aumento dei rischi sanitari. Il metodo utilizzato per lemergenza PFAS di interazione tra OMS, Istituto Superiore di Sanità e altre Autorità preposte sarà messo a sistema. Si ritiene necessario ampliare i sistemi di comunicazione alla popolazione attraverso la diffusione di materiale informativo e limplementazione del sito istituzionale regionale e attivare un adeguato coinvolgimento (informazione) dei Medici di medicina generale.

Ridurre l’incidenza delle malattie croniche

Il Dipartimento di Prevenzione rappresenta con la sua nuova articolazione il luogo per un approccio globale, per ridurre il carico prevenibile di mortalità e morbosità legato alle malattie croniche. Tale approccio comprende strategie di popolazione e strategie basate sull’individuo. I servizi di Psicologia Ospedaliera e territoriale collaborano a tale processo.

Celiachia

- dare piena applicazione al Protocollo diagnostico individuando sul territorio, sulla base dei requisiti stabiliti con l’accordo 2017, i presidi sanitari del SSN per la diagnosi della celiachia ai fini delle esenzioni dando così le stesse opportunità diagnostiche ai cittadini;
- consentire l’acquisto dei prodotti senza glutine erogabili non solo nelle farmacie ma anche negli esercizi commerciali della Distribuzione Organizzata e nei negozi specializzati;
- superare i confini regionali permettendo ai celiaci l’acquisto dei prodotti in regime di esenzione anche al di fuori della propria regione di residenza o del proprio domicilio sanitario.
- attivare la tessera sanitaria per i celiaci
- la gestione dei Piani Terapeutici
- l'autorizzazione alla spesa per il Celiaco
- la validazione della rendicontazione e report a supporto delle USL (gestione mobilità interregionale e intra regionale etc.)
- la gestione sistema accoglienza flussi di rendicontazione.

Strategie di popolazione

Ai Dipartimenti di Prevenzione è affidato il ruolo importante di promuovere nella comunità la consapevolezza delle scelte di salute, cooperare con altre strutture sanitarie, con organizzazioni ed enti della collettività per l’attuazione di programmi intersettoriali orientati al coinvolgimento attivo dei cittadini, implementando gli obiettivi del programma nazionale “Guadagnare Salute” (DPCM 4.5.2007), secondo i principi di “Salute in tutte le politiche” appare opportuno attivare con i Comuni tutte le forme di collaborazione sia nella fase di programmazione che in quella esecutiva. Per fare ciò, è necessaria una stretta sinergia tra i Servizi dei Dipartimenti di Prevenzione che, definiti per ambiti di competenza, devono trovare nel lavoro sinergico con il Distretto una modalità di approccio e di intervento coordinata e condivisa rispetto al setting a cui si rivolgono (scuola, ambiente di lavoro, comunità), per una forte azione di sostegno. Entrano in questo ambito, lo sviluppo di programmi articolati per setting e condivisi tra servizi sanitari e socio- sanitari, istituzioni educative, mondo del lavoro, associazioni e comunità, di prevenzione dell’iniziazione e promozione di scelte responsabili rispetto al consumo di bevande alcoliche, di ambienti e persone libere dal fumo, di adeguata attività fisica, di una sana alimentazione.

Strategie basate sull’individuo

Qualora invece si fosse in presenza di soggetti con già fattori di rischio comportamentali o intermedi, allora la scelta strategica è di diffondere negli operatori sanitari le tecniche del counselling motivazionale per “abilitare la persona a risolvere e gestire problemi e a prendere una decisione, in vista di un obiettivo di miglioramento dello stato di salute” (OMS, 1989). Si riconosce, pertanto, la necessità di dare sviluppo al ruolo fondamentale del personale sanitario che, opportunamente formato anche sul “counselling breve” per la promozione di corretti comportamenti, deve dare un importante contributo alla partecipazione e responsabilizzazione individuale e collettiva promuovendo scelte salutari di vita e ambienti che promuovono la salute. L’offerta del consiglio breve, in particolare in presenza di soggetti con fattori di rischio, deve trovare attuazione nei contatti sanitari “opportunistici” (es. Ambulatori, Consultori, Certificazioni, Medici Competenti, Screening oncologici, Punti nascita, Punti vaccinali, ecc.).
L’attività dell’operatore sanitario è supportata nel territorio dalla disponibilità di interventi sia di comunità (es. gruppi di cammino, corsi di cucina sana, ...) che terapeutici specifici (es. prescrizione esercizio fisico, trattamento del tabagismo, consulenza nutrizionale), tali da poter permettere la costruzione di percorsi personalizzati per livello di rischio ad coinvolgimento attivo della persona. In questa ottica si inserisce anche lo screening Cardio 50, nel suo ruolo di chiamata attiva dei 50enni, per la valutazione del rischio cardiovascolare collocandolo all’interno di un percorso di presa in carico.
E’ necessario diffondere la cultura della consapevolezza e dell’impegno, quale strumento per compiere in modo responsabile le scelte che riguardano il proprio stato di salute e adottare stili di vita salutari (contrasto al tabagismo, all’alcolismo, al gioco d’azzardo).
Rientrano nei compiti del Dipartimento di Prevenzione in stretta sinergia con il Distretto, la programmazione, attuazione e validazione di interventi finalizzati all’individuazione di condizioni di rischio per le malattie croniche non trasmissibili quali presupposti per la gestione di un’adeguata “presa in carico” da parte delle strutture territoriali e per garantire l’integrazione socio sanitaria.
La persona deve trovare nella rete funzionale costruita dal Distretto e dal Dipartimento di Prevenzione un’opportunità di salute attraverso team multidisciplinare ed intersettoriale che la accompagnano, a seconda del livello di rischio di partenza, nella scelta di comportamenti corretti per la salute.
Al Dipartimento di Prevenzione è affidato, inoltre, il compito di coordinare gli Screening Oncologi, attraverso la chiamata attiva di tutta la popolazione target residente e domiciliata, prevedendo un coinvolgimento attivo dei Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta. La nuova riorganizzazione del Dipartimento di Prevenzione, che prevede il Servizio di prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, programmi di screening e promozione della salute, sottolinea l’importanza che lo screening diventi un’opportunità di salute per la popolazione, in quanto occasione sia per interventi brevissimi e brevi orientati a promuovere stili di vita sani, sia per interventi di counselling motivazionale rispetto ad eventuali fattori di rischio da modificare. In questa nuova ottica lo screening diventa uno strumento di Sanità Pubblica che deve essere coordinato con i programmi intersettoriali per la prevenzione dei fattori di rischio finalizzati alla prevenzione delle malattie croniche, da realizzarsi in stretta sinergia con i Distretti.
L’intersettorialità e multidisciplinarietà, quindi, sono caratteristiche fondamentali dei percorsi di presa in carico globale non solo per una migliore gestione clinica, in risposta ai bisogni assistenziali ed una presa in carico continuativa, ma anche per la promozione di sani stili di vita.

Ridurre l’incidenza delle malattie trasmissibili

Le malattie infettive continuano a rappresentare per la Regione del Veneto una priorità in ambito di Sanità Pubblica. Il mutamento degli assetti sociali ed epidemiologici ed il notevole aumento di spostamenti a livello internazionale di persone e merci possono contribuire alla diffusione o ripresa di patologie infettive. A complicare ulteriormente lo scenario, negli ultimi anni è il rischio di comparsa di patologie sconosciute o normalmente non presenti sul territorio, talvolta con caratteristiche tali da rappresentare un rilevante rischio per la salute dell’uomo (malattie trasmesse da vettori).
La programmazione regionale (PRP 2014-2018) rispecchia pienamente le indicazioni dell’OMS e configura una strategia integrata di prevenzione delle malattie infettive attraverso varie linee di lavoro, con un approccio basato sulla creazione di alleanze a diversi livelli e l’implementazione di reti organizzative intraziendali e interaziendali. Tale programmazione si articola in:
- potenziamento della sorveglianza delle malattie infettive;
- promozione dell’adesione consapevole alle vaccinazioni nella popolazione generale e nei gruppi con condizioni di rischio o difficili da raggiungere, mediante strategie di comunicazione integrate e formazione rivolte agli operatori sanitari e ai cittadini, a sostegno del Piano nazionale vaccini 2017-19 e l’applicazione di misure atte a ridurre l’accumulo di suscettibili nelle comunità infantili;
- valutazione e supporto nelle aree con più basse coperture vaccinali per l’individuazione di strategie di recupero ad hoc;
- attuazione di strategie per la ricerca attiva e il recupero dei bambini non vaccinati frequentanti le comunità infantili;
- monitoraggio del rispetto delle procedure operative in uso agli operatori dei servizi vaccinali al fine di migliorare la gestione del processo vaccinale per quanto concerne: la gestione dell'anagrafe vaccinale, il reclutamento dei nuovi nati e la gestione della mancata adesione alle vaccinazioni; la gestione e la conservazione dei vaccini; la somministrazione e registrazione
delle vaccinazioni; gestione, notifica e follow up degli eventi avversi immediati e non immediati a seguito di somministrazione di vaccino;
- sorveglianza delle reazioni avverse ai vaccini attraverso l’integrazione dei sistemi informativi già esistenti e la formazione e responsabilizzazione degli operatori con azioni quali: consulenza specialistica sulla ammissibilità alla vaccinazione di persone con particolari problemi di salute, da offrire alle strutture sanitarie; consulenza prevaccinale e postvaccinale in caso di reazioni avverse; raccolta ed analisi critica delle segnalazioni di reazioni avverse alle vaccinazioni; gestione del database degli eventi avversi a vaccinazione e monitoraggio degli esiti delle reazioni avverse gravi; sorveglianza attiva di particolari eventi avversi a vaccinazione; redazione di un rapporto annuale sui casi di reazioni segnalate;
- identificazione tempestiva di casi e rischi infettivi, anche mediante sistemi di allerta precoce, e aggiornamento delle risposte alle emergenze infettive;
- sorveglianza e prevenzione delle patologie legate ai viaggi e all'immigrazione, e di coordinamento della rete tra gli ambulatori che si occupano di medicina dei viaggi e le strutture infettivologiche della regione;
- specifiche azioni di controllo di alcune malattie infettive a decorso cronico e non prevenibili mediante vaccinazione (tubercolosi, infezione da HIV). La diagnosi precoce della malattia tubercolare, lo screening e la terapia della tubercolosi latente vengono avocate in tutte le linee guida come le misure più efficaci nella lotta alla tubercolosi, riducendo l’incidenza nella popolazione generale, diminuendo la probabilità di epidemie nosocomiali e migliorando l’outcome clinico del paziente;
- promozione di politiche per il corretto uso dell’antibiotico e per il controllo dell’antibiotico- resistenza in strutture assistenziali e in comunità, anche attraverso progetti pilota;
- sorveglianza e tutela sanitaria dei soggetti richiedenti asilo, secondo il Protocollo operativo regionale per il controllo delle malattie infettive e la profilassi immunitaria in relazione all’afflusso di immigrati.
Inoltre, la Regione del Veneto si è dotata da tempo di un’anagrafe vaccinale unica informatizzata (SIAVr) che consente la gestione standardizzata dei processi organizzativi dell’attività vaccinale, l’ottimizzazione di costi e risorse, la diffusione delle migliori pratiche possibili e la comparazione di informazioni omogenee nel rispetto della titolarità dei dati degli utilizzatori.
Nella Regione del Veneto esiste un modello organizzativo strutturato e consolidato capace di rispondere con elevato profilo organizzativo e gestionale ad emergenze sanitarie, con particolare riferimento a quelle di natura infettiva. Ogni Azienda ULSS ha adottato un protocollo operativo per la preparazione e la risposta ad emergenze di sanità pubblica con particolare riferimento alle emergenze infettive. Sarà necessario implementare la rete organizzativa sul territorio e una revisione dei protocolli operativi per sviluppare piani per la gestione delle emergenze ambientali e migliorare la formazione dei professionisti che potrebbero essere coinvolti in casi di eventi emergenziali.

Interventi per ridurre il rischio di malattie trasmesse da zanzare (West Nile e altre)

Gli interventi prevedono un approccio partecipato e integrato con gli attori coinvolti:
- rafforzamento del Piano annuale regionale di sorveglianza integrata e lotta ai vettori, con il coinvolgimento capillare dei Comuni per gli interventi di disinfestazione, dei Consorzi di Bonifica per la conoscenza e manutenzione del territorio;
- rafforzamento del sistema di sorveglianza umana per casi clinici e positività nei donatori, sorveglianza veterinari su casi in equidi ed avifauna selvatica, sorveglianza entomologica per il controllo della densità e del tasso di positività virale nelle zanzare;
- coinvolgimento della popolazione nell’adozione di comportamenti che riducano la proliferazione dei focolai larvali e per l’adozione di misure di protezione individuale;
- attivazione di una Commissione Regionale Permanente con il compito di coordinare le attività di tutti gli attori coinvolti a diverso titolo nelle azioni di sorveglianza e prevenzione delle suddette malattie e nella lotta al vettore.

Prevenire infortuni e malattie professionali

La Regione del Veneto interviene nel campo della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro con compiti di indirizzo, coordinamento e monitoraggio. Le funzioni operative sono garantite sul territorio dai Servizi di Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPISAL), istituiti presso il Dipartimento di Prevenzione di ciascuna Azienda ULSS, col mandato istituzionale di contribuire alla riduzione di infortuni sul lavoro e malattie professionali e al miglioramento del benessere dei Lavoratori, integrando attività di vigilanza, controllo, assistenza e promozione della salute con i compiti propri della Polizia Giudiziaria e con le attività di carattere sanitario. Il sistema istituzionale delineato dalla normativa si fonda sulla partecipazione di Istituzioni e Parti Sociali a livello nazionale, regionale e locale, sia nella fase di programmazione strategica, sia nella fase di monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi, con la duplice finalità di potenziare il coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza e di garantire una maggiore efficacia all’azione pubblica per il miglioramento dei livelli di tutela dei Lavoratori.
Le attività, programmate secondo le linee di indirizzo strategiche nazionali del Piano Nazionale della Prevenzione, si fondano prima di tutto sul perfezionamento dei sistemi di conoscenza e sorveglianza di rischi professionali, infortuni sul lavoro e malattie professionali e correlate al lavoro, e sull’analisi del contesto economico, sociale ed epidemiologico, al fine di individuare le priorità di intervento. In tale quadro, per il superamento delle diseguaglianze di salute, risulta strategico migliorare l’efficacia delle attività di controllo e l’omogeneità degli interventi, mediante il potenziamento degli organici e del coordinamento tra Servizi SPISAL delle Aziende ULSS e mediante la verifica della qualità degli interventi anche con la metodologia dell’audit.
In tale direzione si inserisce, inoltre, l’implementazione del nuovo sistema informativo regionale per la gestione dei Servizi SPISAL quale strumento per accrescere, su base regionale, l’uniformità delle procedure di lavoro, registrare il miglioramento dei livelli di sicurezza degli ambienti di lavoro, monitorare la copertura dei livelli essenziali di assistenza, garantire l’interfacciamento e l’integrazione con altre basi di dati e facilitare la possibilità di sviluppare la cooperazione applicativa con altri Enti.
Inoltre, quale strumento rafforzativo delle funzioni previste dal mandato istituzionale e degli impegni assunti con i sopracitati documenti programmatori, con DGR n. 1055 del 17 luglio 2018 è stato apportato il “Piano strategico 2018 – 2020 per il consolidamento e il miglioramento delle attività a tutela della salute e della sicurezza dei Lavoratori”, finalizzato prioritariamente al contrasto del fenomeno infortunistico, anche in considerazione dell’incremento assoluto di infortuni sul lavoro con esito mortale registrato nel primo semestre 2018.
Le attività sanitarie sono orientate principalmente alla ricerca attiva dei danni cronici da lavoro e alla sorveglianza dei soggetti con pregressa esposizione professionale a sostanze con effetti a lungo termine. In particolare, l’attività di sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto è effettuata coerentemente con gli indirizzi operativi approvati con Intesa tra Governo, Regioni e
Provincie Autonome del 22.02.2018, ai sensi dei quali è garantita la sorveglianza attiva dei Lavoratori ex-esposti ad amianto (in possesso della prevista certificazione da parte di INAIL o individuati dall’integrazione di altre fonti informative), con accertamenti clinici e strumentali non onerosi per gli interessati.
Parallelamente all’attività di vigilanza controllo e alle attività sanitarie (orientate essenzialmente alla ricerca attiva dei danni cronici da lavoro e alla sorveglianza degli ex-esposti a sostanze con effetti a lungo termine), assumono un’importanza crescente la promozione della cultura della salute e della sicurezza nei confronti di: Datori di Lavoro, Lavoratori e loro Associazioni, mediante il sostegno dell’organizzazione e della gestione della salute e sicurezza (con particolare attenzione a piccole e micro-imprese) e, in senso più ampio, attraverso l’attivazione di programmi di promozione di stili di vita sani nei luoghi di lavoro, con il coinvolgimento del sistema della prevenzione delle Aziende e con il potenziamento della comunicazione esterna rivolta a stakeholder istituzionali e sociali, nonché ai professionisti e ai soggetti attivi della prevenzione.

Potenziare i sistemi di sorveglianza sullo stato di salute della popolazione

Si prevede di consolidare i Sistemi di Sorveglianza della Popolazione (Passi, Passi D’Argento, OKkio, HBSC) al fine di monitorare lo stato di salute percepita dalla popolazione, la percezione della qualità e del sostegno fornito dai servizi sanitari alla propria salute e per seguire i trend legati agli stili di vita. Tali Sistemi di sorveglianza consentono il monitoraggio e la valutazione della programmazione in tema di prevenzione ma, più in generale, rappresentano un supporto per la programmazione sanitaria.
Per quanto riguarda la sorveglianza delle malattie infettive in sanità pubblica, la Regione ha costituito una serie di flussi informativi informatizzati interconnessi tra di loro il cui livello di sintesi e approfondimento è diverso a seconda delle caratteristiche della malattia, della rilevanza delle informazioni necessarie e del tipo di programmi di controllo che vengono condotti. Tali flussi permettono, nello loro capacità di lavorare in modo inter-operabile, di segnalare eventuali emergenze in modo da avviare tempestivamente indagini epidemiologiche necessarie per ogni caso sospetto.

Garantire i sistemi di sorveglianza sulla sicurezza alimentare

La Regione del Veneto è autorità competente regionale per i controlli ufficiali in materia di igiene degli alimenti e garantisce l’applicazione della normativa europea e nazionale lungo l’intera filiera di produzione, lavorazione, distribuzione e somministrazione degli alimenti, “dal campo alla tavola”, per il territorio di propria competenza. La prospettiva attraverso cui vanno inquadrate le azioni che incidono sulla sicurezza alimentare è quella della “one health”, partendo cioè dal riconoscimento che la salute dell’uomo dipende dalla salute degli animali e dalle condizioni dell’ambiente in cui uomini ed animali vivono e da cui traggono le risorse per alimentarsi e per produrre alimenti, è necessario che il governo di questi tre ambiti sia coordinato e superi la settorialità per garantire non solo un risultato complessivo solido ed efficace a lungo termine, ma anche una gestione economicamente vantaggiosa.
Il ruolo regionale è quello di fornire indicazioni per l’applicazione della normativa di settore ai diversi portatori di interesse e di indirizzare e coordinare le attività di controllo effettuate dai Servizi (SIAN, SIAOA, SSA, SIAPZ,) dei Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende ULSS, autorità competenti locali, e le funzioni di supporto ed analisi in capo ad ARPAV e all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale.
La pianificazione strategica regionale dei controlli, che discende dal Piano Nazionale Integrato (PNI), prevede l’adozione di azioni integrate sulla base della definizione di procedure condivise e
coordinate tra i diversi enti coinvolti nei controlli; la condivisione di procedure gestionali ed operative ha inoltre l’obiettivo di assicurare che i controlli siano svolti in modo più omogeneo da parte degli operatori. L’aggiornamento su base annuale della programmazione specifica delle attività di controllo è dettata dalla necessità di un monitoraggio frequente e della rendicontazione annuale dei risultati ai livelli superiori di gestione. La verifica della conformità organizzativa e dell’efficacia delle attività in capo alle Aziende ULSS viene garantita dal Sistema di audit attuato annualmente dalla Regione ai sensi dell’art. 4(6) del regolamento (CE) n. 882/2004.
Gli ambiti di attività dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione che si occupano specificatamente di sicurezza alimentare e di sanità pubblica veterinaria includono, oltre al controllo ufficiale in materia di igiene degli alimenti e dei mangimi, di salute e di benessere degli animali, di sottoprodotti di origine animale, di farmaci veterinari e di prodotti fitosanitari, la sorveglianza e la prevenzione nutrizionale e gli interventi atti ad assicurare l’igiene urbana e degli allevamenti.

Sicurezza alimentare

Al fine di da attuare in maniera uniforme sul territorio le normative europee e nazionali in materia di controlli ufficiali, la Regione ritiene strategico gestire:
- la formazione di base degli operatori addetti ai controlli, ed in particolare degli auditor;
- la programmazione pluriennale ed annuale dei controlli ed il coordinamento con i laboratori di analisi;
- il coordinamento tra autorità competenti e altri organi di controllo;
- la condivisione e l’adozione di procedure e modalità di controllo uniformi;
- lo sviluppo di procedure informatiche per la gestione e rendicontazione delle attività;
- la gestione delle allerte alimentari e dei mangimi e delle relative emergenze;
- gli audit interni sulle autorità competenti locali e la verifica dell’efficacia delle attività.
Inoltre la Regione è impegnata nell’attuazione degli indirizzi di semplificazione amministrativa per gli operatori economici, con particolare riferimento alle imprese del settore alimentare, anche in relazione all’agenda digitale.
Infine, altre attività che coinvolgono la Regione e i Servizi delle Aziende ULSS sono finalizzate a promuovere l’educazione e la promozione della salute in ambito alimentare, attraverso iniziative per informare la popolazione sulle buone pratiche igieniche relative alla sicurezza alimentare, a garantire il supporto tecnico necessario alle imprese alimentari per l’esportazione degli alimenti e a sviluppare azioni di coordinamento nell’ambito della Politica Agricola Comune.

Sanità Animale e Igiene degli allevamenti

La Regione del Veneto rappresenta una delle principali realtà zootecniche a livello nazionale, con particolare riferimento al settore dei bovini da carne e alla filiera avicola. E’ pertanto necessario dare attuazione ai piani di controllo delle malattie infettive, al Piano Nazionale Alimentazione Animale, al Piano Nazionale Residui e al piano di controllo dei farmaci veterinari. Inoltre, stante la peculiarità della zootecnia regionale, è necessario prevedere lo sviluppo delle seguenti priorità, anche attraverso l’implementazione di specifiche piattaforme:
- rafforzare i piani di controllo per l’individuazione precoce delle zoonosi, in particolare per quelle emergenti;
- sviluppare e dare attuazione ai piani per la gestione delle emergenze epidemiche e non epidemiche;
- definire nuovi livelli di biosicurezza, in particolare nelle aree ad elevata densità di allevamenti avicoli;
- perseguire l’accreditamento comunitario per le malattie degli animali d’allevamento;
- rafforzare le misure di gestione delle problematiche di igiene urbana veterinaria, ivi comprese il controllo delle popolazioni animali sinantrope;
- strutturare in maniera coordinata i diversi piani di monitoraggio sanitario delle popolazioni animali selvatiche;
- sviluppare attività finalizzate a contrastare il fenomeno dell’antimicrobicoresistenza, quali ad esempio la formazione dei veterinari prescrittori, e la programmazione dei controlli da parte dell’Autorità competente;
- assicurare il benessere animale attraverso la valutazione basata sull’analisi del rischio. In particolare si dovrà razionalizzare, integrare e semplificare i controlli ufficiali effettuati sugli operatori del settore.
La Regione del Veneto, nell’ambito della propria programmazione, può affidare all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie la gestione di specifici progetti di ricerca, la realizzazione o partecipazione a programmi di Sanità Pubblica veterinaria, che possono prevedere anche l’esecuzione di test di laboratorio nei settori di competenza dell’Istituto.
Il Centro Regionale di Epidemiologia Veterinaria, affidato all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, è uno strumento operativo della Regione del Veneto per lo studio, pianificazione e coordinamento delle azioni di prevenzione e controllo nei settori della sicurezza degli alimenti, della salute umana e animale e del benessere animale. Tali azioni trovano fondamento nel sistema informativo regionale dei Servizi Veterinari e dei Servizi di Igiene degli Alimenti e Nutrizione implementato e gestito dal Centro.

La comunicazione

La comunicazione rappresenta, insieme alla formazione, una delle attività trasversali presenti sotto varie tipologie in quasi la totalità dei Programmi di prevenzione e promozione della salute.
Tale presenza variegata che va dal tradizionale materiale informativo cartaceo, alle APP per promuovere stili di vita o adesione a programmi di prevenzione individuale, passando attraverso siti specifici, rivolti sia a cittadini che operatori, video messaggi per le sale di attesa, risponde ad alcuni obiettivi specifici nell’ambito della comunicazione della salute, quali:
- interventi per migliorare le competenze comunicative dei professionisti della salute;
- supporto alla popolazione che cerca informazioni sulla salute e sui servizi offerti;
- educazione dei cittadini in merito a tematiche sanitarie, rischi, misure preventive e modalità di accesso ai Servizi sanitari.
Dati tali obiettivi la comunicazione della salute può essere definita come “lo studio e l’impiego delle strategie di comunicazione per informare e influenzare, nei singoli individui e nelle comunità,
decisioni finalizzate a incrementare lo stato di salute”1. Lo spirito, quindi, che anima la comunicazione all’interno di tale area è quello non solo di produrre messaggi o materiali, ma anche di innescare percezioni, convinzioni, atteggiamenti e stimolare cambiamenti per l’adozione o il mantenimento di nuovi comportamenti di salute.
La comunicazione in ambito vaccinale, ad esempio, ha sempre avuto un ruolo cruciale per l’accettazione o meno delle pratiche vaccinali, ma in questo ultimo decennio, con l'avvento del web, abbiamo assistito ad un cambiamento radicale dei mezzi e delle strategie comunicative, nonché all’aumento esponenziale della quantità di informazioni con una diversificazione delle modalità di fruizione e di impiego. Internet rappresenta attualmente il principale mezzo di comunicazione: secondo i dati Istat, il 50% degli utenti ricerca informazioni di tipo sanitario su internet. Tuttavia l’elevata disponibilità di informazioni contrasta con la qualità delle stesse: spesso le notizie, i dati, le conclusioni e i giudizi diffusi sul web risultano inesatti e ingannevoli.
Inoltre, la comunicazione anche quale strumento significativo per il confronto e lo scambio di buone prassi, di dati, informazioni e linee di lavoro, sia tra operatori della sanità che professionisti di altre agenzie, ad es. gli operatori della ristorazione collettiva o tecnici urbanistici degli enti locali nell’ambito della prevenzione degli incidenti stradali.
Nelle diverse forme di comunicazione ritroviamo, infine, alcuni dei punti cardine della programmazione sopra elencati, quali:
- Life course: una comunicazione per ogni fase del ciclo della vita. La comunicazione segue la persona nel suo arco di vita dal periodo preconcezionale, alla maternità, ai primi anni di vita nell’ambito dei Programmi specifici per argomento di salute garantendo continuità e omogeneità al messaggio comunicativo;
- strumenti diversi per setting diversi, al fine di raggiungere le persone là dove vivono - la casa, la scuola, l’ambiente di lavoro, la comunità di appartenenza. La scelta di comunicare alle persone nel loro setting di vita è determinata dalla volontà di sottolineare l’obiettivo ultimo che è quello di supportare le scelte di salute delle persone nella loro quotidianità. Una comunicazione, quindi, al servizio delle persone, basata anche sulla convinzione che è inutile avere un buon sistema sanitario, prestazioni efficienti, programmi di prevenzione e promozione della salute se i cittadini non usufruiscono dei servizi disponibili o non vi aderiscono perché non adeguatamente informati o persuasi, insomma, una prevenzione che è vicina alle persone e che parla lo stesso linguaggio;
- comunicazione a servizio dell’intersettorialità quando si propone di raggiungere settori diversi da quello della sanità, rivolgendosi a partner e stakeholder dei Programmi negli obiettivi di salute ad es. amministratori di enti locali, professionisti di palestre territoriali nel Programma prescrizione dell’esercizio fisico, leader gruppi di cammino, ecc.;
- comunicazione quale strumento per contrastare le diseguaglianze di salute, messaggi che cercano di colmare, ad esempio, producendo materiali multilingue, le difficoltà linguistiche che impediscono alle persone di altre culture di accedere e comprendere i contenuti informativi relativi all’accesso ed uso dei diversi fattori protettivi per la salute forniti dai Servizi sanitari. Lo scopo è di rendere fruibili per tutta la popolazione eleggibile gli interventi efficaci, superando le differenze territoriali, con l’obiettivo di limitare le diseguaglianze causate da condizioni sociali ed economiche che influiscono sullo stato di salute.

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1 U.S. Department of Health and Human Services, Healthy People 2010, c. 11, Health Communication.
Si intende sviluppare un piano di comunicazione coordinato e multimodale capace di esprimere la vision e mission che sottendono ai programmi di prevenzione e promozione della salute, sviluppato con obiettivi ben definiti per garantire la partecipazione ed il protagonismo dei cittadini alle scelte di salute. Ciò in sinergia con gli obiettivi regionali di promuovere una capillare e trasparente informazione ai cittadini sui servizi che erogano nelle strutture socio-sanitarie, attraverso strumenti di comunicazione delle ULSS (carta dei servizi, siti web, bollettini periodici), favorendo anche la condivisione delle regole di funzionamento del SSSR.


La formazione

La formazione si articolerà in eventi formativi rivolti al personale sanitario (Dirigenti delle Unità Organizzative dei Distretti, Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Dirigenti dei Dipartimenti di Prevenzione, Operatori dei Punti nascita; Operatori dei Servizi Vaccinali, Operatori specialisti in materie diverse, Operatori sanitari non meglio specificati, Operatori appartenenti ai Gruppi di Guadagnare Salute) e a persone che non rientrano tra il personale sanitario:
Enti comunali: amministratori comunali, tecnici urbanistici;
Scuola: insegnanti, Dirigenti scolastici, studenti, genitori;
Ristorazione collettiva: addetti alla ristorazione, componenti comitati mense scolastiche;
Palestre: gestori, specialisti esercizio fisico;
Mondo dell’associazionismo e del volontariato: volontari gruppi di cammino;
Popolazione generale.
La formazione è uno strumento a supporto della Sanità pubblica, al fine di aumentare le competenze necessarie per un cambio culturale sia degli operatori sanitari sia della popolazione generale, rispetto al nuovo modo di concepire la prevenzione e la promozione della salute.
La Regione del Veneto intende, ad esempio nell’ambito della prevenzione delle malattie trasmissibili, continuare la formazione degli operatori dei servizi vaccinali, pediatri di libera scelta e di personale sanitario ospedaliero e territoriale coinvolto nelle attività di prevenzione delle malattie infettive e dare ulteriore impulso ad una campagna di informazione rivolta alla popolazione generale, al fine di sensibilizzare sull’importanza delle vaccinazioni per la tutela della salute del singolo e della collettività. L'impiego di nuove tecnologie - social network, portale internet vaccinarsinveneto.org - affiancherà gli strumenti più tradizionali quali opuscoli cartacei, poster etc.
La finalità generale che si vuole perseguire con la formazione è di promuovere una nuova modalità di lavoro, cioè la trasversalità di intervento come punto di forza di questa area. Nello specifico, attraverso un sistema di aggiornamento continuo e accreditato, si intende favorire la condivisione di linguaggi e di competenze, l’omogeneizzazione di procedure e protocolli, lo sviluppo di nuove linee di lavoro, la creazione e il consolidamento delle reti di collaborazioni.
Un modello importante di riferimento per la strutturazione dei percorsi di formazione, aggiornamento e supporto alle linee di intervento sono le “Competenze Chiave” (CompHP2)
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2 The CompHP Project Handbooks. 2012
definite come “l'insieme minimo delle competenze che costituiscono una base comune per tutti i ruoli della promozione della salute, ossia ciò che ci si aspetta che tutti i professionisti della promozione della salute siano capaci di fare per lavorare sul campo in modo efficiente, efficace e appropriato”.
Lo sviluppo di competenze avanzate è rivolto soprattutto ai professionisti della promozione della salute, intesa come ambito di pratica specialistico e di crescente qualità, con il fine di incrementare l’efficacia e la ricaduta dei propri interventi anche nei confronti della cultura e dei valori di salute del contesto d’azione.
Lo sviluppo di competenze chiave si basa sull’aggiornamento continuo degli operatori e sulla revisione delle pratiche già in essere ed è correlato ad una vasta gamma di potenziali applicazioni nei diversi settori.
Alla luce della riorganizzazione aziendale e in risposta alla programmazione nazionale e regionale, che definisce e normalizza ambiti di attività nuovi, anche in risposta al crescente peso della cronicità, è necessario rivedere i carichi di lavoro del personale dei Dipartimenti di Prevenzione, in una logica di razionalizzazione delle risorse al fine di garantire maggiore intersettorialità tra i Servizi, ridefinire le competenze necessarie, e sperimentare un modello di intercambiabilità (task- shifting) per il personale. Tale approccio dovrà portare alla definizione di dotazioni standard del Dipartimento di Prevenzione.
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3. LA PROMOZIONE SOCIO SANITARIA
DELLA REGIONE VENETO


Parole chiave
Analisi bisogni e gestioni con standard, modelli organizzativi, reti, percorsi, centri di riferimento, accessibilità, sistemi di qualità, governo clinico
Obiettivi strategici
OS1. Potenziare l’analisi dei bisogni e la gestione con gli standard
OS2. Organizzare il sistema di offerta con modelli integrati che garantiscano continuità nel percorso assistenziale OS3. Garantire ai cittadini l’accessibilità e l’appropriatezza dei servizi attraverso anche la gestione dei tempi di attesa OS4. Sperimentare forme di collaborazione pubblico – privato
OS5. Sviluppare un sistema qualità integrato
OS6. Gestire il rischio all’interno del governo clinico

Programmare dall’analisi dei bisogni

La ricerca dei fattori eziologici e di rischio delle malattie rappresenta il primo e indispensabile passo verso la prevenzione e il controllo delle malattie stesse.
Negli ultimi anni lo sviluppo di raccolte sistematiche di dati associati all’erogazione di assistenza sanitaria (Fascicolo Sanitario Elettronico, registri di malattia, banche dati assistito) ha permesso ad contribuire ad accrescere la conoscenza dei fenomeni legati alla salute dell’individuo e in particolare consente:
- di avere a disposizione di tutti gli attori del sistema più elementi per definire la diagnosi e la cura più adeguata, agevolando scelte consapevoli e informate con potenziale vantaggio in esiti di salute;
- di transitare da una medicina di attesa dell’evento patologico ad una medicina di iniziativa, che va dall’anticipazione alla diagnosi precoce, allo screening e alla prevenzione attuata anche con l’identificazione e, ove possibile, il trattamento dei fattori di rischio;
- di acquisire tutti gli elementi per fare analisi epidemiologiche dettagliate che integrino le informazioni sulla mortalità con gli altri elementi provenienti dagli archivi clinici elettronici del paziente;
- di organizzare in maniera più efficiente i servizi avendo la possibilità di differenziare le tipologie di utenti di servizi sanitari e quindi la loro frequenza di acceso al sistema.
Il sistema di segmentazione della popolazione basato sui diversi profili di rischio (come è ACG) consente di mappare i bisogni di salute, l’utilizzo di risorse della popolazione e di profilare la popolazione sulla base di criteri prognostici e non solo diagnostici; detto sistema di segmentazione costituirà il supporto primario per la programmazione degli interventi per l’organizzazione del SSSR.

Misurare e gestire con gli standard

L’obiettivo prioritario che viene monitorato attraverso i sistemi di valutazione della qualità che vengono descritti nei paragrafi successivi è la valutazione dell’efficacia, appropriatezza e qualità degli esiti delle cure e dei servizi erogati dal SSSR secondo il modello organizzativo determinato dalla Regione.
È inoltre importante pensare, misurare e gestire in termini di efficienza allocativa anche l’organizzazione dei servizi sanitari e socio sanitari.
Ai fini di determinare condizioni di economicità e appropriatezza nell’impiego delle risorse deve essere costantemente monitorata l’analisi di dettaglio e la valutazione composta di indicatori dell’utilizzo dei fattori produttivi, di processo e di efficienza, in relazione agli esiti e risultati da raggiungere per un determinato servizio.
Solo in condizioni di efficienza allocativa è possibile determinare standard di costo.
È in questo quadro che la Regione del Veneto ha avviato, ed intende proseguire, un percorso di determinazione di costi e fabbisogni standard, che verrà progressivamente esteso a tutti gli ambiti e che prevede:
- la determinazione precisa del processo erogativo/assistenziale;
- la programmazione della copertura del fabbisogno di personale relativa a ciascuna Azienda ULSS sia per le strutture ospedaliere che per quelle territoriali;
- l’utilizzo di sistemi di misurazione degli indicatori che permettano di confrontare processi erogativi/ assistenziali complessi nel tempo;
- l’utilizzo di sistemi di rilevazione dei costi omogenei, con regole di codifica chiare e condivise;
- la determinazione a priori di condizioni di inefficienza che possono essere accettate in ottica di governo del sistema e che motivano scostamenti accettati rispetto allo standard.

3.1. L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA SOCIO SANITARIO DEL VENETO
Diritto di scelta del luogo di cura

Il Sistema delle cure in veneto è articolato per livelli di intensità crescente e prevede che devono essere garantite ai cittadini le cure a media e bassa complessità secondo il criterio di prossimità e quella ad alta complessità secondo il criterio di centralizzazione.
Le schede di dotazione ospedaliera e di dotazione territoriale, che attuano la programmazione sanitaria, definiscono il ruolo di ciascuna struttura nella rete regionale assistenziale, nel sistema delle reti tempo-dipendenti e delle reti cliniche.
Per garantire un ulteriore miglioramento della qualità delle cure, in particolare per le patologie di maggiore rilevanza, è necessario potenziare l’identificazione dei Centri di riferimento.
Tale identificazione, da effettuarsi sia a livello aziendale che a livello regionale, assicura, oltre che la massima sicurezza possibile delle cure, la migliore allocazione possibile delle risorse professionali e strumentali.
I centri identificati, oltre a valorizzare i livelli di competenza tradizionalmente presenti, devono essere individuati sulla base dei risultati del Piano Nazionale Esiti (PNE) e devono essere oggetto di costante aggiornamento e monitoraggio in particolare per quanto riguarda i volumi di attività e gli esiti della stessa, ma anche per quanto attiene al ruolo svolto nella formazione ed al contributo alla ricerca.
Spetta alla Giunta Regionale introdurre il sistema di qualità delle cure che, definendo i criteri di individuazione dei centri attraverso la coniugazione del ruolo assegnato dalla programmazione con la flessibilità connessa agli sviluppi anche tecnologici nell’erogazione delle cure, renda possibile sia
agli operatori del sistema sanitario che ai cittadini l’identificazione dei luoghi in cui sono concentrate le massime competenze e conoscenze per una determinata patologia.
Spetta ad Azienda Zero strutturare un sistema informativo, costantemente aggiornato e facilmente consultabile, che permetta a tutti di operare una scelta consapevole del luogo di cura.

I luoghi di cura

A fronte della complessità dei bisogni delle persone, della molteplicità delle relazioni, delle specificità territoriali e della pluralità delle competenze necessarie per una cura appropriata e sicura, assume sempre più importanza delineare chiaramente il ruolo di ciascun luogo di cura e di assistenza, oltre al percorso che il paziente intraprende e le modalità/criteri di accesso ai servizi sanitari e socio sanitari. Il sistema di offerta regionale, modulato su un’offerta distinta per intensità di cura, comprende:
- strutture ospedaliere, sviluppate secondo il modello “Hub in Spoke”, distinte in: Hub, presidi ospedalieri (Spoke legati al Hub di riferimento), nodi di rete e strutture integrative della rete;
- strutture sanitarie di cure intermedie: Ospedali di Comunità e Unità riabilitative territoriali, Hospice, strutture riabilitative extra ospedaliere (ex art. 26 legge 833/1978), comunità terapeutiche riabilitative protette di tipo A e altre strutture sanitarie caratterizzate dalla temporaneità della permanenza;
- strutture socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali, che si articolano in centri di servizio per anziani, per disabili, per le dipendenze, età evolutiva e la salute mentale.
Trovano coordinamento presso il Distretto ulteriori unità di offerta: Medicine di Gruppo, e team di assistenza primaria diversamente organizzati, le equipe di cure palliative e di cure domiciliari.
Le strutture sanitarie e socio sanitarie concorrono a determinare la rete dell’offerta assistenziale del sistema della cure della Regione del Veneto nel rispetto dei seguenti vincoli programmatori:
- fino a 3 posti letto acuti ospedalieri ogni 1000 abitanti;
- fino a 0,5 posti letto di riabilitazione ospedaliera ogni 1000 abitanti;
- minimo 0,6 per mille della popolazione di età superiore ai 45 anni presente nell’Azienda ULSS di appartenenza per tutte le tipologie di strutture intermedie. Le specificità del territorio bellunese, del Polesine, delle aree montane e lagunari, delle aree a bassa densità abitativa possono dotarsi di un incremento dei posti letto delle strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2 per mille.
La sfida è rappresentata dal creare le condizioni di sistema affinché l’organizzazione del SSSR realizzi l’integrazione di questi luoghi di cura, creando così una rete che soddisfi le reali esigenze di cura del paziente nel territorio di riferimento garantendo l’equità di accesso ed una uniformità assistenziale.
È compito della programmazione regionale pianificare il SSR del Veneto in modo tale che vengano garantite la cura e l’assistenza in modo uniforme, appropriato e responsabile su tutto il territorio regionale, definendo il ruolo, le funzioni strategiche, nonché le relazioni delle singole strutture sanitarie all’interno del modello dei luoghi di cura e la conseguente dotazione di posti letto della singola struttura, declinati per disciplina/specialità nel caso delle strutture ospedaliere, definite su valutazioni dei bisogni assistenziali, bacini di riferimento e diffusione delle specialità, complessità dei casi trattati.
La programmazione deve altresì promuovere la maggior flessibilità organizzativa nella gestione dei posti letto rispetto alla domanda appropriata di ricovero per le necessità provenienti dal Pronto Soccorso.

Il sistema a rete

Il Sistema Sanitario veneto è caratterizzato da un’alta integrazione dei luoghi di cura, dei servizi e dei professionisti e ha tra gli obiettivi prioritari quello di assicurare al paziente un accesso alle cure migliori, appropriate e tempestive e di garantire continuità di cura attraverso il superamento della frammentazione dei percorsi, facilitando la ricomposizione dei servizi intorno alla persona.
Devono essere sviluppati modelli di integrazione con il territorio per la gestione e la presa in carico integrata dei pazienti cronici ed elevato grado di complessità assistenziale, anche attraverso l’introduzione di modelli innovativi.
Per i luoghi di cura, è stato definito un modello di rete “Hub and Spoke” che ha consentito di assegnare, a tutti gli erogatori, ruolo, funzioni e dotazione strutturale, parametrati sulla base di standard assistenziali.
Le reti cliniche, organizzate all’interno della rete Hub and Spoke, si sviluppano nel rispetto della logica dei bacini di popolazione e della diffusione delle specialità previste anche dal DM 70/2015 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera.”.
L’insieme dei Centri di riferimento , che deve essere fortemente integrato con il sistema delle reti, deve essere sottoposto a revisione ogni tre anni.

Hub and Spoke

Negli ultimi anni in Veneto l’ospedale è diventato sempre di più il luogo di cura dedicato alla sola fase acuta del percorso assistenziale e questo risultato è stato il frutto di un lungo processo di cambiamento organizzativo, testimoniato tra l’altro da un tasso di ospedalizzazione tra i più bassi in Italia.
A livello nazionale è stata confermata la piena coerenza di questa strategia con quanto previsto dagli “Standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” previsti nel DM 70/2015; l’elevato livello qualitativo delle prestazioni erogate e delle modalità organizzative, inoltre, è stato riconosciuto negli ultimi anni dai diversi sistemi di valutazione di sistemi sanitari, sia nazionali che internazionali.
La dotazione dei posti letto ospedalieri prevista con la L.R. 23/2012 di 3,5 posti letto per mille abitanti, di cui 3 per mille per acuti e 0,5 per riabilitazione, ha consentito di dare appropriata risposta alle necessità assistenziali di ricovero per i cittadini veneti; inoltre, il parametro aggiuntivo di 0,2 posti letto per mille abitanti dedicato ai pazienti provenienti da fuori regione, in un contesto di costante e progressivo aumento della mobilità attiva, ha consentito di assistere adeguatamente anche tali tipologie di utenti.
Si conferma quindi il parametro massimo complessivo di 3,7 posti letto per mille abitanti previsto anche dalla normativa nazionale, di cui 0,7 dedicati alla riabilitazione.
La definizione dei luoghi di cura per l’assistenza ospedaliera, articolati secondo un modello di rete “Hub and Spoke” è definita con provvedimento giuntale previo parere della Commissione Consiliare ed è sviluppata in coerenza con quanto previsto dal DM 70/2015 che stabilisce tra l’altro, che il ruolo dell’Ospedale e le Specialità assegnate siano individuate in riferimento ai bacini di popolazione serviti.
Pertanto le tipologie di strutture ospedaliere che caratterizzano la rete dei luoghi di cura regionale sono:
- 5 Ospedali Hub con bacino di popolazione di circa 1 milione di abitanti;
- 2 Ospedali di rilievo provinciale identificati come Hub (Rovigo e Belluno) per le specialità assegnate in coerenza con il citato DM 70/2015.
Tra i 5 Hub previsti, l’Azienda Ospedale-Università di Padova e l’Azienda Ospedaliera- Universitaria Integrata di Verona sono individuate come Hub di eccellenza di rilievo regionale.
L’Istituto Oncologico Veneto è individuato come Hub di riferimento regionale per quanto riguarda la patologia oncologica;
- Ospedali presidi di rete – Spoke, con bacino di popolazione di circa 200.000 abitanti o comunque presidi territoriali fondamentali laddove ci siano evidenti difficoltà infrastrutturali per raggiungere l’hub di riferimento da parte della popolazione e/o diventino durante la stagione turistica (come ad esempio lo spoke di Chioggia) indispensabili per l’attività di emergenza e assistenza;
- Ospedali nodi di rete e strutture integrative di rete.
Gli Hub di eccellenza sono qualificati dalla presenza di alte specializzazioni e garantiscono la competenza necessaria per la gestione delle casistiche più complesse, anche grazie alla presenza delle tecnologie più innovative. Sono caratterizzati dalla sinergica cooperazione istituzionale con le Università di Padova e Verona, dall’integrazione dell'attività assistenziale, didattico/formativa e di ricerca, e dalla partecipazione alle reti nazionali oltre che dalla cooperazione con i centri ospedalieri di maggior prestigio internazionale.
Va realizzata, presso il sito di Padova Est – S. Lazzaro, la nuova struttura ospedaliera Nuovo Polo della Salute di Padova, come da Accordo siglato il 21 dicembre 2017 tra Regione del Veneto e Comune di Padova ed inserito nella programmazione regionale come Hub a valenza regionale e sovraregionale.
Gli Hub garantiscono lo sviluppo delle pratiche cliniche e l’introduzione delle innovazioni derivate dalla ricerca nella pratica ospedaliera, contribuendo al miglioramento continuo dei livelli di assistenza della rete ospedaliera regionale. Supportano le strutture della rete ospedaliera regionale nella gestione delle casistiche complesse sia attraverso modelli di centralizzazione dei pazienti, anche per la sola fase acuta del percorso assistenziale (facilitando poi una presa in carico da parte delle strutture ospedaliere di prossimità per la gestione della fase post-acuta), sia attraverso lo sviluppo di modelli di consulenza da garantire anche con strumenti informatici.
Gli ospedali Hub rappresentano il vertice della piramide organizzativa per il territorio di riferimento.
Gli Ospedali Spoke e Nodi di rete assumono la funzione di Ospedali di riferimento territoriale per le patologie a media e bassa complessità; in considerazione della definizione territoriale delle ULSS è necessario sviluppare un maggior coordinamento tra le strutture ospedaliere delle Aziende Sanitarie, per garantire un’offerta uniforme ed accessibile, che riduca le inefficienze di sistema e migliori i livelli di integrazione con le strutture territoriali, anche in considerazione di quanto previsto dal Programma Nazionale Esiti, circa i volumi minimi e gli esiti per tipologia di prestazioni.
Si rende dunque necessario, nella rete così delineata, rafforzare il ruolo delle strutture classificate come Spoke e Nodi di rete, in ragione della maggiore importanza che rivestono nei rispettivi ambiti territoriali, per le altre strutture che concorrono a erogare prestazioni di bassa e media
intensità, nel rispetto del concetto di prossimità delle cure per tali tipologie di prestazioni pur centralizzando, come detto, le prestazioni di alta complessità.
In definitiva viene confermato il modello “Hub and Spoke” quale struttura portante dell’organizzazione dell’assistenza ospedaliera, sulla quale vanno definite e strutturate le reti cliniche che devono prevedere la valorizzazione delle strutture partecipanti alla rete. In riferimento agli ospedali classificati come “Spoke”, sarà mantenuta la funzione di ospedali per acuti con i relativi servizi esistenti, valutando il loro potenziamento e prevedendo altresì interventi di efficientamento, ammodernamento e riqualificazione delle strutture attingendo dai fondi nazionali e regionali per gli investimenti.
Nell’ambito della medesima AULSS possono essere organizzati degli Ospedali riuniti, secondo un modello di gestione operativa delle attività sanitarie ed assistenziali configurato sul Dipartimento ad Attività Integrata, al fine di perseguire l’ottimale realizzazione del percorso diagnostico- terapeutico e riabilitativo ed esercitare in forma unitaria e coordinata le attività assistenziali. Il Dipartimento, così configurato, garantirà una migliore integrazione con i diversi territori, grazie alla gestione unitaria delle risorse economiche, umane e strumentali assegnate. Tale modello consentirà, inoltre, una migliore e uniforme erogazione dei servizi sanitari, nonché di rendere più competitiva l’offerta sanitaria territoriale. Il modello è definito dalla Giunta regionale ed è impiegato principalmente nelle aree in cui i servizi sono erogati da più presidi ospedalieri.
Si ribadisce quindi che va salvaguardata la specificità del territorio montano, lagunare, del polesine e delle aree a bassa densità abitativa, anche in considerazione di quanto previsto dall’articolo 15 dello Statuto, al fine di garantire l’equo accesso di tutti gli utenti ai servizi, nel rispetto delle specialità assegnate in coerenza con il DM 70/2015 e dei tempi di attesa, in una logica di area vasta; nel salvaguardare la specificità dei territori alpini, o disagiati, si terrà altresì conto di alcuni indicatori specifici di fabbisogno calibrati sulle peculiarità dei territori interessati. In particolare nell’erogazione dei servizi in emergenza e urgenza, nelle reti tempo dipendenti va garantita la rapidità dell’intervento secondo lo standard “golden hour”.
Va altresì assicurata l’offerta di adeguati servizi nelle località ad alta densità turistica, con cadenza stagionale, nei periodi di maggiore presenza in modo da garantire le prestazioni appropriate ai turisti, senza che ci siano conseguenze sull’erogazione dei servizi programmati alla popolazione residente.

Le reti cliniche

Le reti per patologia sono organizzate all’interno del modello hub and spoke e devono essere sviluppate in modo da garantire al territorio di riferimento risposte per tutti i livelli delle cure, compatibilmente con quanto previsto dal DM 70/2015 relativamente alla distribuzione delle alte specialità, la cui diffusione è prevista per bacini di riferimento più ampio per cui la rete assume una dimensione regionale.
All’interno del territorio di riferimento dei 5 Hub infatti deve essere organizzata un’offerta assistenziale appropriata, vicina al paziente (secondo il concetto di prossimità relativa), che assicura un elevato livello qualitativo delle prestazioni ed un efficiente ed efficace livello di allocazione delle risorse, garantendo della definizione di ruoli chiari per ciascun erogatore, definiti “ex ante”.
La necessità di ricomporre l’offerta dei servizi intorno alla persona rende infatti necessario sviluppare le reti cliniche in modo da garantire per ciascun bacino di riferimento la possibilità di erogare i servizi in modo flessibile e con maggior grado di “personalizzazione”, avvantaggiandosi rapidamente delle innovazioni cliniche, tecniche e tecnologiche e consentendo di prevedere
percorsi per pazienti complessi pluri-patologici, sviluppati sulla base dei bisogni, secondo il criterio di una risposta appropriata, personalizzata ed efficace, nei luoghi di maggior prossimità del paziente e del contesto familiare.
All’interno delle reti cliniche deve essere garantita la mobilità dei professionisti, per facilitare la crescita professionale e sviluppare un maggior grado di integrazione tra i professionisti.
Le reti cliniche così delineate, rappresentando una modalità organizzativa ed un sistema di relazioni che esplicitano, in riferimento alla patologia/specialità descritta, quanto già previsto nei provvedimenti di programmazione per quanto riguarda il modello dei luoghi di cura della rete ospedaliera e sono definite con provvedimenti giuntali.
Nella definizione della reti cliniche dovranno essere previsti:
- bacini di riferimento e valenza della patologia anche in relazione alla tempodipendenza;
- ruoli delle strutture coinvolte, definiti anche sulla base di “volumi” ed “esiti”;
- funzioni definite per livelli;
- requisiti previsti per ciascun livello;
- coordinatore clinico funzionale (con ruolo di “primus inter pares”).
Nella definizione delle rete devono essere chiaramente evidenziati i luoghi di presa in carico dei pazienti e i livelli previsti per dare le risposte più appropriate ai bisogni dei pazienti e deve essere previsto di dare massima informazione ai professionisti ed ai cittadini.
Per gli aspetti tecnico-organizzativi ed amministrativi le reti cliniche dovranno prevedere come punto di riferimento l’Azienda Zero, in particolare per le seguenti attività:
- integrazione organizzativa e professionale di tutte le componenti e i professionisti coinvolti nella rete;
- proposta alle strutture regionali dei vari PDTA che si sviluppano all’interno della rete;
- verifica della coerenza di protocolli e procedure all’interno della rete e validazione degli strumenti organizzativi previsti;
- monitoraggio e verifica dei risultati e del raggiungimento degli obiettivi posti per la rete e per i PDTA collegati;
- raccordo delle specifiche di attività formative proposte dal coordinatore clinico con la Fondazione SSP;
- definizione di un sistema informativo funzionale alla filiera dell’assistenza, che supporti le diverse fasi assistenziali, nell’ottica di integrazione informativa e di continuità dell’assistenza;
- definizione e sviluppo di modalità di collegamento in rete con l’assistenza primaria e con le strutture distrettuali, territoriali ed ospedaliere e prevenzione.
L’organizzazione regionale definisce ulteriori reti cliniche rispetto a quelle previste dai provvedimenti nazionali e si continuerà a implementare le reti per patologia sopratutto quelle con particolare rilievo epidemiologico; attualmente in Veneto sono attive le seguenti reti:
Reti per patologie tempo dipendenti come definite nel DM 70/2015
- Rete emergenza/urgenza
- Rete per le emergenze cardiologiche
- Rete per il Trauma
- Rete Ictus Altre reti
- Trapianti di organi e tessuti
- Trasfusionale
- Malattie Rare
- Gestione del neonato critico e del bambino in emergenza e urgenza
- Urgenze endoscopiche gastroenterologiche
- Paziente con neurolesione grave
- Riabilitazione
- Oncologica
- Oncoematologia pediatrica
- Anatomia patologica
- Breast unit
- Diabetologia
- Endocrinologia
- Reumatologia
- Cure palliative e terapia del dolore (rete territoriale)
- Terapia del dolore (rete ospedaliera)
- Obesità
- Punti nascita
- Ematologia
- Endocrinologia
- Allergie alimentari e Allergologia
- Medicina dello sport e dell’Esercizio Fisico
- Disturbi del Comportamento Alimentare
- Declino cognitivo e demenze
- Sclerosi multipla
- Asma grave
- Pediatrica
Rete Emergenza e Urgenza: la gestione dei percorsi dei pazienti in emergenza/urgenza è un momento particolarmente delicato nell’ambito di un sistema sanitario, che mette alla prova, continuamente, la tenuta dell’organizzazione e il livello qualitativo delle prestazioni erogate.
Infatti, la difficoltà di tale gestione è aggravata ulteriormente nella Regione del Veneto dalla presenza di territori sia montani, che pianeggianti e lagunari che rende necessario prendere in
carico in qualsiasi momento e in tempi strettissimi uno o più pazienti contemporaneamente, che si trovino in situazione critiche o in pericolo di vita e devono essere sottoposti ad accertamenti e terapie non programmabili.
Questo compito richiede una capacità di governo forte ed efficace, a garanzia dell’omogeneità distributiva e qualitativa dei servizi erogati, oltre che un sistema capillare, in grado di stabilizzare il paziente, formulare una prima diagnosi e avviarlo in modo corretto al centro più appropriato dove sia possibile effettuare gli approfondimenti diagnostici necessari e le terapie più appropriate.
La rete dell’emergenza-urgenza, pertanto oltre ad assicurare al paziente la gestione della fase critica del percorso di cura, rappresenta anche il sensore dell’intero sistema, in grado di fornire informazioni preziose per la manutenzione/aggiornamento sia della programmazione regionale che del livello attuativo aziendale.
Il monitoraggio di tali informazioni (che deve essere anche esteso a tutto l’ambito delle reti tempo dipendenti), deve consentire una gestione “elastica” dei percorsi dei pazienti, secondo un modello di rete clinica che consenta di utilizzare al meglio le strutture di offerta del Sistema Sanitario, superandone le rigidità strutturali.
Infatti il Sistema dell’Emergenza-Urgenza, che ha a disposizione le informazioni della rete ospedaliera strutturata per Hub and Spoke (strutture, funzioni, ruoli etc.), deve utilizzare anche tutte le informazioni disponibili per indirizzare rapidamente pazienti nel luogo giusto, in caso di indisponibilità temporanea delle risorse necessarie (ad esempio delle sale operatorie o terapie intensive), di distanza del luogo appropriato di cura incompatibile con la situazione di instabilità clinica.
Nel sistema di reti cliniche vengono pertanto sviluppate soluzioni organizzative che consentano l’erogazione di servizi in modo “flessibile” e che migliorino l’accesso alle strutture più appropriate e la gestione ottimale dei tempi intraospedalieri.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- Aggiornamento e manutenzione costante delle reti tempo dipendenti in base all’evoluzione delle acquisizioni scientifiche e tecnologiche e delle verifiche degli indicatori di processo e di esito.
- Definizione condivisa dei criteri di utilizzo dell’ospedale per prestazioni a valenza interaziendale attraverso la declinazione di elementi di inclusione/esclusione con relativi protocolli di accesso.
- Implementazione di soluzioni organizzative funzionali per la gestione del pronto soccorso (osservazione breve intensiva, percorsi veloci per accessi specialistici, percorso pediatrico)
Si ritiene anche sia necessario sviluppare un sistema di rilevazione in tempo reale e informatizzata dell'utilizzo dei posti letto che consenta al Suem una gestione efficiente dei pazienti all'interno delle reti tempo dipendenti.
Tale monitoraggio consentirà di potenziare il livello organizzativo all'interno della rete ospedaliera e di migliorare ulteriormente il livello qualitativo delle prestazioni, consentendo di trasportare i pazienti nel minor tempo possibile nei centri appropriati.
Il sistema di rilevazione e monitoraggio deve essere strutturato in modo specifico anche per i pazienti pediatrici per i quali l’attuale sistema di trasporto neonatale ha già consentito il raggiungimento di elevati standard assistenziali ma è tuttavia necessario prevedere per questa particolare categoria di pazienti, nelle strutture dell'emergenza e urgenza , idonei spazi e percorsi
dedicati per la gestione dei piccoli pazienti, per rendere meno traumatica possibile l'esperienza del contatto con le strutture sanitarie.

Si conferma il disegno organizzativo complessivo del Dipartimento funzionale di Riabilitazione Ospedale - Territorio ex DGR 2634/2013. La Riabilitazione è attività complessa, deve essere interconnessa tra le strutture ospedaliere e territoriali, anche interaziendali. Il Dipartimento dovrà mettere in rete le strutture pubbliche e private accreditate del medesimo Territorio e disegnare la propria specifica rete della degenza riabilitativa specificando livelli e ruoli delle diverse strutture di offerta. Nello stesso ambito dovranno essere definiti i soggetti cui prioritariamente si rivolge l'attività del Dipartimento. Proprio infatti il paziente complesso, così come definito dal Piano di Indirizzo per la Riabilitazione (2011), richiede un approccio multi-professionale, e pertanto deve avere un percorso di presa in carico basato su criteri di appropriatezza, di governo clinico e di verifica degli esiti, compito del Dipartimento funzionale di Riabilitazione. I LEA approvati con DPCM 12 gennaio 2017, nell'ambito dell'assistenza protesica accrescono notevolmente con possibilità prescrittive per ausili di comunicazione e domotica. Queste soluzioni avanzate per l'autonomia della persona disabile richiedono specifiche e innovative professionalità. Anche per la riabilitazione in età evolutiva, il Dipartimento funzionale di Riabilitazione, deve coordinare il percorso con protocolli specifici per garantire standard qualitativi di assistenza e per favorire il percorso in una rete riabilitativa estesa a tutto il territorio di ogni Azienda Ulss.
Rete Oncologica: il modello di rete oncologica, così come definito dalla L.R. 23/2012 e dai conseguenti provvedimenti attuativi, ha dimostrato la sua efficacia consentendo di elevare ed uniformare il livello delle prestazioni oncologiche nelle sue diverse fasi. L’obiettivo da perseguire è l’aggiornamento costante e puntuale del Registro Tumori entro i 6 mesi successivi.
Importante inoltre è stato il miglioramento assistenziale nell’ambito della presa in carico dei pazienti e nell’elaborazione e definizione dei PDTA, con particolare attenzione alla personalizzazione delle cure.
Si conferma pertanto l’impostazione attuale, che riconosce nell’Istituto Oncologico Veneto la sede di coordinamento della Rete Oncologica Veneta, articolata a livello operativo nei 5 poli oncologici, nei Dipartimenti Oncologici e nei Gruppi Oncologici Multidisciplinari.
La rete oncologica contribuirà a sviluppare e rendere strutturali sistemi di valutazione/raccomandazioni sull’utilizzo di nuovi farmaci e nuovi dispositivi, nonché ad individuare e rilevare indicatori di appropriatezza, efficacia ed esito dei percorsi assistenziali.
La Rete oncologica fornirà altresì alla programmazione regionale i criteri per l’individuazione dei Centri di Riferimento regionali per le patologie oncologiche complesse e garantirà il supporto tecnico per l’aggiornamento ed il monitoraggio degli indicatori di attività e di esito.

La Rete Trapianti: il trapianto di organi o tessuti è un atto di cura con effetto sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita che diventa indispensabile nelle gravi insufficienze d’organo. La programmazione regionale, a fronte dei positivi risultati conseguiti, intende confermare l’attuale assetto della rete trapiantologica regionale confermando il Coordinamento regionale e i Coordinamenti locali per i trapianti collocati in ciascuna Azienda Sanitaria.
È indispensabile mantenere e rafforzare il settore della donazione mediante un consolidamento della attività di governance del Sistema Regionale Trapianti mediante: il controllo retrospettivo dell’attività svolta rilevato dal flusso delle Schede di Dimissione Ospedaliera e azioni di audit sistematico; la stesura di raccomandazioni regionali per la gestione/monitoraggio del paziente
ospedalizzato con cerebro-lesione acuta; la diffusione dei programmi di donazione di organi da donatore “a cuore fermo”; l’incentivazione all’impiego dei sistemi di perfusione “ex vivo” degli organi; sviluppare presso un laboratorio regionale di riferimento nuovi percorsi per la diagnostica immunologica del candidato al trapianto.
Si intende potenziare la possibilità di effettuare scelte di donazione anche al di fuori delle strutture sanitarie attuando campagne di sensibilizzazione dei cittadini e offrendo la possibilità di effettuare tali scelte anche nei nodi della pubblica amministrazione. Devono essere incentivati e resi operativi programmi di ricerca trazionale per individuare nuove soluzioni tecnologiche innovative, anche nell'ambito della medicina rigenerativa, alternative al trapianto. Anche sul versante organizzativo deve essere sviluppata una maggiore integrazione dei centri trapianto, secondo modelli che integrano i centri in "Programmi di trapianto" per tipologia di organo e con modalità organizzative che prevedano la gestione unitaria delle liste di attesa e specializzino i poli presenti nella rete.

La Rete Di Medicina Trasfusionale: la Rete di Medicina Trasfusionale (RMT) della Regione del Veneto, articolata in un Organismo di Coordinamento (CRAT) e in Dipartimenti Interaziendali di Medicina Trasfusionale (DIMT), ha costruito un contesto organizzativo, già rispondente ai contenuti del DM 70/2015, che ha garantito le funzioni clinico-assistenziali di medicina trasfusionale, in coerenza con gli indirizzi e gli obiettivi nazionali, assicurando i Livelli Essenziali di Assistenza in materia trasfusionale.
L’impegnativo programma richiesto per la trasformazione delle strutture trasfusionali in un assetto operativo aderente all’approccio europeo necessita di una ulteriore evoluzione sia verso una rivisitazione degli ambiti dipartimentali e delle attività loro assegnate per un omogeneo modello organizzativo regionale, sia in termini di adeguamento strutturale e tecnologico.
I processi delle strutture trasfusionali devono essere infatti conformi alle vigenti prescrizioni normative nazionali ed europee che saranno integrate dalla imminente introduzione dei più stringenti requisiti minimi di funzionamento facenti riferimento alle buone prassi di fabbricazione di cui all’art. 47 della Direttiva 2001/83/CE, come previsto dalla Direttiva 2016/1214/CE, recante modifica della Direttiva 2005/62/CE per quanto riguarda le norme e le specifiche del sistema qualità per i servizi trasfusionali.
La Rete di riabilitazione: è necessario attivare sia delle strutture di primo livello (ambulatori e strutture ex art. 26) sia strutture di secondo livello (spoke) e terzo livello (hub) con funzioni di coordinamento degli spoke, secondo il noto modello “Hub and Spoke”. La rete spoke è indispensabile per attuare una azione di filtro a seconda dei diversi interventi di riabilitazione e sviluppare un’integrazione fra Territorio e Ospedale; i centri hub invece sono necessari per concentrare risorse economiche, competenze specialistiche ed organizzative a cui far afferire il paziente non trattabile nelle strutture c.d. spoke.
I centri hub per la riabilitazione si caratterizzano, tra l’altro, per:
- Il recupero di gravi patologie cardiologiche disabilitanti in pazienti ad alta complessità;
- Il recupero, la cura e la gestione delle maggiori patologie respiratorie;
- Recupero e cura dei pazienti con sarcopenia grave;
- offrire un panel di attività interventistiche di alto livello per la riabilitazione;
- ottimizzare le risorse economiche concentrando quelle esistenti per sviluppare strutture organizzative con funzioni medico-chirurgiche multidisciplinari;
- consolidare e coordinare una valutazione sistematica di appropriatezza clinica e scientifica delle attività interventistiche nell’ambito riabilitazione;
- coordinare e dare indirizzi sull’attività della rete territoriale degli spoke;

Tra le reti cliniche a forte integrazione anche con il territorio va sviluppata, in continuità con i vigenti atti programmatori, la Rete clinica della Medicina dello Sport. L’organizzazione in rete di questa disciplina garantisce la tutela sanitaria dell’attività sportiva, anche con la collaborazione della FSMI del CONI di cui all’articolo 3 della legge regionale 3 agosto 1982, n. 25 e all’articolo 10septies della legge 30 ottobre 2013, n. 125. La rete della Medicina dello Sport si pone, inoltre, come organizzazione efficace per la realizzazione di ogni intervento preventivo e terapeutico in cui la prescrizione dell’esercizio fisico strutturato (EFS) venga utilizzata per contrastare le malattie croniche e ridurre il carico di morbilità e disabilità nei soggetti affetti da patologie e a rischio, in un’ottica di sinergie e intersettorialità necessarie e già previste anche dalla legge regionale 11 maggio 2015, n. 8 . La rete della Medicina dello Sport è articolata in nodi polifunzionali con connessione di tipo “Hub and Spoke” per certe tipologie di funzione (accertamenti con alto livello di complessità) e connessioni “Spoke and Spoke” per altre funzioni (es. collegamenti per certificazioni). I nodi sono classificati su più livelli: nodi privati, nodi di base, nodi di primo livello, nodi di secondo livello e nodi di terzo livello con maggiori complessità.
Rete Disturbi del Comportamento Alimentare: i DCA sono molto diffusi nella popolazione giovanile, soprattutto di sesso femminile: nelle ragazze di età compresa tra i 14 e i 25 anni la loro diffusione arriva ad interessare il 10% delle persone. In particolare l’anoressia nervosa è il disturbo psichiatrico con la più alta mortalità (10- 20%).
Il trattamento di queste patologie richiede una collaborazione continuativa tra gli specialisti di area psichiatrica e psicologica e gli specialisti di area medica
È indispensabile quindi rafforzare l’attività dei Centri con una programmazione che preveda l’adozione di protocolli di collaborazione durante i ricoveri tra centri per i DCA e reparti di medicina e pediatria, così come stabilire, almeno una volta l’anno, momenti di confronto con i rappresentanti delle associazioni facenti parte, nelle nostre Province, del coordinamento nazionale DCA per un monitoraggio dell’efficacia della attività di assistenza e cura dei pazienti.
Particolare attenzione sarà da destinarsi alla gestione e prevenzione delle malattie allergiche in considerazione del costante incremento nella popolazione dell’incidenza, in particolare delle forme gravi di allergia alimentare, sia nell'età adulta sia nell’età pediatrica, nonché delle complicanze legate alla cronicizzazione delle varie manifestazioni cliniche.
Si rende pertanto opportuna per il tramite della rete per un tempestivo trattamento e prevenzione delle emergenze allergologiche e delle reazioni anafilattiche che consideri anche l’aspetto educazionale dei vari operatori, incluse le scuole ed i ristoratori. Nei Centri HUB della rete dovranno essere anche sviluppate terapie innovative delle malattie allergiche che possano poi essere traslate a livello di assistenza primaria in biunivoco flusso di informazioni.

I Centri di riferimento regionali

L’integrazione dei luoghi di cura, perseguita attraverso l’utilizzo di modelli di rete, richiede per le patologie a maggiore complessità - anche in considerazione di quanto previsto dal programma nazionale esiti – l’individuazione di Centri di riferimento regionali per patologia.
I Centri individuati, che devono essere coerenti con l’organizzazione della rete ospedaliera, consentono infatti di strutturare PDTA che meglio rispondono ai bisogni dei pazienti in quanto
permettendo di concentrare le casistiche sulla base di criteri di complessità, rendono possibile lo sviluppo di competenze, contribuendo ad aumentare il livello qualitativo delle prestazioni.
I Centri di riferimento regionali sono aggregati all’interno delle Unità complesse aziendali e per dare garanzia di continuità di integrazione e anche a garanzia degli investimenti strutturali e della dotazione organica, il Direttore della struttura complessa, cui è incardinato il centro, è individuato come responsabile "strutturale" del centro e deve garantire il necessario supporto al funzionamento del Centro specializzato.
Rivestono inoltre il ruolo di riferimento regionale per le patologie specifiche, oltre che per le attività di diagnosi e cura, anche per quanto riguarda le attività di ricerca.
Svolgono inoltre attività formativa e di aggiornamento rivolta al personale sanitario interno alla propria azienda ovvero di altre aziende sanitarie al fine di sviluppare conoscenze e competenze, garantendo nel tempo la continuità e la qualità delle attività svolte.
Tra i centri di riferimento regionali è opportuno richiamare la Fondazione Banca degli Occhi del Veneto con sede a Mestre, che è la prima banca in Europa per numero di cornee raccolte e distribuite. Fondata nel1987, è il centro di riferimento regionale per i trapianti di cornea del Veneto ed è tra le più importanti strutture organizzate in Italia per la promozione della cultura di donazione, raccolta, lavorazione e distribuzione di tessuti corneali per i trapianti, nonché per la cura di patologie del segmento anteriore dell'occhio. Tra i suoi compiti vi è, inoltre, il costante impegno nella ricerca per migliorare le tecniche di trapianto e la cura di altre malattie della vista. La Fondazione è orientata a crescere professionalmente, impegnandosi nella ricerca di soluzioni innovative ai problemi legati alle malattie della cornea, continuando incessantemente a migliorare le possibilità di cura delle malattie dell'apparato visivo attraverso un'attività di ricerca eticamente responsabile. È una tra le prime strutture in grado di distribuire lembi di cellule staminali corneali per la cura di patologie oculari non curabili con il solo trapianto di cornea e offre servizi di diagnosi e consulenza ai chirurghi oftalmologi per i pazienti affetti da gravi malattie difficilmente diagnosticabili. La Fondazione è la prima Banca italiana iscritta nell'elenco delle Banche di Tessuti certificate dal Centro Nazionale Trapianti che operano in conformità alla Linee Guida per il prelievo, la processazione e la distribuzione di tessuti a scopo di trapianto.

I percorsi diagnostico terapeutici assistenziali

La sfida nella costruzione del modello di presa in carico consiste nell’organizzare servizi sempre più complessi ed integrati rispetto al passato, laddove la complessità è il risultato di processi di integrazione di diversa natura: di contenuto, di ambiti, di saperi, di modalità di fruizione.
Il PDTA rappresenta il percorso del paziente all’interno delle reti cliniche, più razionale finalizzato al miglior esito delle cure.
Il PDTA è uno strumento trasversale, che consente di creare collegamenti tra i ruoli e le funzioni individuate nella rete garantendo continuità nell’assistenza.
Attraverso lo strumento del PDTA si garantiscono la riproducibilità delle azioni e l’uniformità delle prestazioni erogate e per questo motivo diventa uno strumento importante del controllo dell’appropriatezza erogativa e della tutela del professionista.
Il PDTA è lo strumento che definisce per la specifica situazione patologica individuata:
- gli interventi/prestazioni sanitarie più appropriati per la diagnosi, terapia e l’assistenza;
- la tipologia di nodi della rete dove gli interventi/prestazioni possono essere erogati;
- i tempi entro cui devono essere erogati gli interventi/prestazioni;
- il livello di coinvolgimento dei professionisti nelle fasi del percorso;
- I risultati e gli esiti da verificare.
La stesura del PDTA è:
- affidata a un gruppo multidisciplinare, preferibilmente coordinato dal responsabile della rete clinico assistenziale;
- definita attraverso l’analisi delle buone pratiche, di linee guida di riferimento e dalla letteratura;
- omissis (12)
- adottata con decreto del direttore dell’Area Sanità e Sociale.
Il supporto tecnico ai gruppi di lavoro per la stesura dei PDTA è fornito da Azienda Zero.
Nella definizione dei PDTA dovrà essere chiaro il ruolo delle strutture ospedaliere nella fase acuta del percorso assistenziale, anche in considerazione di un percorso di cura centrato sempre più sul territorio. Prevedere la possibilità di sviluppare uno specifico PDTA per le emoglobinopatie (talassemie, drepanocitosi e altre anemie rare).

Il Comitato Regionale per la Bioetica e i Comitati Etici locali

Nella prospettiva di attenzione e di tutela dei valori della persona, la Regione del Veneto, da sempre sensibile alle tematiche di bioetica, ha disegnato la rete dei Comitati etici del Veneto, comprendente un Comitato regionale per la Bioetica e Comitati etici a livello locale distinti in due tipologie: i Comitati Etici per la Sperimentazione Clinica e i Comitati Etici per la Pratica Clinica.
Il Comitato Regionale per la Bioetica è organismo consultivo preposto all'approfondimento degli aspetti bioetici correlati alle attività sanitarie e socio-sanitarie e alla ricerca, con particolare riguardo alla programmazione regionale, ai principi organizzativi del servizio socio-sanitario regionale, all'allocazione e uso delle risorse, al controllo della qualità dei servizi con riferimento ai processi di umanizzazione della medicina e dell'assistenza.
l Comitati Etici per la Pratica Clinica operano a livello locale all'interno delle Aziende Sanitarie e hanno come obiettivo primario quello di favorire e custodire la dimensione etica all'interno della istituzione sanitaria contribuendo in tal modo a garantire una cura centrata sulla persona e sulla sua dignità.
l Comitati Etici per la Sperimentazione Clinica, operanti nelle strutture sanitarie della Regione del Veneto, hanno il compito di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere delle persone sottoposte a sperimentazione nonché di fornire pubblica garanzia di tale tutela.

3.2. ACCESSIBILITÀ AL SSSR

Il sistema sanitario veneto si fonda sull’universalità e equità e assicura i LEA in modo uniforme su tutto il territorio regionale secondo il principio dell’appropriatezza.
A fronte di una domanda di servizi sempre crescente, negli ultimi anni si è rilevata la necessità di migliorare appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni e di porre maggiore attenzione all’individuazione di bisogni inespressi o difficoltà che limitano l’accessibilità ai servizi.
È necessario quindi un governo della domanda basato su principi di appropriatezza clinica e organizzativa che abbia come strategia fondamentale la gestione delle liste d’attesa e il corretto utilizzo delle classi di priorità.
La definizione di priorità, attualmente utilizzata nella gestione dei ricoveri ospedalieri, delle cure specialistiche ambulatoriali, degli interventi chirurgici programmati nonché degli accessi di Pronto Soccorso, è finalizzata a aumentare il livello di appropriatezza.
In particolare, per quanto riguarda l’appropriatezza prescrittiva della specialistica ambulatoriale, come disposto dalla normativa nazionale, ogni prescrizione dovrà riportare obbligatoriamente il quesito diagnostico per la buona pratica clinica e, altresì, la opportuna classe di priorità.
Le classi di priorità sono un valido strumento per assegnare, sulla base di corrette indicazioni cliniche, il corretto tempo di accesso alle prestazioni sanitarie e il regime organizzativo più adatto.
Tutti gli erogatori devono necessariamente rispettare nei confronti degli assistiti i tempi massimi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale e regionale, e nell’osservanza delle disposizioni e degli adempimenti impartiti dall’Autorità Nazionale AntiCorruzione sul rispetto degli obblighi in tema di anticorruzione e trasparenza.
In coerenza con quanto sopra descritto quindi deve essere rafforzata la promozione del governo della gestione delle liste di attesa e dei relativi tempi, anche individuando e mettendo in atto strategie per la gestione delle eventuali criticità al fine di garantire a tutti gli assistiti un accesso equo alle prestazioni sanitarie, erogate nelle sedi e con tempistica adeguate, nonché la qualità e sicurezza delle stesse. In ogni caso, già a partire dal primo anno di vigenza del presente Piano Socio-Sanitario Regionale, sarà organizzato ed effettuato un controllo straordinario sulla concreta gestione delle classi di priorità effettuata dagli erogatori pubblici e privati.
Per migliorare l’appropriatezza prescrittiva deve essere promosso l’utilizzo dei PDTA come strumenti per standardizzare la prescrizione e l’erogazione.
Uno strumento di responsabilizzazione nell’accesso al SSSR è dato dalla compartecipazione alla spesa che mira a ridurre il consumo non appropriato, incentivando una domanda ottimale della prestazione.
La quota della compartecipazione (ticket o quota di compartecipazione) però non deve condurre a effetti distorsivi, come la limitazione e la diseguaglianza all’accesso.
Si intende quindi limitare, per quanto di competenza, la compartecipazione alla spesa del cittadino, che resta titolare del diritto all’accesso del sistema sanitario e alle prestazioni appropriate.
Per quanto riguarda invece l’appropriatezza erogativa, tramite Azienda Zero, deve essere sviluppato il sistema di monitoraggio e controllo su appropriatezza e congruità delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private accreditate.
I privati accreditati, erogatori di prestazioni, devono uniformarsi al livello d’eccellenza del SSSR affinché sia garantito all’utente lo stesso livello qualitativo.
Deve quindi essere garantita sia la piena integrazione e interoperabilità con i sistemi informativi presenti nelle aziende sanitarie, sia un costante aggiornamento delle dotazioni tecnologiche, in particolare di quelle diagnostiche e strumentali.
In caso di mancato rispetto di quanto previsto dalla normativa regionale, si provvederà ad applicare le procedure e le sanzioni previste dagli istituti contrattuali vigenti.
Infine, rispetto alla possibilità di ridurre le liste d’attesa attraverso l’acquisizione di prestazioni da parte di soggetti diversi dall’azienda sanitaria stessa, si evidenzia che è indispensabile saturare la capacità produttiva dell’azienda sanitaria, in particolare attraverso l’utilizzo ottimale delle apparecchiature e del personale dipendente e solo successivamente valutare le alternative come
l’esternalizzazione del servizio, la libera professione e l’acquisto di prestazioni tramite accordi contrattuali.
Per quanto riguarda le analisi di appropriatezza erogativa, nell’attuale sistema di governo multilivello, la Regione continuerà a definire linee guida per la codifica delle schede di dimissione ospedaliera e di atri flussi informativi e appropriatezza clinica e organizzativa.
Azienda Zero coordinerà i controlli aziendali e effettuerà approfondite analisi periodiche sulle singole attività per verificare l’uniformità di applicazione delle indicazioni supportata, in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, dalla competente struttura regionale, alla quale spetta la supervisione dei controlli aziendali tramite il sistema di audit.
In particolare, Azienda Zero garantirà la massima diffusione della conoscenza dello stato dell’arte in termini di performance ottenute dalle singole Aziende/Distretti e la più efficiente estensione delle prestazioni oggetto di monitoraggio, anche svolgendo le seguenti attività:
- monitoraggio e controllo continuo dell’intero processo di erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie nelle Aziende sanitarie pubbliche e private del Veneto, anche elaborando i dati della mobilità intraregionale, interregionale e internazionale delle prestazioni;
- perseguimento di tutte le possibili azioni finalizzate ad una omogeneizzazione a livello regionale dei servizi offerti dalle Aziende;
- attività ispettiva programmata o straordinaria derivante da eventuali criticità emerse nella erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie delle strutture pubbliche e private della Regione;
- coordinamento dei nuclei aziendali di controllo, al fine di operare attività di verifica omogenee e confrontabili all’interno del territorio regionale.

Il governo dei tempi di attesa

Il governo della gestione delle liste e dei tempi di attesa rappresenta una delle principali attività finalizzate ad assicurare al cittadino la migliore performance possibile nella erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie; tra le principali tipologie di prestazione oggetto di monitoraggio e controllo si ricordano:
- gli accessi al Pronto Soccorso;
- le prestazioni di specialistica ambulatoriale;
- gli interventi chirurgici;
- i ricoveri ospedalieri;
- l’accesso in strutture residenziali.
È riservata inoltre particolare attenzione alle prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative rivolte a pazienti con patologia neoplastica.
Più in dettaglio, il processo di buon governo delle liste e dei tempi d’attesa deve definire e controllare:
- le prestazioni da monitorare e le indicazioni cliniche di appropriatezza;
- i criteri di classificazione delle classi di priorità;
- i tempi massimi di erogazione;
- i responsabili per le politiche per il miglioramento delle liste d’attesa;
- gli strumenti per il monitoraggio e controllo delle performance;
- i responsabili dell’organizzazione e del monitoraggio dei processi di prenotazione.
I responsabili aziendali delle liste d’attesa che a fronte dell’analisi dei fabbisogni, dell’appropriatezza della domanda e delle risorse disponibili devono studiare e attuare politiche di miglioramento del soddisfacimento della domanda sono:
- per gli accessi in Pronto Soccorso: il direttore della funzione ospedaliera e il direttore dell’Unità Operativa complessa di Pronto Soccorso: il Direttore di Distretto è figura fondamentale nell’avviare processi di gestione della domanda in collaborazione con MMG e PLS, in particolare per contenere l’accesso al PS di situazioni non di emergenza classificate come codici bianchi;
- per le prestazioni specialistiche: il direttore di Distretto;
- per i ricoveri e gli interventi chirurgici: il direttore della funzione ospedaliera;
- per l’accesso in strutture residenziali: il direttore di Distretto.
In questo sistema di responsabilità è importante ribadire anche il ruolo del Direttore Sanitario che ha il compito di garantire il buon governo dell’offerta di prestazioni in relazione alla domanda, facendo sintesi tra le richieste e le proposte dei direttori di funzione ospedaliera e territoriale, attivando meccanismi trasversali tra ospedale e territorio.
Per garantire la migliore performance possibile a livello regionale, è necessario assicurare una gestione omogenea dei processi di prenotazione ed erogazione, accompagnata da un percorso unitario e ben definito di monitoraggio e controllo, attraverso l’impiego di strumenti e tecnologie informatiche integrate e interoperabili finalizzate tra l’altro alla gestione di:
- presenze e tempi di attesa in Pronto Soccorso;
- centro prenotazioni unico con accessibilità a tutte le agende;
- registro operatorio unico;
- registro dei ricoveri;
- registro delle domande di residenzialità.
Le figure di riferimento indicate come responsabili dell’organizzazione e del monitoraggio dei processi di registrazione e prenotazione:
- per gli accessi in Pronto Soccorso: Dirigente professioni sanitarie area emergenza urgenza;
- per le prestazioni specialistiche: CUP manager;
- per gli interventi chirurgici: Dirigente professioni sanitarie area chirurgica e blocchi operatori;
- per i ricoveri: Responsabile presso la direzione della funzione ospedaliera;
- per le impegnative di cure e l’accesso in strutture residenziali: Responsabile della graduatoria unica di residenzialità.
È istituito il “Tavolo di monitoraggio delle liste di attesa”, aperto a tutti i portatori di interesse, al fine della verifica e del controllo del buon governo delle liste.

Attività specialistiche

L’attività specialistica è una funzione fondamentale governata dal Distretto e che si colloca in maniera trasversale ai diversi nodi che compongono la filiera assistenziale. L’attività specialistica ambulatoriale garantita dal SSSR può essere erogata in ambiente ospedaliero pubblico o privato accreditato e in strutture extraospedaliere pubbliche o private accreditate.
Spetta al direttore di Distretto valutare il fabbisogno, avvalendosi anche delle elaborazioni prodotte da Azienda Zero, e definire attraverso quali erogatori soddisfare la domanda proponendo la stipula di accordi contrattuali con le strutture private accreditate o con altre strutture del SSSR in rapporto al fabbisogno complessivo e alla capacità produttiva dell’ULSS stessa.
La strutture private per poter erogare prestazioni per conto del SSSR devono essere autorizzate, accreditate e avere stipulato un accordo contrattuale.
L’accreditamento è un sistema di garanzia della qualità del servizio erogato secondo gli standard definiti a livello nazionale e regionale.
Negli accordi contrattuali devono essere definiti la tipologia, la branca e il numero di prestazioni necessarie all’ULSS e la previsione di rispetto dei tempi di attesa.
Il ruolo del Distretto sarà quindi fondamentale per attuare i seguenti obiettivi strategici
- garantire le prestazioni specialistiche presso le sedi distrettuali, a domicilio, presso le strutture di ricovero intermedie, presso le strutture semiresidenziali e residenziali attraverso il coordinamento degli specialisti (convenzionati e dipendenti);
- prevedere un coordinamento dell’attività ambulatoriale erogata presso le sedi distrettuali, ospedaliere e le strutture private accreditate nell’ambito del territorio di ciascuna Azienda sanitaria, nel rispetto di criteri di accessibilità per l’assistito e qualità delle prestazioni;
- potenziare la programmazione ed il coordinamento dell’attività del Centro Unico di Prenotazione (CUP) aziendale, quale strumento gestionale e punto di sincronizzazione dell’attività delle strutture aziendali e del privato accreditato;
- garantire il monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva e del governo delle liste d’attesa, coinvolgendo i medici/pediatri di famiglia, gli specialisti ambulatoriali interni e gli specialisti ospedalieri nella condivisione ed applicazione estesa delle classi di priorità, implementando un monitoraggio sistematico dell’aderenza dei profili prescrittivi ai criteri concordati;
- mettere a sistema il monitoraggio delle attività svolte dalle strutture e dai soggetti convenzionati in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate rispetto a quanto programmato.
La gestione delle attività specialistiche sarà oggetto della valutazione per la conferma dell’incarico di Direttore del Distretto.

3.3. COLLABORAZIONE PUBBLICO PRIVATO

Nel chiarire i rapporti esistenti tra pubblico e privato può essere utile definire gli ambiti nei quali tali rapporti si sviluppano. In ambito sanitario si possono infatti distinguere tipologie diverse di servizio erogato, erogatore del servizio stesso e finanziatore, nel dettaglio:
- tipologia di prestazioni erogate: prestazioni Lea o non LEA;
- tipologia di erogatori di prestazioni: a gestione diretta di strutture pubbliche, per conto del SSSR, private non accreditate;
- tipologie di spesa: pubblica, privata (una categoria della spesa privata è quella intermediata).
Nelle combinazioni delle tipologie sopra descritte si inquadra la sfida dei prossimi anni che mira da una parte a regolamentare e chiarire il ruolo della sanità privata e integrativa a tutela del cittadino, dall’altra a valutare la possibilità di reperire risorse dalla sanità privata con modalità che non compromettano il modello di SSN pubblico ma ne rafforzino il ruolo.

Tipologie di prestazioni erogate

Il DPCM del 12 gennaio 2017 ha definito le prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini italiani. Nell’elenco di queste prestazioni sono state ricomprese anche alcune prestazioni aggiuntive precedentemente garantite ai cittadini residenti nel veneto come “extraLEA” e pertanto remunerate a carico del bilancio regionale.
Con l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, pertanto, saranno garantite a carico del SSSR le sole prestazioni ricomprese nei nuovi Lea e si ritiene utile richiamare che qualsiasi altra prestazione, che si preveda garantire ai cittadini residenti nel veneto, al di fuori dei citati LEA, dovrà anche prevedere una copertura annua da individuare.

Tipologie di erogatori

Le strutture che possono erogare prestazioni LEA per conto del SSN sono distinguibili in tre categorie: strutture pubbliche a gestione diretta, strutture private accreditate e società partecipate a capitale interamente pubblico.
Nel sistema sanitario regionale, quindi, oltre alle strutture che erogano prestazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche ed ai soggetti privati accreditati, sono previsti pertanto anche soggetti rappresentati da “società a capitale interamente pubblico”.
Infatti, ai sensi del D.lgs. 502/1992, in Veneto sono state attivate sperimentazione gestionali allo scopo di introdurre modelli assistenziali innovativi. A conclusione dei programmi di sperimentazione, nel panorama delle strutture erogatrici di prestazioni sanitarie, è entrata una società a capitale interamente pubblico, con compiti di assistenza e di ricerca nel campo della riabilitazione.
Tale struttura “Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione” (ORAS) che è una società partecipata da aziende del servizio sanitario, enti pubblici territoriali ed enti pubblici regionali e statali, visti i risultati conseguiti, è stata stabilizzata ed è stata inserita definitivamente nel sistema di offerta sanitaria regionale.
Negli ultimi anni gli erogatori privati accreditati sono stati inseriti completamente nel sistema di offerta regionale garantendo una perfetta integrazione con le strutture pubbliche e nel contempo sono state mantenute e sviluppate le differenziazione tra le strutture, mantenendone ove presenti le specializzazioni e le eccellenze.
Per le strutture private accreditate la chiarezza e la definizione dei ruoli, insieme alla previsione di tetti di spesa pluriennali, ha consentito una puntuale programmazione delle attività da parte delle stesse e ha portato ad un miglioramento del servizio reso ai cittadini e ad una riduzione delle criticità e dei contenziosi.
Dunque, obiettivo della programmazione è quello di assicurare il completamento del processo di integrazione e di specializzazione nella rete ospedaliera, governarne le integrazioni e le sinergie in particolare per le strutture private accreditate identificate come “Presidi ospedalieri di rete regionale” al fine di aumentare l’accessibilità e l’universalità del sistema sanitario.
La Regione, con il processo di accreditamento, garantisce che le strutture che andranno ad erogare prestazioni per conto e a carico del SSSR, una volta autorizzate all’esercizio, rispondano a definiti requisiti di qualità in coerenza alla programmazione/fabbisogno locale e regionale. Infine, con gli accordi contrattuali tra Aziende ULSS ed erogatori privati accreditati, la Regione definisce criteri di responsabilizzazione economico-finanziaria a garanzia della sostenibilità del sistema nel suo complesso.
Ai sensi del Dlg.502/92 con la L.R. 22/2002, l’erogazione di prestazioni anche in regime privato prevede il possesso dell’autorizzazione all’esercizio a garanzia della rispondenza, da parte della struttura, ai requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi.

Tipologia di finanziamento

Oltre alla spesa pubblica che copre l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, negli ultimi anni è cresciuta molto la spesa sanitaria privata che si può differenziare in
- spesa sanitaria privata (out of pocket);
- spesa sanitaria privata intermediata.
La spesa sanitaria “out of pocket” è la spesa che il cittadino si determina a sostenere in proprio attingendo dalla propria capacità economica.
La spesa sanitaria privata intermediata può inoltre essere distinta tra quella sostenuta dalle compagnie assicurative o quella dei fondi sanitari integrativi.

Fondi sanitari integrativi

La costante e progressiva riduzione del finanziamento pubblico agli enti periferici impone ai decisori la necessità di individuare le priorità cui dedicare le risorse esistenti e determinando gli effettivi bisogni sia rispetto ai servizi che alle prestazioni da erogare, al fine di garantire l’equità nell’accesso alle cure, principio che deve improntare un servizio pubblico universalistico.
Dato il momento di difficile sostenibilità che attraversa il modello tradizionale di SSN e atteso che è realistico ritenere che il finanziamento pubblico continuerà ad essere contratto nei prossimi anni, appare necessario che si pensi a nuove modalità di gestione e soluzioni che non compromettano il SSN, promuovendo forme integrative di assistenza sanitaria e socio-sanitaria sostenibili.
Il termine “Fondi sanitari integrativi del SSN”, istituiti o adeguati ai sensi dell'articolo 9 del D.lgs 502/1992, indica i fondi sanitari che erogano prestazioni aggiuntive, erogate da professionisti e da strutture accreditate, prestazioni erogate dal SSN per la sola quota posta a carico dell'assistito e quelle socio sanitarie erogate in forma domiciliare.
Una delle finalità che dovrebbero perseguire i fondi integrativi è proprio quella di concentrarsi su settori attualmente privi di copertura prevedendo, ad esempio, il rimborso del ticket e sul lungo periodo anche delle rendite quando venga a mancare l'autosufficienza.
Tali fondi integrativi andranno utilizzati in una logica propositiva, anche auspicando un intervento del legislatore nazionale che pianifichi azioni future e razionalizzi la materia, costruendo cioè strumenti utili al sistema per evitare il rischio di un’involuzione della sanità pubblica e anche ai cittadini che potranno in tal modo avvalersi di una piattaforma di offerta maggiormente competitiva.
La Regione del Veneto nell’ambito delle competenze previste dalla normativa in materia, è chiamata a istituire un’anagrafe dei fondi istituiti e gestiti a livello regionale o infraregionale, effettuando poi la vigilanza su di essi.
Si ritiene inoltre opportuno istituire presso l’Ente di governance - Azienda Zero, un Osservatorio regionale cui affidare funzioni di monitoraggio e vigilanza su tutte le forme di sanità integrative con l’importante finalità di attuare un raccordo tra sanità pubblica e sanità privata.

La libera professione

Negli anni si sono succedute numerose disposizioni in materia. La Regione è intervenuta, tra l’altro, fornendo direttive alle Aziende ed Enti del SSSR per l’organizzazione dell’attività libero professionale in conformità al principio generale che l’attività istituzionale è prevalente rispetto a quella libero professionale, la quale viene esercitata nella salvaguardia delle esigenze di servizio e della prevalenza dei volumi orari di attività necessari per i compiti istituzionali.
A tal proposito la recente L.R. 30/2016 ha stabilito che il volume delle prestazioni ambulatoriali erogate dal professionista in regime libero professionale, non può essere superiore al volume delle prestazioni erogate in regime istituzionale.
Ciascuna Azienda in caso di superamento del rapporto tra attività in libera professione e in istituzionale sulle prestazioni erogate, anche con riferimento al rapporto individuale sopra richiamato, e di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati nel presente documento, attua il blocco immediato dell’attività libero professionale. Altre azioni possono essere previste, ivi compresa la sospensione del diritto all’esercizio della libera professione, a seguito di accertamento da parte degli Organismi preposti di violazioni delle disposizioni normative e contrattuali.
Infine va richiamato l’obbligo della distinzione dei percorsi tra pazienti che accedono alle prestazioni in regime libero professionale e quelli in regime “istituzionale”, come già stabilito dalle disposizioni in materia, nazionali e regionali, con particolare riferimento alla richiamata L.R. 30/2016. Infatti i professionisti che erogano prestazioni in regime libero professionale non possono prescrivere, per proseguire l’iter diagnostico-terapeutico, con oneri a carico del Servizio Sanitario Regionale.
Va infine posto il tema di un riorientamento dell'istituto della libera professione. Da questo punto di vista, si ritiene necessario rendere lo stesso più funzionale alle necessità delle aziende, dando la possibilità di prevedere strumenti per gestire “progettualità”, cui potrebbero accedere su base volontaria i dirigenti medici in alternativa all’esercizio della libera professione intramuraria, che prevedano resa oraria aggiuntiva degli stessi in funzione della riduzione delle liste di attesa. Tali attività potrebbero essere in parte finanziate con una diversa finalizzazione del fondo di perequazione.

3.4. LA QUALITÀ DEL SSSR
Valutazione della qualità dal punto di vista degli esiti

Il monitoraggio continuo della qualità delle cure attraverso indicatori di volume, di processo e di esito rappresenta uno strumento indispensabile per valutare il grado di rispondenza del sistema di offerta ai bisogni di salute della popolazione e per attivare un percorso virtuoso di miglioramento.
Da alcuni anni l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) mette a disposizione delle Regioni il Programma Nazionale Esiti (PNE), attività istituzionale che fornisce valutazioni comparative, sull’efficacia, la sicurezza, l’efficienza e la qualità delle cure prodotte nell’ambito del SSSN.
Gli indicatori prodotti dal PNE coprono diversi segmenti dell’assistenza ospedaliera e consentono di confrontare la qualità dell’assistenza erogata dalle strutture ospedaliere tenendo in considerazione, con metodologie di rischio aggiustato le caratteristiche anagrafiche e cliniche della casistica trattata. Dall’edizione 2016 del PNE è stata introdotta una nuova metodologia di
valutazione sintetica delle strutture, il cosiddetto “Treemap”, con il quale è possibile fornire una misura del grado di aderenza della singola struttura agli standard di qualità considerando alcuni indicatori traccianti riferiti a sette aree cliniche (cardiocircolatorio, nervoso, respiratorio, chirurgia generale, oncologica, gravidanza e parto, osteomuscolare).
La valutazione “Treemap” consente alla programmazione regionale di individuare e monitorare le strutture da sottoporre ad audit clinici e organizzativi, come previsto anche dal DM del 21 giugno 2016 sui “Piani di efficientamento e riqualificazione” attuativo della legge di stabilità 2016. I risultati degli indicatori sulla qualità delle cure devono essere inquadrati in un sistema più ampio di valutazione e per questo motivo il PNE è stato assunto dalla Regione del Veneto uno strumento di valutazione delle performance delle aziende sanitarie ma anche dei direttori delle Unità Operative Complesse.
Una delle indicazioni che emerge dalle valutazioni degli indicatori di esito è la necessità di assicurare un adeguato volume di interventi in una singola struttura operativa per garantire la necessaria esperienza che fornisca standard di sicurezza, a questo proposito è necessario considerare le seguenti azioni:
- accorpare le unità operative che non raggiungano la soglia minima di sicurezza del numero di interventi;
- organizzare l’attività delle equipe mediche in modo che, se le condizioni di efficienza dell’uso delle sale operatorie e dell’organizzazione del reparto lo permette, possano essere utilizzate le medesime equipe in più sedi ospedaliere.
Tenendo conto costantemente degli aggiornamenti delle conoscenze scientifiche sia in termini di soglie di volumi minimi che di tipologia di intervento per i quali c’è evidenza di un’associazione tra volumi e esiti, si intende continuare il percorso di monitoraggio al fine di poter definire anche soluzioni organizzative a tutela del paziente in particolare attraverso l’individuazione di criteri minimo di sicurezza in particolar modo degli interventi di chirurgia oncologica, anche valorizzando le competenze e favorendo confronti interdisciplinari e multispecialistici.
Al fine ultimo di giungere ad un sistema che riesca a valutare in modo completo gli esiti delle cure appare necessario ampliare gli indicatori di valutazione della qualità degli esiti, prevalentemente incentrati sull’esito del processo interventistico, considerando anche gli esiti sensibili all’assistenza.
Sarà infine necessario sviluppare indicatori di esito anche per l’assistenza sanitaria e socio- sanitaria territoriale.

Valutazione della qualità dal punto di vista del cittadino

Oltre alla valutazione sull’esito dei processi sanitari si ritiene importante misurare la qualità dal punto di vista del cittadino, valorizzando e facilitando il contributo e la partecipazione dei cittadini nel progettare e realizzare un sistema sanitario di qualità, riconoscendo il loro ruolo di attori a pieno titolo e non considerandoli solo oggetti passivi del sistema.
Alla luce di tali obiettivi, nell’ambito delle strategie di comunicazione orientate ad un ripristino del rapporto di fiducia e alleanza tra struttura/medico/paziente si intende promuovere quanto necessario per:
- agevolare l’accesso agli atti e alle informazioni;
- promuovere strumenti e metodi di comunicazione tra uffici e strutture aziendali interne ed esterne operanti nel SSSR, per lo scambio di dati e informazioni;
- facilitare l’accesso ai servizi socio-sanitari offerti mediante un’informazione strutturata di norme, regolamenti, strumenti informativi (Carta dei servizi, siti web aziendali, Punti informativi, etc.);
- favorire la comunicazione tra professionisti socio-sanitari e assistiti, adottando linee guida in grado di orientare la modalità, di volta in volta preferibile, con cui trasmettere le informazioni al paziente e coinvolgerlo nelle scelte, fornendo quindi a tutti gli operatori una preparazione professionale su tematiche delle relazioni e della comunicazione;
- potenziare modelli di accoglienza degli assistiti e dei familiari nei luoghi di cura e in particolare in quelli più critici come il pronto soccorso;
È inoltre importante misurare la qualità dal punto di vista del cittadino, valorizzando la sua partecipazione nel realizzare un sistema sanitario di qualità.
In particolare si intende:
- definire un programma regionale di qualità percepita che rilevi, analizzi e valuti l’esperienza e la soddisfazione degli utenti del Servizio Socio-Sanitario Regionale;
- promuovere un sistema condiviso e diffuso di gestione delle segnalazioni degli utenti dei servizi sanitari e socio sanitari attraverso anche il miglioramento della rilevazione e dell’utilizzo delle informazioni derivanti dalle segnalazioni agli Urp;
- prevedere che le farmacie possano essere punti di raccolta delle informazioni/valutazioni della qualità dei servizi.
Il programma di qualità percepita sarà realizzato a livello regionale e progressivamente andrà a valutare tutte le aree interessate: l’assistenza ospedaliera, le cure primarie, le prestazioni specialistiche e territoriali, l’emergenza urgenza, i servizi socio sanitari.
Ulteriore aspetto che deve essere sviluppato è garantire al cittadino e a tutti gli attori del sistema la massima trasparenza possibile in merito alle informazioni relative al SSSR, attraverso:
- la realizzazione del Portale Nazionale della Trasparenza per il cittadino, in collaborazione con l’ Agenas e con il supporto di Arsenàl.IT. Il progetto è finanziato dal Ministero della Salute, con ruolo di capofile della Regione del Veneto;
- l’accessibilità al cittadino delle informazioni del “Sistema Sanità”, anche per mezzo di strumenti c.d. “social”;
- la disponibilità e la fruibilità delle informazioni presenti negli archivi regionali (open data).
Infine in un’ottica di ascolto e ricerca del benessere globale del paziente, assume un ruolo centrale anche l’attività di assistenza psicologica ospedaliera per gli utenti nei processi di cura. Ciò permette di completare il disegno organizzativo già in atto all’interno dei presidi ospedalieri delle aziende sanitarie, in stretta sinergia con i servizi territoriali e in coerenza con il raggiungimento di una diffusa integrazione psicologica dei percorsi assistenziali che garantisca, al contempo, l’interdisciplinarietà, l’umanizzazione e la qualità delle cure.
Uno specifico supporto psicologico nelle fasi di terminalità sarà assicurato ai pazienti e ai familiari, anche nei primi mesi successivi al decesso dei pazienti.
Per garantire supporto psicologico nelle fasi della terminalità per pazienti e famigliari si rende necessaria la giusta presenza di figure professionali per l’assistenza territoriale e domiciliare nell’ambito delle Reti di Cure Palliative, garantendo inoltre in collaborazione con il Direttore di Distretto il sostegno del benessere del personale e delle iniziative di formazione.

Umanizzazione delle cure e dei servizi

Con l’espressione “umanizzazione delle cure e dei servizi”, in linea con la riflessione, anche bioetica, di carattere internazionale, s’intende designare quella componente relazionale- comunicativa senza la quale l’azione terapeutica risulta essere parziale e non adeguata.
Riprendendo la distinzione inglese tra cure e care si potrebbe affermare che l’intervento medico per essere tale deve contemplare sia il rispetto di adeguati standard diagnostici, terapeutici e prognostici, accreditati scientificamente (cure), sia l’attenzione per ogni singolo paziente, attraverso un’informazione completa, una comunicazione empatica, l’alleviamento del dolore e della sofferenza (care). Questi due momenti non possono essere scissi tra loro. E’ compito del SSR e di ciascuna attività delle Aziende Ulss e Ospedaliere far sì che i luoghi di cura e gli interventi sanitari siano in grado di garantire il rispetto di questo duplice requisito, ponendo al centro il paziente (patient centered).
Ciò richiederà di promuovere una rinnovata consapevolezza deontologica e professionale da parte dei medici e degli operatori sanitari. A tale proposito merita ricordare quanto si legge all’art. 1, c. 8 della legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Tale affermazione è ripresa dall’articolo 20 del Codice di deontologia medica (2014). La legge 219 riconosce inoltre, a buona ragione, la necessità di includere nella formazione iniziale e continua dei medici e degli operatori sanitari un percorso formativo in materia di relazione e di comunicazione (art. 1 c. 10).

Attività

Sulla base di questi orientamenti, un piano articolato per promuovere l’umanizzazione delle cure e dei servizi prevede quanto già in parte sostenuto nel PSSR del 2012 ovvero:
- Garantire una funzione di orientamento del cittadino all’interno del SSSR, attraverso un referente che guidi l’utente persona e faccia in modo che i professionisti deputati all’assistenza non operino in modo settoriale. Il medico di medicina generale mantiene un ruolo chiave in tutte le fasi di questo percorso di cura. In ambito ospedaliero dovrà invece essere individuato, in base alle diverse situazioni cliniche, un medico referente che sia responsabile del percorso di diagnosi e cura oltre che dell’informazione al paziente ed alla famiglia, interfacciandosi con il medico di medicina generale, del quale sarà il principale interlocutore;
- per facilitare l’accesso ai servizi, rafforzare il meccanismo dello Sportello Unico e la Cot, già previsto con specifici provvedimenti regionali e diretto ad avere un unico punto di riferimento per il cittadino anche a fronte di esigenze diversificate;
- migliorare l’accesso ai servizi, promuovendo e consolidando le esperienze di sportelli polifunzionali e ponendoli in raccordo operativo con gli sportelli dei Comuni, al fine di semplificare ulteriormente azioni e processi di accompagnamento della persona;
- promuovere una capillare e trasparente informazione ai cittadini sui servizi che si erogano nelle strutture socio-sanitarie, attraverso gli strumenti di comunicazione delle Ulss (carta dei servizi, siti web, bollettini periodici) favorendo anche la condivisione delle regole di funzionamento del SSR;
- sviluppare un coordinamento a livello regionale delle informazioni al cittadino e attivare un coordinamento regionale degli URP coinvolgendo la rete delle Aziende ULSS ed Ospedaliere, le società scientifiche, le farmacie territoriali, le Conferenze dei Sindaci (o Esecutivi), le diverse
competenze professionali, al fine di garantire validità delle informazioni ed uniformità contenutistica;
- favorire la comunicazione tra professionisti socio-sanitari e assistiti, adottando linee guida e corsi di formazione in grado di orientare la modalità, di volta in volta preferibile, con cui trasmettere le informazioni al paziente e coinvolgerlo nelle scelte;
- sviluppare una forte attività di raccordo tra i servizi socio-sanitari e i contesti sociali e territoriali di appartenenza dei pazienti;
- diffondere la cultura dell’empowerment, quale strumento per compiere in modo responsabile le scelte che riguardano il proprio stato di salute e adottare stili di vita consoni (contrasto al tabagismo, all’alcolismo, al gioco d’azzardo...);
- adottare modelli di accoglienza degli assistiti e dei familiari nei luoghi di pronto soccorso differenziando i percorsi di accoglienza oltre che per la pediatria anche per le persone disabili e per le persone anziane orientativamente over 70;
- porre in atto metodologie con cui valutare periodicamente il grado di soddisfazione dell’utente in merito all’assistenza ed ai servizi di cui ha fruito, nell’ottica di rimediare ad eventuali lacune o omissioni.
Sulla base del principio autorevolmente affermato che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” sarà importante promuovere progetti di formazione volti a:
- fornire a tutti gli operatori una preparazione professionale sui problemi delle relazioni e della comunicazione;
- preparare adeguatamente gli operatori impegnati nel primo livello di accoglienza;
- sviluppare un’attività di psicologia clinica ospedaliera all’interno dei presidi ospedalieri ed in stretta sinergia con i servizi territoriali, con funzioni di diagnosi, sostegno, psicoterapia breve, nonché formazione/supervisione degli operatori sanitari e promozione della salute in ambito psicologico anche del personale aziendale ospedaliero.
Nella prospettiva di rendere effettiva l’integrazione di care e cure andrà promosso un utilizzo appropriato delle terapie a maggiore efficacia antalgica, specie nelle patologie oncologiche; ugualmente, in conformità a quanto stabilito dalla legge 38/2010, andranno promosse le cure palliative e la terapia del dolore, superando la logica della settorializzazione che le confina riduttivamente nel fine vita.
La Regione predispone il Registro regionale informatizzato delle Dat, Dichiarazione Anticipate di Trattamento, così come previsto dal comma 7 dell’art. 4 della legge 219 del 22/12/2017 “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazione anticipate di trattamento”.
Si sottolinea, infine, come l’umanizzazione delle strutture socio-sanitarie sia correlata anche al governo economico del SSSR: ridurre l’abuso dei farmaci, evitare le ospedalizzazioni non necessarie, fare un uso più appropriato degli accertamenti diagnostici, contenere gli interventi chirurgici sono alcuni elementi utili ad orientare le prestazioni, ponendo la persona al centro di ogni intervento assistenziale. Numerosi studi mostrano come le pratiche di umanizzazione si riflettono positivamente in una drastica diminuzione di contenziosi legali e indirettamente in una diminuzione di tutti quei costi impropri provocati dalla cosiddetta medicina difensiva.
Fondamentale è poi ribadire l’importanza del ruolo del Comitato etico regionale e dei Comitati etici aziendali per la pratica clinica e di quelli per la sperimentazione clinica.
I Comitati etici locali vanno poi coinvolti nella formazione delle varie figure professionali. A tal fine si può prevedere di attivare alcune iniziative quali ad esempio:
- “l’accreditamento” denominato Umanizzazione delle cure e dei Servizi per quei servizi/reparti che intendono partecipare ad un percorso specifico (per es. un servizio/reparto aderisce al progetto di umanizzazione dei servizi e delle cure perché:
ascolta il cittadino-paziente;
cerca le giuste soluzioni per ogni persona;
accoglie nel modo migliore;
attua ogni forma di tutela del paziente per evitare errori e/o danni (es. un breve manifesto di impegni)).
- Istituzione di un Osservatorio Aziendale sul processo di umanizzazione e raccolta sistematica di tutte le iniziative svolte dalle Aziende ULSS con:
definizione degli indicatori di valutazione del processo di umanizzazione;
segnalazione delle prassi di eccellenza;
costituzione di una banca dati.
- Realizzazione di una Carta aziendale dell’umanizzazione dei servizi e delle cure, stilata con il contributo determinante del Comitato Etico e dopo un adeguato processo di formazione e coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.


Valutazione della qualità dal punto di vista esterno

Per superare l'autoreferenzialità a favore del confronto, da qualche anno la Regione partecipa volontariamente a sistemi di valutazioni di enti terzi aumentando così anche le opportunità di apprendere e crescere attraverso la comparazione dei propri risultati con altre realtà.
In particolare attraverso la partecipazione al gruppo delle regioni “Il Sistema di Valutazione delle Performance dei Sistemi Sanitari Regionali” coordinato dal Laboratorio Management e Sanità (MeS) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è stato possibile la condivisione inter-regionale su una selezione di circa 300 indicatori, di cui 150 di valutazione e 150 di osservazione, volti a descrivere e confrontare, tramite un processo di confronto, le diverse dimensioni della performance del sistema sanitario: lo stato di salute della popolazione, la capacità di perseguire le strategie regionali, la valutazione sanitaria, la valutazione dell'esperienza degli utenti e dei dipendenti e, infine, la valutazione della dinamica economico-finanziaria e dell'efficienza operativa.
È quindi intenzione continuare a partecipare a sistemi di valutazione di enti esterni che possano promuovere l’individuazione di migliori pratiche o modelli organizzativi e di individuare eventuali criticità al fine di porre in atto interventi migliorativi.
Si ritiene, inoltre, che attraverso la partecipazioni a iniziative internazionali, il confronto con le migliori esperienze socio-sanitarie europee e internazionali possa essere di particolare rilevanza per superare con successo le sfide sempre più complesse che i sistemi sanitari devono affrontare
in tempo di crisi e che richiedono azioni incisive, soprattutto in tema di prevenzione, innovazione e sostenibilità del sistema.

Cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale in sanità

La Regione del Veneto ha realizzato un sistema per la cooperazione attraverso cui la Regione coordina e mette in rete gli attori della cooperazione, realizzando e sostenendo iniziative che hanno un forte radicamento nel territorio veneto.
La solidarietà internazionale:
la Regione realizza numerosi interventi di solidarietà internazionale, intendendo come tale l'aiuto umanitario a favore di popolazioni colpite da gravi calamità naturali o da altre situazioni straordinarie di crisi. Questo tipo di interventi ha una durata necessariamente limitata nel tempo, in quanto il suo scopo è quello di rispondere con immediatezza a situazioni di emergenza.
Obiettivo di azione è invece quello di andare oltre l'emergenza per costruire progetti solidi e permanenti nei paesi in via di sviluppo.
Forte delle esperienza maturata la Regione del Veneto, attraverso la collaborazione tra l'Area sanità e sociale e quella della Cooperazione internazionale, individua gli interventi da realizzare nei paesi in via di sviluppo secondo la logica non dell'intervento emergenziale, ma dell'attivazione di progetti di avvio, sviluppo e consolidamento di attività e strutture sanitarie e o socio sanitarie nei paesi in via di sviluppo. Ospedali, punti di primo soccorso, aree materne infantili, punti nascita o quant'altro sia necessario dal punto di vista socio sanitario.
Questi progetti sono attivati in collaborazione con enti, associazioni, soggetti del terzo settore qualificati presenti nel territorio veneto, individuando partner istituzionali o di riferimento sicuro nel territorio dove si realizza l’iniziativa.

Il confronto internazionale

In un contesto europeo dove Regioni e Stati membri sono sempre più interdipendenti, la sanità veneta risponde all’obiettivo di garantire un sistema socio sanitario moderno, competitivo ed al passo con le più avanzate realtà sanitarie mediante una strategia regionale di “internazionalizzazione”, data l’importanza di individuare azioni comuni in ambito sanitario al fine di definire un quadro strategico unitario per la salute dei cittadini.
Risulta fondamentale incentivare il dialogo tra la dimensione sanitaria territoriale e locale e la visione internazionale e multicentrica dell’Unione Europea, dell’OMS e delle altre Agenzie Internazionali di settore.
Tale forte legame è rafforzato dalla presenza a Venezia dell’ufficio OMS. Attraverso tale collaborazione si intende perseguire, nell’ambito dell’attuazione del nuovo Accordo tra il Governo Italiano, la Regione del Veneto e l’OMS, gli obiettivi di promozione della Salute e di riduzione delle diseguaglianze, nella politica europea “Salute 2020” e nell’Agenda 2030, approvata dalle Nazioni Unite che indicano l’Agenda Globale e i relativi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, collegando diverse dimensioni di azione tra cui l'ambiente, l’educazione, l’accesso ad acqua sicura, l’occupazione per tutti.
In questa prospettiva è fondamentale l’attenzione alle politiche di salute pubblica e di welfare dell’Unione Europea, incentivare lo sviluppo dell’innovazione e della ricerca in campo biomedico e nella sanità elettronica, nonché promuovere il confronto e l’integrazione del Sistema Socio- Sanitario del Veneto con le eccellenze europee, in particolare con le aree transfrontaliere.
Tale strategia consente di aumentare ulteriormente il grado, già eccellente, di competitività del SSSR in rapporto ai migliori Sistemi europei e internazionali, con l’obiettivo prioritario di
individuare un modello condiviso di governo che ne garantisca la piena sostenibilità, attraverso l’ottimizzazione delle risorse impiegate, l’alto livello qualitativo dei servizi erogati.
La Regione intende quindi favorire:
- l’organizzazione e la promozione di attività di formazione continua e di aggiornamento dei professionisti della Salute, incentivando in particolare il rapporto di collaborazione sinergica instaurato con l’European Observatory on Health Systems and Policies, network al quale il Veneto partecipa quale unico partner italiano, al fine di realizzare congiuntamente importanti occasioni di confronto, approfondimento e dibattito nonché iniziative formative/informative inerenti le principali materie che coinvolgono le dinamiche del Sistema Sanitario, quali l’evento annuale “European Observatory Venice Summer School” incentrato sulle tematiche più attuali delle riforme dei Sistemi Sanitari Europei;
- la promozione e la divulgazione sul territorio regionale, del Programma Mattone Internazionale Salute - ProMIS, di cui la Regione del Veneto è coordinatrice delle politiche europee e delle possibilità di accesso ai Programmi europei di Ricerca e Sanità pubblica;
- l’attuazione di forme di collaborazione tra le Regioni e le Autorità sanitarie regionali e locali presenti sul territorio europeo, in particolare mediante la cooperazione transfrontaliera;
- la prosecuzione, in linea con le vigenti disposizioni nazionali e regionali, nella realizzazione di Programmi di ricoveri umanitari, d’intesa con il Ministero della Salute, rendendo in tal modo più incisiva la loro azione di aiuto e sostegno a favore di popolazioni extra UE.

Turismo sanitario - Medical/health tourism

Il turismo sanitario (medical o health tourism) è definito dall’OECD (Organisation for Economic Co- operation and Development) come il fenomeno legato alla ricerca di cure e terapie per il mantenimento, il miglioramento o il recupero del benessere individuale della mente e del corpo, presente da lungo tempo in diversi paesi e località in piena sintonia con la direttiva europea Cross- Border Healthcare per la libera circolazione dei pazienti in Europa.
Coerentemente con quanto già previsto dal Programma di Governo della Regione del Veneto 2015-2020, il turismo sanitario rientra a pieno titolo nelle politiche regionali a respiro europeo e internazionale e si pone anche quale autentico volano per lo sviluppo del territorio e della sua economia. Il servizio sanitario in Veneto è ritenuto, anche da organismi esteri, di assoluta eccellenza e la sua rete ospedaliera è in grado di fornire servizi e assistenza di altissimo livello. Tali punti di forza consentono di poter definire attrattivo il servizio sanitario regionale, che può contare, inoltre, su ulteriori elementi di attrattività legati al turismo, altro settore di eccellenza del Veneto. I trattamenti che l’OECD include tra quelli legati al turismo sanitario sono principalmente: la chirurgia estetica; la cardio-chirurgia; gli interventi ortopedici; fertilità e sistema riproduttivo; trapianto di organi, cellule, ecc.; operazioni oculistiche; diagnostica e check-up. Non vanno comunque tralasciati gli interventi legati alla riabilitazione nei suoi diversi aspetti clinici, nonché quelli legati alle malattie croniche (es. artriti reumotoidi, allergie, ecc.). In tale contesto vanno, perciò, individuati gli ulteriori elementi che possono attrarre i c.d. health tourists, soprattutto europei che utilizzano i diritti legati alla loro cittadinanza per accedere a cure mediche in uno degli Stati della U.E., senza, peraltro, trascurare anche quelli provenienti da altri parti del mondo. Gli elementi che incidono sulle motivazioni del turismo sanitario, secondo il rapporto OECD sono: la prossimità alla destinazione; la reputazione della destinazione; l’offerta culturale, ricreativa,
ricettiva; familiarità e affinità culturale; l’auto-certificazione/proposizione come città della salute. L’ampiezza e soprattutto l’eterogeneità dei motivi per cui il turista della salute sceglie la propria metà di cura, richiedono la definizione di partnership pubblico-private, in grado di consentire il coordinamento e la collaborazione tra i diversi settori economici coinvolti (sanità, turismo, cultura, ecc.). A tal fine la Regione adotta un piano di azioni atte a favorire innovativi modelli di governance regionale per la promozione del turismo sanitario nelle sue diverse accezioni (turismo medico, turismo termale, turismo inclusivo, turismo del benessere, ecc.), coinvolgendo gli attori istituzionali del comparto sanitario nonché quelli rappresentativi dei diversi settori economici coinvolti. Le possibili ricadute di tale strategia si potranno riscontrare, oltre che in un aumento del livello degli scambi commerciali diretti provenienti da Paesi esteri, anche con l’incremento delle entrate che potrebbe essere reinvestito per migliorare attrezzature e strutture da utilizzare a favore di tutti i pazienti residenti, contribuendo così ad ampliare soprattutto i servizi offerti ai residenti.

Valutazione della qualità dal punto di vista interno

Il rafforzamento del livello di coinvolgimento dei professionisti del SSSR è riconosciuto come una delle leve utili a migliorare le performance individuali e, di conseguenza, quelle aziendali.
Una buona organizzazione è quella che, insieme a perseguire gli obiettivi aziendali previsti dalla programmazione regionale, consente la realizzazione degli obiettivi individuali, attraverso lo sviluppo del potenziale di tutto il personale, valorizza il contributo di ciascun singolo componente nell’ambito del lavoro di squadra.
Promuovere il miglioramento delle relazioni tra i professionisti, integrando il livello individuale con quello organizzativo, consente anche il miglioramento del clima aziendale e la relativa soddisfazione del personale.
La soddisfazione del personale è un elemento fondamentale per valorizzare il rapporto tra organizzazione e persone e per tale motivo si intende proseguire il programma regionale di indagini di clima interno per tutte le Aziende sanitarie del veneto avviato nel 2016.

Il percorso di miglioramento della qualità: accreditamento

L’accreditamento istituzionale si pone come uno degli strumenti atti a garantire l’attuazione dei principi necessari per assicurare una governance efficace del sistema. Attraverso il percorso dell’accreditamento, che coinvolge in modo trasversale ogni attore che eroghi servizi sanitari, socio-sanitari o sociali, la Regione “provvede affinché l’assistenza sia di elevato livello tecnico- professionale e scientifico, sia erogata in condizioni di efficacia ed efficienza, nonché di equità e pari accessibilità a tutti i cittadini e sia appropriata rispetto ai reali bisogni di salute...” (art.1 L.R. 22/2002).
L’accreditamento istituzionale permette al Sistema socio sanitario regionale di individuare, secondo quanto previsto dalla norma regionale e nazionale e secondo le finalità sopra espresse, i potenziali erogatori per suo conto e a suo carico.
Gli elementi cardine per il rilascio dell’accreditamento sono: la rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione e alla verifica dell’attività svolta e la funzionalità degli erogatori rispetto agli indirizzi di programmazione regionale. Ciò significa che “ogni regione è tenuta ad individuare, attraverso la programmazione sanitaria, la quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto massimo di spesa e può accreditare nuove strutture solo se sussiste un reale fabbisogno assistenziale” (Cons. Stato sez. III sent. n. 2527/2013). La selezione, quindi, in virtù del principio solidaristico e, conseguentemente, della necessità di garantire la sostenibilità del sistema, non può prescindere,
oltre che dal possesso e dal mantenimento dei requisiti di qualità, anche dalle necessità rispetto al fabbisogno.
L’accreditamento, secondo quanto previsto dalla norma nazionale e regionale, non costituisce obbligo a corrispondere ai soggetti accreditati la remunerazione delle prestazioni erogate al di fuori dei rapporti contrattuali, nell’ambito del livello di spesa definito e delle quantità e tipologie individuate dalla Regione ai sensi delle norme vigenti. Tutto ciò nel rispetto delle tre A previste dal Dlg 229/99:
- Autorizzazione come strumento di garanzia ai cittadini che tutte le strutture, pubbliche o private, rispondano ai requisiti minimi di legalità e sicurezza;
- Accreditamento quale strumento di garanzia delle strutture alla rispondenza della struttura ad ulteriori requisiti di qualità e della sua coerenza alla programmazione/fabbisogno di prestazioni;
- Accordi contrattuali quale strumento di garanzia che la Regione, attraverso le Aziende ULSS, agisce secondo criteri di responsabilizzazione economico-finanziaria. II tutto sempre ponendo al centro l’interesse del cittadino che può sempre esercitare la libertà di scelta del luogo di cura nell’ambito dei soggetti accreditati pubblici o privati con cui siano stati definiti accordi contrattuali e all’interno di un percorso di garanzia, come previsto dalla norma e soprattutto dai principi fondanti il sistema.
La programmazione e la verifica di compatibilità della struttura in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, è dunque momento fondamentale, come affermato dalle norme di principio in materia di tutela della salute. Tale valutazione compete alla Regione e alle Aziende Ulss in ogni fase del percorso che accompagna le strutture sanitarie, dalla nascita, all’operatività e all’erogazione di prestazioni in nome, per conto e con oneri a carico del SSSR, attraverso rispettivamente le fasi di rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, di accreditamento istituzionale e di stipula dell’accordo contrattuale. Su tale principio è tornata di recente la Corte Costituzionale che con sentenza n. 98/18 ha ribadito come, sin dalla fase di autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie, sono sempre necessari due tipi di valutazioni: una valutazione relativa alla conformità urbanistico-edilizia dell’opera che compete al Comune, e una valutazione di politica sanitaria, cioè la verifica di compatibilità del progetto rispetto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture, che compete alla Regione.
Per la definizione del fabbisogno territoriale dei servizi sociali e socio-sanitari partecipano le comunità locali attraverso i Comitati dei Sindaci del Distretto e le rispettive Conferenze dei Sindaci: il Piano di Zona da questi approvato è lo strumento principale per l’integrazione socio-sanitaria. L’inserimento nel Piano di Zona non è comunque l’elemento sufficiente sulla base del quale la Regione può rilasciare l’accreditamento istituzionale. Quest’ultimo, infatti, non si caratterizza esclusivamente come sistema per la qualità dei servizi, ma anche come strumento di programmazione e sostenibilità dell’offerta regionale.
Il governo del sistema sanitario e socio sanitario veneto, inoltre, si confronta con l’attuale contesto europeo: gli indirizzi europei per garantire l’accesso ad una assistenza sanitaria sicura e di qualità nell’ambito della Unione Europea hanno trovato applicazione nella direttiva 2011/24/UE del Parlamento Europeo. Alla luce di tale direttiva, l’intesa della Conferenza Stato Regioni del 20 dicembre 2012 ha individuato un nuovo modello di accreditamento definendo un uniforme sistema di requisiti per l’accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private declinato nel “Disciplinare sulla revisione della normativa dell’Accreditamento”. Successivamente, la Conferenza Stato Regioni ha sottoscritto un’ulteriore intesa il 19 febbraio 2015 prevedendo tale revisione dei requisiti e l’istituzione di un organismo tecnicamente accreditante con specifiche caratteristiche
da parte di ogni regione. L’importanza che la rispondenza a tale requisiti assume e la necessità che essi siano adeguatamente valutati ha determinato che anche l’organismo deputato alla verifica tecnica (l’organismo tecnicamente accreditante) sia a sua volta accreditato dal livello nazionale secondo propri specifici requisiti atti a garantirne principi quali la terzietà, trasparenza, la partecipazione dei diversi attori, l’adeguata competenza dei valutatori e l’omogeneità di valutazione. La Regione del Veneto ha attuato quanto previsto dalle intese, sia in termini di revisione dei requisiti sia costituendo l’organismo tecnicamente accreditante all’interno dell’Azienda Zero (L.R 19/2016). Il nuovo sistema dei requisiti, per come è strutturato, diventa elemento chiave per la governance del sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie: in esso viene amplificato il monitoraggio/ valutazione delle attività, dei risultati e degli esiti, il “rendere conto” ai soggetti portatori di interessi ai diversi livelli, cittadini compresi. Le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate devono non solo a dare evidenza della definizione degli strumenti previsti e richiesti per la qualità e la sicurezza, ma anche rendicontare della loro “messa in atto” e dei risultati raggiunti rispetto agli standard previsti.
L’accreditamento deve essere visto non solo come momento puntuale di verifica a tempi stabiliti, ma strumento di governo “continuo”.
Un ulteriore elemento di innovazione del nuovo sistema di requisiti è l’accento posto sul consolidamento del modello delle reti, sull’assistenza secondo il principio della continuità delle cure, della responsabilizzazione delle diverse professioni all’interno dei piani di cura, sulla multidisciplinarietà, sugli esiti. Questo apre la possibilità di sperimentare nuove forme di organizzazione dell’assistenza non solo per “luoghi di cura”, ma anche per “piani di cura”, anche rivedendo la filiera dei servizi per le persone con disabilità con particolare riferimento ai servizi per la residenzialità, coerentemente alle indicazioni della norma UNI 11010:2016 relativa ai servizi per l’abitare delle persone con disabilità. Il percorso di accreditamento istituzionale può fornire alla governance del sistema uno strumento di valutazione rispetto a nuovi scenari della programmazione ed organizzazione della prevenzione, delle cure e dell’assistenza ai cittadini.

3.5. LA SICUREZZA DEL SSSR

Il governo clinico

Il governo clinico adotta un approccio metodologico volto al miglioramento continuo della qualità e sicurezza dei servizi, al raggiungimento e al mantenimento di elevati e appropriati standard assistenziali all’interno di un contesto che favorisca l’eccellenza della prestazione sanitaria sia in termini di efficacia ed efficienza del percorso assistenziale, sia per garantire la centralità del paziente e la promozione della salute mediante adeguate strategie di comunicazione.
Dal confronto con gli orientamenti internazionali emerge la necessità che il modello organizzativo di gestione di rischio clinico si evolva in un’ottica di appropriatezza e garanzia per la sicurezza dei Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali perseguendo i seguenti obiettivi:
- la sistematizzazione dell’approccio integrato e multidisciplinare dell’assistenza, centrato sul paziente orientato al processo assistenziale con più professionisti coinvolti nel trattamento del caso e la predisposizione di linee guida e buone pratiche, fondate su prove di efficacia clinica e costi-benefici;
- l’adozione di strumenti organizzativi efficaci come il PDTA, quale ulteriore strumento organizzativo a tutela di professionisti e operatori;
- l’individuazione di politiche di gestione del rischio, in particolare del rischio clinico, in termini di conoscenza, valorizzazione e prevenzione, attività ineludibile nel nuovo sistema assicurativo;
- la promozione dell’audit clinico come processo ciclico di miglioramento tecnico- professionale della qualità delle cure e la responsabilizzazione degli operatori, condividendo nell’ambito del gruppo l’impegno a perseguire l’efficacia della presa in carico globale.
Per il miglioramento continuo degli standard assistenziali di qualità e sicurezza, il governo clinico deve tenere conto dell’analisi dei processi assistenziali, dell’analisi e prevenzione dei rischi insiti nell’attività sanitaria, del contenimento degli eventi avversi, sinistri e contenzioso.
Al fine di coordinare le informazioni relative alla sinistrosità e ai contenziosi sanitari, è importante l’attività del “Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente” ai sensi della Legge 24/2017, cui è affidato il monitoraggio del rischio connesso alle attività clinico assistenziali e l’analisi di appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici.

La gestione del rischio

Il verificarsi di eventi avversi può essere correlato causalmente sia a incongrue condotte professionali sia ad aspetti di natura organizzativa, gestionale ed economico-finanziaria e le categorie di rischio possono essere sintetizzate in due gruppi:
- i rischi di natura clinico-professionale, derivanti dalle attività sanitarie e che fanno capo più specificatamente ai singoli professionisti;
- i rischi legati alla gestione aziendale che emergono dalle attività e dai processi di gestione in senso lato, dall’organizzazione e dal monitoraggio delle attività aziendali.
Nella predetta logica di miglioramento continuo degli standard assistenziali, di qualità e sicurezza, si conferma, il percorso regionale di decentrare la gestione del rischio clinico in capo ai responsabili del rischio aziendali, che offrono supporto tecnico in quanto conoscitori dei contesti organizzativi locali e delle relative dinamiche professionali essenziali per la misurazione del rischio clinico.
A prosecuzione di quanto già indicato nel PSSR 2012-2016 risulta essenziale provvedere a:
- responsabilizzare (accountability) tutto il personale SSSR, mediante la formazione, alla sicurezza delle cure e alla gestione del rischio favorendo l’apprendimento dagli errori in una cultura della non colpevolizzazione;
- potenziare l’attività di audit clinici e audit organizzativi nella prospettiva di prevenire gli eventi avversi, anche mediante l’elaborazione di un documento di indirizzi tecnico- operativi e altre metodologie di analisi di sinistri/eventi avversi;
- promuovere la formazione degli operatori URP aziendali, destinatari di segnalazioni e reclami inerenti la sicurezza del paziente;
- promuovere la partecipazione del responsabile del rischio (risk manager) nella elaborazione e nell’applicazione dei percorsi assistenziali e di cura PDTA, quale contributo analitico dei rischi sottesi ai percorsi in elaborazione e alle strutture coinvolte e favorire l’utilizzo del Portale regionale di Gestione rischio clinico quale strumento già operativo, per la condivisione di dati, linee guida, buone pratiche, PDTA.

Il governo dei costi delle assicurazioni

In ragione della complessità connaturata al sistema sanitario e della crescita del contenzioso giudiziale e stragiudiziale oltre alla difficoltà di quantificare il rischio aziendale, da alcuni anni le primarie compagnie assicurative, hanno progressivamente perso interesse per la copertura dei danni da responsabilità medica con un conseguente incremento esponenzialmente dei premi assicurativi e delle soglia di franchigia, cioè quella parte di danno che resta in capo all’ente assicurato
Per contrastare il fenomeno la Regione ha avviato in tutte le Aziende sanitarie del Veneto – dopo una sperimentazione positiva - un modello di gestione sinistri e rischio clinico di tipo misto, che prevede la ritenzione del rischio degli stessi in capo all’Azienda sanitaria, in affiancamento ad una polizza assicurativa cui demandare i soli sinistri che comportano esborsi rilevanti, ovvero per i danni catastrofali.
Obiettivi del modello di gestione che si prefigge di garantire l’effettiva sicurezza di pazienti e operatori SSSR sono:
- la rapida definizione delle richieste di risarcimento ove sussista fondamento giuridico e medico legale circa la responsabilità;
- il contenimento del contenzioso;
- l’analisi dei rischi e la connessa prevenzione degli eventi avversi.
Sono stati sviluppati alcuni strumenti che hanno permesso alle Aziende del SSSR di procedere - mutuando l’organizzazione in rete - da una parte, alla gestione dell’evento/sinistro (mediante Comitato di Valutazione Sinistri, struttura caratterizzata dalla multidisciplinarietà) nonché alla prevenzione (valutazione ed adozione di buone pratiche clinico-assistenziali ed organizzative), dall’altra ad individuare e valutare il rischio anche con la mappatura della sinistrosità, i dati dell’incident reporting, l’analisi delle modalità di errore e delle cause.
Nel confermare l’attuale modello organizzativo nelle Aziende Sanitarie SSSR – che prevede il coinvolgimento di direzione medica e il responsabile del rischio, comitato valutazione sinistri, medico legale aziendale e la componente giuridica nonché dell’Ufficio sinistri centrale e l’URP aziendale - si evidenzia quale linea tendenziale, in conformità alla L.R. 19/2016, una progressiva assunzione di responsabilità da parte dell’Azienda Zero, sia nella trattazione di sinistri, sia nelle attività stragiudiziali e di contenzioso.
È importante che le attività di analisi e miglioramento sistematiche e continuative siano indirizzate a:
- incrementare le competenze degli operatori per una gestione dei sinistri in conformità alla ratio del modello regionale e alle innovazioni normative per un ottimale governo dei sinistri e del rischio;
- migliorare l’utilizzo dell’applicativo unico regionale (gestione sinistri rischio clinico GSRC) per la gestione dei flussi informativi attivati per consentire l’analisi dell’evento e l’attuazione di relative azioni di miglioramento, incoraggiando anche la mediazione conciliativa nella gestione di reclami e richieste risarcitorie;
- promuovere la corretta compilazione della cartella clinica e di tutta la documentazione sanitaria;
- favorire e sviluppare le competenze assegnate al Centro regionale rischio clinico, in materia di monitoraggio delle attività aziendali di gestione del rischio clinico e la creazione di un flusso dati di sinistrosità delle Aziende SSSR per la relativa pubblicazione e l’invio
all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità istituito presso Agenas.

COREVE

4. LA SALUTE DELLA DONNA E DEL BAMBINO


Parole chiave
Accreditamento, Certificazione, Integrazione, Percorsi, Reti

Obiettivi strategici
OS1. Favorire la fertilità e prevenire i più rilevanti fattori di rischio in epoca pre-concezionale OS2. Migliorare le performance della rete pre, peri e post natale
OS3. Eliminare o contenere l’impatto dei principali fattori di rischio ambientali agenti negativamente sulla salute e sullo sviluppo del bambino,
OS4. Promuovere stili di vita positivi, livelli crescenti di autonomia e ruolo sociale adeguato all’età, equilibrio nelle relazioni intra familiari
OS5. Migliorare la qualità dei processi diagnostici e di trattamento e presa in carico dei bambini con malattia cronica e/o rara e/o severa e/o disabilitante.
OS6. Garantire risposte rapide, appropriate ed efficaci alla urgenza ed emergenza pediatrica e una adeguata risposta alle patologie ad insorgenza acuta, al fine di ridurre la mortalità e disabilità legata a tali condizioni acute.
OS7. Favorire il passaggio da bambino ad adulto, mantenendo e promuovendo durante l’adolescenza stili di vita positivi e contrastando i principali fattori di rischio
OS8. Disegnare risposte e percorsi per la cronicità, rarità e/o disabilità che tengano conto delle peculiarità biologiche e psicologiche degli adolescenti
OS9. Rispondere adeguatamente alle problematiche psichiatriche e di dipendenza degli adolescenti con particolare riguardo alle fasi di scompenso acuto
OS10. Migliorare la partecipazione agli screening dei principali tumori che interessano le donne e favorire l’accesso precoce alle cure più adeguate.
OS11. Migliorare la diagnosi e presa in carico della donna oggetto di violenza e maltrattamento
Come illustrato nel Capitolo 1. “Lo scenario epidemiologico e sociale e l’impatto sulla domanda di servizi socio-sanitari”, le donne ed i bambini costituiscono oltre la metà della popolazione veneta. In relazione ai bisogni relativi alle differenti fasce d’età, gli obiettivi strategici del Piano sono molteplici, estremamente ampi e organizzati secondo le fasi della vita. Ciascun obiettivo strategico si articola in una serie di obiettivi operativi che coinvolgono, per la loro attuazione, un’ampia serie di servizi ospedalieri e territoriali solo in parte esclusivamente dedicati a questa fascia di popolazione.

Articolazione delle aree strategiche

Le aree si articolano secondo le fasi della vita che riguardano:
la salute riproduttiva e il periodo pre, peri e immediatamente postnatale qualificato dall’evento nascita;
la salute dell’infanzia in età pre-scolare e scolare;
la salute adolescenziale e la transizione da bambino ad adulto;
la salute delle donne e l’approccio di genere soprattutto nell’accesso ai servizi.

La salute riproduttiva e il periodo pre, peri e immediatamente postnatale qualificato dall’evento nascita

L’evento nascita trascina con sè una serie di problematiche che verranno ricondotte ad obiettivi strategici e operativi. La prima problematica riguarda la fertilità in relazione al suo inquadramento diagnostico e all’utilizzo di tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), all’uso delle
nuove opportunità che le tecnologie avanzate di genetica offrono in termini diagnostici e predittivi, ma anche ai rischi e agli abusi che possono sottendere, oltre che alla più estesa e capillare offerta e utilizzo di azioni tendenti a ridurre il rischio infettivo, di esposizione ambientale e di stili di vita patologici. Nel caso delle PMA, come da Linee guida del Ministero della Salute del 2015, si deve effettivamente offrire la possibilità di consulenza e supporto psicologico per la donna e le coppie che affrontano tale esperienza, attività, quelle di consulenza e supporto psicologico, che all’interno dei LEA (DPCM 12 gennaio 2017, art. 24, lett. i) sono declinate come “consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi di sterilità e infertilità e per procreazione medicalmente assistita”. La seconda è attinente al percorso nascita regionale e, conseguentemente, coinvolge i servizi, le azioni e le prestazioni che esso comprende, erogate sia a livello territoriale che ospedaliero. La necessaria implementazione dei nuovi LEA conseguente al DPCM 12/01/2017 costituisce un’opportunità per rivedere il percorso attualmente attivo, rivalutando, in base all’evidenza scientifica e ai risultati di alcune sperimentazioni in atto, i contenuti e i profili organizzativi in risposta alle diverse condizioni in cui la donna in stato di gravidanza si può trovare e all’articolato albero di esigenze cliniche e filiere assistenziali che possono essere attivate.
A supporto di questo lavoro risulta strategica la creazione di un unico sistema informativo registrante i dati sulle condizioni cliniche delle gravide e sugli esiti delle prestazioni effettuate, costituendo una banca di informazioni in grado di permettere una razionale selezione dei diversi livelli di rischio e una rivisitazione dell’organizzazione attuale in modo da orientare più correttamente le gravide al tipo di presa in carico più adatto per la loro situazione, fino al loro indirizzamento appropriato alla rete dei punti nascita, eventualmente allertando e coinvolgendo le condizioni di trasporto in utero, servizio di trasporto emergenza neonatale (STEN e assistito materno (STAM).
A questa fase di revisione contenutistica dei percorsi, di loro riorganizzazione e di monitoraggio della loro attuazione, deve anche associarsi un’azione forte riguardante l’accreditamento dei punti nascita e la certificazione dei professionisti basata sulla loro esperienza e sugli esiti delle prestazioni da loro svolte. Un altro principio che informa le azioni di quest’area è l’integrazione organizzativa e informativa tra azioni e servizi dedicati a problematiche oggi trattate come separate tra loro. Poiché i contenuti individuali dei temi concepimento, gravidanza, suoi esiti, salute del feto e del nato, costituiscono di fatto una sequenza di eventi caratterizzanti una storia personale unica, anche l’organizzazione e i percorsi assistenziali devono comunque riprodurre questa unicità e genare un patrimonio informativo comune adatto alla valutazione e all’eventuale riorientamento di azioni e servizi.
A tal riguardo, nell’ottica di una presa in carico globale della donna e del suo bambino, è necessario sostenere una strategia basata sul valore dell’intersettorialità e della multiprofessionalità. In riferimento alla promozione della salute è espressione concreta del lavoro intersettoriale il coordinamento e la sinergia dei vari nodi della rete dei Servizi che si prendono cura della donna e della nascita con il Dipartimento di Prevenzione. Tale Dipartimento è l’asse portante nelle Aziende ULSS dello sviluppo del Piano Regionale Prevenzione (PRP) che si articola secondo l’approccio life-course basato sulle evidenze che “favorire il mantenimento di un buon stato di salute lungo tutto il corso dell’esistenza porta all’aumento dell’aspettativa di vita in buona salute e a un bonus in termini di longevità, fattori entrambi che possono produrre benefici importanti a livello economico, sociale e individuale. La promozione della salute e dell’equità nella salute inizia dalla gravidanza, passa per un programma di protezione, promozione e sostegno dell’allattamento al seno e prosegue nella fase della prima infanzia”. Particolare attenzione dovrà essere rivolta da parte di tutti i professionisti alla rilevazione precoce delle fragilità materne nei diversi aspetti in cui si manifestano, anche mediante l’utilizzo di indicatori standardizzati e di
strumenti clinici-psicologici di rilevazione, tenendo conto che la condizione psicologica della madre è la base su cui il neonato costruisce il suo processo di sviluppo.
Date tali premesse, il PRP prevede al suo interno il “Piano regionale per la promozione della salute materno infantile” basato sul presupposto che la promozione della salute materno-infantile rappresenta un nodo strategico nelle azioni di sanità pubblica per la proiezione esponenziale di danni e benefici nel corso della vita dei singoli e della comunità. Tale Piano mira a promuovere corretti stili di vita nella mamma e nel suo bambino, fin dal periodo prenatale, quali non fumare e non consumare alcolici, corretta attività motoria, sana alimentazione, allattamento, prevenzione degli incidenti domestici e stradali, vaccinazioni consigliate, lettura ad alta voce, posizione supina nel sonno, ecc..
La stessa visione sistemica deve informare le scelte per garantire la sicurezza e la qualità della rete dei punti nascita, tenendo conto della grande eterogeneità del territorio veneto e delle ampie aree presenti in condizioni di disagio oggettivo dovuto anche alla loro conformazione oro-geografica. In questo caso, l’obiettivo di garantire la massima sicurezza possibile riducendo allo stesso tempo la disuguaglianza tra soggetti residenti in diverse aree della Regione, potrà essere raggiunto soltanto attraverso decisioni che tengano conto di un complesso bilanciamento di rischi e vantaggi, determinati da un lato dal deficit di esperienza e di risorse presenti in ospedali con bassa casistica, dall’altro dalle condizioni aggiuntive di rischio, se esistenti, determinati dallo spostamento. In ogni caso i deficit di esperienza e conseguentemente competenza professionale per questo ed altre problematiche di salute devono essere affrontati, oltre che in termini di concentrazione della rete dei servizi, anche attraverso l’utilizzo di altri strumenti quali modalità di rotazione del personale, di certificazione dei professionisti, di formazione e aggiornamento specifico, di supporti informativi, di uso della telemedicina, e di trasporti organizzati, dedicati e complessi con particolare attenzione al trasporto assistito della partoriente (STAM).
Nella stessa area altri rilevanti obiettivi saranno la nuova implementazione e messa a regime degli screening neonatali per l’ipoacusia precoce e la cataratta congenita, la tenuta a regime dello screening neonatale allargato per le malattie metaboliche ereditarie, con una omogeneizzazione delle azioni e procedure utilizzate dai due Centri regionali di screening di Padova e Verona, l’inserimento dello screening della Drepanocitosi nel pannello delle malattie attualmente oggetto di screening neonatale e l’implementazione di un sistema informativo che unisca le informazioni sui nati derivanti dal Registro Nascita con quelle della diagnosi e trattamenti dei patologici selezionati comprese nel Registro Malattie Rare. Altri rilevanti obiettivi operativi di Piano riguardanti la salute del nato, tendono alla realizzazione di percorsi integrati ospedale-territorio per la dimissione protetta e la continuità di presa in carico del nato patologico o fragile e della madre in condizioni patologiche o in condizioni di rischio psico-sociali. Per rendere possibili tali percorsi si intende condurre a termine la completa integrazione tra dichiarazione di nascita, Registri di Stato Civile, Anagrafe comunale, MEF e Anagrafe sanitaria, al fine di trasformare ogni punto nascita in uno sportello unico per la famiglia dove concludere tutte le procedure che comportano dalla dichiarazione di nascita alla scelta del pediatra già prima della dimissione dal nido ospedaliero.

La salute dell’infanzia in età pre-scolare e scolare

L’obiettivo strategico di produrre salute per la fascia di popolazione fino ai 14 anni segue il principio cardine di garantire il massimo sviluppo possibile e di promuovere la maggior salute consentita dalla condizione clinica. Questo principio accomuna le azioni a supporto della crescita dei bambini cosiddetti sani e quelle di presa in carico dei bambini con patologia, specie se cronica, rara e disabilitante. Ciò implica che lo sforzo di ogni piano di presa in carico deve concentrarsi sul trattamento della forma e sul contrasto dei danni attuali ed evolutivi nella struttura e nella
funzione che essa determina. Deve nello stesso tempo però prendere in considerazione e agire con gli interventi e con i trattamenti che promuovano le risorse individuali comunque presenti, anche potenziali, in modo da garantire la miglior evoluzione possibile e il miglior quadro di salute, non solo durante la fase pediatrica della vita ma anche in prospettiva in quella adulta. Più complesso è il piano di intervento, più il bilanciamento tra esigenze di cura della patologia specifica, di contrasto del danno e di potenziamento delle risorse diventa il fulcro strategico con cui si va a misurare l’efficacia reale di quanto intrapreso e il guadagno di salute che nel futuro si renderà evidente.
Altri due elementi interagiscono con questo primo che è intrinseco al processo di crescita e sviluppo del bambino: l’interazione con la famiglia e l’interazione con le altre articolazioni della società, per prima la scuola. Il processo di sviluppo ha bisogno di un’interazione costantemente positiva con l’ambiente familiare sia nella normalità che nella patologia. Esso inoltre può essere facilitato o danneggiato, anche in modo irreversibile, da una scorretta interazione con il mondo esterno e prima di tutto con l’ambiente scolastico. Per questo motivo gli interventi di supporto, prevenzione e promozione per le famiglie sono parte integrante delle attività utili per preservare e migliorare la salute dei bambini. Specie in caso di patologia, i risultati ottenuti da piani di trattamento complessi e onerosi già posti in atto possono essere perduti nel tempo perché non adeguatamente utilizzati negli ambienti di vita. Gli snodi tra servizi sanitari e loro conoscenza, famiglie e scuola costituiscono uno degli aspetti più critici. È necessario quindi definire specifici percorsi organizzati per tipologia di condizioni di disabilità o di patologia cronica grave, con l’obiettivo di far permanere e sviluppare ulteriormente il guadagno di salute che interventi e trattamenti sanitari possono aver prodotto.
I principi appena enunciati giustificano la necessità di garantire in tutto il territorio e per tutti i bambini presenti in Regione una serie di azioni classiche di prevenzione (ad es. la promozione dell’offerta vaccinale, la prevenzione degli incidenti e la promozione di stili di vita corretti, etc.).
A rinforzo di tali obiettivi, riconoscendo come fondamentale il ruolo della scuola quale agenzia educativa deputata, unitamente alla famiglia, a promuovere nelle nuove generazioni un orientamento critico, consapevole e responsabile nei riguardi della salute, è stato siglato un Protocollo d’intesa tra la Regione del Veneto e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto. Tale Protocollo mira, attraverso un agire coordinato e sinergico tra la scuola e diversi settori regionali secondo l’ottica “Salute in tutte le Politiche”, a promuovere percorsi didattici e azioni capaci di aumentare le competenze chiave e di cittadinanza attiva dello studente, al punto di vista cognitivo, affettivo e relazionale, mirati a sviluppare negli studenti la capacità di avere cura di se stessi, della propria salute e di quella della propria comunità.
A supporto del monitoraggio e della valutazione della programmazione in tema di prevenzione e promozione di corretti stili di vita si prevede di continuare ad implementare due sistemi di sorveglianza che riguardano la popolazione scolastica, quali OKkio alla Salute (sistema di monitoraggio dello stato ponderale, delle abitudini alimentari e dell’attività fisica nei bambini delle scuole primarie (6-10 anni) e HBSC (Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare) fornisce informazioni sui comportamenti legati alla salute, gli stili e i contesti di vita degli adolescenti (11, 13 e 15 anni).
Contemporaneamente, è necessario sviluppare una serie di azioni di promozione della salute, quali ad esempio le visite a casa e di prevenzione dei rischi, in particolar modo relazionata al problema della violenza subita o agita, e al problema del maltrattamento. D’altra parte gli stessi principi, come già detto, devono orientare e caratterizzare anche l’approccio al bambino affetto da malattia cronica e da disabilità. In questo caso è necessario sviluppare le reti di assistenza per grandi gruppi di patologia, che di regola per l’età pediatrica sono all’interno della rete per le
malattie rare, e agire in modo che queste reti dedicate ai bambini siano in realtà strutturalmente integrate all’interno di quelle che si occuperanno dei soggetti che sopravvivranno in età adulta. La già descritta attenzione al profilo del danno evolutivo e alla valutazione delle potenzialità funzionali, definite da percorsi diagnostici sanitari complessi e specialistici, sono ancora più necessarie per l’approccio ai bambini con malattia cronica o disabilità. Una volta ottenute, le informazioni contenute in questi profili diagnostici devono trovare una corrispondenza con i processi di definizione dei piani educativi individuali e adattamento dell’ambiente e delle relazioni familiari ogniqualvolta ciò risulti rilevante. Ugualmente, l’accesso alle cure farmacologiche deve essere garantito nelle forme più adeguate alle caratteristiche del bambino e nella loro continuità in tutti gli ambienti di vita del soggetto. Anche i setting di cura devono essere rispettosi di queste specificità e quindi essere collocati in ambienti possibilmente dedicati al bambino, garantendo un’adeguata disponibilità di reparti per bambini o adolescenti in ogni ASL, anche in situazioni di urgenza e di emergenza, e la presenza di attività e reti sovraspecialistiche pediatriche (ivi compreso la presa in carico di bambini con patologie psichiatriche gravi o precoci e con scompensi psichiatrici), soprattutto concentrate in alcuni poli provinciali. In ogni caso si dovrà particolarmente evitare di caricare la famiglia di tutto il peso assistenziale, utilizzando anche per l’età pediatrica, quando la condizione clinica e funzionale lo richiede, i percorsi di presa in carico territoriale e domiciliare, così come per gli adulti e gli anziani.

La salute adolescenziale e la transizione da bambino ad adulto

Particolarmente critica appare la fase di passaggio dalla condizione di bambino con patologia cronica/rara/disabilità a quella di adulto. La transizione dai processi di cura dedicati al bambino a quelli dell’adulto risulta uno degli aspetti più critici universalmente riconosciuti ed è la conseguenza del successo dell’aumentata sopravvivenza delle gravi patologie pediatriche. Essa trova la motivazione della sua criticità e complessità dal fatto di avvenire all’interno di una trasformazione e crisi di molte dimensioni. La prima è data dalla cosiddetta crisi adolescenziale, cioè dal passaggio dall’essere bambino e adolescente al divenire adulto, dimensione che interessa tutti i soggetti e che coinvolge tutte le famiglie. Questa crisi si aggrava qualora l’adolescente sia affetto da una condizione patologica grave e/o disabilitante, e questa gravità è legata al fatto che l’adolescente deve assumere il ruolo di gestore della propria malattia al posto dei genitori e simmetricamente i genitori devono progressivamente abbandonare il loro ruolo di decisori. Qualora l’adolescente non sia in grado di assumere un ruolo decisionale, ad esempio a causa di una disabilità intellettiva, l’equilibrio tra desiderio del giovane adulto e pensieri e decisioni dei familiari può risultare difficile e in parte ambivalente. In ogni caso questo passaggio che interessa il paziente e la famiglia deve corrispondere al passaggio dal sistema dei servizi e professionisti dedicati al bambino ai servizi e professionisti dedicati all’adulto. Naturalmente questi sistemi di servizi devono essere prima di tutto disponibili, poi competenti e organizzati come snodo di uno stesso percorso assistenziale, in modo tale da sostenere e contenere il paziente in questa transizione. In altre parole si associano condizioni individuali, legate alla variabilità degli adolescenti e delle famiglie, a condizioni che dipendono dalla programmazione e organizzazione del sistema sanitario e dalla formazione e competenza dei professionisti.
Anche per l’adolescente non affetto da malattia cronica e/o disabilità il passaggio adolescenziale è comunque cruciale per ridurre o procrastinare l’insorgenza di patologie croniche in età adulta attraverso l’attivazione di interventi specifici con prevalente approccio comunitario tendente alla promozione della salute e all’utilizzo di stili di vita corretti. Temi di particolare rilievo sono la prevenzione degli incidenti e della violenza in tutte le sue forme, sia agita che subita, oltre che l’assunzione di corretti stili di vita nell’attività fisica e nell’alimentazione e nell’attività sessuale e il contrasto all’uso di alcol e droghe. A riguardo il fenomeno del progressivo abbassamento dell’età
di prima assunzione di sostanze e dell’instaurarsi degli aspetti cronici legati al loro uso impone una serie di interventi per la definizione di specifici percorsi di:
- prevenzione e promozione di sani stili di vita attraverso metodologie interattive che permettano una partecipazione attiva degli studenti per es. basate sulla educazione tra pari, metodologia di comprovata efficacia;
- presa in carico precoce che comprendono le attività svolte nei pronto soccorsi ospedalieri e quelle da svilupparsi nei servizi territoriali di contrasto alle dipendenze, di neuropsichiatria infantile e di salute mentale, dei servizi per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia;
- approfondimento dei programmi presso i Centri che trattano patologie in aumento, quali obesità e diabete mellito tipo 2;
- condivisione di iniziative tra Ospedale, territorio e distretto, per gestire l’accoglienza in situazioni di fragilità relazionale, psicologica, sociale, e la dimissione attenzionata per predisporre il programma più idoneo.
Con specifico riferimento all’attività sessuale saranno adottati interventi finalizzati a tutelare e promuovere la salute sessuale e riproduttiva delle giovani generazioni e delle donne, a prevenire le interruzioni volontarie di gravidanza, le malattie sessualmente trasmesse e la diffusione dell’HIV. Gli interventi di specie si indirizzeranno nella implementazione dei programmi di educazione alla salute sessuale e riproduttiva, dei servizi aziendali e dei percorsi assistenziali dedicati, nel verificare l’accesso alla contraccezione gratuita, nel dovuto rispetto delle scelte e della dignità delle persone.

COREVE

5. IL PERCORSO DEL PAZIENTE IN OSPEDALE


Parole chiave
Appropriatezza, Efficienza, Equità, Fluidità, Percorsi, Proattività, Prossimità, Reti cliniche, Tempestività

Obiettivi strategici
OS1. Assicurare al paziente la gestione della fase dell’emergenza urgenza e la fase critica del percorso assistenziale
OS2. Assicurare al paziente che intraprende un percorso assistenziale programmato gli approfondimenti diagnostici, i trattamenti terapeutici e riabilitativi che richiedono tecnologia, requisiti strutturali e competenze proprie dell’ospedale
OS3. Assicurare ai pazienti con patologie croniche con frequenti episodi di riacutizzazione un percorso dedicato e condiviso OS4. Migliorare l’efficienza organizzativa ospedaliera

Il percorso del paziente in ospedale

A fronte dei cambiamenti demografici in atto che vedono negli ultimi anni, un ricorso sempre maggiore alle strutture ospedaliere da parte di pazienti anziani, con più patologie croniche e con frequenti processi di riacutizzazione, l’ospedale negli anni, non ha di molto mutato il suo modello organizzativo, continuando ad interessarsi di patologia acuta, indipendentemente dal target del paziente.
L’analisi del tipologia di pazienti che accedono all’ospedale ha evidenziato che più del 70% dei ricoveri ospedalieri si riferisce a pazienti cronici che accedono alle strutture o con ricovero acuto (6 pazienti su 10) o con ricovero programmato.
Si è rilevata pertanto la necessità di focalizzare l’attenzione sulla gestione dei percorsi oltre che per i pazienti acuti e per quelli programmati anche per i pazienti cronici con frequenti episodi di riacutizzazione.

Il percorso dei pazienti acuti in Pronto Soccorso

Una efficiente ed efficace organizzazione del Pronto Soccorso riveste carattere di primaria importanza, anche in considerazione del fatto che esso rappresenta la porta di accesso principale per l’ospedale in tutte le situazioni di urgenza /emergenza.
E pertanto necessario prevedere una organizzazione che miri ad una riduzione delle attese al Triage e che riduca al minimo gli adempimenti amministrativi e tali modalità organizzative devono essere tenute in considerazione anche in fase di eventuale ristrutturazione edilizia.
L’immediata ed appropriata individuazione dei codici di priorità infatti è il presupposto indispensabile per inserire il paziente nel corretto percorso di diagnosi e cura.
Vanno pertanto potenziati gli strumenti informativi volti ad individuare in tempo reale la disponibilità di posti letto presso le unità operative di degenza; devono essere ulteriormente sviluppati gli accessi diretti e i percorsi “veloci” in particolare nell’ambito della pediatria, ostetricia, psichiatria; una maggiore attenzione va posta anche nell’organizzazione dei percorsi rivolti alle persone anziane ed a quelle con limitate o ridotte abilità.
Va migliorata l’organizzazione complessiva dell’Ospedale per garantire la rapida consulenza specialistica o l’esecuzione dell’esame diagnostico chiesto dal PS, ai fini di una efficiente gestione del percorso previsto.
Devono essere previsti inoltre percorsi differenziati per i pazienti a cui è stato assegnato il codice bianco in ingresso al fine di rendere sempre più appropriato e sicuro l’utilizzo delle aree dedicate all’emergenza e urgenza.
Per i pazienti classificati come codici bianchi va prevista la consegna di materiale informativo ed educazionale, definito su base regionale/aziendale, che illustri le situazioni nelle quali accedere ai Servizi di Emergenza, fornendo informazioni sui servizi di Assistenza Primaria (MMG, PLS, CA).
Per migliorare ulteriormente l’appropriatezza nella gestione dei pazienti, e quindi utilizzare in modo sempre più corretto le aree ospedaliere per i casi realmente “acuti”, si prevede infine che il Pronto Soccorso possa inviare direttamente i pazienti alle strutture intermedie; tale possibilità, pertanto, si aggiunge a quanto già previsto dai percorsi vigenti (attivazione obi, dimissione a domicilio, ricovero etc.).
Un’attenzione particolare deve essere riservata ai percorsi di prevenzione della violenza di genere e dei bambini, che coinvolga, insieme al medico legale, al pediatra, all’ostetrica e ad altre figure professionali, anche lo psicologo.
Questi nuovi modelli devono essere assicurati in ogni PS e in ogni ospedale garantendo anche spazi e strutture funzionali ai diversi scopi; monitoraggio continuo dei tempi di attesa e forme organizzative flessibili per il personale.

Il percorso dei pazienti “programmati”

Al paziente che non si trova in condizioni critiche e che necessita di una risposta sanitaria, il SSSR offre una rete capillare di servizi costituita da luoghi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, che, in un’ottica di appropriatezza e sicurezza, assicurano all’interno del percorso di cura procedure/interventi, e prestazioni, che richiedono competenze e tecnologie specifiche.
Per questa esigenze di approfondimenti diagnostici, trattamenti terapeutici, riabilitativi, il paziente intraprende un percorso programmato che si struttura all’interno di reti.
In questo percorso l’ospedale viene attivato come nodo della rete in base alle specificità tecnologiche, strutturali e di competenze.
Le strutture che nella classificazione dei luoghi di cura vengono definiti Spoke assumono in quest’ottica il ruolo di ospedale di prossimità che garantisce al cittadino tutte le prestazione di bassa e media complessità erogabili nelle condizioni di massima sicurezza.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- Efficientamento della programmazione degli interventi di chirurgia breve;
- Sviluppo della gestione centralizzata e informatizzata di esami preoperatori, posti letto ordinari e di terapia intensiva, sale operatorie e di conseguenza delle liste d’attesa e anche creazione di uno sportello unico;
- Sviluppo, per l’area medica, del “day service” come modalità organizzativa, per garantire un’offerta di prestazioni integrate, con minor impegno possibile del paziente, al fine di migliorare la risposta assistenziale;
- attivazione di letti monitorati , contribuendo così a un utilizzo appropriato dei letti di area critica dando anche maggior supporto all’area intensiva per la gestione delle attività relative a pazienti complessi, quali ad esempio quelli con insufficienza respiratoria (ventilati non intubati);
- facilitare il reinserimento dei pazienti psichiatrici nei luoghi di residenza attraverso la ridefinizione dei criteri per l’assistenza psichiatrica ospedaliera;
- rimodulazione della rete riabilitativa in particolare per le alte specialità (unità spinali e di neuroriabilitazione) e sviluppo modalità di presa in carico territoriale rimodulando l’offerta per quanto riguarda percorsi riabilitativi, pneumologico, cardiologico, neurologico, neuro- cognitivo ortopedico e anche percorsi di riabilitazione nutrizionale. A questo scopo si dovranno attivare anche nuove modalità di presa in carico finalizzate ad una maggior integrazione tra percorsi riabilitativi e programmi di Attività Fisica Adottata (AFA) e delle palestre della salute (PDS) di cui all’art. 21 L.R. n. 8 dell’11 maggio 2015, con l’obiettivo di ricondizionare al termine della riabilitazione, contrastare l’ipomobilità, favorire l’inclusione sociale e promuovere stili di vita nei soggetti con disabilità stabilizzata. I programmi AFA e delle PDS non rientrano tra le attività riabilitative e non sono una attività sanitaria e mirano anche a promuovere il processo di invecchiamento sano e attivo della popolazione. Tutti i percorsi prevedono un ruolo integrativo e complementare delle strutture sanitarie, anche privati accreditati o a gestione pubblica;
- promozione delle cure preventive e riabilitative con l’utilizzo di acque e fanghi termali.

Il percorso dei pazienti cronici con frequenti episodi di riacutizzazione

La necessità di far fronte ad una tipologia di “acuzie” differenziata (oltre agli “acuti” veri e propri sono molti i pazienti cronici “instabili” con frequenti processi di riacutizzazione) richiede un ripensamento del modello di assistenza ospedaliera, meglio commisurato alle tipologie di pazienti assistiti.
Con particolare riferimento a questo target di pazienti (cronici “instabili” con processi di riacutizzazione) diventa necessario introdurre in ospedale modelli organizzativi in cui tali pazienti, possano essere presi in carico anticipatamente in una determinata area di ricovero (nella fase di inizio dell’instabilità) programmando una presa in carico ospedaliera prima che il paziente sia instabile e acuto e quindi prima che, passando per il PS, venga gestito come ricovero urgente e assegnato a un reparto in quel momento disponibile.
Tale modello organizzativo presuppone che il livello ospedaliero e territoriale (MMG, Distretto, Strutture intermedie, etc.) condividano tutte le informazioni e i protocolli necessari alla gestione comune dei percorsi per tali pazienti e presuppone una relazione biunivoca tra professionisti che si attua anche attraverso lo svolgimento di un ruolo “pro attivo” configurabile come “medicina di iniziativa”, nel quale non siano rari gli accessi dei MMG o dei medici di distretto in ospedale per seguire l’evoluzione clinica dei loro assistiti e che i medici ospedalieri formino ed informino i MMG o dei medici di distretto dello stato generale di salute del loro paziente.
Questa fondamentale comunicazione deve prevedere l’adozione e lo sviluppo dei moderni sistemi di comunicazione per via telematica al fine di renderla il più tempestiva ed efficiente possibile.
Percorsi condivisi, che anticipano il ricorso al ricovero urgente tramite il PS, consentono di gestire il paziente secondo una logica di “continuità di cura” senza doverlo sottoporre a ripetute fasi diagnostiche di inquadramento generando nel paziente la consapevolezza di essere assistito e preso in carico dal “sistema” sanitario.
In un’ottica di ospedale moderno e flessibile sono già presenti soluzioni organizzative che hanno consentito di evitare di ricorrere in modo non appropriato al ricovero attraverso fasi di osservazione breve intensiva in pronto soccorso.
Esiste tuttavia anche una categoria di pazienti ricoverati che vengono trattenuti in ospedale e non dimessi nonostante non necessitano di ulteriori risposte a bisogni sanitari ma che presentano tuttavia problemi di tipo familiare e sociale che ne ritardano la dimissione.
Per tali pazienti, che hanno terminato il loro ciclo di cura e possono pertanto essere dimessi, è possibile prevedere posti letto tecnici all’interno della struttura ospedaliera, con la sola presenza del personale infermieristico, protratta per non più di 24 ore, per consentire di risolvere gli aspetti non sanitari senza utilizzare impropriamente la struttura ospedaliera.
Il modello organizzativo previsto può essere descritto come “Osservazione Breve Estensiva” (OBE).
L’identificazione di posti letto tecnici, quindi con utilizzo non sanitario e pertanto non ricompresi nel numero dei posti letto assegnati, consente, tra l’altro, anche un utilizzo pieno delle sale operatorie nelle quali, nelle fasce pomeridiane, l’attività di DS e di chirurgia ambulatoriale viene limitata ai soli interventi a bassissima complessità per l’impossibilità di trattenere il paziente in osservazione dopo l’intervento.
Per consentire un pieno utilizzo delle strutture ospedaliere, ed una piena efficienza sia del percorso di ricovero che nel percorso previsto per i pazienti con accesso ambulatoriale, in coerenza con logiche integrate, è auspicabile lo sviluppo di modelli innovativi, anche sperimentali, che prevedano la possibilità di offrire agli utenti del SSSR supporto logistico o risposte a bisogni non sanitari, in mancanza delle quali vengono utilizzate in modo improprio risorse ospedaliere destinate a pazienti acuti.
La necessità di farsi carico di pazienti cronici con multimorbilità, che nel loro percorso necessitano di fasi di assistenza sanitaria, può trovare ulteriore risposta anche tramite l’attivazione, in Ospedale, di letti di Ospedale di Comunità. In tale ambito, oltre alle eventuali competenze specialistiche è possibile disporre anche di livello tecnologico proprio della struttura ospedaliera.
Il modello proposto, coerentemente con un concetto di ospedale inteso come parte di un percorso di cura, presuppone tuttavia che i protocolli condivisi definiscano nel dettaglio i criteri di inclusione/esclusione dei pazienti, evitando che si venga snaturare la struttura ospedaliera che resta identificata come luogo per la gestione delle fasi acute dei percorsi di cura.
Infine per i pazienti per cui il percorso prevede un passaggio in punto soccorso può essere previsto, oltre all’attivazione delle modalità consuete ( obi, domicilio, ricovero , percorso breve)I, anche la possibilità valutata e attivata dal pronto soccorso, di presa in carico presso strutture intermedie qualora la situazione clinica lo ritenesse necessario.
Diventano quindi obiettivi da perseguire:
- definizione di protocolli condivisi ospedalieri e extra ospedalieri per la gestione dei pazienti cronici condivisa tra mmg, distretto e medici ospedalieri;
- definizione di modalità operative per il supporto degli specialisti ospedalieri ai medici territoriali (consulenze, telerefertazione e teleconsulenza);
- attivazione di modalità di gestione dell’obe (individuazione e definizione dei posti letto tecnici);
- individuazione di letti di ospedale di comunità all’interno delle strutture ospedaliere;
- definizione dei criteri di accesso alle strutture intermedie direttamente dal pronto soccorso.

L’efficienza organizzativa

La Regione del Veneto, ha definito i criteri per l’individuazione del fabbisogno e per l’allocazione dei posti letto con il PSSR 2012-2016, identificando i bacini di riferimento per specialità, i ruoli, le specialità, i livelli di intensità di cura ed i modelli organizzativi, che consentono il miglior utilizzo delle risorse assegnate, con l’obiettivo di garantire la piena coerenza rispetto alla tipologia di funzione previste.
Uno degli elementi strategici nel governo della programmazione sociosanitaria regionale, infatti, è rappresentato dall’ assegnazione delle risorse sulla base di standard di riferimento, in particolare per la dotazione di attrezzature e personale assistenziale, tenendo presente la continua evoluzione dello scenario organizzativo/assistenziale.
La connotazione iniziale di standard minimi di riferimento del personale, in particolare, ha consentito, sia a livello regionale che a livello delle singole aziende, di pianificare e allocare le risorse garantendo un uniforme ed elevato livello qualitativo di sistema.
La programmazione per standard di riferimento pertanto deve continuare ad essere uno degli elementi portanti della programmazione regionale e attraverso Azienda Zero, devono essere individuati nuovi standard di riferimento rispondenti a principi base di efficienza, efficacia e sicurezza ed economicità.
Azienda Zero, sulla base di quanto previsto dalla L.R. 19/2016, deve inoltre prevedere ed attuare tutti gli strumenti di monitoraggio necessari a verificare l’adeguatezza degli standard utilizzati per l’assegnazione delle risorse in rapporto al grado di soddisfacimento dei bisogni e deve monitorare gli esiti dei processi assistenziali, al fine di verificarne la coerenza con l’offerta programmata delle prestazioni.
Al direttore della funzione ospedaliera (primus inter pares) spetta il compito di pianificare, organizzare e gestire le attività inter-ospedaliere e coordinare funzionalmente i vari ospedali in modo da garantire il livello qualitativo adeguato e utilizzare in modo efficiente le risorse all’interno dell’Azienda sanitaria.
A livello di singolo ospedale il direttore medico di presidio è il responsabile unico di tutti i processi assistenziali erogati in ambito ospedaliero e dei processi amministrativi direttamente collegati.
Azienda Zero deve definire e monitorare indicatori di efficienza del sistema attraverso indicatori classici quali ad esempio: tasso di occupazione del posto letto, rispetto delle soglie di durata degenza, rispetto delle soglie di erogabilità per regime di erogazione, il processo di mobilità sanitaria, l’utilizzo delle attrezzature e degli spazi (in particolare le sale operatorie), rispetto dei tempi di attesa, supportando l’attuazione di un processo di organizzazione efficiente ed efficace.
L’Ospedale deve adottare un’organizzazione che tiene conto dei seguenti parametri:
- Organizzazione di attività di degenza per moduli di 20-25 posti letto e standard;
- Gestione separata dei percorsi di emergenza urgenze e programmata, nonché di percorsi dedicati alle persone con disabilità;
- Organizzazione per aree assistenziali omogenee differenziate in livelli assistenziali e cluster;
- Articolazione per moduli organizzati per area funzionale delle guardie attive, prevedendo una guardia attiva fino a 90/100 posti letto;
- Considerazione della logistica e di eventuali altri aspetti strutturali per garantire l’utilizzo ottimale degli spazi a disposizione della struttura nell’organizzazione modulare;
- Programmazione di attività per volumi e esiti e utilizzo della rotazione della stessa equipe di professionisti su più sedi per garantire l’esperienza e i volumi erogati dai singoli professionisti.
- Accoglienza medica secondo un modello caratterizzato da percorsi diagnostici e di orientamento terapeutico differenziati dedicati alle persone con disabilità gravi e gravissime, in particolare con deficit intellettivo, comunicativo e neuromotorio
- Formazione di personale specializzato dedicato alle patologie specifiche della disabilità, all’accoglienza in ambulatorio e in ospedale di persone con disabilità.

COREVE

6. LA PRESA IN CARICO DELLA CRONICITÀ E DELLA MULTIMORBILITÀ PER INTENSITÀ DI CURA E DI ASSISTENZA


Parole chiave
Multiprofessionalità, Piano integrato di cura, Medicina di Gruppo

Obiettivi strategici
OS1. Potenziare il ruolo del distretto come gestore della cronicità
OS2. Promuovere un sistema di classificazione del case mix che preveda un coinvolgimento strutturato del MMG/curante nell’attribuzione finale del profilo
OS3. Garantire alle persone il migliore stato di salute possibile in relazione alle condizioni individuali
OS4. Garantire la gestione dei problemi di salute secondo un sistema di prioritarizzazione mediante la realizzazione di percorsi integrati proporzionati al profilo di bisogno
OS5. Valorizzare la personalizzazione della presa in carico, attraverso piani integrati di cura in coerenza con il Piano Nazionale Cronicità
OS6. Organizzare una filiera dell’assistenza che sia in grado di garantire le transizioni tra luoghi e/o livelli assistenziali differenti, favorendo la domiciliarità ed il recupero funzionale
OS7. Promuovere un sistema di governance della cronicità e della multimorbidità centrata sulla misurazione dei risultati

La gestione della cronicità

La persona ha diritto di godere del migliore stato di salute possibile e di poter accedere a cure sanitarie dedicate ed appropriate ai suoi bisogni in tutte le fasi della vita. In particolare, nel contesto attuale, con il prevalere delle patologie croniche e della multimorbidità, il SSSR deve essere in grado di aiutare le persone a raggiungere il massimo grado di funzionalità possibile in relazione al proprio stato di salute.
Infatti, nell’affrontare la cronicità, molto spesso connotata dalla multimorbidità, la vera sfida è legata alla capacità di garantire la migliore salute in relazione alle condizioni della persona (mantenimento, coesistenza). Come illustrato nel Capitolo 1 “Lo scenario epidemiologico e sociale e l’impatto sulla domanda di servizi socio-sanitari”, nella popolazione del Veneto la norma è rappresentata dalla multimorbidità dato che per tutte le persone con le patologie croniche prevalenti esiste una importante quota di comorbidità che va dal 95% per lo scompenso cardiaco al 90% della BPCO e al 70% per il diabete.
Nella gestione della cronicità la persona diviene parte integrante del percorso di cura: fondamentale diventa, quindi, il suo coinvolgimento ed impegno responsabilizzato attraverso la stesura condivisa o coproduzione di un piano integrato di cura e la stipula di un patto di cura che individui i possibili risultati conseguibili in considerazione anche delle sue potenzialità e del suo contesto di vita.
Un paziente ben “ingaggiato”, dunque, è una persona non solo più aderente alle prescrizioni ma anche più consapevole della propria diagnosi e, perciò, capace di attivarsi in modo corretto ai primi segni e sintomi della malattia, di mettersi in contatto con il team multiprofessionale di riferimento tempestivamente e di fruire dei servizi sanitari offerti dal sistema in modo più soddisfacente ed appropriato.
Vi è, quindi, l’esigenza di definire nuovi modelli assistenziali di presa in carico della cronicità, ed in particolare della multimorbidità, che si fondano sui seguenti elementi chiave:
- l’adozione di un sistema di categorizzazione della popolazione assistita sulla base della coprevalenza di patologie, prevedendo l’utilizzo di uno strumento di classificazione del case mix (ad es. ACG) e responsabilizzando il MMG o il curante nella attribuzione definitiva della persona ad un determinato profilo di morbidità e rischio. La sfida che si pone è, da un lato, riadattare il metodo di “profilazione” alle caratteristiche della popolazione veneta e, dall’altro, tenere in considerazione la storia, il territorio, l’offerta di servizi e le risorse disponibili per affrontare i bisogni;
- la strutturazione di un modello che consenta la gestione dei problemi di salute con strumenti organizzativi e professionali proporzionati alla complessità multidimensionale del bisogno. Ciò richiede la condivisione di un sistema di prioritarizzazione dei bisogni che si intendono affrontare e delle preferenze/esigenze proprie del paziente che si intendono rispettare, al fine di realizzare percorsi integrati, in grado di superare logiche fondate su erogazione di prestazioni occasionali, frammentate e spesso duplicate;
- la definizione di livelli differenti di bisogno a cui corrispondano modelli alternativi di presa in carico della cronicità, sempre comunque fondati sulla multiprofessionalità;
- la definizione di una filiera dell’assistenza che sia in grado di garantire le transizioni tra luoghi di cura diversi e/o livelli assistenziali differenti, attraverso nuove formule organizzative multispecialistiche a supporto, in particolare, delle dimissioni verso il domicilio o le strutture sociosanitarie extraospedaliere, le strutture di ricovero intermedie e/o le ammissioni verso l’ospedale;
- il coordinamento tra Ospedale e Territorio nella gestione di dimissioni “protette” di pazienti con patologie croniche complesse (ad es. cardiovascolari) che richiedono un percorso di follow up che integri riabilitazione e prevenzione secondaria;
- la valorizzazione della personalizzazione della presa in carico e dell’assistenza come strumento di garanzia della tutela della salute, attraverso piani integrati di cura sviluppati in coerenza con il Piano Nazionale Cronicità, che trovano la loro necessaria attuazione attraverso l’integrazione tra le reti negli ambiti dell’assistenza primaria, della prevenzione, delle cure intermedie e dell’assistenza ospedaliera;
- la costruzione di un sistema di governance centrata sui risultati che responsabilizzi tutti gli attori (sia della struttura ospedaliera che territoriale, sia dipendenti che convenzionati) alla realizzazione della gestione integrata della cronicità, ridefinendo e potenziando il ruolo del Direttore di Distretto.

Il nuovo ruolo del Distretto

Stesura ed attivazione del Piano Domiciliarità distrettuale entro il 2019.
Le Aziende sanitarie attivano e/o adeguano le medicine di gruppo con compiti aggiuntivi legati all’accessibilità, alla presa in carico della cronicità, alla assistenza domiciliare, dimensionate rispetto alla popolazione residente, con risorse aggiuntive e con attività monitorate secondo indicatori di struttura, processo e esito concordati a livello regionale.
Attivazione del programma formativo multidisciplinare.
Il Distretto socio sanitario è l’articolazione dell’Azienda ULSS deputata al perseguimento dell’integrazione tra i diversi servizi e le diverse strutture sanitarie e socio-sanitarie presenti sul territorio, in modo da assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della popolazione.
Sono obiettivi strategici affidati al Distretto Socio-Sanitario:
- analizzare e misurare i bisogni, stratificando la popolazione assistita sulla base delle criticità effettive (case mix), decodificando i bisogni e trasformandoli in domande, definendone livelli di complessità assistenziale e modelli organizzativi più efficaci/efficienti, nonché identificando i luoghi di cura più appropriati;
- definire ed attuare i percorsi assistenziali per le principali patologie croniche e per l’assistenza alle persone fragili, affrontando la multimorbidità in maniera integrata non solo a livello distrettuale ma in integrazione con il livello ospedaliero, adottando piani integrati di cura per i pazienti complessi;
- garantire l’assistenza h 24, 7gg/7, prevedendo uno specifico modello di integrazione operativa tra tutti i soggetti preposti alla presa in carico.
Pertanto viene ridefinito il ruolo del Distretto specificando che il direttore di Distretto diventa:
- responsabile dell’analisi e misurazione dei bisogni al fine di identificare i modelli organizzativi, le risorse e i luoghi di cura più appropriati per specifico livello assistenziale;
- responsabile della definizione ed attuazione dei percorsi assistenziali integrati per le principali patologie croniche e per l’assistenza alle persone fragili;
- gestore della cronicità complessa ed avanzata, attraverso lo sviluppo di competenze cliniche (sviluppo di alte professionalità) ed organizzative;
- facilitatore dei processi di integrazione tra i diversi nodi della rete dei servizi per assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della popolazione.
In particolare è necessario che il Distretto diventi il soggetto “gestore” di alcune categorie di bisogno complesso, sviluppando una importante competenza clinica e, al contempo, una competenza organizzativa in grado di ricomporre e gestire i percorsi, potenziando:
- la competenza sul governo clinico inteso come lo sviluppo e l’applicazione dei percorsi assistenziali per patologie a più elevata prevalenza;
- lo sviluppo di alte professionalità sotto l’aspetto clinico al fine di erogare l’assistenza ai pazienti complessi;
- la competenza organizzativa al fine di garantire la sintesi compiuta nelle modalità di pianificazione, programmazione, gestione e valutazione dei risultati migliorando i percorsi di governance dell’assistenza distrettuale.

La presa in carico della cronicità per intensità di cura e di assistenza

Il modello regionale di presa in carico della cronicità e della multimorbidità si fonda sul concetto di intensità di cura e di assistenza, mutuandolo dall’ambito ospedaliero, per sottolineare la gradualità nell’erogazione dell’assistenza correlata al bisogno.
A partire dalla stratificazione sopra descritta, vengono distinti due livelli di complessità (Figura 8):
- la cronicità “semplice”, che viene appropriatamente presa in carico dai team multiprofessionali dell’Assistenza primaria;
- la cronicità “complessa ed avanzata”, che richiede team multiprofessionali “specialistici” dedicati.
Figura 8 –Presa in carico della cronicità per intensità di cura e di assistenza: profili di popolazione e percentuale sulla popolazione del Veneto
COREVE

La gestione della cronicità “semplice”

La prevenzione della malattia e il trattamento della sua cronicizzazione sono le vocazioni prioritarie della rete dei servizi territoriali e l’assistenza primaria costituisce il “contatto” più immediato e frequente per l’assistito, rappresentando perciò il setting assistenziale che meglio si presta all’individuazione ed alla presa in carico della cronicità semplice.
Per questo motivo le Medicine di Gruppo e i team multiprofessionali dell’Assistenza primaria, diversamente organizzati e dimensionati a seconda delle caratteristiche del territorio ove sono collocati, rappresentano il punto di riferimento per le comunità e si impegnano a:
- riconoscere i malati cronici;
- inserirli in percorsi di presa in carico integrata;
- sviluppare un modello di gestione dell’assistenza da parte di un team.
- Per fare questo sono richiesti:
- la valorizzazione del rapporto di fiducia tra medico e paziente;
- un elevato livello di integrazione dell’assistenza primaria nel sistema;
- lo sviluppo del lavoro per percorsi assistenziali con applicazione dei PDTA;
- una forte crescita e valorizzazione del ruolo degli infermieri nell’assistenza primaria;
- la dimostrazione del contributo al raggiungimento degli standard di sostenibilità del Sistema.
Ciò premesso, la gestione della cronicità semplice dovrà essere garantita da team multiprofessionali di assistenza primaria nelle seguenti differenti accezioni:
1. forme di aggregazione che coinvolgono medici convenzionati opportunamente organizzate e dimensionate con riferimento alle specifiche caratteristiche del contesto;
2. team di assistenza primaria che coinvolgono medici dipendenti del SSN nella gestione dell’assistenza medico-generica, anche in conformità a quanto stabilito dalla Legge n.833/1978;
3. team di assistenza primaria la cui gestione è affidata ad un soggetto privato accreditato con riferimento ad uno specifico bacino di riferimento.
Al fine di tutelare la libera scelta del cittadino, lo stesso potrà scegliere a quale tipologia di team rivolgersi, fermo restando che le suddette tipologie si configurano come alternative e, quindi, non potranno essere fruite contemporaneamente dallo stesso assistito.
Sulla base dei principi sopra descritti, analoghe tipologie organizzative potranno essere sviluppate anche nell’ambito della pediatria.
Spetta, quindi, al direttore del Distretto organizzare le risorse affinché vengano attuati i PDTA, definendo:
- gli obiettivi da raggiungere;
- le risorse disponibili ed i criteri del loro utilizzo;
- le modalità di monitoraggio e verifica dei risultati.
In quest’ottica sarà responsabilità del direttore di Distretto definire il budget delle prestazioni specialistiche necessarie, sulla base della lista pazienti eligibili e di quanto previsto dagli stessi PDTA, nonché mettere a disposizione le risorse necessarie, anche attraverso appositi accordi con gli specialisti ambulatoriali interni operanti nel proprio Distretto e con le strutture private accreditate che insistono nel proprio territorio, qualora necessario, comprese le Palestre della Salute che insistono in Strutture Residenziali.
Dovranno, altresì, essere individuate specifiche modalità di accesso a suddette prestazioni, evitando di transitare per il CUP aziendale, ma garantendo l’accesso in conformità a quanto previsto dal PDTA per un appropriato follow up.
Nell’ottica dell’intersettorialità e multidisciplinarietà, caratteristiche fondamentali dei percorsi di presa in carico globale, il Dipartimento di Prevenzione può affiancare il medico di famiglia e il team per la modifica degli stili di vita, al fine di condividere gli interventi già in atto nel territorio. Lo scopo è di utilizzare al meglio competenze specifiche e pratiche consolidate, anche in un’ottica di una razionalizzazione delle risorse. Il modello della prevenzione del Veneto prevede l’offerta di interventi stratificati per livello di rischio e di motivazione del soggetto, rivolti al singolo e/o alle famiglie. Inoltre il Dipartimento di Prevenzione promuove interventi intersettoriali anche con soggetti esterni al mondo sanitario (Palestre della Salute, Associazioni Sportive, Enti Locali, Scuole...).
I team di assistenza primaria, come sopradescritti, possono utilizzare strutture, dotazioni, personale, servizi messi a disposizione dall'Azienda ULSS (impiego di personale dipendente dal SSSR), ovvero assicurarseli ricorrendo a soggetti che forniscono servizi di tipo infermieristico o amministrativo (espletamento di apposita gara d’appalto), ovvero attraverso una specifica procedura di accreditamento dei soggetti erogatori di questi servizi con il SSSR ai sensi della L.R. 22/2002.
Inoltre potranno essere avviate procedure di accreditamento anche per l’erogazione di servizi sanitari dell’assistenza primaria nel suo complesso.

La gestione della cronicità “complessa ed avanzata”

A fronte della complessità dei bisogni e delle relazioni e competenze necessarie per garantire la presa in carico della cronicità complessa ed avanzata, in particolare della multimorbidità, assume sempre più importanza potenziare il distretto sotto l’aspetto clinico-assistenziale.
Per questo andranno costituiti team multiprofessionali “dedicati”, afferenti al distretto, a cui il paziente verrà assegnato in base al bisogno (ossia all’intensità di cura e di assistenza) (Figura 9 ). Detti team dovranno essere dimensionati sulla base della popolazione target (di riferimento) e saranno composti da specialisti con prevalente competenza geriatrica/internistica e di cure palliative, dipendenti del SSN, e infermieri, assistenti sociali ed altri professionisti con legami funzionali anche con i professionisti che operano all’interno delle strutture ospedaliere. Verrà comunque informato il Medico di medicina generale per il tramite del fascicolo sanitario elettronico. Il MMG può essere parte integrante dei team multiprofessionali e contribuisce alla definizione e realizzazione del piano di assistenza individuale.
La presa in carico di pazienti con cronicità avanzata, che rappresenta l’1% della popolazione (vedi figura apice della piramide) è gestita preferibilmente dall’Unità di Cure Palliative, che garantisce l’unitarietà del percorso integrato di cura, dalle fasi a minor intensità assistenziale coordinate dal MMG (cure palliative di base), alle fasi con maggior intensità assistenziale all’approssimarsi della fine della vita (cure palliative specialistiche). L’Unità di Cure Palliative, nell’attuazione del piano integrato di cura, ne garantisce la continuità attraverso il coordinamento della rete locale di cure palliative, che comporta la gestione delle transizioni, in collaborazione con la COT, dai setting ospedalieri e territoriali, privilegiando le cure extraospedaliere, in particolare domiciliari. L’Unità di Cure Palliative garantisce l’assistenza nei luoghi dedicati alle cure palliative e fornisce consulenza nei luoghi non dedicati, quali, Centro Servizi, Ospedale di comunità, Ospedale.
Il direttore di Distretto deve, pertanto, farsi garante della presa in carico, promuovendo e monitorando lo sviluppo di un'organizzazione multi professionale e multi disciplinare dedicata alla cura ed assistenza delle persone con cronicità complessa, verificandone le procedure condivise e assicurando la condivisione delle informazioni anche con i pazienti e le famiglie.

Figura 9 – La presa in carico della cronicità complessa ed avanzata
COREVE

Confermando l’obiettivo qualitativamente e culturalmente rilevante di favorire il mantenimento della persona nel proprio ambiente di vita e nel proprio domicilio, diventa strategico favorire uno sviluppo pianificato ed omogeneo delle cure domiciliari su tutto il territorio regionale, attraverso un’organizzazione che garantisca la continuità dell’assistenza, consolidando le esperienze di ammissione e dimissione protetta. Per questo ogni team dovrà garantire anche l’assistenza al domicilio del paziente, sia in modo programmato che non. In particolare dovrà essere garantita la copertura 7 giorni su 7, con una pianificazione degli accessi domiciliari sviluppata nell’arco dell’intera settimana. Andrà altresì consolidata la rete delle cure palliative, anche con la strutturazione dell’attività ambulatoriale ad integrazione e supporto delle cure domiciliari e dell’ospedalizzazione al fine di:
- privilegiare l’accesso alle cure palliative domiciliari e in Hospice, riducendo il ricorso all’ospedalizzazione;
- intercettare i malati che necessitano di cure palliative con qualunque patologia;
- garantire la continuità delle cure nei diversi setting assistenziali.
Si prevede anche l’ulteriore sviluppo delle cure intermedie in strutture di ricovero intermedie, come Ospedali di Comunità (ODC), Unità di Riabilitazione Territoriale (URT) e Hospice dedicate a garantire una risposta a quei pazienti che sono stabilizzati dal punto di vista medico, che non richiedono assistenza ospedaliera, ma sono troppo instabili per poter essere trattati in un regime domiciliare o residenziale e che trattano problemi che si risolvono in un periodo limitato di tempo che non superiore di norma le 4-6 settimane. Sono strutture sanitarie orientate ad adulti-anziani con multimorbidità che hanno un elevato rischio di allungamento della degenza ospedaliera o di un ricovero inappropriato o di una istituzionalizzazione inappropriata.
In queste strutture, l’esito ed il recupero funzionale sono l’obiettivo principale dell’intervento assistenziale sul paziente, che è tipicamente in transizione da un setting di cura ad un altro (es. ospedale-domicilio). Rispetto all’ospedale, dove importante è la dimensione diagnostico/terapeutica, qui è prioritaria la dimensione prognostica così come l’attenzione alle
conseguenze funzionali della malattia, alla riduzione della disabilità, alla riattivazione e al miglioramento della qualità della vita.
L’indice minimo di posti letto delle strutture intermedie è stabilito nello 0,6 per mille della popolazione over 45 presente nell’Azienda ULSS di appartenenza. Le specificità del territorio bellunese, del polesine, delle aree montane e lagunari, delle aree a bassa densità abitativa possono dotarsi di un incremento dei posti letto delle strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2 per mille.
Un ulteriore orientativo 0,6 posti ogni 1000 abitanti di età superiore ai 45 anni è da attribuire a altre tipologie di strutture intermedie che erogano attività sanitaria extraospedaliera a carattere temporaneo tra cui le strutture riabilitative extraospedaliere ( cd ex art 26) e comunità terapeutiche riabilitative protette di tipo A.
Funzione propria del team è, come precedentemente detto, il coordinamento dei diversi nodi della rete volti a dare attuazione a progetti unitari sulla persona. In quest’ottica, oltre alla rete delle strutture intermedie anche la rete di offerta ospedaliera è a tutti gli effetti parte integrante ed attiva nelle fasi di dimissione/ammissione protetta, nonché con funzione consulenziale e di supporto. È questa la visione di un ospedale che si apre al territorio, perseguendone i medesimi obiettivi.

Piano integrato di cura

Per consentire di declinare la presa in carico agli specifici bisogni della persona, non solo dal punto di vista clinico ma anche degli effettivi potenziali di sviluppo, dovrà essere definito un piano integrato di cura condiviso dal team e dal paziente o suo familiare/caregiver. Detto piano dovrà avere un contenuto minimo di informazioni tra cui l’esplicitazione delle preferenze e delle direttive anticipate del paziente, che è attore fondamentale del suo percorso di cura. Il piano dovrà essere parte integrante del Fascicolo Sanitario Elettronico e, quindi, consultabile da tutti gli attori della filiera assistenziale.
Dovrà, infine, essere predisposto un numero unico attivo H24, dedicato alla ricezione delle istanze di questi pazienti o dei loro caregiver.

La gestione delle transizioni

La cronicità complessa ed avanzata richiede frequentemente la connessione fra i vari ambiti assistenziali e trova nella Centrale Operativa Territoriale (COT) una risposta operativa in quanto svolge una funzione di «centrale della continuità», garantendo un coordinamento unitario del percorso di cura ed assistenza. Tale percorso viene definito secondo i criteri della valutazione multidimensionale, che riconosce nella Unità valutativa multi-dimensionale (UVMD) un efficace strumento per la pianificazione dell'assistenza dei malati con maggiore complessità.
Nello specifico la COT rappresenta lo strumento organizzativo funzionale a tutti gli attori della rete socio-sanitaria coinvolti nella presa in carico della persona con cronicità complessa ed avanzata e le sue funzioni fondamentali sono:
- mappare costantemente le risorse della rete assistenziale;
- coordinare le transizioni protette (intra ed extra Azienda ULSS), per le quali non esistono già percorsi strutturati, con la possibilità di entrare provvisoriamente in modo operativo nel processo, facilitandone una definizione condivisa;
- raccogliere i bisogni espressi/inespressi, di carattere sociale/sanitario/socio sanitario, indipendentemente dal setting assistenziale e trasmettere le informazioni utili a garantire le transizioni protette;
- garantire la tracciabilità dei percorsi attivati sui pazienti segnalati, offrendo trasparenza e supporto nella gestione delle criticità di processo ai soggetti della rete;
- facilitare la definizione/revisione di PDTA/procedure/modalità operative aziendali, anche alla luce delle criticità riscontrate nel corso del monitoraggio dei percorsi attivi.
Il passaggio da un setting assistenziale ad un altro dovrà essere gestito in modo omogeneo su tutto il territorio regionale con procedure formalizzate che definiscano le modalità di transizione e gli strumenti.

Il ruolo delle Farmacie

Le Farmacie, presidi del SSN sul territorio, sono uno dei punti di riferimento per la persona con cronicità e dei suoi familiari perché rappresenta il più agevole e frequente punto di accesso.
Le relazioni di prossimità del farmacista e il suo ruolo professionale gli permettono di instaurare un rapporto di confidenza con gli utenti abituali e di svolgere una funzione potenzialmente attiva nell’educazione, informazione e assistenza personalizzata. In particolare, le farmacie possono conseguire significativi obiettivi in termine di prevenzione primaria e secondaria nel rispetto di protocolli condivisi con Distretti, MMG e il PLS, anche per quel che riguarda l’aderenza ai trattamenti a lungo termine e la farmacovigilanza.
Il ruolo della farmacia è cambiato con i decreti ministeriali sulla “farmacia dei servizi”, che hanno previsto la possibilità di erogare servizi e prestazioni professionali infermieristiche e/o riabilitative agli assistiti. La Farmacia dei Servizi può rappresentare, qualora integrata funzionalmente nella rete assistenziale, il luogo in cui la popolazione potrà trovare una prima risposta alle proprie domande di salute. Per garantirla, il nuovo farmacista dovrà acquisire competenze e nuove attitudini che facilitino il paziente anche nell’accesso alle cure e alle prestazioni. E’ necessario quindi coinvolgere il farmacista nei programmi di formazione sulla cronicità e attivare sperimentazioni sui nuovi modelli di assistenza farmaceutica
In particolare, la farmacia sarà chiamata a svolgere le seguenti attività, in coordinamento con la rispettiva Azienda Ulss:
1) prevenzione/individuazione precoce di soggetti a rischio di sviluppare patologie croniche attraverso:
a. realizzazione di campagne di educazione sanitaria e promozione di corretti stili di vita;
b. somministrazione di questionari per la valutazione dei comportamenti salutari e, più in generale, dello stato di salute della popolazione (es. attività fisica, alimentazione);
c. screening per la misurazione di parametri di salute a scopo preventivo (massa corporea, glicemia, pressione arteriosa, SOF - sangue occulto nelle feci, ecc.)
In tale contesto troverà piena attuazione il progetto, già avviato in via sperimentale in alcune AULSS del Veneto, che prevede il servizio Farmacup (per le prenotazioni di prestazioni sanitarie diagnostiche e visite specialistiche), che sarà quindi esteso a tutte le farmacie della regione che aderiranno a tale progetto”.
Allo scopo di garantire la capillarità nella distribuzione dei farmaci per le patologie croniche, sarà rafforzata, ove possibile, la modalità di distribuzione per conto, anche per i farmaci oggi in distribuzione diretta.
In questo modo la farmacia nei prossimi anni andrà assumendo una nuova identità, trasformandosi da farmacia in senso tradizionale a Centro polifunzionale improntato alla Pharmaceutical Care.

Strumenti a supporto

Il sistema informativo integrato

Il sistema informativo dovrà essere reingegnerizzato in concomitanza alla filiera dell’assistenza, riuscendo a supportare le diverse fasi del percorso assistenziale del singolo paziente, costituendo la garanzia di integrazione informativa e di continuità dell’assistenza. Per questo sarà necessario sviluppare il collegamento in rete tra i team multiprofessionali, le strutture territoriali ed ospedaliere, mettendo a disposizione dei professionisti informazioni costantemente aggiornate, utili e necessarie all’assunzione di decisioni clinico-assistenziali, al fine di connotare i bisogni e le relative decisioni assistenziali da porre in essere.
Pertanto dovrà essere sviluppata la Cartella clinica elettronica in condivisione con le strutture ospedaliere, visibile dal team multiprofessionale che ha in carico il paziente con cronicità complessa ed avanzata.

Strumenti di valutazione

Andranno introdotti sistemi di valutazione della gestione integrata del paziente cronico relativi sia ai processi che agli esiti, nonché strumenti di rilevazione dell’esperienza di cura e del grado di coinvolgimento attivo della persona.

La leva della formazione

In un contesto regionale che si prefigge di reingegnerizzare ulteriormente il modello organizzativo e clinico-assistenziale per la presa in carico della cronicità diventa fondamentale ripensare alla formazione come vera leva del cambiamento, fondata su obiettivi di salute ed imperniata sulla trasversalità tra le diverse figure professionali. Per questo è necessario inglobare momenti impliciti ed espliciti di formazione nei normali processi organizzativi, diffondendo lo strumento dell’audit. La formazione dovrebbe affrontare sia contenuti tecnico-clinici, che gestionali (strategie e programmi aziendali), nonché organizzativo-assistenziali (percorsi, ambiti di cura appropriati, ecc.), non nell’ottica di comprimere l’autonomia professionale, ma come strumenti per lo sviluppo complementare dei profili di competenza.
Costituiscono, pertanto, obiettivi formativi prioritari:
- l’approccio multiprofessionale e lo sviluppo di competenze inerenti alla gestione dell’assistenza da parte del team;
- il governo delle reti nei servizi territoriali integrati con la rete ospedaliera, riconoscendo al distretto un ruolo di facilitatore e promotore di processi integrati.
Il potenziamento delle competenze clinico-assistenziali nell’ambito dell’assistenza primaria.

Il sistema di analisi dei costi e di tariffazione

Richiamando l’importanza del budget di distretto quale strumento che combina l’architettura dei centri di responsabilità e gli obiettivi di budget ad essi correlati, si individua la necessità di progettare un modello di budget per team multiprofessionali al fine di avviare un processo di responsabilizzazione degli stessi sia su obiettivi di salute che anche sotto il profilo della gestione economica.
Andrà, pertanto, sviluppato un sistema di tariffazione che consenta di quantificare le risorse utilizzate per la presa in carico della persona a seconda dei bisogni, misurandone successivamente il contributo che potrebbe derivare dall’introduzione del nuovo modello di gestione della cronicità.
Ciò costituirà il supporto alla valutazione della sostenibilità economica del modello stesso, fermo restando che la riduzione del costo per caso trattato non garantisce necessariamente risparmi finanziari di breve periodo, in quanto permangono i costi fissi degli ambiti liberati. Ciò non di meno, il risparmio economico può diventare anche risparmio finanziario qualora si proceda eliminando le inappropriatezze strutturali, a fronte di una disponibilità di ambiti alternativi di presa in carico, similari in efficacia, ma economicamente meno costosi per caso trattato.
L’analisi della struttura dei costi, la definizione di un costo medio, l’individuazione di standard di impiego di risorse, saranno la base per costruire un sistema innovativo di tariffazione per la presa in carico globale e non per singola prestazione dei pazienti cronici complessi.

COREVE

7. LE MALATTIE RARE


Parole chiave
Innovazione, Pazienti senza diagnosi, Percorsi, Piani integrati di cura, Reti

Obiettivi strategici
OS1. Migliorare la fase diagnostica, limitando la latenza tra comparsa dei sintomi e diagnosi della malattia
OS2. Migliorare la qualità della presa in carico integrata del malato raro e realizzare una assoluta continuità assistenziale nei tempi e fasi della vita e nei diversi sistemi e luoghi di cura
OS3. Garantire lo stretto collegamento delle attività di assistenza attuate dei Centri veneti, parte delle reti europee di riferimento (ERN), con il restante sistema dei servizi sanitari e la loro coerenza con la programmazione regionale in materia
OS4. Facilitare il pieno utilizzo delle capacità e competenze funzionali raggiunte o mantenute, grazie alla realizzazione di percorsi di presa in carico coinvolgenti anche diversi contesti di vita,
Circa 35.000 veneti sono affetti da una malattia rara già attualmente riconosciuta come tale: uno su tre presenta la malattia clinica già durante l’età pediatrica, più frequentemente nel corso del primo anno di vita, i restanti 2 casi presentano i sintomi della patologia in età adulta, più frequentemente prima dei 40 anni, anche se una quota non trascurabile si ammala da anziano. Le malattie rare possono interessare tutti gli organi ed apparati, nella grande maggioranza dei casi hanno una eziologia genetica, generalmente sono multi sistemiche, di regola croniche, molto frequentemente disabilitanti, a volte letali anche nel medio o breve periodo e raramente hanno a disposizione una terapia eziologica.
Nonostante ciò, una gran parte delle nuove e onerosissime terapie avanzate ed innovative riguardano malattie rare. Proprio per tutte queste caratteristiche, le malattie rare impattano pesantemente in tutto il sistema dei servizi sanitari. I malati rari infatti presentano un tasso di ricovero superiore di oltre 5 volte qualsiasi altra condizione cronica, costituisco una quota rilevanti di coloro che giungono a trapianto, nella gran parte dei casi per i trapianti pediatrici. Spesso i familiari di malati rari accedono alla fecondazione medicalmente assistita e di regola alle diagnosi prenatali.
A causa della frequente e grave disabilità, essi richiedono riabilitazioni intensive neurologiche e di organo e lunghe e complesse assistenze domiciliari integrate e/o ricoveri in strutture residenziali
La complessità e gravità crescente della loro condizione spinge molti malati rari a cercare continuamente centri per il loro trattamento, presentando di regola una altissima mobilità nazionale ed internazionale, tanto che proprio nel tema delle malattie rare si stanno sperimentando le prime reti europee di riferimento (ERN), che costituiscono la sperimentazione di politiche europee di assistenza per grandi capitoli complessi di interesse di sanità pubblica. In effetti, nonostante la difficile valutazione diretta di impatto nel consumo delle risorse dei sistemi sanitari dei diversi paesi, a causa dell’assenza di una chiara codifica delle malattie rare nei sistemi di classificazione e codifica delle malattie (ICD) attualmente in uso, alcuni monitoraggi di popolazione attualmente presenti in Europa, particolarmente quello predisposto e implementato proprio dalla Regione del Veneto, hanno permesso di calcolare direttamente alcuni rilevanti indicatori di danno nella salute della società che le malattie rare determinano, in confronto ad altri rilevanti gruppi di patologie, da tempo in agenda di tutte le politiche sanitarie, perché considerate come gravemente impattanti.
Uno degli indicatori più utilizzati a riguardo è quello degli anni di cita persi (life years lost), che calcola gli anni di vita perduti rispetto alla teorica attesa in una data popolazione a causa di una
patologia o un gruppo di patologie. Tale indicatore è utilizzato per orientare politiche e risorse verso i problemi globalmente ritenuti più rilevanti, dove il rilievo è dato dalla combinazione della frequenza delle morti per quella data causa e dall’età in cui tali decessi avvengono.
Secondo questa visione la morte di una persona giovane costituisce un danno maggiore per la società rispetto a quella dei grandi anziani. Calcolando questo indicatore per la Regione del Veneto, le malattie rare globalmente considerate, sono responsabili dal 4.2% degli anni di vita perduti, eccedenti di circa 4 volte la perdita per il complesso delle malattie infettive (1.2%); 2 volte quella per il diabete mellito (2.6%); solo di poco inferiore a quella per incidenti (5.7%) e circa il 60% di quella per infarto del miocardio (8.6%). C’è quindi una distanza molto ampia tra ciò che viene generalmente ipotizzato e percepito intorno alle malattie rare e ciò che esse sono realmente. La frammentazione delle conoscenze e la complessità intrinseca della condizione e conseguentemente dei bisogni assistenziali dei malati rari, rendono la programmazione delle reti di assistenza a loro dedicate e molto difficile. L’Italia ha sviluppato una lunga esperienza a riguardo e il Veneto ha assunto un ruolo di leader e sperimentatore di soluzioni innovative, alcune delle quali premiate con risultati oggettivamente positivi.
La rete di assistenza ai malati rari del Veneto rende stanziali i nostri malati, che complessivamente nel 95% dei casi sono seguiti sia per la diagnosi che per la presa in carico da centri ospedalieri veneti, che hanno in questo settore in più anche una forte capacità attrattiva di malati residenti fuori Regione, tanto che l’attività a favore di questi malati costituisce oltre il 22% della totale. Per questa ragione la rete di assistenza veneta per i malati rari già ora si occupa di quasi 40.000 persone. Con l’applicazione dei nuovi LEA l’elenco delle malattie rare riconosciute si incrementa notevolmente divenendo sempre più prossimo all’elenco delle entità nosologiche comprese negli ORPHA CODE. In questa maniera anche il numero e la tipologia dei malati rari seguiti cambierà nel corso del 2017, raggiungendo presuntivamente le 55.000-60.000 persone.
La qualità della rete dei centri per malati rari veneti è testimoniata anche dal fatto che la quasi totalità di loro ha avuto la designazione ministeriale per poter partecipare alla chiamata per la costituzione delle reti di riferimento europee (ERN) per malati rari, e che in seguito essi sono effettivamente stati selezionati dalla Commissione Europea come Full Member in una delle 24 ERN, costituendo non solo la Regione italiana con maggiori centri di valenza europea, ma avendo al proprio interno l’ospedale (Azienda Ospedale-Università di Padova) con più centri in assoluto tra tutti gli altri maggiori ospedali europei. Questi centri sono dedicati a grandi gruppi di patologia e costituiti da una rete di più Unità Operative che concorrono nella definizione della diagnosi e nella presa in carico del malato. La rete di assistenza per i malati rari si basa, oltre che nella rete dei centri selezionati, anche nell’attività degli ospedali e del territorio più prossimo al luogo di vita della persona.
Sono infatti proprio questi servizi ospedalieri e territoriali che garantiscono l’attuazione concreta di quanto previsto dal piano di presa in carico definito dal centro di riferimento. Si tratta perciò di mettere in stretto collegamento tra loro due reti, la prima operante in pochi centri ospedalieri di alta qualità, super specialistici e lontani mediamente dalla residenza del paziente, la seconda prossima al luogo di vita, articolata in una componente ospedaliera e una complessa territoriale; questo collegamento è garantito da protocolli e percorsi assistenziali.
L’elevatissimo impatto economico di nuove tecnologie sia diagnostiche sia terapeutiche, molto evidente in questo campo, comporta una continua sfida di sostenibilità economica e apre anche un complesso capitolo di sostenibilità etica e sociale.

Il paradigma delle malattie rare come malattie croniche ad alta complessità

Le malattie rare costituiscono un problema rilevante e in qualche modo unico in sanità pubblica per le problematiche e le criticità che esse comportano nel programmare servizi per rispondere ai bisogni di questi pazienti. Vengono qui elencati alcuni di questi elementi peculiari:
- la rete di assistenza entro cui si definiscono i percorsi dei pazienti caratterizzati da 3 attori: l’ospedale di prossimità e le reti territoriali, analogamente a quanto avviene per le altre malattie croniche, oltre a un Centro di riferimento, di regola lontano dal luogo di vita, che solitamente non è presente nelle altre malattie. Questo terzo elemento induce due problemi principali. Il primo è relazionato al fatto che i percorsi di presa in carico devono tener conto della impossibilità per uno stesso centro di interagire secondo un unico modello organizzativo con aree territoriali-ospedaliere multiple, spesso insistenti in Regioni diverse e quindi rispondenti a disposizioni dissimili. Il secondo è dovuto al fatto che il Centro è abituato tendenzialmente a muoversi secondo una logica che risponde al modello di malattia, tra l’altro rara e quindi poco o per nulla nota alla maggior parte dei servizi e dei professionisti, mentre la rete ospedaliero-territoriale locale è più abituata a muoversi secondo una logica di bisogno assistenziale. Il percorso che li unisce quindi deve rispondere a entrambe queste dimensioni e perciò a piani assistenziali che si caratterizzano per una struttura a matrice piuttosto che lineare;
- la richiesta di trattamenti molto specifici e particolari, spesso di difficile reperibilità e di altissimo costo. A volte tali trattamenti sono talmente innovativi da essere quasi sperimentali e quindi con nulla o scarsa esperienza da parte della rete dei servizi e degli ospedali e spesso poca esperienza persino dal Centro di riferimento che li prescrive. Anche i trattamenti più consolidati (ad es. dietoterapie e/o riabilitazione) possono avere una declinazione assolutamente specifica per il malato raro e completamente lontana dalla pratica corrente. Ciò implica una duplice difficoltà legata alla somministrazione ed erogazione a lungo termine del trattamento, che necessariamente deve coinvolgere le strutture di prossimità e contemporaneamente al carico economico assunto dall’Azienda ULSS di residenza su prescrizioni di servizi che essa non controlla;
- il collegamento e la ricaduta delle attività sanitarie in altre Istituzioni e dimensioni della società, che non sono sanitarie. La malattia rara spesso accompagna per tutta la vita la persona e connota di sé tutte le fasi e gli eventi essenziali del suo vivere. Obbligatoriamente quindi ricade nella dimensione educativa, lavorativa, della sessualità, della fertilità, etc. I servizi sanitari sono depositari di una serie di informazioni e mettono in atto una serie di interventi che incidono sulla condizione della persona e conseguentemente ricadono sulle altre dimensioni della sua vita. Esiste una frattura rilevante tra le azioni della sfera sanitaria e quella delle altre sfere sociale, della scuola, del lavoro, etc. per cui quest’ultime assumono decisioni senza conoscere e tener conto di ciò che si sa e si è fatto nella sfera sanitaria, producendo ricadute negative sull’individuo e anche sugli stessi servizi sanitari. La necessità di coprire queste fratture può essere affrontata solo attraverso percorsi di presa in carico integrati, che ancora una volta connotano in modo specifico l’azione per le malattie rare rispetto a quello di altre patologie croniche;
- il coinvolgimento delle famiglie nei progetti di presa in carico, che di regola è molto lungo, anche numerosi decenni, intenso e pervasivo, così come difficilmente avviene per altre patologie croniche;
- il peso della malattia genetica, che coinvolge l’intera famiglia allargata, ascendenti e discendenti, ipotecando le prossime future generazioni. Ciò rende particolarmente sensibile e aggredibile questo sottogruppo di popolazione alle ipotesi di nuove tecnologie di diagnostica e al loro utilizzo immediato, anche prima di una effettiva conoscenza degli effetti della loro implementazione assistenziale. Analoga considerazione può essere espressa per quanto riguarda le terapie innovative;
- la mobilità dei pazienti e la loro continua ricerca di luoghi alternativi di cura e di soluzioni spesso non comprovate da fondate evidenze scientifiche.

Le prospettive di Piano

Nonostante i buoni risultati del sistema finora implementato molte azioni devono ancora essere intraprese, al fine di rafforzare gli aspetti di qualità del sistema in atto, coprire le carenze evidenziatesi nel tempo ed infine rispondere alle nuove opportunità e ai nuovi obblighi derivanti dalle evoluzioni di contesto europeo e nazionale e dalle recenti nuove normative. Le principali criticità da affrontare, che corrispondono a obiettivi strategici di Piano, sono le seguenti:
- aumentare la precocità e capacità diagnostica, migliorando il sistema ospedaliero e territoriale di riferimento, le competenze dei centri per malattie rare, la possibilità di una rivisitazione costante delle diagnosi già poste in base all’evoluzione tecnologica e di conoscenza sul tema, l’integrazione del profilo di danno evolutivo e di potenzialità della persona alla diagnosi di malattia;
- garantire una reale presa in carico del malato raro, che comporta un lavoro integrato e coerente tra tutte le componenti della rete con continuità assoluta per lunghi tempi, in diverse fasi della vita e in diversi sistemi e luoghi di cura;
- accompagnare la transizione tra sistema di cure per il bambino e quello per l’adulto;
- migliorare il legame tra i centri di alta specializzazione, presenti nel territorio regionale, e i servizi e professionisti operanti nelle altre strutture ospedaliere e di cure primarie, mantenendo la priorità delle scelte che determinino una reale e consistente ricaduta clinica sul paziente e rispettando le necessità di sostenibilità del sistema;
- mitigare l’impatto sulla famiglia, che piani e percorsi di presa in carico particolarmente lunghi e onerosi determinano, spesso deteriorando lo stato di salute degli altri familiari, specie quelli più fragili, favorire l’empowerment del paziente e considerare la sua esperienza di vita di malattia come fonte essenziale da considerare nell’assumere decisioni non solo cliniche, ma anche organizzative;
- favorire l’innovazione diagnostica e di trattamento, mantenendo comunque forte il controllo sulla appropriatezza e sull’esito del suo utilizzo;
- implementare sistemi classificatori che permettano il riconoscimento delle malattie rare all’interno dei flussi informativi sanitari correnti, per valutare più appropriatamente la quantità e tipologia dei casi, il loro impatto sulla salute della popolazione, la ricaduta sul sistema sanitario e sulle sue risorse ed infine gli esiti a lungo termine delle azioni intraprese;
- attivare, al fine di migliorare la diagnosi precoce della Sclerosi Multipla, un protocollo che preveda che al paziente che si sottopone a risonanza magnetica venga effettuata contestualmente un’indagine diagnostica finalizzata all’individuazione della SM, avvalendosi, per gli esiti, del Centro regionale di riferimento.
-
Al fine di migliorare la fase diagnostica, limitando la latenza tra comparsa dei sintomi e diagnosi della malattia, riducendo il numero di pazienti senza diagnosi, e definendo al meglio le diagnosi cliniche sia dal punto di vista genetico, quando possibile, che da quello funzionale, sono stati previste le seguenti azioni che si riferiscono a diversi obiettivi operativi.
Il primo riguarda il miglioramento delle performance del sistema di riferimento, costituito sia della rete di cure primarie e la medicina generale in particolare, sia da quella ospedaliera. La formazione e l’aggiornamento dei professionisti, il loro diretto coinvolgimento anche nelle prese in carico dei pazienti, la realizzazione ed implementazione di strumenti di orientamento e di percorsi che si attivino nel sospetto diagnostico, il monitoraggio della performance di questo sistema di reclutamento ed invio ed infine il rafforzamento della partnership con le associazione d’utenza e delle azioni di informazione e orientamento del Coordinamento Regionale Malattie Rare e della help-line europea in esso operante, sono gli interventi più rilevanti attraverso i quali si intende raggiungere il primo obiettivo operativo.
Il secondo obiettivo operativo riguarda la capacità diagnostica dei centri di riferimento, che va monitorata come indicatore essenziale per la conferma del loro ruolo. In particolare, andranno valutate, a partire dalle cartelle dei pazienti parte del sistema informativo per le malattie rare, la frequenza di completa definizione diagnostica, sia per quanto attiene gli aspetti di diagnosi genetica, quando prevista e utile, sia per quanto riguarda quelli di profilatura del danno evolutivo.
L’accesso alle nuove tecnologie di indagine genetica, in caso di sospetta malattia rara, sarà considerata parte dell’attività di diagnostica dei Centri di riferimento, permettendo l’utilizzo delle tecnologie innovative consentite dai nuovi LEA primariamente in relazione ai geni causativi noti in funzione del sospetto clinico diagnostico.
Il secondo obiettivo strategico è migliorare la qualità della presa in carico integrata del malato raro e realizzare una assoluta continuità assistenziale nei tempi e fasi della vita e nei diversi sistemi e luoghi di cura.
Gli obiettivi operativi riguardano la sperimentazione di una piattaforma o piastra per le malattie rare negli ospedali dove insistono i Centri di riferimento full member delle reti ERN. Tale piattaforma è un luogo fisico dove, con rotazione a scadenza temporale definita, i professionisti delle Unità Operative parte del Centro sono copresenti per svolgere le attività di diagnostica e trattamento necessarie, in base alle condizioni cliniche del malato, affiancati, quando utile, anche dalle principali associazioni d’utenza attive per le patologie di cui il Centro si occupa.
Il budget dei Centri di rifermento sarà basato sulla valutazione del percorso del paziente anziché sul computo delle prestazioni delle singole Unità Operative. Il lavoro congiunto multidisciplinare sarà garantito dall’uso mandatorio del piano terapeutico e della cartella clinica del sistema informativo Malattie Rare regionale, accessibile in tempo reale da tutti i professionisti che concorrono alla presa in carico del malato, attraverso la diretta attivazione dei percorsi di cura.
Proprio la definizione e l’attivazione dei percorsi di cura e presa in carico del malato raro, che permettano la completa realizzazione di quanto predisposto dal centro di riferimento nei luoghi appropriati e più vicini possibile alla residenza del soggetto, costituisce il secondo elemento operativo. Esso si realizzerà con i seguenti interventi. Si definiranno anzitutto i contenuti dei percorsi di cura e presa in carico per ciascun ambito relativamente omogeneo di patologie da parte di gruppi di lavoro composti dai professionisti dei Centri di riferimento e degli altri principali servizi coinvolti, dalla rappresentanza dei pazienti e dai Servizi regionali competenti, coordinati dal Coordinamento Malattie Rare del Veneto. La scelta dei momenti clinici, delle prestazioni da erogare, del tipo di servizio e delle modalità di realizzazione delle prestazioni dipenderà delle
evidenze scientifiche, dall’esperienza dei Centri di riferimento e dalla reali disponibilità presenti in Regione. Verrà calcolato anche l’eventuale impatto sul sistema sanitario che l’implementazione del nuovo percorso potrà comportare.
In seguito si renderà formale il percorso definito precedentemente con Atto regionale e implementato nel sistema informativo delle malattie rare per la sua gestione, a partire dalle informazioni della condizione clinica del paziente presente nello stesso sistema informativo.
Verranno infine formati i professionisti coinvolti nella presa in carico dei pazienti operanti negli ospedali e nei servizi territoriali e regionali.
Per rafforzare ancora di più le reti tra i Centri e tra essi e i restanti dei servizi si intende realizzare appieno quanto previsto dall’Accordo tra governo e Regioni e PP.AA. di Trento e di Bolzano in tema di “teleconsulenza” al fine di potenziare le reti regionali per malattie rare”, sperimentando e portando a regime le prestazioni di e-health definite nel suddetto Accordo, a partire dai Centri di riferimento già organizzati a piattaforma malattie rare, perfezionando in termini applicativi gli aspetti riguardanti la responsabilità professionale e il consenso informato del paziente in modo omogeneo e standard in tutta la Regione e sperimentando la relativa valorizzazione tariffaria.
Uno degli indiscutibili successi della rete dei Centri veneti di riferimento per le malattie rare è la sua partecipazione molto numerosa alle reti europee ERN. Al fine di garantire l’impatto positivo di tale partecipazione nella concreta presa in carico di malati rari, è indispensabile mantenere e potenziare lo stretto collegamento delle attività di assistenza di tali centri veneti con il restante sistema dei servizi sanitari e la coerenza delle azioni di diagnostica e trattamento intraprese con la programmazione regionale in materia.
Pertanto si intende svolgere azioni di supporto, secondo le seguenti direzioni:
- rendere omogenei gli strumenti indirizzo, monitoraggio e valutazione delle attività assistenziali prodotte dai Centri di riferimento e conseguentemente dalla rete assistenziale rendendo omogenei gli strumenti e le modalità organizzative dei Centri di riferimento parte delle ERN; anche se operanti in ospedali regionali differenti, monitorare tale processo da parte del Coordinamento regionale malattie rare;
- supportare i Centri regionali di riferimento parte delle ERN per la corretta attuazione dei percorsi di presa in carico dei malati, specialmente nella fase di dimissione protetta e per l’interazione con i servizi ospedalieri e territoriali nelle criticità di gestione dei casi, attraverso l’azione del Coordinamento regionale malattie rare;
- utilizzare in modo condiviso il sistema informativo per le malattie rare per la raccolta dei dati clinici dei pazienti, utili per orientare le fasi di presa in carico e per valutare l’efficacia del percorso di cura specie in caso di terapie avanzate e innovative;
- monitorare, a partire dalla banca-dati del sistema informativo malattie rare, l’attività svolta dai Centri di riferimento, al fine di valutare costantemente la loro capacità diagnostica e di presa in carico del malato raro, elementi essenziali per la conferma del loro ruolo.
La precocità della diagnosi, l’appropriatezza del piano di presa in carico e l’attivazione dei percorsi di cura sono tutti macrostrumenti funzionali al raggiungimento e al mantenimento della massima qualità di sopravvivenza e quindi all’utilizzo delle capacità e delle competenze funzionali raggiunte e e/o mantenute, al controllo dei sintomi, al supporto alle famiglie e in ultima istanza, al godimento di tutti i vantaggi in salute determinati dall’azione sanitaria in tutti i contesti e dimensioni di vita del malato raro e in tutte le fasi di malattia.
Una volta ottenuto un profilo di danno e potenzialità per ciascun individuo è necessario che esso sia tradotto in conoscenza spendibile da altre Istituzioni a supporto delle decisioni che esse prenderanno per permettere il godimento di benefici economici, dell’inserimento scolastico e lavorativo, ecc.
La continuità della presa in carico deve essere garantita per tutte le fasi della malattia, compresa anche la fase terminale. Essa può comprendere un intervallo temporale anche relativamente lungo ed è indispensabile che durante questa fase della vita ci sia un adeguato collegamento con le reti di cure palliative.
Un altro obiettivo operativo, il cui raggiungimento connota parte della qualità della presa in carico, riguarda l’attenzione alla quantità e durata del coinvolgimento delle famiglie nei piani di presa in carico del malato, prevedendo in casi particolari anche la possibilità di intervalli di sollievo.

COREVE

8. LA SALUTE MENTALE


Parole chiave
Multiprofessionalità, Presa in carico, Personalizzazione, Rete, Standard

Obiettivi strategici
La salute mentale
OS1. Sviluppare la Rete integrata dei servizi secondo il modello di psichiatria di comunità nel contesto dell’organizzazione dipartimentale
OS2. Consolidare ed ottimizzare il sistema di offerta dipartimentale OS3. Promuovere la presa in carico assertiva dell’utenza
OS4. Promuovere il benessere psico-fisico del paziente
OS5. Sviluppare la prevenzione nelle fasce di popolazione più giovane.
OS6. Promuovere l’informatizzazione dei dati clinici per aumentare la condivisione e l’utilizzo degli stessi OS7. Integrare il paziente autore di reato all’interno del Dipartimento di salute mentale
La salute mentale nei minori
OS8. Sviluppare la Rete integrata dei servizi
OS9. Sviluppare un modello per la gestione di percorsi terapeutico-assistenziali OS10. Promuovere la presa in carico

8.1 LA SALUTE MENTALE NEGLI ADULTI

La salute e il benessere mentale sono fondamentali per la qualità della vita e la produttività degli individui, delle famiglie e delle comunità: non c’è salute senza salute mentale (Dichiarazione sulla Salute mentale per l’Europa, 2005).
La prevalenza annuale dei disturbi mentali nella popolazione generale italiana è dell’8% circa (Ministero della Salute). Nel corso degli anni si è rilevato un incremento significativo della domanda di interventi psichiatrici, collegati ad una evoluzione qualitativa e quantitativa della patologia psichiatrica. Poco meno di 800.000 persone hanno avuto accesso ai Dipartimenti di salute mentale italiani nel corso del 2015 (Rapporto salute mentale 2016 - Ministero della Salute).
In Veneto nel corso del 2016 hanno avuto accesso ai Dipartimenti di salute mentale più di 71.000 persone e sono stati erogati circa 800.000 interventi tra ospedalieri e territoriali.
La disabilità provocata dalle malattie mentali e i relativi costi rappresentano circa il doppio della disabilità e dei costi dovuti a tutte le forme di cancro e sono comunque maggiori della disabilità e dei costi delle malattie cardiovascolari (indicatore Disability-adjusted life year - OMS).
Le persone con disturbi mentali sperimentano tassi di disabilità e di mortalità notevolmente più elevati rispetto alla media. Per esempio, le persone con depressione maggiore e schizofrenia hanno una possibilità del 40-60% maggiore rispetto al resto della popolazione di morte prematura, a causa di problemi di salute fisica, che spesso non vengono affrontati, e di suicidio; quest’ultimo è la seconda causa di mortalità nei giovani su scala mondiale (Piano d’azione per la salute mentale 2013-2020 - WHO)
Nel 2006, nei 27 stati membri dell’Unione europea, 59 mila persone sono morte per suicidio, una cifra superiore a quella dei decessi per incidente stradale, che nello stesso anno sono stati 50 mila.
La tutela della salute mentale è una delle aree più complesse, che richiede una forte integrazione fra “area delle cure sanitarie” e “area degli interventi socio-relazionali”.
Il modello operativo adottato per la prevenzione e cura della patologia psichiatrica è quello dell’organizzazione dipartimentale, sviluppato in una rete integrata di servizi afferenti a più unità
operative, secondo una logica di psichiatria di comunità. Questo piano conferma integralmente il modello e l’organizzazione delle strutture afferenti alla salute mentale, così come definite nel precedente PSSR.
Si tratta di una rete articolata che, sotto la regia dipartimentale, deve operare mediante il metodo del Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato, condiviso con gli altri servizi del territorio, a partire dalla medicina generale e, per i casi complessi, definito in UVMD: questa modalità consente di implementare la integrazione del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) nel Distretto, pur salvaguardandone l’autonomia tecnico-organizzativa e la natura transmurale. Pertanto, il coordinamento e l’integrazione delle diverse strutture che concorrono sul territorio, siano esse pubbliche o private accreditate, ordinarie o dedicate, spettano alla direzione dipartimentale che deve gestire tale ruolo in maniera strategica ed assertiva tale da soddisfare le esigenze di cura e riabilitazione dell’utenza. Ciò è reso possibile da un’attenta ed adeguata pianificazione e programmazione delle risorse relativamente alle esigenze dell’utenza, come espressamente previsto nei piani locali, in conformità agli standard regionali previsti.
La programmazione regionale relativa alla salute mentale deve essere soddisfatta dal servizio pubblico o dal privato accreditato, laddove necessario, e deve basarsi sulle necessità dell’utenza in carico relativamente al bacino di riferimento anche in relazione ai bisogni emergenti e della necessaria trasversalità con le aree di confine (dipendenze, minori, disabilità, anziani), ivi comprese le necessità dei gruppi vulnerabili senza discriminazione né di genere, né di razza.
Per quanto concerne la cronicità e la gestione della disabilità residua relativa, si osserva che è solo parzialmente risolta la questione dei pazienti di derivazione manicomiale. La complessità e la multifattorialità del paziente cronico sono tali per cui per cui le risposte, anche residenziali e di carattere estensivo, vanno articolate secondo una visione più ampia con il coinvolgimento e l’integrazione dei servizi del distretto competenti.
Inoltre, deve essere previsto un sistema di offerta dedicato per patologie che presentano aspetti peculiari in cui è richiesta una multi-professionalità non afferente all’ordinario contesto psichiatrico, come ad esempio nei casi di disturbi alimentari.
Si ribadisce la centralità del paziente ed il coinvolgimento attivo dell’utente e della famiglia nella partecipazione al progetto terapeutico, privilegiando il lavoro sulle risorse della persona rispetto alle terapie farmacologiche e al contenimento. Altrettanto importanti sono il sostegno ed il raccordo della rete informale con la rete formale per garantire al paziente una risposta flessibile e continuativa: va pertanto incentivata la collaborazione con le Associazioni di volontariato e il privato sociale, favorendo e consolidando nel territorio la presenza di reti informali caratterizzate dall’insieme delle relazioni (familiari, parentali, amicali, di vicinato, di auto-mutuo-aiuto).
A fronte della condivisione nel territorio regionale del modello articolato di servizi e delle azioni strategiche, permane un utilizzo non del tutto omogeneo delle risorse. E' essenziale proseguire nella costruzione di cornici e percorsi organizzativi condivisi, approfondendo l'utilizzo delle risorse nei vari DSM e interfacciando l’analisi dei costi con la tipologia qualitativa/quantitativa della domanda e le caratteristiche ed i risultati delle risposte offerte. Nel rispetto delle specificità di ogni territorio e della pluralità dei modelli di intervento, è necessario sviluppare modelli omogenei di provata efficacia relativi alla promozione della salute, alla prevenzione, alla presa in carico, ai percorsi terapeutici e riabilitativi, permettendo una piena individuazione delle risorse necessarie ed una adeguata razionalizzazione dei costi. Allo scopo si prevede che le Aziende ULSS, nell’arco di vigenza del presente PSSR, assegnino fino al 5% del proprio budget, così come definito nel documento approvato dalla conferenza dei presidenti delle Regioni nel 2001, al conseguimento dei predetti obiettivi di salute mentale.
Le risorse umane e strumentali dovranno essere standardizzate ed omogeneamente distribuite. In particolare, dovrà essere fatto riferimento alla definizione di appropriati PDTA che consentano adeguata valutazione degli esiti di cura, sia ospedalieri che territoriali.
Particolare rilievo va dato sia alla valutazione della qualità del servizio, così come percepito dall’utente, che alla valutazione della qualità del clima organizzativo, così come percepito dagli stessi operatori. Si sottolinea, inoltre, la necessità dell’implementazione dell’informatizzazione dei sistemi di archiviazione e condivisione dei dati clinici, favorendo in particolare l’adozione di applicativi omogenei tra i diversi DSM.
Va infine tenuto debito conto dell’evoluzione del processo di dismissione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), avviato con il DPCM 1° aprile 2008, determinato dalla Legge 30 maggio 2014, n. 81 "Disposizioni urgenti in materia di superamento degli OPG”. Le novità introdotte dalla Legge 81/2014 richiedono un aggiornamento delle procedure interne alla rete regionale dei DSM e delle collaborazioni inter-istituzionali, in particolare con l’amministrazione penitenziaria e la magistratura di cognizione e di sorveglianza, nella presa in carico dei pazienti psichiatrici autori di reato.
In questo quadro generale, vengono individuate i seguenti obiettivi:
- consolidare la rete dei servizi della salute mentale, qualificando le prestazioni sull’evoluzione delle domande e prevedendo l’implementazione di nuovi modelli di erogazione dell’offerta e modelli innovativi di intervento per le patologie emergenti;
- promuovere la presa in carico assertiva dell’utenza, in un’ottica di psichiatria di comunità, valorizzando il modello del case management;
- sviluppare la multiprofessionalità;
- prevedere adeguati percorsi di cura e riabilitazione per i diversi quadri psicopatologici: definizione dei PDTA;
- definire programmi di sostegno alle famiglie con pazienti psichiatrici, attraverso un’assistenza domiciliare finalizzata anche ad aumentare le capacità di cura della famiglia;
- promuovere politiche per la prevenzione del suicidio;
- promuovere la salute fisica del paziente psichiatrico;
- garantire il prioritario intervento sull’età giovanile (15-29 anni), stante il consistente incremento delle prese in carico per tale fascia di età;
- consolidare e qualificare la rete residenziale e semiresidenziale, a gestione diretta o esternalizzata, secondo adeguata pianificazione e gli standard previsti;
- sostenere esperienze innovative di residenzialità leggera adeguatamente monitorate nell’ambito dei piani attuativi locali;
- promuovere l’utilizzo della Evidence Based Medicine (EBM) e delle evidenze scientifiche dei trattamenti appropriati nelle varie patologie psichiatriche;
- rafforzare la collaborazione con la medicina generale nella costruzione di percorsi di screening, diagnosi precoce e presa in carico condivisa;
- consolidare il rapporto di collaborazione e condivisione di progettualità specifiche con gli Enti locali, l’associazionismo ed il volontariato;
- promuovere interventi di contrasto allo stigma nelle sue varie forme di espressione con l’obiettivo di favorire una visione “normalizzata” delle persone con disturbi mentali, valorizzare la diversità, agire come strumento di inclusione e prevenzione, e sperimentare strumenti nuovi di interazione, dialogo e conoscenza;
- promuovere interventi terapeutico-riabilitativi che facilitino il percorso di recupero delle abilità individuali-relazionali-lavorative dei soggetti più deboli al fine di un processo di riacquisizione dell’autonomia personale, sociale e lavorativa;
- Relativamente agli ambiti della residenzialità e dell’inserimento lavorativo è opportuno sperimentare modalità di valutazione standardizzate dei bisogni individuali che, una volta condivisi in sede di UVMD, possono trovare una risposta flessibile grazie a progetti terapeutici riabilitativi individualizzati per l’integrazione socio-sanitaria con programmi differenziati per intensità, complessità e durata dei trattamenti terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi, anche attraverso la valorizzazione delle risorse individuali, familiari, sociali e sanitarie;
- rendere prioritario, all’interno dei percorsi terapeutico-riabilitativi, l’obiettivo dell’inserimento lavorativo facilitando la collaborazione tra i diversi soggetti che a vari livelli si occupano di inserimento lavorativo di utenti con disturbi psichiatrici;
- incentivare l’utilizzo della comunicazione mediante strumenti di “social media” al fine di favorire la prevenzione nelle fasce di popolazione più giovane;
- promuovere l’informatizzazione dell’archiviazione dei dati clinici per aumentare la possibilità di condivisione ed utilizzo degli stessi, in particolare implementando l’utilizzo di applicativi omogenei nelle diverse Aziende ULSS;
- promuovere una forte integrazione tra DSM e Dipartimento per le Dipendenze, in particolare al fine di favorire percorsi di cura integrati per i pazienti in doppia diagnosi;
- sviluppare linee guida regionali e/o protocolli di collaborazione tra salute mentale ed i servizi di neuropsichiatria infantile, di psicologia clinica, ospedaliera e territoriale, finalizzati ad una migliore assistenza ed alla necessaria continuità di cure dei minori/adolescenti con problemi psicopatologici;
- implementare percorsi innovativi di tele-medicina;
- rendere omogeneo l’approccio diagnostico e i relativi strumenti di assessment da utilizzare nei diversi setting di cura;
- sviluppare e implementare la rete dei servizi di cura per i detenuti psichiatrici riconosciuti, adulti e minori, in collaborazione e condivisione con l’amministrazione penitenziaria e la magistratura di cognizione e di sorveglianza.
I risultati attesi a seguito del raggiungimento degli obiettivi sopra descritti sono i seguenti:
- elaborazione di linee guida e protocolli di collaborazione ed integrazione;
- definizione dei fabbisogni e delle risorse relative alla programmazione dei DSM, anche attraverso piani di assunzione di personale qualificato;
- aumento dell’attrattività e dell’appropriatezza della presa in carico dei DSM;
- diminuzione del tasso di suicidio;
- definizione di aree e modelli di intervento strutturati ed integrati per la risposta più appropriata ai bisogni trasversali;
- miglioramento dei tassi di interventi precoci e della prognosi delle patologie più gravi.

8.2. LA SALUTE MENTALE NEI MINORI

L’accesso ai servizi per i disturbi neuropsichici dell’età evolutiva è in aumento in tutto il mondo, e lo stesso avviene in Italia. Nelle regioni che hanno strutturato un sistema di servizi di neuropsichiatria infantile (NPI), l’aumento della prevalenza trattata è mediamente del 6-7% annuo, con un aumento complessivo intorno al 40-45 % negli ultimi 6-8 anni. Anche in Veneto i servizi dedicati hanno trattato circa 60.000 utenti ogni anno con una prevalenza di circa 700 assistiti per 10.000 residenti di età inferiore a 18 anni.
La neuropsichiatria infantile si pone come servizio deputato ad accogliere i bisogni sanitari dei minori, assumendo la responsabilità di gestirne i percorsi di accesso, la valutazione, la formulazione del Progetto Quadro, la stesura del progetto terapeutico riabilitativo individualizzato (PTRI) e la realizzazione dei processi terapeutici nei casi meno complessi e direttamente attuabili. La NPI mantiene la presa in carico sanitaria all’interno delle reti collaborative più complesse, ove sia necessario erogare un percorso di cura che richieda un modello assistenziale integrato, anche tra ospedale e territorio, nell’ambito di una rete specialistica dedicata.
In tale contesto sono individuate nelle strutture ospedaliere di tipo hub apposite UOC di neuropsichiatria infantile.
Il modello di riferimento deve consentire la gestione di percorsi terapeutico-assistenziali di quadri molto eterogenei come, ad esempio, i disturbi dello spettro autistico, gli esordi psicotici precoci, i disturbi alimentari, il bullismo e i disturbi del neurosviluppo. È necessario rafforzare il concetto di presa in carico nel contesto delle reti di integrazione intra- ed extradistrettuali e la stretta collaborazione all’interno del coordinamento svolto da altre agenzie, segnatamente dalle UO distrettuali competenti con personale (sociale e sanitario) previsto nella dotazione organica delle Aziende Ulss, ai fini di una maggiore stabilità del servizio e qualità della continuità assistenziale. Nel caso di patologie di particolare impatto o che necessitino di specifici percorsi di integrazione e continuità vanno definite reti dedicate così come strutture, anche residenziali e semi-residenziali, con coordinamento condiviso. Per l’accoglienza dei giovanissimi durante le manifestazioni acute andranno implementate unità d’offerta che si pongano come luoghi intermedi fra i servizi pediatrici e la psichiatria così da poter venire incontro ai loro bisogni con particolare riguardo al benessere ed umanizzazione delle cure e della presa in carico.
Bisogna prevedere ed implementare il necessario raccordo con le figure dei MMG e dei PLS, per la costruzione di percorsi integrati per la presa in carico da parte di queste figure professionali delle situazioni cliniche meno problematiche. In particolare, le risposte alla psicopatologia dell’adolescenza richiedono una forte integrazione con competenze presenti nei Dipartimenti di salute mentale (DSM) e nei Dipartimenti per le dipendenze (DD), nonché un forte collegamento con professionisti ed agenzie (PLS, MMG, insegnanti, consultori, servizi sociale etc.) che si rapportano con gli adolescenti e devono acquisire le competenze di base per identificare precocemente l’insorgenza di disturbi potenzialmente gravi avviando interventi tanto più efficaci quanto più tempestivi. In questo ambito specifico risultano fondamentali la presa in carico e la governance sanitaria per la definizione dei percorsi di cura più appropriati, sia in termini territoriali con attività ambulatoriali e/o domiciliari in stretto raccordo che residenziali e/o semiresidenziali ove necessario.
Vanno pertanto sostenuti e potenziati:
- la presa in carico continuativa dei disturbi psicopatologici dell’età evolutiva, che comprende le prestazioni diagnostiche, l’attuazione terapeutica, il supporto riabilitativo,
l’indicazione educativa; la presa in carico include in modo indispensabile e inderogabile la famiglia e i suoi contesti di vita;
- il ricorso all’Unità di Valutazione Multi Dimensionale (UVMD) nei casi complessi, prevedendo l’individuazione del referente del caso che favorisca una maggiore efficacia dei PTRI;
- la rete dei servizi ospedalieri ed extra-ospedalieri (residenziali e semiresidenziali) a favore dei soggetti in età evolutiva affetti da disturbi psicopatologici, ivi inclusi i minori con provvedimento dell’Autorità giudiziaria;
- le modalità di transizione verso i servizi dell’età adulta laddove necessario;
- lo sviluppo e la sperimentazione di un sistema e di un flusso informativo regionale in grado di registrare l’utenza e l’attività, nelle more della definizione a livello nazionale del sistema e flusso informativo in questo settore.
Vanno definiti ed applicati adeguati PDTA con indicatori di valutazione degli esiti di cura sia ospedalieri che territoriali, anche in riferimento alle risorse umane e strumentali utilizzate.

COREVE

9. L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA


Parole chiave
Monitoraggio del bisogno Ricomposizione e focalizzazione delle risorse Sussidiarietà Welfare di iniziativa Welfare di comunità Integrazione socio- sanitaria Sinergia Inclusione Integrazione

Obiettivi strategici
OS1. Conoscere di ogni persona le patologie, la condizione sociale e reddituale OS2. Ricomporre le risorse per la Long Term Care
OS3. Welfare di iniziativa: assegnare servizi non solo a chi chiede ma anche a chi ha il bisogno e non riesce ad esprimerlo OS4. Unificare la rete dei produttori pubblici per Distretto
OS5. Rivedere gli interventi assistenziali affinché abbiano una consistenza più mirata (es. ICD)
OS6. Riorganizzare i servizi delle dipendenze adeguando il numero e la tipologia degli stessi con una prospettiva di qualità ed appropriatezza del servizio offerto
OS7. Rafforzare l’adozione del “programma terapeutico individualizzato” nell’ottica di offrire prestazioni appropriate e necessarie
OS8. Favorire l’integrazione fra pubblico e privato nella presa in carico della persona tossico/alcoldipendente e/o con Disturbi da Gioco d’Azzardo
OS9. Promuovere la centralità della famiglia nelle dinamiche sociali, economiche, culturali
OS10. Assicurare, garantire e promuovere la protezione e cura a favore dei minori e delle famiglie in difficoltà OS11. Promuovere, sostenere e qualificare i servizi educativi per la prima infanzia
OS12. Contrastare la povertà e la grave marginalità attraverso la promozione di una governance integrata tra i diversi settori regionali (lavoro, formazione sociale, salute ...) e i livelli istituzionali del territorio
OS13. Favorire l’inclusione sociale delle persone senza dimora e delle famiglie in condizioni di fragilità socio-economica e di disagio abitativo nonché la riabilitazione delle persone detenute e in esecuzione penale esterna
OS14. Contribuire alla tutela alla salute e all’assistenza socio-sanitaria delle persone affette da demenza e a rischio demenza e ridurre l’incidenza del rischio di demenza
OS15. Supportare il caregiver e la famiglia e favorire la creazione di comunità accoglienti

La centralità della persona e la considerazione dei suoi bisogni secondo un approccio di presa in carico globale e la conseguente organizzazione coordinata e unitaria della risposta assistenziale mediante l’integrazione socio-sanitaria costituisce la cifra qualificante il modello Veneto nell’ambito delle politiche per la salute. Le dinamiche di contesto impongono, peraltro, continui interventi di aggiornamento e specificazioni del modello per mantenerlo e renderlo sempre più aderente alle istanze dei singoli e della popolazione e al passo con le evidenze provenienti dal mondo scientifico e da numerose esperienze internazionali relative ai progressi nelle tecniche e nei paradigmi per l’assistenza continuativa e di lunga durata.
Nell’attuale fase congiunturale, si ritiene, pertanto, che debba essere dato un nuovo impulso alle performance di sistema muovendo lungo due direttrici interconnesse. Da un lato, attraverso l’implementazione di processi volti a rafforzare i meccanismi operativi per il coordinamento delle reti costituite dai vari soggetti agenti lungo tutta la filiera assistenziale, secondo obiettivi di razionalizzazione e di ottimizzazione delle sinergie possibili. Dall’altro, concepire tali processi in coerenza con i principi di autodeterminazione e inclusione nell’obiettivo di conseguire il massimo guadagno nei livelli di qualità di vita delle persone con limitazioni.
L’innovazione del modello nella linea indicata, pur essendo indispensabile e irrinunciabile per la sua mission: migliorare il benessere esistenziale delle persone con limitazioni, oggi, di fronte all’invecchiamento progressivo della popolazione, all’incremento nel numero delle persone non
autosufficienti e di quelle con disabilità, alle mutate condizioni socio-economiche ed ai vincoli di bilancio sempre più stringenti, non è più sufficiente. Occorre arricchirlo inglobando in esso altre componenti strategiche, in primis, quelle dipendenti dalla stessa persona, dalla sua famiglia e dalle comunità di riferimento che devono farsi parti attive dei processi: responsabilizzazione, empowerment e welfare d’iniziativa si coniugano nella reinterpretazione delle variabili determinanti lo stato di benessere del singolo e della comunità. In questa vision strategica, la partecipazione attiva e consapevole di ciascuno degli attori suindicati (persona, famiglia e comunità) nei processi di presa in carico dei bisogni sociali, socio-sanitari e sanitari diventa, quindi, fattore di sostenibilità e di generazione di nuove forme di inclusione.
Con riferimento al ruolo strategico della comunità, una componente di rilievo che ha favorito la tenuta e lo sviluppo nel tempo del modello Veneto e che ancora lo contraddistingue, è la consolidata tradizione e presenza nel tessuto sociale regionale delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, degli organismi della cooperazione e del mondo dell’associazionismo e del volontariato (“terzo settore”). Tali soggetti, aventi vocazioni, sensibilità e finalità in sintonia e convergenti con le finalità sottostanti l’intervento pubblico a favore delle persone in condizioni di bisogno e a rischio di marginalità e, nel contempo, aventi capacità di attivazione di risorse e sostegni di natura professionale ed economica, hanno contribuito con il loro apporto a dare corpo al principio di sussidiarietà. L’integrazione socio-sanitaria ed il concorso delle forme di sussidiarietà provenienti dal “terzo settore” sono divenuti punti fermi e qualificanti degli indirizzi della programmazione regionale in ambito sociale, socio sanitario e sanitario definiti nel quadro delle disposizioni di cui al D.lgs. n. 502 del 1992 e alla legge n. 328 del 2000.
Le collaborazioni avviate con il “terzo settore” hanno favorito approfondimenti e sviluppi nei processi di presa in carico delle persone, di ogni fascia d’età, in situazioni di disagio e povertà, secondo progressioni coerenti, da una parte, con le dinamiche dei bisogni assistenziali determinate dal progressivo invecchiamento della popolazione e dai mutamenti nella composizione e nei cicli di vita delle famiglie; dall’altra, con le esigenze di prevedere interventi graduali di razionalizzazione e riconversione dell’intero sistema di offerta sociale e socio sanitario, per adattarlo, come già detto, nelle modalità di risposta alla maggiore complessità dei bisogni.
Alla luce di quanto sopra, la programmazione regionale non ha mancato di considerare, nell’approntamento, manutenzione e aggiornamento degli strumenti e modalità di intervento nel sistema, la coerenza con i principi della Convenzione O.N.U. sui diritti delle persone con disabilità (New York 13/12/2006, ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 3/3/2009), allo scopo di garantire loro “piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società” ed, in particolare, “l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza”. A conferma della coerenza di quanto sinora intrapreso dalla programmazione regionale, la legge n. 112 del 22/6/2016 recante “disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare” (dopo di noi), ha introdotto strumenti innovativi e flessibili che prevedono una presenza attiva e responsabile della persona con disabilità e della sua famiglia nella definizione e nel sostegno economico degli interventi volti a “l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave”.
I progetti che andranno ad essere declinati, quale attuazione dei fondi di cui alla legge 22 giugno 2016, n. 112, saranno oggetto di monitoraggio per valutare lo sviluppo di un modello che possa affiancare l’offerta esistente, in particolare per quanto riguarda i percorsi di accompagnamento fuori dal nucleo familiare.
Si tratta di parametri che per la loro rilevanza continueranno a informare le future scelte regionali in materia. In particolare, la stessa L.R. 22/2002, che ha segnato un passo importante nell’avanzamento verso l’obiettivo di ricomposizione e riqualificazione dell’intera rete di offerta,
dovrà essere riconsiderata anche alla luce dei predetti riferimenti e tale intervento occuperà in modo significativo l’orizzonte del presente socio sanitario.
Il Distretto, come già sottolineato in altre parti del presente documento di programmazione, rappresenta il luogo dove nel concreto prende forma l’integrazione delle attività e servizi sociali, socio-sanitari e sanitari. Per quanto riguarda la figura del direttore di distretto, data la centralità di questo ruolo, per maggiore chiarezza si ritiene utile definire, con provvedimento, le funzioni distinguendole da quelle del direttore dei servizi socio sanitari.
Emerge pertanto la necessità di individuare gli standard minimi in termini di personale e prestazioni che devono essere garantite a livello distrettuale. Il Distretto, per quanto detto, dovrà sempre più sviluppare e qualificare i propri interventi, nella ricerca di ogni possibile sinergia di sistema attraverso la definizione condivisa di protocolli operativi strutturati e standardizzati per il coordinamento e l’integrazione delle azioni specifiche di ciascun soggetto della rete, puntando in tal modo alla minimizzazione dei costi di transazione. Esso dovrà, inoltre, indirizzare tale modalità di organizzazione della risposta assistenziale tenendo conto delle seguenti prospettive strategiche:
- preventiva, provvedendo, da un lato, all’individuazione precoce delle fragilità, specie quelle comportamentali, e avviando con altrettanta precocità i più appropriati percorsi riabilitativi e di presa in carico attraverso il coinvolgimento della famiglia e degli ambienti di vita (scolastici) finalizzati al recupero dei più alti livelli possibili di funzionamento a beneficio anche delle condizioni di benessere in età adulta e, dall’altro, orientando l’intervento preventivo alle forme di accompagnamento alle disabilità fisiologicamente connesse all’invecchiamento;
- invecchiamento e cronicità, provvedendo affinché la presa in carico delle persone, specie di quelle anziane non autosufficienti di quelle con disabilità, sia globale e guidata secondo una visione unitaria e di continuità, considerando e valorizzando l’apporto delle reti informali, coordinato con quello delle reti formali, e promuovendo in questo ambito progetti per la partecipazione attiva degli anziani a supporto delle persone con limitazioni.
Nello specifico, l’Area dell’integrazione socio-sanitaria affronta le tematiche relative alla presa in carico delle persone con disabilità e non autosufficienti, ponendo prioritaria attenzione alle problematiche di coordinamento delle filiere per rispondere ai bisogni assistenziali connessi all’invecchiamento e alle situazioni di decadimento cognitivo e demenza. Affronta, inoltre, le tematiche relative al contrasto delle dipendenze, ai bisogni dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia, ed ai fenomeni di marginalità, nonché ai contesti in cui vi è la necessità di promuovere l’inclusione sociale.

9.1. UN APPROCCIO GLOBALE ALLA LONG TERM CARE: UNA VISIONE DI INTEGRAZIONE SOCIO- SANITARIA PER IL WELFARE DI INIZIATIVA
Gli ambiti di intervento strategico da sviluppare in continuità d’azione

Il modello Veneto costruito attorno al pilastro strategico dell’integrazione socio-sanitaria ha posto le basi per lo sviluppo di un approccio unitario alla cura, in particolare, delle persone affette da limitazioni funzionali, incluse le demenze, con effetti positivi nell’organizzazione della risposta ai loro bisogni e nel miglioramento della speranza e della qualità di vita, che con il presente piano si intende ulteriormente sviluppare nel quadro dei principi di autodeterminazione e di inclusione sociale.
L’applicazione di tali principi nella declinazione della risposta assistenziale a questa categoria di persone, cioè con disabilità e non autosufficienti, limitazioni che di per sé stesse configurano una specifica condizione di cronicità e che richiedono interventi assistenziali continuativi di lunga
durata (Long Term Care), deve necessariamente contemplare la prospettiva della sostenibilità attuale e futura del sistema.
Gli ambiti di svolgimento delle possibili revisioni, logicamente interconnessi, riguardano, quindi, l’ottimizzazione delle seguenti variabili:
- gli esiti riferiti ai domini della qualità di vita delle persone, agendo con priorità sulle loro capacità funzionali in rapporto ai loro contesti di vita, scuola e lavoro, monitorandone l’evoluzione;
- i processi di allocazione e utilizzo delle risorse secondo criteri di equità e di evidenza scientifica e/o fondati su buone pratiche.
A tal fine, le misure da portare a compimento nell’orizzonte del presente piano devono conformarsi ai seguenti criteri:
- implementare modalità e tecniche socio-educative-abilitative e assistenziali-tutelari scientificamente supportate e capaci di perseguire, anche con l’ausilio di tecnologie specifiche, il più alto livello possibile di funzionamento e autonomia delle persone con disabilità e non autosufficienti, favorendo in tal modo la riduzione della domanda di sostegni e supporti e una maggiore flessibilità nell’organizzazione dei processi assistenziali sia a livello domiciliare e semiresidenziale sia a livello residenziale;
- attivare sostegni e supporti erogati dai servizi della rete formale (prescritti da parte delle aziende ULSS e dei Comuni nel loro ruolo di committenti) secondo priorità rispetto al bisogno, tenendo conto delle risorse personali, familiari e del contesto sociale di riferimento (servizi della rete informale), nonché delle specifiche capacità di contribuzione;
- rafforzare gli interventi a sostegno della domiciliarità, compresi gli interventi di sollievo e di contrasto alla solitudine, essendo questo il livello assistenziale in cui maggiormente si integrano i servizi della rete informale con effetti positivi in termini di qualità di vita e sostenibilità rispetto all’evoluzione dei bisogni;
- promuovere l’attivazione di percorsi di sostegno alla partecipazione e all’inclusione sociale che ponendo al centro le potenzialità della persona concorrano alla generazione di processi con valenze restitutive e trasformative dei contesti sociali e lavorativi di appartenenza delle persone con disabilità e non autosufficienti e percorsi e condizioni che portino le stesse persone ad autodeterminarsi e, quindi, ad essere protagoniste della propria vita.
- promozione della terapia con gli equini ed in particolar modo l’ippoterapia. Il piano sociosanitario preveda l’inserimento della terapia, l’educazione e l’attività assistita con gli equidi quali strumenti finalizzati alla cura e al recupero delle persone affette da disagio comportamentale o sociale o da limitazioni fisiche o sensoriali, che possono giovarsi dell’impiego e del contatto con gli equini allo scopo di favorire la loro integrazione sociale e migliorare la qualità di vita, in conformità a quanto previsto dalla legge regionale n. 9/2018 .
La necessità di ricomporre il quadro delle risorse della rete informale in un processo unitario di determinazione della risposta assistenziale coordinata dalle aziende ULSS, risiede anche nell’entità delle risorse gestite direttamente dalle famiglie sia nella forma del caregiver interno (familiare) sia in quella del caregiver esterno (assistente familiare). Riguardo a quest’ultima modalità, si stima che la domanda delle famiglie coinvolga all’incirca 65.000 assistenti familiari per un equivalente economico annuale stimabile in 780 milioni. In tale ambito rileva, inoltre, l’importanza delle prestazioni erogate dall’INPS (assegni di accompagnamento, pensioni/assegni di invalidità e permessi lavorativi retribuiti ex lege n. 104 del 1992).
Per le finalità di cui sopra la programmazione regionale ha strutturato la propria azione dotandosi dei seguenti parametri tecnico-organizzativi e di allocazione delle risorse di cui si conferma la validità, precisando per ciascuno le prescrizioni che dovranno informarne il funzionamento nel periodo di validità del presente piano:
- un meccanismo operativo: Unità di Valutazione Multidimensionale Distrettuale (UVMD) alla quale è affidato il compito di effettuare la diagnosi del bisogno bio-psico-sociale e di individuare la risposta più appropriata, rispetto all’evidenza scientifica e all’efficacia globale e contestualizzata, per ogni determinata persona svantaggiata e/o con limitazioni funzionali. La composizione della UVMD, proprio per la molteplicità dei profili oggetto di valutazione, prevede la presenza di operatori sociali, socio-sanitari e sanitari, nonché della stessa persona con disabilità o non autosufficiente, della sua famiglia o di chi ne tutela gli interessi. Presenze quest’ultime necessarie per dare attuazione concreta al principio di autodeterminazione, contribuendo così ad ottimizzare il trade off tra standardizzazione e qualità della vita nella definizione del progetto personalizzato;
- due strumenti a supporto delle valutazioni: Scheda di Valutazione Multidimensionale per le persone con disabilità (S.Va.M.Di.) e Scheda di Valutazione Multidimensionale Anziani (S.Va.M.A.), al fine di garantire, da un lato, l’obiettività delle valutazioni del bisogno bio- psico-sociale secondo le classificazioni previste dall’International Classification of Functioning (I.C.F.) e dall’International Classification of Diseases (I.C.D.) e, dall’altro, l’impiego di metodologie di valutazione omogenee su tutto il territorio regionale;
- uno strumento di ricomposizione delle risorse disponibili per definire risposte appropriate alle specifiche esigenze della persona beneficiaria: progetto personalizzato concepito sulla base di pertinenti valutazioni tecnico-specialistiche e aperto alle relazioni positive attivabili nel contesto sociale di appartenenza. Pertanto, attraverso tale strumento i vari interventi, servizi, sostegni e supporti, anche nella forma di trasferimenti monetari, provenienti non solo da istituzioni pubbliche, ma pure a carico dei vari soggetti presenti nel territorio, nonché dalla stessa persona e/o dai suoi familiari, vengono programmati e opportunamente integrati e coordinati in modo unitario e mirato rispetto al bisogno e alle aspirazioni della persona, assumendo come criteri guida il miglioramento della qualità di vita e la sostenibilità del sistema. L’attuazione del progetto è sottoposta a monitoraggio in relazione alle fasi di evoluzione dei bisogni.
Attraverso il funzionamento di tali parametri allestiti per la diagnosi del bisogno e per la definizione della presa in carico dell’assistito da parte del sistema, si realizza, da un lato, l’integrazione socio-sanitaria nella rete formale dei servizi territoriali, tenuto conto delle risorse della rete sociale informale disponibili e attivabili e, dall’altro, anche in coerenza con i principi della Convenzione O.N.U. richiamati, il coinvolgimento delle persone con disabilità o non autosufficienti e dei loro familiari e/o caregiver nella definizione condivisa del progetto personalizzato.
Con riferimento a tali parametri, al fine di favorire il rispetto delle prescrizioni di funzionamento su riportate, si indicano le seguenti azioni prioritarie:
- UVMD: le attuali modalità di monitoraggio e ri-valutazione degli assistiti devono essere riconsiderati e riqualificati in capo all’UVMD, attesa la rilevanza della funzione di tale Unità nel processo di allocazione delle risorse e nella garanzia di omogeneità e uniformità su tutto il territorio regionale delle valutazioni espresse a parità di bisogno e ciò anche in relazione all’obiettivo di armonizzazione prescritto dalla L.R. 19/2016;
- schede di valutazione S.Va.M.A. e S.Va.M.Di.: atteso il trend epidemiologico in atto verso case mix ad alta complessità e con crescente prevalenza di patologie croniche, legato al processo di progressivo invecchiamento della popolazione ed al correlato aumento tendenziale della domanda di assistenza, si rende necessario provvedere al loro aggiornamento, migliorando, in particolare, la loro sensibilità nella graduazione dei bisogni, anche mediante una coerente modalità di contestualizzazione dei profili di gravità, clinica e funzionale, che discrimini le casistiche rispetto all’effettivo assorbimento di risorse, sostegni e supporti assistenziali. Tale aggiornamento delle schede di valutazione multidimensionale si rende, altresì, necessario per conformarle alle metriche e classificazioni delle disabilità considerate a livello nazionale quali presupposti metodologici che condizioneranno l’erogazione delle risorse provenienti dal fondo nazionale per le non autosufficienze. Dovrà, inoltre, essere completata l’informatizzazione delle schede e dovranno essere elaborate schede di valutazione multidimensionali per soggetti disabili in età evolutiva secondo le classificazioni previste dall’International Classification of Functioning, Disability and Health for Children and Youth (ICF – CY).
Gli interventi avviati nella direzione della domiciliarità, che, come detto, proseguiranno ulteriormente anche con le dovute razionalizzazioni e aggiornamenti, si sono concretizzati in misure a favore delle persone con disabilità per la “vita indipendente”, per l’”inclusione sociale” e per il “dopo di noi”, nonché per l’inserimento e l’integrazione scolastica e per l’inserimento lavorativo, e in misure a favore delle persone anziane non autosufficienti e delle loro famiglie e/o caregiver, mediante l’attivazione di centri diurni e centri di sollievo e, più in generale, attraverso l’istituzione delle Impegnative di Cura Domiciliare (I.C.D.) e il consolidamento del servizio di telesoccorso-telecontrollo. In tale ambito si prevede l’avvio di percorsi per realizzare fondazioni di comunità o di partecipazione per il “dopo di noi”.
Infine, un ambito strategico distinto dai precedenti e rispetto al quale è necessario intervenire, specie in prospettiva preventiva, riguarda l’individuazione precoce dei minori con problematiche comportamentali, in considerazione, da un lato, dell’incremento di tali situazioni di fragilità e disagio, dall’altro, dell’efficacia di programmi riabilitativi avviati già in età infantile nella modifica del decorso dei problemi di comportamento, con guadagni in termini di minori limitazioni e minor fabbisogno di sostegni in età adulta. A tal fine è prioritario prevede la sperimentazione di metodologie e strumenti multidimensionali per lo screening precoce delle predette problematiche comportamentali, con l’implementazione di tecniche riabilitative specifiche che contemplino anche il coinvolgimento diretto del mondo della scuola e della famiglia attraverso appositi percorsi formativi e informativi.

Gli ambiti di intervento strategico da sviluppare con ulteriori azioni innovative

Le dinamiche richiamate in ordine ai fenomeni della disabilità e della non autosufficienza evidenziano, come detto, situazioni di bisogno legate al progressivo invecchiamento degli assistiti, la cui speranza di vita risulta aumentata rispetto al recente passato. L’ISTAT ha stimato che il 18,5% della popolazione anziana presenta quadri patologici che richiedono cure continuative di lungo periodo, per il Veneto circa 197.000 persone.
Con particolare riferimento alle persone non autosufficienti ospitate presso i Centri di Servizi del Veneto, si riscontra un’età media di 85 anni (86 per le donne e 80 per gli uomini) e le relative situazioni di bisogno risultano aggravate dalla presenza di più patologie, tra le quali si ritrovano, con alta frequenza, disturbi mentali/psicologici (demenze senili/Alzheimer) e malattie del sistema cardiocircolatorio che, nel complesso, necessitano di una maggiore assistenza sanitaria.
Si tratta, quindi, di pazienti anziani con livelli di complessità elevata, circostanza che denota la tendenza delle famiglie, dovuta anche a fattori affettivi, a ritardare il più possibile il momento dell’istituzionalizzazione e dei relativi alti costi, facendosi carico direttamente dell’assistenza del proprio congiunto non autosufficiente, ricorrendo anche a contratti con assistenti familiari, modalità tendenzialmente meno onerosa dell’istituzionalizzazione.
Questa propensione delle famiglie diventa una risorsa da valorizzare e sostenere ulteriormente nell’attuale contesto in cui, da un lato, il bisogno assistenziale si evolve verso livelli di maggiore complessità e ad alto assorbimento di risorse; dall’altro, la fiscalità pubblica e regionale, in particolare, pone vincoli rigidi di sostenibilità economica dell’intero sistema sanitario e socio sanitario.
Pertanto, nella prospettiva della qualità di vita delle persone con limitazioni, la strategia regionale intende proseguire nel miglioramento dei livelli di efficacia ed efficienza delle misure in atto a favore della domiciliarità. Gli ambiti di intervento prioritario riguardano: il rafforzamento dei processi di continuità ospedale-territorio, prevedendo moduli diversificati e integrati all’interno della filiera tali da garantire, principalmente, l’appropriatezza delle dimissioni ospedaliere e il supporto alle famiglie sia nella fase della dimissione sia nella fase dell’assistenza domiciliare; l’aggiornamento del sistema delle impegnative di cura domiciliare; la qualificazione degli assistenti familiari. In particolare:
- rafforzamento dei processi di continuità ospedale-territorio: l’intervento concorre altresì a perseguire gli obiettivi di riduzione degli accessi e utilizzi impropri delle strutture ospedaliere e prevede di proseguire nella direzione dell’integrazione dei servizi ospedalieri con i servizi sanitari territoriali garantiti dalle cure primarie attraverso lo sviluppo di:
protocolli di presa in carico globale delle persone con limitazioni, non autosufficienti o con disabilità, assistiti a domicilio;
reti strutturate e standardizzate per garantire in modo coordinato la continuità assistenziale tra ospedale e territorio ed, in particolare, l’appropriatezza delle dimissioni ospedaliere attraverso percorsi di accompagnamento graduali e temporanei tesi a superare possibili disagi e difficoltà che in determinate situazioni di fragilità il passaggio diretto al setting assistenziale domiciliare potrebbe comportare. A tal fine, si prevede, anche attraverso opportune sperimentazioni, l’implementazione di setting assistenziali coordinati nella filiera attraverso la Centrale Operativa Territoriale (C.O.T.), prossimi a quelli offerti dai Centri di Servizi per non autosufficienti e distinti da quelli offerti dalle strutture intermedie, nell’obiettivo di supportare le famiglie per un rientro sufficientemente organizzato del proprio congiunto. Più in generale, la diversificazione della filiera ospedale-territorio con la previsione di tale modulo assistenziale consentirà di perseguire con maggiore efficacia l’appropriatezza della risposta assistenziale supportando anche altre tipologie di transizione da un setting assistenziale all’altro nella gestione integrata dell’assistito senza soluzioni di continuità: Ospedale, Strutture Intermedie, Centri di Servizi, Assistenza Domiciliare;
Un riferimento specifico riguarda la gestione dei casi codificati con “doppia diagnosi”: disabilità accompagnata da disturbi psichiatrici, per i quali occorre rafforzare il coordinamento con i dipartimenti di salute mentale, con riguardo al SPDC a livello ospedaliero e al CSM a livello territoriale, attraverso lo sviluppo di protocolli condivisi;
- aggiornamento del sistema delle impegnative di cura domiciliare: lo strumento I.C.D. si è dimostrato una valida risposta ai bisogni assistenziali gestibili a domicilio, tuttavia, alla luce
delle evidenze emerse, si rende necessario un intervento di affinamento rispetto ai seguenti parametri:
definizione mirata dei vari target di bisogno a cui lo strumento è indirizzato;
congruità della valorizzazione dei profili I.C.D. rispetto alla tecnica di cura e tutela conseguente all’efficacia attesa per ogni target di bisogno;
ampliamento della gamma dei profili I.C.D. al fine di assicurare risposte univoche e certe a quelle tipologie di assistiti non già considerate in modo puntuale e specifico;
- qualificazione degli assistenti familiari: l’intervento concorre alla regolamentazione del mercato degli assistenti familiari nel solco delle disposizioni di cui alla L.R. 38/2017 recante “Norme per il sostegno delle famiglie e delle persone anziane, disabili, in condizioni di fragilità o non autosufficienza, per la qualificazione e il sostegno degli assistenti familiari”, prevedendo:
l’attivazione di corsi specifici sulle competenze assistenziali di base a favore di coloro che intendono svolgere l’attività di assistente familiare;
l’istituzione di elenchi regionali da cui le famiglie e/o persone con limitazioni possono attingere per l’individuazione degli assistenti familiari in possesso di competenze adeguate;
la possibilità per le famiglie e/o persone con limitazioni di poter accedere a eventuali contributi nel caso in cui l’assistente familiare sia stato individuato nell’ambito degli elenchi regionali e regolarmente contrattualizzato.
I Centri Servizi per Anziani - Ipab potranno attivare percorsi di formazione degli assistenti familiari e predisporre registri per la loro collocazione e utilizzo, anche temporaneo, presso le famiglie che ne facciano richiesta.
Altra misura strategica si muove sul piano degli interventi volti a migliorare la qualità di vita delle persone adulte e anziane, in una prospettiva generale di prevenzione e conservazione della salute e delle capacità funzionali, attraverso l’attuazione delle disposizioni previste dalla L.R. 23/2017 e finalizzate alla “promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo”. Gli interventi che si prevede di avviare in attuazione delle predette disposizioni di legge assumono rilevanza in quanto, nel valorizzare “la persona come risorsa”, concorrono, da un lato, a contrastare fenomeni di isolamento ed esclusione sociale e, dall’altro, a favorire processi di inclusione e integrazione sociale, mediante iniziative di volontariato che possono spaziare trasversalmente su molteplici campi, inclusa l’assistenza informale quale ambito di azione in cui dare e ricevere aiuti e sostegni.
In tal senso, mutuando l’esperienza delle reti familiari, il progetto “prendersi cura della persona anziana”, diventa l’elemento per dare risposte, essere vicini e garantire servizi alla persona che invecchia.
Importante è la conoscenza da parte dei servizi sociali delle persone anziane che vivono sole, delle coppie di anziani, o di genitori anziani con figli con disabilità. La conoscenza di queste persone permetterà d’intervenire in vari frangenti, ad esempio nelle situazioni di allertamento della popolazione (per rischi antropici, sanitari, situazioni climatiche), per il sostegno in momenti di maggior fragilità della persona, per far conoscere alle persone i servizi, le cure e come averne accesso.
Una comunità consapevole, delle persone che la compongono, sarà più inclusiva ed accogliente per rispondere e garantire l’accesso ai vari servizi rispetto al bisogno, prima tramite azioni di buon vicinato e la costituzioni di reti locali di supporto alle persona, con l’affido della persona adulta ed
anziana, poi offrendo servizi di sostegno alla domiciliarità, sino ad arrivare ai servizi in semi residenzialità ed alle altre forme di sostegno offerte tramite i centri servizi, in collaborazione con i Comuni.
Per quanto riguarda le persone con disabilità i positivi progressi raggiunti nella speranza di vita si scontrano con la crescita delle situazioni caratterizzate dall’assenza del sostegno genitoriale e/o familiare. Inoltre, i quadri evolutivi dei bisogni di queste persone connessi al processo di invecchiamento non determinano ancora situazioni di gravità, clinica e funzionale, paragonabili a quelle degli anziani non autosufficienti assistiti presso i Centri di Servizi, tale circostanza comporta la necessità di rivedere le attuali classificazioni e relative disposizioni focalizzate sull’età, al fine di rendere maggiormente coerente l’organizzazione delle tecniche di cura e tutela rispetto ai bisogni. Emblematici i casi delle persone con disabilità over 65 e degli adolescenti. Occorre, pertanto, superare tali schemi e fondare le valutazioni circa le modalità più appropriate di erogazione delle prestazioni residenziali, semiresidenziali e domiciliari sul criterio del bisogno e sulla flessibilità dei progetti e delle unità di offerta.
A questo riguardo, il D.P.C.M. del 12/1/2017 recante “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (L.E.A.), di cui all’art. 1, co. 7 del D.lgs. n. 502 del 1992” ha emanato nuove disposizioni in materia di L.E.A. che dovranno essere assunte a base della dovuta rivisitazione dei livelli erogati nel territorio regionale, con riferimento sia all’area della disabilità che a quella della non autosufficienza.
Verranno, inoltre, riconsiderate le modalità di compartecipazione al fine di garantire uniformità di trattamento ed equità rispetto all’effettiva capacità contributiva degli assistiti, tenendo conto della peculiarità delle persone con disabilità congenita come previsto dalle disposizioni statali in materia.
La programmazione regionale intende, pertanto, ripensare l’attuale sistema delle unità di offerta, residenziali e semiresidenziali, stabilito dalla L.R. 22/2002, al fine di riqualificarlo e renderlo maggiormente coerente rispetto a:
- la relazione tra i profili di gravità, clinica e funzionale, da un lato, e la tipologia della struttura residenziale e semiresidenziale, dall’altro;
- le tendenze evolutive dei bisogni legate all’invecchiamento, favorendo tecniche di cura e tutela che siano convenientemente fondate sugli esiti esistenziali da raggiungere rispetto ai domini di qualità della vita;
- la necessità, quindi, di valorizzare gli elementi di flessibilità e variabilità della risposta in relazione alle effettive condizioni di bisogno accertate e contestualizzate;
- la sostenibilità complessiva del sistema.
Ne consegue che, in continuità con il precedente Piano, rimane prioritario l’intervento di “rimodulazione delle unità di offerta, sviluppando una flessibilità organizzativa per adeguare progressivamente gli standard previsti dalla L.R. 22/2002 alle esigenze assistenziali e alla sostenibilità economica del sistema”.
In connessione a quanto sopra, viene confermato il carattere strategico della ricerca di forme innovative e flessibili di risposta ai bisogni delle persone con disabilità, che siano alternativi ai centri diurni e che valorizzino la persona, la sua crescita e, persino, il suo contributo alle attività produttive, anche mediante progetti inclusivi di inserimento mirato. Le sperimentazioni conseguenti dovranno, in particolare, riguardare iniziative finalizzate a razionalizzare l’uso dei sostegni e supporti, a recuperare maggiori livelli di appropriatezza ed a garantire la sostenibilità economica e la possibilità di promuovere modalità di autofinanziamento nel tempo. Le medesime
sperimentazioni dovranno, inoltre, essere definite nel quadro dei progetti personalizzati valutati e condivisi in sede di UVMD Tali iniziative trovano ulteriori fattori propulsivi anche nella cornice strategica già contemplata nel precedente PSSR, laddove veniva disposta “la realizzazione di un welfare di comunità attraverso il coinvolgimento del terzo settore nelle sue varie espressioni (associazioni, cooperative, fondazioni, volontariato ...) in un’ottica di collaborazione sia nella programmazione che nella gestione corresponsabile anche economica dei servizi”, ed evidenziati i ruoli, sempre più importanti, di risorsa sociale della famiglia e della comunità locale nello sviluppo dei progetti di vita e di inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali.
Alla luce di quanto sopra, il percorso di razionalizzazione deve necessariamente tradursi in una azione generale di riconversione e riqualificazione della spesa, per la quale l’ospedalizzazione o l’istituzionalizzazione rappresentino solo un temporaneo momento del ciclo terapeutico- assistenziale coordinato nel progetto personalizzato, e per la quale, come detto, il ruolo della famiglia e della comunità di appartenenza costituiscono certamente punti cardini con ricadute positive nella risposta ai bisogni delle persone con limitazioni.

Le persone con disabilità

La persona con disabilità che si trovi in questa condizione dalla nascita, o che si trovi ad affrontare il percorso di una disabilità acquisita, deve essere posta nelle condizioni di affrontare il percorso personale tale da permetterle di crescere e maturare esperienze, di educazione, di studio, di formazione e lavoro, di socializzazione il più possibile piene e complete.
Tale visione abbraccia tutti gli aspetti di vita della persona dalla nascita in poi, secondo il progetto di vita di ognuno.
L’aspetto culturale, peraltro, cresciuto anche grazie alle famiglie dove sono presenti persone con disabilità, ha permesso alla società di maturare esperienze e di far crescere il mondo del Terzo settore, all’interno del quale si sono sviluppate esperienze e progetti di spessore e qualità.
Nel descrivere, nel presente capitolo, il sistema d’offerta dei servizi e l’integrazione socio-sanitaria s’intende fotografare ed implementare l’esistente, tenendo conto di quanto già indicato nel PSSR 2012-2016 rispetto al quale il presente Piano costituisce un aggiornamento.
Pertanto il riconoscimento della condizione di vulnerabilità e fragilità in termini di salute, pur di fronte all’allungamento della vita, pone il tema della cronicità da un lato e dell’invecchiamento che la persona con disabilità si trova ad affrontare. In tal senso importante è la relazione con le famiglie, il tema del “dopo di noi” e di modelli, anche sperimentali, che potranno essere messi in atto per ipotizzare scenari futuri e dare risposte alle persone nel prossimo futuro. Il tema dell’abitare, è peraltro uno dei principali argomenti sul quale concentrare l’attenzione.
Parallelamente si andrà a riconoscere percorsi di vita per i giovani con disabilità, la cui plasticità nelle relazioni permette di costruire esperienze anche con progetti innovativi che possono integrare l’abitare, l’occupazione (formazione e lavoro) e la socializzazione e crescita personale.
In tal senso una società “a misura di persona” permette una maggior qualità di vita, le reti di vicinato, piuttosto che le reti sociali contribuiscono a superare le difficoltà relazionali permettendo alla persona un riconoscimento nel luogo di vita e la sua partecipazione alla vita di quella comunità.
Per quanto riguarda la “misurazione” delle unità d’offerta e dei servizi si conferma l’utilità del sistema informatico, in uso, per monitorare le richieste, le liste d’attesa, l’applicazione della DGR
n. 740/2015 per quanto riguarda le rette tipo per i Centri diurni per persone con disabilità e per i progetti di sperimentazione in materia di semiresidenzialità, elementi questi importanti per la programmazione regionale e la collaborazione con il Tavolo Regionale della disabilità. In tal senso
si ritiene opportuna l’attivazione del registro liste d’attesa in ogni Ulss e la redazione della carta dei servizi per persone con disabilità e non autosufficienza.

Le persone con disturbi dello spettro autistico

Il Gruppo di coordinamento tecnico regionale per i Disturbi dello Spettro Autistico (ASD) ha il mandato di monitorare e verificare l’applicazione a livello locale delle linee di indirizzo, definire azioni prioritarie per migliorare la qualità e l’efficacia degli interventi e definire percorsi che assicurino la continuità di cura nell’arco della vita, affrontando la criticità del transazione dall’età evolutiva all’età adulta. Tale soggetto, farà da supporto al Tavolo tecnico regionale sull’autismo anche alla luce delle recenti disposizioni in materia di diagnosi, cura e riabilitazione delle persone con ASD e di assistenza alle famiglia (DGR n. 2177 del 29 dicembre 2017).
Al fine di dare una risposta omogenea sul territorio è stato dato corso ad una ricognizione in ordine agli interventi attuati dai servizi sanitari con riferimento ai minori in età prescolare e scolare, agli adolescenti ed alla persona adulta. Tale attività risponde, peraltro, alla necessità di dare attuazione alla L. 18 agosto 2015, n. 134 ed al Decreto 30 dicembre 2016 del Ministro della salute di concerto con il Ministro all’Economia e delle Finanze.
Lo sviluppo di un set di indicatori di diagnosi e trattamento in grado di fornire una ampia rappresentazione del percorso sanitario e socio sanitario, avrà lo scopo di raggiungere l’obiettivo prefissato, pensando alla presa in carico della persona attraverso la diagnosi precoce, così da garantire un percorso chiaro al minore fin dalla tenera infanzia e nell’età adolescenziale che rappresenta un target importante per i servizi di neuropsichiatria. Sono stati inoltre adeguatamente sviluppati gli indicatori riguardanti gli interventi con la famiglia e la scuola anche questi significativi per i servizi di neuropsichiatria.
Per quanto riguarda la formazione è necessario garantire l’integrazione di conoscenze e competenze fra le varie figure professionali coinvolte.
Infatti, nel dare per appurata la diagnosi precoce, rispetto alla quale si potrà solo agire nel migliorare l’organizzazione, è necessario intervenire in modo da realizzare percorsi positivi che possono influire sulla qualità di vita della persona con ASD attivando progetti abilitativi precoci. In tal senso è quanto mai necessario collegare i vari piani di assistenza (sanitaria, sociale, educativa), garantendone l’interazione, così da creare una rete di supporto mirata intorno al bambino e definire, per il giovane, il percorso di vita in stretta collaborazione con la famiglia.
In relazione alle Linee di Indirizzo regionali per i Disturbi dello Spettro Autistico (DGR n. 2959 del 28 dicembre 2012) sarà approvato il provvedimento che definirà di Linee d’indirizzo per le persone con ASD.
Le Aziende ULSS dovranno realizzare, in armonia con i due centri regionali di riferimento, la pianificazione delle attività in relazione alle Linee di indirizzo per offrire alle persone con ASD, ed alle loro famiglie, un’offerta di servizi integrata che si concentri a migliorare il passaggio e la presa in carico tra i servizi per l’Età evolutiva (Neuropsichiatria infantile) e l’Età adulta (Area disabilità).
I Centri regionali di riferimento per l’autismo sono così organizzati:
- il primo, a Verona, presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata/UO Neuropsichiatria Infantile, si occuperà della ricerca, della diagnosi precoce, degli accertamenti eziologici e degli approfondimenti internistici. Il centro formerà gli operatori sanitari delle equipe multidisciplinari territoriali e definirà gli interventi abilitativi precoci ed intensivi.
- l’altro, a Treviso, presso l’Azienda Ulss 2 Marca Trevigiana/UO Neuropsichiatria Infantile, si occuperà delle persone adolescenti e giovani adulte, favorendo le autonomie personali, riabilitative e sociali nonché l’inserimento lavorativo. Il Centro definirà il piano di assistenza e ne valuterà l'andamento, costituirà punto di riferimento per le famiglie tenendo conto del fatto che le tematiche da seguire riguarderanno le abilità sociali e lo sviluppo di competenze necessarie all’inserimento lavorativo.
I due centri si coordineranno con la Regione e con l’Istituto Superiore di Sanità e svolgeranno attività di consulenza per le equipe territoriali. I due centri di riferimento svolgeranno funzione di coordinamento della rete dei servizi presente in ogni Azienda ULSS, rafforzando il principio della partecipazione e del coinvolgimento dei soggetti che fanno parte della organizzazione dei servizi e di supporto alle famiglie.
L’assistenza alla persona si svolge inoltre attraverso strutture socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali, la qualità dei servizi erogati sarà monitorata anche mantenendo un riferimento che funga da regia regionale.

Le azioni strategiche strumentali

In parallelo agli interventi su indicati occorre porsi in una prospettiva strategica di innovazione per lo sviluppo di un approccio globale e inter-istituzionale alla Long Term Care, considerato che oggi nel sistema delle cure di lungo periodo sono presenti più soggetti con competenze e risorse proprie (enti del SSSR/SSN, INPS, Enti Locali).
L’obiettivo strategico da condividere su un piano inter-istituzionale deve dare nuovo valore alla visione globale dell’integrazione socio-sanitaria e spingere l’intera organizzazione del sistema verso un welfare di iniziativa, mettendo a fattor comune, in primis, le informazioni e conoscenze, affinché l’azione coordinata delle varie istituzioni possa prendersi cura, anche in un’ottica preventiva, pure di quelle persone che per varie ragioni non sono in grado di esprimere il proprio stato di bisogno.
In questa direzione, rileva l’obiettivo di promuovere la realizzazione di una infrastruttura informativa che superi la frammentazione delle banche dati appartenenti a soggetti autonomi (aziende ULSS e altri enti del SSSR/SSN, da un lato, comuni e altri enti locali, INPS, etc., dall’altro), ma operanti comunque nel sistema sociale, socio sanitario e sanitario e consenta un quadro informativo completo sulle caratteristiche (anagrafiche, sanitarie, sociali, economiche, etc.) delle persone beneficiarie di attività e servizi e/o che hanno preso contatto con i vari sportelli. In tal modo, l’azione regionale si prefigge di ricostruire i percorsi della cronicità, della non autosufficienza e della disabilità, acquisendo dalla loro analisi le conoscenze necessarie a ricomporre le risorse movimentate nel sistema secondo schemi allocativi di maggior equità ed appropriatezza, nonché conoscenze sul tasso di copertura del bisogno.
Al fine di dare corpo a tale azione di razionalizzazione degli interventi di Long Term Care, si rende necessario promuovere la definizione di formule di raccordo tra i vari organismi di valutazione dei bisogni assistenziali: le UVMD delle aziende ULSS e le Commissioni mediche per l’accertamento sanitario dell’invalidità civile a fini INPS, nell’obiettivo di pervenire a modalità strutturate di integrazione e condivisione delle valutazioni secondo approcci multidimensionali e multidisciplinari, tenuto conto di eventuali esperienze già maturate.

Gli ambiti di intervento strategico sulle strutture di offerta socio-sanitarie

Sotto il profilo istituzionale, la governance territoriale e l’integrazione socio-sanitaria, nel modello Veneto si qualifica, all’interno degli ambiti distrettuali, per la partecipazione delle comunità locali (Comitati e Conferenze dei Sindaci) ai processi di pianificazione e per la delega dai comuni alle
aziende ULSS della gestione di molteplici servizi sociali. I processi di delega potranno essere estesi il più possibile alla totalità dei servizi sociali, al fine di perseguire l’obiettivo di ricomposizione globale delle risorse, evitando in tal modo frammentazioni, sovrapposizioni e inefficienze di sistema.
In tale contesto, lo strumento primario di ricognizione dei bisogni per l’integrazione socio-sanitaria e per la ricomposizione e l’ottimizzazione delle risorse, provenienti dalle reti formali e informali e più in generale dal territorio, è rappresentato dal Piano di Zona del Distretto.
Appare necessaria l'attualizzazione dei Piani di Zona, attraverso linee di indirizzo che rispondono ai bisogni espressi dalle comunità con particolare attenzione a nuovi ambiti d’intervento e alle nuove emergenze su cui i Comitati dei Sindaci sono già attivi. Fra questi temi, per quanto riguarda i giovani, andrà valutata la questione dell’abbassamento dell’età sull’uso di sostanze ed alcol da parti dei minori, dipendenze compresa quella da gioco patologico, le forme di bullismo e cyberbullismo, per gli adulti i vari temi quali la violenza contro le donne, il gioco patologico, il contrasto alla povertà e il monitoraggio degli anziani che vivono soli.
Dalla predetta ricognizione potranno emergere valutazioni in ordine alla capacità produttiva esistente in rapporto al fabbisogno e alla distribuzione delle unità di offerta per tipologia e ambiti territoriali di riferimento.
Il Piano di Zona svolge, pertanto, una funzione di fondamentale importanza nel procedimento regionale di accreditamento delle unità di offerta. Quest’ultimo costituisce la sintesi finale dei singoli processi valutativi locali effettuata dalla Giunta regionale “al fine di meglio garantire l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture ... in conformità agli atti di programmazione socio-sanitaria regionale vigenti” (art. 15 della L.R. 22/2002) e “compatibilmente con le risorse regionali disponibili” (art. 8 quater del D.lgs. n. 502 del 1992).
L’accreditamento rappresenta, quindi, lo strumento di regolazione dell’intero sistema di offerta del SSSR, che si fonda sul rispetto della programmazione socio-sanitaria regionale ed attuativa locale, integrando non solo un criterio di qualità (art. 15 della L.R. 22/2002), ma anche di sostenibilità economico-finanziaria globale.
L’inserimento di un’unità di offerta nel Piano di Zona non costituisce, pertanto, l’unico elemento in base al quale riconoscere l’accreditamento. Invero, detto provvedimento richiede una ulteriore valutazione di sostenibilità a livello complessivo di sistema in capo alla Giunta regionale che dovrà, in ogni caso, privilegiare, anche nelle successive fasi attraverso cui viene regolamentato il processo di allocazione delle risorse previsto dalla L.R. 22/2002 (accordi contrattuali), la resa e il rientro degli investimenti pubblici pure sotto il profilo quali-quantitativo del servizio.
Nello specifico dell’area socio-sanitaria operano in regime di accreditamento i soggetti fornitori accreditati per l’erogazione delle prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza aventi natura giuridica sia pubblica (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza e altri enti di emanazione comunale), sia privata profit (soggetti imprenditoriali) e no profit (soggetti del “terzo settore”). Inoltre, la disciplina L.E.A., con riferimento alle prestazioni di assistenza residenziale, prevede l’attribuzione di una quota della tariffa (quota sociale/alberghiera) a carico della persona beneficiaria dell’impegnativa di residenzialità.
Le strutture per i servizi socio-sanitari si trovano così ad operare in un regime concorrenziale in cui sia la quota alberghiera, sia il livello di qualità percepita dagli assistiti e/o dai loro familiari costituiscono parametri fondamentali di attrazione, mentre la possibilità di investire su di essi dipende, a parità di altre condizioni, anche dalla struttura dei costi “istituzionali” che caratterizzano le diverse tipologie di soggetti.
L’ordinamento vigente in materia tributaria stabilisce trattamenti differenziati a seconda della natura giuridica del soggetto contribuente. Tale circostanza, unita alle attuali regole di determinazione dei corrispettivi tariffari, indistinti rispetto alla tipologia dei predetti oneri, genera distorsioni di sistema per le quali la programmazione regionale intende valutare opportuni interventi correttivi anche nell’ambito delle tariffe.
Inoltre, sono da valutare modalità atte a rafforzare l’effettività del principio di libera scelta del luogo di cura contemperandolo con l’esigenza di assicurare che la pluralità dell’offerta si configuri secondo articolazioni su strutture/centri di costo aventi dimensioni compatibili rispetto alla sostenibilità economica, quale premessa necessaria per l’operatività di sistemi efficienti e di qualità e sicurezza del servizio e delle prestazioni e, nel contempo, migliorare i parametri di accessibilità per macro ambiti territoriali. Per tale finalità la strategia regionale prevede l’introduzione di meccanismi budgetari per singolo Centro di Servizi o per loro aggregazioni/reti strutturate, opportunamente modulati anche rispetto alle esigenze degli assistiti che eserciteranno la libera scelta all’interno dei budget, al fine di garantire l’erogazione dei LEA per i non autosufficienti.
L’intervento persegue, altresì, l’obiettivo di riqualificazione del posizionamento dei Centri di Servizi pubblici nella rete assistenziale al fine di aprirli al territorio integrandoli e rendendoli punto di riferimento della comunità locale nel settore dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari. Nell’ambito della programmazione locale dovrà essere considerata la possibilità di riconversione e diversificazione della gamma delle prestazioni da essi erogabili: dalla residenzialità alla domiciliarità, qualificando, in termini di presa in carico, l’attuale sistema delle impegnative di cura domiciliari con la possibilità di destinarle all’acquisto di prestazioni dai medesimi Centri di Servizi. Inoltre i Centri di Servizi pubblici attiveranno i corsi di formazione, il registro per l’utilizzo e la collocazione degli assistenti familiari presso le famiglie che ne facciano richiesta.
In tale contesto, assume valenza strategica la riforma del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (I.P.A.B.), mediante la loro trasformazione in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (A.P.S.P.), con le seguenti finalità, volte a garantire la modernizzazione, la riqualificazione, l’efficienza e la sostenibilità nel tempo dell’intero sistema delle nuove A.P.S.P.:
- prevedere la costituzione delle nuove A.P.S.P. mediante la fusione e/o l’aggregazione delle IPAB preesistenti su base distrettuale, anche mediante percorsi intermedi di adeguamento graduale al nuovo assetto organizzativo;
- riqualificare il ruolo tecnico dei Direttori degli enti, anche mediante la costituzione di elenchi di candidati professionalmente idonei a ricoprire tali incarichi;
- valorizzare il ruolo dei nuovi enti A.P.S.P. qualificandoli come soggetti della programmazione regionale e della programmazione locale ed identificandoli quali partner privilegiati nei processi di razionalizzazione dell’offerta sociale, socio-sanitaria e sanitaria;
- prevedere una gestione del patrimonio non strumentale, anche separata da quella relativa al core business, secondo criteri di massima reddittività, nonché ai fini della costituzione di un fondo di garanzia, quale strumento per la riduzione dei costi di indebitamento e/o di ristrutturazione delle complessive esposizioni debitorie delle A.P.S.P., con criteri di accesso ai benefici del fondo rapportati ai conferimenti effettuati.
Inoltre, il sistema di mercato amministrato delineato dalle regole del D.lgs. n. 502 del 1992 comporta la necessità di rivedere i meccanismi di acquisizione di determinati fattori e professionalità, tra cui rilevano i medici di medicina generali, che ancora presentano rigidità non coerenti con le dinamiche concorrenziali e con le difficoltà di reperimento dei medesimi in ragione
della loro speciale disponibilità. Si prescrive, pertanto, che l’assistenza medica a favore degli ospiti non autosufficienti presenti nei Centri di Servizi venga assicurata dall’Azienda ULSS di riferimento, incaricando uno o più medici individuati dal Direttore Generale della medesima Azienda ULSS in accordo con il Rappresentante Legale di ogni Centro di Servizi, tra i medici di assistenza primario o di continuità assistenziale o in possesso dell’attestato di scuola di formazione specifica in medicina generale o dipendenti dell’Azienda ULSS o autorizzando il Centro di Servizi ad incaricare uno o più medici di propria fiducia e di comprovata esperienza o specializzazione attinenti l’assistenza medica nei Centri di Servizi. Per quanto riguarda l’assistenza medica specialistica saranno assicurati percorsi prioritari per favorire l’accesso alle persone ospiti presso le strutture.

L’approccio di genere nell’accesso ai servizi per il benessere delle donne.

L’attività del SSSR in relazione alla componente femminile della popolazione veneta è per molti aspetti comune a quella definita in molte altre aree strategiche del presente Piano. A tale proposito si sottolinea l’importanza dell’offerta attiva di servizio per le procedure di screening per i più rilevanti tumori femminili e allo sviluppo di Unità dedicate alla cura dei più frequenti tra essi. Due aspetti peraltro sono da segnalare perché specifici delle azioni che il sistema socio sanitario deve svolgere per la salute e il benessere delle donne. Il primo riguarda l’obiettivo di migliorare la diagnosi e il trattamento della donna vittima di violenza e il secondo riguarda il contrasto attivo di selezioni negative, e spesso sotterranee, fondate sul genere nell’accesso a trattamenti e opportunità di salute.
Andranno, altresì, ricercate in tale ambito adeguate e specifiche azioni per le donne con disabilità.
La violenza contro le donne è oggi un fenomeno diffuso e colpisce con dimensioni rilevanti anche la componente femminile della popolazione veneta. Ha la sua matrice nella diseguaglianza ancora persistente nei rapporti tra uomini e donne, diseguaglianza già specificatamente individuata a partire dal 1993 dalla “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” delle Nazioni Unite, che riconosce la violenza come un fenomeno di carattere strutturale, non episodico o di carattere emergenziale. La violenza intesa in questi termini richiede pertanto, così come confermato dalla successiva legislazione nazionale - la Legge Statale n. 119/2013 e il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere - un approccio multifattoriale, con un insieme coordinato di interventi che spaziano dall’aspetto sociale, a quello sanitario fino ad includere interventi per l’autonomia abitativa e lavorativa della donna. Interventi che devono risultare in grado di porre le donne nelle condizioni fisiche, psichiche, personali, economiche di reale indipendenza da chi ha agito la violenza.
In Veneto, in base alla L.R. 5/2013, sono previste strutture di accoglienza dedicate che si fanno carico della donna vittima di violenza: i centri antiviolenza, le case rifugio e le case di secondo livello. Strutture che operano su diversi livelli di intervento: dal primo ascolto e analisi del problema, al supporto psicologico e di riequilibrio personale, alla costruzione di un percorso di autonomia e indipendenza e all’accoglienza abitativa. Le rilevazioni sull’attività svolta dalle strutture di accoglienza nel 2016 registrano dati da considerare con molta attenzione: le segnalazioni e i primi contatti ai centri antiviolenza sono stati 5.318 e le donne da questi centri prese in carico 2.711. Questi numeri rispetto alla popolazione femminile residente (2.518.601) evidenziano che per una donna ogni 475 c’è una segnalazione/contatto al centro antiviolenza per un possibile episodio di violenza mentre una donna ogni 900 è stata presa in carico da un centro.
In termini generali, inoltre, la violenza verso le donne costituisce un problema sociosanitario con conseguenze importanti sui sistemi sanitari, perché interagisce pesantemente con il potenziale di salute della popolazione. Gli interventi a favore delle donne vittime di violenza sono anche previsti nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017 “Definizione e
aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” all’articolo 24 lettera r) quali servizi garantiti dal Servizio Sanitario nazionale. Le criticità registrate dal sistema sanitario veneto al riguardo sono date da un lato dal ritardo della individuazione della violenza nella diagnosi e dall’altro da una non corretta presa in carico della donna, in particolare per le conseguenze fisiche e psichiche che la condizione di maltrattamento determina. Le azioni previste riguardano il riorientamento di servizi esistenti (es. consultori familiari, dipartimenti di salute mentale, SERT etc), la formazione di professionisti, in particolar modo dei Medici di Medicina Generale (MMG), pediatri e del personale medico e infermieristico attivi nei Pronto Soccorso e in specifici reparti ospedalieri (ginecologia, ortopedia,...), e la definizione di percorsi integrati. Nello specifico, i percorsi integrati devono riguardare l’intera rete di servizi sanitari e sociali, la rete delle strutture di accoglienza nonché altri attori coinvolti dal fenomeno - come ad esempio le forze dell’ordine - per garantire la tutela della donna e degli eventuali minori presenti nello stesso nucleo familiare.
In particolare si prevede il potenziamento e l’estensione del “Codice rosa”, con l’obiettivo di uniformare le diverse esperienze, effettuate nelle singole ULSS, in un percorso unico regionale che si attivi qualunque sia la modalità di accesso al servizio sanitario, in area di emergenza-urgenza, ambulatoriale o di degenza ordinaria, con precise procedure di allerta ed attivazione dei successivi percorsi territoriali, nell’ottica di un continuum assistenziale e di presa in carico globale.
Per quanto attiene le selezioni negative fondate sul genere, con il presente Piano si intende mettere in campo una serie di azioni sistemiche che ne permettano l’emersione, aumentando la consapevolezza degli attori e dei decisori. A tale riguardo è necessario che le informazioni derivanti dal patrimonio informativo disponibile in Regione siano analizzate anche seguendo un approccio di genere, al fine di mettere in luce le distorsioni e definire le azioni specifiche da intraprendere. Anche in questo caso la formazione e l’aggiornamento costituiscono strumenti preziosi per il riorientamento delle abitudini e l’eventuale riorganizzazione di alcune proposte assistenziali.

Il volontariato come risorsa

La Regione del Veneto è caratterizzata da una forte componente del volontariato con oltre un milione di soci volontari impegnati nelle Associazioni di volontariato e quattrocentomila soci inseriti nelle associazioni di promozione sociale. Il registro regionale fotografa una situazione in cui le associazioni impegnate nel settore sociale e socio sanitario rappresentano il numero più consistente.
Il volontariato è dimostrazione di un cambiamento significativo nel rapporto tra l’Amministrazione pubblica ed i cittadini, che partecipano e si organizzano per rispondere ai bisogni della società.
Nel tempo è cresciuta la componente orientata alla gestione di servizi, sostenuta da una professionalizzazione delle competenze dei volontari, ne sono un esempio il volontariato il campo sanitario, socio sanitario e sociale per quanto riguarda l’assistenza, il trasporto ed il sostegno alla persona. Il volontariato si distingue nell’area sanitaria dove ha assunto compiti di servizio ad elevata standardizzazione (soccorso ed emergenza) e nella protezione civile.
Emergono le plurime funzioni del volontariato che escono dalla funzione strettamente solidaristica per esprimere valori orientati verso attività di natura promozionale in vari settori della vita sociale anche producendo servizi e/o beni comuni altrimenti indisponibili. In tale visione il mondo del volontariato si conferma come promotore e produttore di interventi e di servizi che migliorano la qualità della vita di tutti i cittadini. Questo ha determinato processi di innovazione sociale che si è tradotta, in alcuni casi, anche nell’innovazione organizzativa. Il volontariato, inteso nel senso più ampio, si attesta come soggetto in cui si verifica la corresponsabilità nella realizzazione di un
welfare mix partecipato, che tenga conto della competenza dei servizi socio-sanitari, che sono responsabili del progetto di cura e assistenza della persona, e con essi integrati ed attraverso il quale vi è la diffusione della cultura della cittadinanza attiva.
Per quanto riguarda il dono, pare utile attivare e sostenere, tramite un’adeguata campagna informativa, tale importante momento che costituisce fondamento per la società. La promozione degli incontri potrà avvenire tramite i Centri servizi di volontariato, rivolgendosi in particolare alle giovani generazioni e alla popolazione studentesca, così da sensibilizzarla per promuovere i servizi di urgenza ed emergenza ed il tema delle donazioni. Sarà importante conoscere e monitorare la situazione legata al dono, in termini di persone dedite alla donazione, utile istituire un tavolo di coordinamento che coinvolga le associazioni. Verrà dedicata una giornata specifica alla cultura della donazione.

9.2. LE DIPENDENZE

In Veneto, negli ultimi anni, si conferma l’incremento dell’uso e dipendenza da sostanze psicotrope e dell’abuso dell’alcol. L’assunzione di sostanze quali cocaina, anfetamine, “droghe ricreazionali” è in costante aumento e le modalità assuntive comportamentali vengono sempre più a configurarsi come rituali sociali.
Mentre si configura stabile il consumo e il numero di persone dipendenti da eroina, si registrano fenomeni nuovi, come la diffusione tra le giovani generazioni del consumo di alcol, l’uso improprio di farmaci e di vari tipi di sostanze, purtroppo, tutti associati all’abbassamento dell’età per il primo consumo nonché altre forme di dipendenza, fra le quali quella da utilizzo di strumenti elettronici e la dipendenza da gioco.
Con la diffusione di Internet e delle tecnologie associate, si sono diffuse nuove forme di dipendenze non legate all’assunzione di sostanze, ma a comportamenti compulsivi, come il gioco d'azzardo on line o l’utilizzo di strumenti senza i quali l'esistenza sembra diventare priva di significato.
Permane il consumo di tabacco, che costituisce un importante fattore di rischio per la salute: a fronte di una riduzione del numero dei fumatori adulti, si assiste all’accrescimento del consumo tra i più giovani.
L’approccio socio sanitario alle dipendenze considera, in particolare, la tossicodipendenza come condizione della persona con bisogni e problemi sanitari, psicologici e sociali.
La riorganizzazione dei servizi delle dipendenze comporta l’adeguamento del numero e della tipologia degli stessi alle esigenze della domanda, in una prospettiva di qualità ed appropriatezza del servizio offerto.
L’introduzione del concetto di “programma terapeutico individualizzato” che include le prestazioni ritenute necessarie e appropriate, collegato alle responsabilizzazione sulla gestione delle risorse economiche, dovrebbe consentire alle Aziende ULSS di salvaguardare la piena corrispondenza tra livelli di qualità previsti e quelli effettivamente erogati.
Rappresentano azioni prioritarie della programmazione regionale da coordinare all’interno dei piani di zona:
- nella prevenzione primaria e selettiva:
garantire informazione ed educazione alla popolazione giovanile per prevenire i danni causati dall’uso del tabacco, delle sostanze stupefacenti e dell’abuso di farmaci ed alcolici;
adottare programmi di prevenzione efficace superando la logica dei singoli progetti territoriali;
diffondere capillarmente i modelli di intervento preventivo nei luoghi del consumo sociale e tradizionale (coordinamento Safe Night) i quali, nati in Regione Veneto, sono stati adottati su scala nazionale sulla base delle caratteristiche di efficacia e impatto sulla popolazione. Tali programmi, basati sulla collaborazione tra pubblico e privato:
a) abbassano ulteriormente la soglia di accesso ai servizi;
b) permettono di raggiungere un target non raggiungibile da altre forme di interventi tradizionali (scuole, lavoro, ecc.);
c) utilizzano forme di comunicazione in continuo aggiornamento;
d) offrono l’accesso in tempo reale a dati sul consumo e sulle abitudini della popolazione utilizzabili in altri ambiti (politiche giovanili, nomadismo notturno, contrasto a bullismo e cyber-bullismo, iniziazione al gioco d’azzardo, ecc.)
potenziare la promozione di comportamenti e stili di vita sani in collaborazione con le famiglie;
favorire il coinvolgimento attivo dell’ente locale, della conferenza dei sindaci, del mondo della scuola, dello sport, delle realtà parrocchiali, del volontariato e dell’animazione, di tutti gli adulti significativi con funzioni educative nei confronti dei bambini e degli adolescenti.
- nella cura e la riabilitazione:
favorire la presa in carico territoriale dell’utenza il più precocemente possibile, mediante la definizione di adeguati percorsi di cura e riabilitazione, in particolare per le persone con doppia diagnosi;
definire per l’utenza in carico adeguati progetti personalizzati di cura e di riabilitazione;
puntare al superamento della cronicità assistenziale dei soggetti dipendenti da sostanze, attraverso la promozione di un utilizzo più congruo del metadone e la progettazione di percorsi socio-sanitari al fine di favorire il reinserimento e l’integrazione sociale attraverso l’attivazione di percorsi socio-lavorativi efficaci.
accompagnare le famiglie coinvolte nel percorso terapeutico del loro congiunto, attraverso un sostegno specifico (psico-educazionale) e/o l’inserimento in gruppi di auto-aiuto;
individuare idonee strategie per coinvolgere i minori e le loro famiglie, in particolare attraverso la realizzazione di “spazi neutri non connotati”.
In materia di gioco d’azzardo patologico, nella nostra Regione risulterebbe un livello di problematicità superiore rispetto alle altre regioni del nord Italia (+ 0.8%) stimabile in 32.500 giocatori ad alto livello di problematicità.
La letteratura scientifica riporta che circa l’85-90% dei giocatori problematici non si rivolge ai servizi pertanto l’utenza attesa stimata a livello regionale è di almeno 3.200-3.700 persone.
Per far fronte a questa nuova emergenza è stato predisposto un Piano regionale che articola le attività per macroaree:
- governance,
- prevenzione,
- cura e riabilitazione,
- ricerca.
Il piano vedrà l’applicazione attraverso progettualità locali che si affiancano ai programmi terapeutici già attivi e con finalità e obiettivi generali volte a ridurre l’impatto gioco d’azzardo rafforzando azioni diversificate per specifici target di popolazione.
Oltre al giocatore e alla sua famiglia, sono previste azioni di sensibilizzazione e formazione in ambito scolastico per studenti, insegnanti e altri lavoratori della scuola, genitori, Amministratori locali, operatori dei servizi sociali comunali, del privato sociale e dell’associazionismo, operatori e gestori dei punti gioco, professionisti e Forze dell’Ordine, popolazione in generale.
Obiettivi nella cura e riabilitazione:
- potenziamento dell'accessibilità e organizzazione dei Servizi,
- ampliamento dell'offerta e delle tipologie di cura,
- aggiornamento e formazione degli operatori e dei servizi sanitari,
- sperimentazione di forme di trattamenti residenziale e semiresidenziale.
L’attuazione di queste azioni strategiche, che caratterizzerà la programmazione regionale, sarà garantita dalla sinergia tra:
- servizi per le dipendenze attivi in tutte le Aziende ULSS in integrazione con le diverse componenti aziendali (distretto, dipartimento di prevenzione, ecc.);
- la Conferenza dei Sindaci;
- i Comitati dei Sindaci di Distretto;
- l’integrazione pubblico-privato sociale, nonché la rete del volontariato locale.
I servizi per le Dipendenze sono collocati nei Dipartimenti per le Dipendenze. Le Aziende ULSS saranno, inoltre, chiamate a definire:
- la graduale messa a regime, come attività ordinaria, delle azioni previste dalla progettualità dei territori, per quanto attiene alle attività di prevenzione e di reinserimento sociale;
- il sostegno alla rete del volontariato, soprattutto nell’area alcologica, per potenziare la rete dei gruppi di auto-mutuo aiuto operanti nel territorio regionale;
- l’attività di informazione, di assistenza specialistica medica, psicologica e supporto sociale per le persone e le famiglie con disturbi da Gioco d’Azzardo;
- la promozione di modelli finalizzati all’autonomia, che prevedano la partecipazione attiva ai percorsi di cura e riabilitazione da parte dell’utente e della sua famiglia;
- il monitoraggio nel territorio delle strutture residenziali e semiresidenziali, garantendo la fase riabilitativa intensiva anche per quegli utenti particolarmente gravi e cronici.
Saranno, inoltre, definiti in modo puntuale:
- il monitoraggio nel territorio delle strutture residenziali e semiresidenziali, garantendo la fase riabilitativa intensiva anche per quegli utenti particolarmente gravi e cronici, mediante un utilizzo congruo delle risorse dedicate;
- la graduale messa a regime, come attività ordinaria, delle azioni previste dalla progettualità dei territori, per quanto attiene alle attività di prevenzione e di reinserimento sociale;
- il sostegno alla rete del volontariato, soprattutto nell’area alcologica, per potenziare la rete dei gruppi di auto-mutuo aiuto operanti nel territorio regionale;
- attività di informazione, di assistenza specialistica medica, psicologica e supporto sociale per le persone e le famiglie con disturbi da Gioco d’Azzardo;
- la promozione di modelli finalizzati all’autonomia, che prevedano la partecipazione attiva ai percorsi di cura e riabilitazione da parte dell’utente e della sua famiglia.
Le risorse umane e strumentali impiegate nei Servizi per le dipendenze dovranno essere standardizzate in relazione a programmi appropriati, in costante riferimento alla valutazione degli esiti di cura e in conformità alla adeguata determinazione dei costi standard relativi.

9.3. L’INFANZIA, L’ADOLESCENZA E LA FAMIGLIA

Di fronte ai costanti e molteplici mutamenti degli stili di vita che caratterizzano l’odierna società, la famiglia mantiene la propria identità. Non si tratta di trasformazione, ormai ben consolidata con il passaggio dalla famiglia patriarcale alla famiglia mononucleare, bensì di modificazioni del tessuto sociale interconnesso con le innovazioni tecnologiche, le nuove modalità di comunicazione e lo sviluppo imprevedibile dei sistemi economici e di mercato.
Il panorama veneto attuale, che vede emergere bisogni caratterizzati da un aumento trasversale sia della complessità assistenziale sia degli interventi da mettere in atto per farvi fronte, in una prospettiva di welfare di comunità, pone la famiglia al centro delle dinamiche sociali, economiche, culturali, attribuendole il ruolo effettivo di soggetto di politica sociale. L’approccio che viene adottato prevede sì l’adozione di misure di supporto alla famiglia, finalizzate alla risoluzione di situazioni di disagio, ma anche, per uscire da un’ottica puramente assistenzialistica, il sostegno, la promozione e il potenziamento delle capacità della famiglia per ricoprire il ruolo attivo che oggigiorno le viene affidato.
In questo contesto, "pensare" ad un moderno sistema di servizi alle persone significa assumere come paradigma culturale, strategico ed operativo la persona, il suo ambiente di vita e le sue relazioni: ogni individuo è unico ed irripetibile, portatore di un proprio patrimonio di storia, valori, tradizioni ed è quindi potenziale risorsa della comunità. Assumere come prospettiva la persona e i suoi “territori” significa valorizzare i sistemi (reti) di relazioni, l'appartenenza ad una cultura, ad un sistema di valori: riconoscere la famiglia quale soggetto fondante e fondamentale per le comunità.
L’evoluzione del welfare in una prospettiva di comunità propone la centralità della famiglia nelle dinamiche sociali, economiche, culturali attribuendole il ruolo effettivo di soggetto di politica sociale, specie in riferimento alle politiche fiscali, del lavoro, scolastiche e sanitarie. Di qui la necessità di introdurre riforme organizzative dei servizi, improntate su criteri di qualità, di efficienza, di produttività, di riqualificazione, per far fronte ai nuovi bisogni sociali, valorizzando le risorse presenti e disponibili nelle comunità locali, a partire dalle famiglie stesse, secondo il principio di sussidiarietà.
Le politiche per la famiglia, l’infanzia, i minori ed i giovani devono prevedere, tra le altre, azioni volte al sostegno della genitorialità in tutte le sue fasi, in una visione complessiva dei servizi che ponga al centro il ruolo della famiglia e che sviluppi una integrazione socio-sanitaria: una valida sintesi tra famiglia, bambini e ragazzi, servizi e comunità. A tal fine risulta strategica la collaborazione tra i soggetti pubblici e privati del territorio, valorizzando il principio di sussidiarietà.
Il sostegno alla genitorialità deve realizzarsi anche attraverso un’adeguata offerta di servizi per la prima infanzia, in coerenza con gli obiettivi definiti dalla Strategia di Lisbona. I servizi per la prima infanzia, infatti, sono essenziali da un lato per perseguire obiettivi di tipo educativo nei confronti dei bambini e della famiglia e dall’altro per garantire alla famiglia la possibilità di condurre una vita sociale e produttiva adeguata, per vivere le problematiche della prima infanzia in sintonia con altri nuclei familiari e/o contesti omologhi.
Questa area si connota per una elevata integrazione socio-sanitaria che include il Consultorio familiare, quale servizio territoriale rivolto al singolo, alla coppia ed alla famiglia, il servizio di età evolutiva/neuropsichiatria infantile rivolto ai minori con difficoltà evolutive, disturbi dell’apprendimento (tra cui anche la dislessia), disturbi relazionali e del comportamento in ambito familiare, disturbi neurologici e psicopatologici, nonché i servizi per la protezione e la tutela dei minori.
L’integrazione socio-sanitaria è qui finalizzata a garantire una presa in carico globale della persona; in tale prospettiva interventi preventivi e diagnostico-terapeutici-riabilitativi devono ristabilire il benessere fisico, psicologico, sociale, affettivo e relazionale. Al contempo, diviene opportuno seguire la famiglia lungo il suo ciclo di vita, per porre particolare attenzione al contesto e coinvolgimento nelle azioni di tutti i soggetti che nel Veneto partecipano alla realizzazione di specifici interventi di protezione sociale e di tutela giurisdizionale (Enti locali, scuola, famiglie affidatarie, enti di gestione delle comunità di accoglienza, tutori volontari, curatori speciali, Garante regionale dei diritti della persona, Autorità Giudiziaria, Centro di Giustizia minorile, volontariato, Forze di polizia).
Nell’ambito delle politiche per la famiglia si vede la necessità di realizzare una programmazione duratura nel tempo così da andare verso un piano poliennale per la famiglia che incentivi e attivi politiche di sviluppo attraverso azioni rivolte al sostegno della genitorialità, dei minori, dell’affidamento familiare, delle adozioni, degli Sportelli famiglia, dei Consultori Familiari Socio- Educativi, delle azioni per la conciliazione famiglia-lavoro e delle alleanze per la famiglia. In questo contesto s’inserisce la promozione dell’associazionismo familiare (reti di famiglie a supporto di minori, di persone con disabilità, di persone anziane). Nel promuovere la famiglia si terrà conto dell’utilità di attivare sinergie con altri assessorati e con i territori e gli enti locali che possono pensare alla famiglia come risorsa (ad esempio nelle materie del turismo, del commercio, dei trasporti pubblici, della cultura, dell’intrattenimento e dello sport).
In riferimento all’integrazione socio-sanitaria per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia il Piano individua i seguenti obiettivi strategici:
promuovere la centralità della famiglia nelle dinamiche sociali, economiche, culturali attraverso:
politiche e coordinamento di piani e programmi per la famiglia in tutti i settori in cui le realtà familiari incidono, ricercando modalità efficaci ed innovative in una logica di rinnovamento, promozione e di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e prendendo altresì in considerazione tutte le fasi di vita del gruppo famiglia;
rafforzamento di iniziative a favore di famiglie in difficoltà al fine di prevenire disagi conclamati;
interventi di programmazione e consolidamento dei consultori familiari e dei servizi socio sanitari in materia di abuso sessuale e grave maltrattamento a favore dei minori e delle loro famiglie
- promuovere, sostenere e qualificare i servizi educativi per la prima infanzia attraverso: il sostegno finanziario alle scuole dell’infanzia non statali.
- implementare, sostenere e valorizzare i Consultori Familiari Socio-Educativi, proseguendo nella costruzione di un percorso che favorisca il loro sviluppo, anche attraverso l’opportunità di rientrare tra i Servizi previsti dall’Allegato A della L.R. 22/2002;
- consolidare il sistema dei servizi 0-3 anni potenziando il raccordo con le scuole dell'infanzia per attuare il sistema formativo dalla nascita fino a sei anni, in particolare promuovendo la sperimentazione di azioni/progettualità/continuità con la scuola dell'infanzia;
- assicurare, garantire e promuovere la protezione e la tutela dei minori e delle loro famiglie in difficoltà attraverso:
la programmazione di azioni e governo dei processi volti alla costruzione, al consolidamento, alla valorizzazione e all’armonizzazione di un efficace sistema di
protezione e cura, oltre che di programmazione, sviluppo e sostegno di azioni di accompagnamento nei processi adottivi nell’ambito del sistema veneto adozioni;
la valorizzazione di percorsi di qualità per servizi educativi integrativi, al fine di creare un’offerta di servizi omogenea ed offrire alle famiglie venete un servizio integrativo innovativo e flessibile capace di rispondere ai loro bisogni
- favorire la partecipazione dei giovani a processi di cittadinanza attiva mediante:
l’avvio di piani di intervento in materia di politiche giovanili relativi alle aree scambio generazionale, creatività e cittadinanza attiva, elaborati e proposti dai comitati dei Sindaci di Distretto;
la promozione di interventi nel settore del servizio civile nazionale/universale e regionale, con particolare attenzione alla cittadinanza attiva e al supporto delle politiche sociali regionali.
Particolari azioni da sostenere e potenziare, laddove necessario in accordo con gli Enti locali:
- consolidare le opere a sostegno delle neo-mamme a rischio psicologico ed il supporto alla donna in gravidanza, in stretta collaborazione con l’Ospedale;
- rafforzare le attività volte alla prevenzione delle gravidanze indesiderate ed il monitoraggio delle malattie sessualmente trasmissibili;
- seguire e condurre le coppie e le famiglie disponibili all’adozione, tramite le equipe- adozioni composte da operatori specializzati come riferimento per tutto il percorso adottivo, fino all’ingresso del minore nel nucleo familiare, e il consolidamento dell’affido etero familiare nelle varie tipologie favorendo una gestione associata tra Comuni;
- accrescere azioni volte alla creazione delle “reti di buon vicinato” tra le famiglie per il sostegno nella gestione dei tempi di cura (es. genitori anziani, figli, housing sociale, ecc.);
- fortificare le modalità di attività di ascolto, di educazione alla relazionalità, all’affettività e alla sessualità e di formazione e avvio alla genitorialità responsabile per adolescenti e giovani;
- sviluppare degli interventi di supporto alle famiglie in caso di crisi coniugale o di eventi particolarmente rilevanti, attraverso la mediazione familiare, la consulenza legale per le eventuali informazioni relative alla separazione;
- accrescere le politiche di promozione del benessere e tutela per i minori attraverso gli strumenti già sviluppati nel Veneto, quali: servizio di didattica territoriale, centri educativi e ricreativi, progetti giovani, gruppi sportivi e di volontariato;
- sostenere gli interventi di prevenzione e di trattamento delle situazioni di disagio e di tutela del minore in caso di maltrattamento, abuso o violazione dei suoi diritti, della sua dignità, dell’integrità e della libertà personale;
- rafforzare i servizi nella rete ospedaliera ed extra-ospedaliera (residenziali e semiresidenziali) a favore dei soggetti in età evolutiva affetti da disturbi neurologici e psicopatologici, ivi inclusi i minori con provvedimento dell’Autorità giudiziaria;
- valorizzare l’attività del garante dei diritti alla persona nella formazione degli amministratori di sostegno;
- supportare, in collaborazione con il Garante regionale dei diritti della persona (L.R. 37/2013), le iniziative di sensibilizzazione, monitoraggio e vigilanza dello stato di effettività ed attuazione dei diritti dei minori, in sintonia con i dettati normativi internazionali ed
europei, in rete con i diversi soggetti che a vario titolo hanno competenze e responsabilità rispetto ai minori;
- sviluppare la riedizione periodica delle Linee Guida per la protezione e la tutela dei minori, nonché delle Linee Guida dei Consultori Familiari, le Linee Operative in materia di abuso sessuale e grave maltrattamento;
- elaborare in collaborazione con i comitati dei sindaci di distretto, i soggetti del terzo settore e l’associazionismo del territorio, il piano di intervento di promozione delle politiche giovanili;
- promuovere azioni di formazione, sensibilizzazione e monitoraggio di progetti nell’ambito del servizio civile, supportando enti pubblici e del terzo settore e coinvolgendo le giovani generazioni al valore sociale e civile del volontariato, alla cittadinanza attiva e all’impegno civico;
- con riferimento al Piano Nazionale per la Tutela e lo Sviluppo dei soggetti in età evolutiva, si procederà ad adottare un nuovo Piano Regionale di azione per la tutela e lo sviluppo dei soggetti 0-17 anni.
Pur non rappresentando un problema di natura socio sanitaria, a meno che non vi sia sovrapposizione con problematiche che richiedono l’assistenza psicologica o psichiatrica, esiste un nutrito numero di persone giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono alcun tipo di attività, si tratta dei giovani compresi nell’età fra i venti ed i trent’anni, o più, ancora dipendenti dalla famiglia e quindi privi di propria autonomia, economica, psicologica ed affettiva. In accordo con gli Enti locali, laddove necessario, saranno promosse azioni volte a consolidare, accrescere e fortificare quanto intrapreso e il percorso già avviato nelle molteplici aree tematiche di interesse, in particolare promuovendo le azioni di Garanzia Giovani.

9.4. PROMOZIONE DEL WELFARE GENERATIVO

Il welfare generativo ha l’obiettivo di valorizzare le capacità delle persone che ricevono contributi o assistenza da parte della rete dei servizi sociali e del terzo settore. Mettere al centro le persone e le loro capacità, e non soltanto i loro bisogni, è una sfida per professionisti, volontari, operatori di servizi pubblici e privati, soggetti con responsabilità politiche, per superare le pratiche assistenzialistiche e dotare chi vive in povertà non soltanto di supporti economici, ma di strumenti utili a migliorare le proprie condizioni di vita.
Il sistema di welfare ha continuato (e continua) a proporre offerte generalizzate in risposta ai bisogni delle persone, senza tenere in considerazione le potenzialità generative delle persone e dei luoghi di vita. Anche L’Unione europea punta molto sull’innovazione. Innovazione degli approcci, delle metodologie e delle tecniche che riguardano la spesa per il welfare.
Il cambiamento di prospettiva insito nei fondamenti del welfare generativo prevede che la centralità non sia più dei costi, bensì delle risorse che possono essere investite.
Il welfare generativo considera in primis le persone come risorse (e non unicamente come destinatari di spesa sociale e sociosanitaria). In secondo luogo è necessario ripensare al "ruolo più ampio del welfare state come investimento" e non solo come un impedimento alla crescita economica.
La sfida per la società attuale è riuscire a trovare le modalità più idonee per generare, far emergere, utilizzare, condividere, rigenerare le risorse e capacità, di ogni tipo, sia materiali che
immateriali, delle persone, delle famiglie e delle comunità.
Bisogna guardare oltre al welfare state come un’istituzione in crisi e analizzarlo come un fattore produttivo di occupazione e di aiuto allo sviluppo del capitale umano e sociale a disposizione, generatore (generativo) di risorse, ovvero di capitale e valore umano e sociale.
Il termine “capitale sociale” indica l’insieme delle relazioni interpersonali, formali ed informali, essenziali per il funzionamento anche di società complesse ed altamente organizzate o la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento.
In genere le risorse di natura economica, fornite attraverso il sistema di welfare, sono considerate esaurite nel momento in cui vengono usufruite, in realtà le risorse economiche possono essere ri- generate. Ad esempio la risorsa economica utilizzata per fornire un sussidio di disoccupazione si trasforma in una risorsa-tempo investita per curare il verde pubblico, che a sua volta costituisce un’altra risorsa fruibile. La visione del welfare generativo in termini di risorse è più calzante perché moltiplicativa di valore rispetto a quella che propone di vedere una sorta di scambio, quasi un do ut des, uno scambio tra una prestazione sociale di tipo economico e una prestazione.
Infine, un’altra importante dimensione del welfare da tenere in considerazione riguarda la coesione sociale, infatti la funzione redistributiva propria dei sistemi sociali europei riveste anche un ruolo fondamentale di coesione sociale.
L’aiuto unidirezionale dai sistemi di welfare verso gli utenti, sebbene nel breve termine costituisca una soluzione ai bisogni, contribuisce alla diminuzione della dignità delle persone che richiedono aiuto e della loro autostima. Il nuovo modello di welfare generativo invece propone un approccio in cui le risorse e le capacità degli utenti sono valorizzate, punta sull’empowerment e sulla generazione e rigenerazione delle risorse. L’ottica con cui si guarda ai sistemi di welfare è centrata sulle risorse e sui possibili investimenti, non sui costi.
Il welfare generativo può essere costruito valorizzando i fondamentali di welfare a nostra disposizione. È però necessario aggiungere al “raccogliere e redistribuire” tre altre leve strategiche: “rigenerare, rendere, responsabilizzare”. La ricetta del welfare generativo è dunque costituita da 5 R. Infatti alcune strategie che potremmo definire “rigenerative” sono già in uso nel lavoro sociale, in particolare nel lavoro di rete e nella metodologia che prevede non solo l’adesione dell’utente al progetto individualizzato, ma anche la sua collaborazione attiva, strategia che si può sintetizzare nella frase: “non posso aiutarti senza di te”. Quindi non è soltanto la partecipazione ad un percorso, ma il riconoscimento di proprie competenze che possono essere utilizzate e considerate come risorse rigenerative e rigenerabili.
È necessario però un cambiamento di approccio, infatti la spesa sociale in Italia continua a basarsi prevalentemente su trasferimenti pubblici, piuttosto che su servizi moltiplicativi di valore perché finalizzati ad aiutare ad aiutarsi.
La crisi economica che la società occidentale sta vivendo è una crisi di tipo sistemico che impatta su molti settori, tra cui il welfare: le risorse non possono aumentare, devono essere riqualificate, devono dare un maggior rendimento, vanno verificati il loro utilizzo e i loro esiti.
Valorizzare le capacità delle persone, considerare le capacità, le risorse e non solo i bisogni e i costi. Questo pensiero costituisce il cuore delle politiche che si ispirano ad un’ottica di welfare generativo. È possibile trasformare la spesa sociale da costo a investimento, con l’aiuto e le capacità delle persone in condizione di bisogno!
Considerando quindi che i servizi rendono più dei trasferimenti, il futuro del welfare sarà quello di indirizzare maggiori risorse verso i servizi, oppure verso i trasferimenti a fronte di un servizio svolto dal ricevente a vantaggio della comunità. In questo modo si potrebbe risolvere in parte l’annosa questione della sostenibilità dei sistemi di welfare, che sono finanziati essenzialmente attraverso le imposte sul reddito e sui consumi.
In conclusione "il maggiore rendimento dei servizi può essere sintetizzato in quattro modi: occupazione di welfare, valore trasformativo dell’aiuto professionale, maggiore rendimento delle risorse, efficacia misurabile.
Le sperimentazioni multicentriche realizzate in ambito sociale e sociosanitario dalla Fondazione Zancan, nel Veneto e in altre regioni, evidenziano i potenziali di costo/risultato, di costo/efficacia e di impatto sociale delle pratiche generative. È innovazione che nasce dal Veneto e che anche oggi nella nostra Regione prefigura la nostra capacità e possibilità di innovare le politiche sociosanitarie e trasformarle da costo a investimento economico, umano e sociale.
La logica del welfare generativo prevede che l’erogazione di prestazioni sociali e sociosanitarie sia correlata allo svolgimento di attività di utilità sociale. L’ipotesi di accompagnare l’erogazione di una prestazione da parte degli enti pubblici, con la previsione di una prestazione da parte dei soggetti beneficiari finalizzata a porre in essere azioni a vantaggio di altri, costituisce un “dare e avere” reciproco, nel quale le varie dimensioni della solidarietà si combinano e producono un “valore aggiunto” positivo per tutti. Questo è veramente il cuore dell’innovazione sociale che la logica del welfare generativo può apportare.
Alla luce di quanto esposto la Regione promuove e sostiene il welfare generativo come modalità innovativa del sistema regionale di welfare.

9.5. LA MARGINALITÀ E L’INCLUSIONE SOCIALE

Al fine di concorrere all’attuazione delle politiche di contrasto della povertà e della grave marginalità (persone senza dimora, persone vittime di tratta e/o grave sfruttamento), in linea con la programmazione comunitaria e nazionale, la Regione del Veneto intende promuovere un’azione di rete con i vari interventi regionali di contrasto alla povertà e alla grave marginalità (sociali, socio-sanitari, della formazione, del lavoro e con il privato sociale), ed un’azione di coordinamento dei servizi territoriali impegnati nella progettazione personalizzata multidimensionale, che si attua attraverso équipe multidisciplinari e che mira ad un’inclusione sociale delle persone e delle famiglie.
A tal proposito le disposizioni normative a livello nazionale rappresentano un’occasione fondamentale per ripensare a livello regionale la programmazione di settore.
Gli obiettivi generali regionali, che saranno raggiunti attraverso il conseguimento degli effetti combinati degli obiettivi specifici di ciascun partner, all’interno dell’obiettivo tematico “9 Inclusione sociale” del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) Inclusione sociale, sono:
- - diffondere all’interno del territorio regionale le pratiche di “presa in carico” fondate sulla valorizzazione della rete locale dei servizi, per la realizzazione di un percorso che privilegi la politica abitativa;
- - favorire il passaggio da una cultura del bisogno e dell’assistenza incentrata su un “approccio a gradini”, ad una cultura della possibilità in cui la casa rappresenta l’intervento primario di percorsi di integrazione sociale;
- - promuovere un approccio di inserimento anche dei servizi e degli interventi di bassa soglia, all’interno di un più ampio sistema integrato di lotta alla emarginazione adulta superando una logica emergenziale;
- - armonizzare la progettazione, le modalità di attuazione, di monitoraggio e valutazione per una maggiore efficacia nella gestione degli interventi; mediante analisi degli impatti e individuazione di nuove linee di intervento.
Inoltre, una delle sfide individuate nel documento “Europa 2020” è quella sociale, rispetto alla quale la Regione del Veneto ha inteso riservare una particolare attenzione alle condizioni di fragilità sociale presenti nel territorio attraverso l’Asse 6 “Sviluppo Umano sostenibile” del POR FERS 2014-2020. L’intento è di perseguire il miglioramento duraturo della vivibilità e della sostenibilità, ponendo particolare attenzione alle fasce disagiate e alla marginalità, mediante l’attuazione di strategie per lo sviluppo sostenibile. Le azioni dovranno reggersi sugli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti in quanto finalizzate al rafforzamento delle politiche ordinarie.
La Regione del Veneto, adotterà un atto, anche nella forma di un Piano regionale per la lotta alla povertà, di programmazione dei servizi necessari per l'attuazione di forme di sostegno al reddito come livello essenziale delle prestazioni, nel rispetto e nella valorizzazione delle modalità di confronto con le autonomie locali e favorendo la consultazione delle parti sociali e degli enti del Terzo settore territorialmente rappresentativi in materia di contrasto alla povertà.
Nell'atto di programmazione andranno individuati specifici rafforzamenti su base triennale del sistema di interventi e servizi sociali per il contrasto alla povertà, tenuto conto della programmazione nazionale. Tali previsioni avranno una ricaduta diretta nel contesto degli ambiti territoriali individuati nella Regione del Veneto nei comitati dei sindaci delle aziende Ulss di cui alla
L.R. 19/2017. All’interno di tali ambiti la Regione individuerà le modalità di collaborazione e di cooperazione tra i servizi sociali e gli altri enti od organismi competenti per l'inserimento
lavorativo, l'istruzione, la formazione, le politiche abitative e la salute, disciplinando in particolare le modalità operative per la costituzione delle équipe multidisciplinari e per il lavoro in rete finalizzato alla realizzazione dei progetti personalizzati. I Comuni, inoltre, coordinandosi a livello di ambito, in attuazione del piano regionale, dovranno adottare atti di programmazione ordinariamente nella forma di una sezione specificamente dedicata alla povertà nel piano di zona di cui all'articolo 19 della legge n. 328 del 2000.
Una governance integrata tra i diversi settori sarà finalizzata a rafforzare il ruolo del sistema del welfare anche mediante l’avvio di un sistema informativo regionale, finalizzato al monitoraggio della presa in carico delle persone e delle famiglie e alla conoscenza del fenomeno del disagio sociale ed economico della popolazione veneta.
Tale strumento consentirà il coordinamento con i sistemi informativi già avviati, sia a livello nazionale che regionale, e la valutazione dei bisogni e delle prestazioni/servizi di cui le persone e le famiglie beneficiano o potranno beneficiare.
Nell’ambito della gestione di categorie di bisogno complesso è da considerare la tutela della salute dei detenuti in quanto è necessaria la collaborazione inter-istituzionale con settori quali l’amministrazione penitenziaria e la magistratura. La sanità penitenziaria è preposta alla gestione unitaria di tutte le attività socio-sanitarie a favore dei detenuti. Le sue funzioni principali si riassumono nelle seguenti attività: prestazioni di medicina generale e specialistica, comprese le attività dei presidi per le dipendenze, gestione delle emergenze-urgenze, assistenza infermieristica, fornitura di farmaci e presidi, secondo quanto previsto dai LEA. Va segnalata, inoltre, la collaborazione con il Centro Giustizia Minorile per la presa in carico dei minori di competenza.
Un importante obiettivo all’interno della rete dei servizi sanitari penitenziari è sviluppare le articolazioni di salute mentale e le sezioni di assistenza intensiva, secondo le necessità regionali. Inoltre, vanno promossi i percorsi riabilitativi integrati, al fine di ridurre il rischio della reiterazione dei reati a seguito della scarcerazione. Infine, tenuto conto del particolare contesto, va perseguita una politica finalizzata alla riduzione del rischio clinico.

Presa in carico socio sanitario delle persone indigenti e in situazione di povertà

Rispetto alle persone che vivono in stato di povertà e marginalità sociale, in particolare nei comuni capoluogo che hanno presenze rilevanti di senza fissa dimora, sfruttamento della prostituzione, persone indigenti e fragili, immigrati, verrà coordinata la presa in carico delle persone che hanno notevoli difficoltà di accesso al sistema socio sanitario e soprattutto non hanno capacità reddituali per far fronte ai percorsi di diagnosi, cura e assistenza. Allo scopo verranno istituite modalità di raccordo, anche informatico, tra Aziende ULSS, enti pubblici, del privato sociale, enti religiosi e volontariato del territorio per monitorare il fenomeno che è in crescita costante e per mettere in rete i servizi erogati dalle Aziende ULSS e dal privato sociale.
Verrà valutata l’ipotesi di individuare un codice regionale da apporre su ricette ed impegnative da parte di medici autorizzati dall’Azienda ULSS, per far riconoscere agli uffici preposti/farmacie che trattasi di soggetti che non possono pagare ticket nè per visite specialistiche, nè per esami clinici, nè per farmaci, non contemplati da un’eventuale esenzione per patologia.

9.6. LA RETE DI SOSTEGNO AGLI ANZIANI CON PATOLOGIE CRONICHE, DECLINO COGNITIVO E DEMENZE

La tendenza all’invecchiamento della popolazione, con il conseguente aumento della rilevanza delle patologie croniche, con particolare riferimento alle demenze, richiede di far fronte ai diversi bisogni di cura ed assistenza attraverso modelli di presa in carico che si devono confrontare non più con i luoghi di cura legati alla singola patologia, ma con la complessità della multimorbilità. Per questo il modello di presa in carico della cronicità per intensità di cura ed assistenza - già descritto nel Capitolo 6 - è finalizzato ad assicurare una presa in carico multiprofessionale ai pazienti con cronicità complessa ed avanzata, compresi i pazienti affetti da decadimento cognitivo associato a disturbi del comportamento. Sono pazienti per i quali ci si deve far carico in modo coordinato e continuativo e con appropriatezza, in quanto assorbono il 33% delle risorse, pur rappresentando il 5% della popolazione con 250.000 persone classificate nei RUB 4 e 5 di ACG (cfr. Capitolo 1, figura 1.7). Il numero dei pazienti affetti da demenze è pari a circa 70.000 unità.
Il modello della rete di sostegno agli anziani con patologie croniche, declino cognitivo e demenze deve puntare al superamento della frammentarietà delle cure semplificando i percorsi e assicurando un accesso continuativo ai servizi. Occorre perciò evitare interventi basati sul bisogno emergente, e prevenire ricoveri ripetuti che si associano in questi pazienti a ulteriore perdita di autonomia. Il team di riferimento principale per tali pazienti è costituito dallo specialista geriatra e dall’ infermiere-Care Manager con il coinvolgimento di altri specialisti della cronicità (cardiologo, pneumologo, diabetologo, neurologo ecc.) in sinergia con altre figure strategiche coinvolte nel percorso di cura. Verranno utilizzati sistemi innovativi di management (Population Health Management/Case-mix) per agevolare l’identificazione dei pazienti complessi, ma anche per favorire la definizione di linguaggi comuni e contenuti condivisi, attraverso l’utilizzo di sistemi informatici integrati (fascicolo sanitario elettronico, cartella informatizzata/condivisa per piano di cura e appuntamenti).
I pazienti affetti da demenza moderata-grave richiedono assistenza e sorveglianza continuative, la comparsa dei disturbi del comportamento che si associano al decadimento cognitivo nel 50-75% dei casi, complicano ulteriormente la gestione e costituiscono la principale causa di burn-out del caregiver e la richiesta di istituzionalizzazione.
Per tale ragione la Regione del Veneto ritiene opportuno potenziare la rete dei servizi territoriali per le demenze, nella quale vanno ricercate soluzioni intermedie tra la rete familiare e la residenzialità definitiva in struttura extraospedaliera, potenziando ed adattando alle esigenze delle famiglie una gamma di offerte complementari, “intermedie” ed integrate quali:
- definizione della figura del care manager,
- empowerment dei caregiver,
- condivisione di care giver familiari (badanti),
- centri sollievo (diurni),
- centri diurni sociosanitari,
- ospitalità residenziale per sollievo,
- residenzialità temporanea finalizzata alla gestione del disturbo del comportamento e alla gestione clinica della complessità della persona con demenza (SAPA o nuclei dedicati alle demenze all’interno dei Centri di servizi),
- gestione del fine vita delle persone con demenza,
- accoglienza residenziale di utenti con particolari complessità ed elevata intensità assistenziali (SVP, SLA e Sclerosi multipla).
Le relative proposte programmatorie formulate all’interno del PDTA per le Demenze, in corso di predisposizione sulla base del mandato attribuito al Tavolo regionale per la Rete per l’Alzheimer costituito nel 2016 in attuazione del Piano Nazionale.

Prevenzione della demenza

Dato l’andamento demografico della popolazione, la prevalenza di demenza nel Veneto è destinata a crescere e, con la numerosità, anche la spesa. Utilizzando i dati ottenuti dal sistema del case-mix territoriale (ACG), che nel 2016 contava circa 61.000 persone con demenza (Capitolo 1, figura 1.4bis), e utilizzando le stime internazionali sui costi di ciascun caso si può calcolare che il peso economico nel Veneto superi ogni anno un miliardo di euro, di cui l’85% a carico di costi assistenziali e sociali.
La demenza non è una conseguenza inevitabile del diventare anziani. Diversi stili di vita possono modulare in positivo o in negativo il rischio individuale. Nel corso degli ultimi decenni, in diverse nazioni, quali Stati Uniti, Regno Unito, Svezia, Olanda e Canada si è registrata una riduzione inaspettata dei tassi di incidenza e un incremento dell’età di insorgenza della demenza. Parallelamente, in Cina l’incidenza di malattia è cresciuta. Questi dati confermano che il rischio di malattia sia modulabile da una diversa esposizione a fattori di rischio o a fattori protettivi. Alcuni dei fattori di rischio maggiori sono ormai noti ed è pure noto in che misura influiscano sullo sviluppo e progressione di malattia. L’educazione, ad esempio, risulta un forte fattore protettivo, mentre la perdita delle capacità uditive un forte fattore di rischio; ma anche fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione arteriosa, obesità, diabete e fumo giocano un ruolo importante nell’insorgenza della demenza in genere ed, in particolare, nella malattia di Alzheimer.
Non tutti questi elementi agiscono in modo uniforme nel corso della vita. L’isolamento sociale, la depressione e l’inattività fisica diventano particolarmente significativi dopo i 60 anni. Altri aspetti come il trauma cranico, l’uso di sostanze psicoattive e le abitudini dietetiche richiedono studi ulteriori prima di essere incluse in campagne di prevenzione.
I dati sinora a disposizione dimostrano che se venissero eliminati tutti i fattori di rischio modificabili si potrebbe ottenere una riduzione del 35% dei casi di demenza e, se queste strategie riuscissero a spostare l’età di insorgenza di malattia di soli 5 anni, il numero di persone colpite sarebbe dimezzato.
Date le dimensioni epidemiologiche ed economiche del fenomeno e in assenza di trattamenti efficaci per le diverse forme di demenza, acquisisce un rilievo strategico attuare delle misure di prevenzione regionale. Un primo passo in questo senso è una campagna d’informazione, rivolta sia ai sanitari che alla popolazione generale, per aumentare la consapevolezza del peso significativo che le nostre abitudini da giovani e adulti avranno sulla qualità di vita da anziani. Si deve raccomandare il trattamento dell’ipertensione sia nella mezza età (45-65 anni) che nelle persone più anziane con più di 65 anni, il controllo ponderale e dei valori glicemici. Per tale ragione risulta fondamentale il coinvolgimento delle aziende sanitarie congiuntamente con i comuni, per iniziative rivolte a problematiche prevalenti sul proprio territorio come l’isolamento sociale e l’insufficiente attività fisica della persona anziana, o l’abbandono scolastico e il fumo tra i giovani.
A supporto delle famiglie esiste e si consolida la rete dei servizi sollievo a forte integrazione con le organizzazioni del volontariato sociale che interviene con personale adeguatamente qualificato e formato per sostenere, e supportare le famiglie dei pazienti. L’attività è incentrata sul processo di mutuo auto aiuto.
Per migliorare i servizi alla persona sarà istituita una regia regionale, la riorganizzazione ed ottimizzazione dei servizi ed il monitoraggio dei servizi erogati tramite le Aziende sanitarie.

Le demenze giovanili

In una percentuale significativa di casi (3-15% secondo le casistiche) la demenza si presenta in età presenile (prima dei 65 anni) o giovanile (prima dei 40 anni).
Si tratta di situazioni particolarmente problematiche, spesso rapidamente evolutive, che richiedono adeguate strutture diagnostiche e specifici aiuti sociali e familiari che ora sono quasi esclusivamente rivolti agli anziani.
Almeno 1500 persone nel Veneto sono colpite da queste forme di malattia. In alcuni casi si tratta di alterazioni genetiche rare e sono riconosciute solo tardivamente.
Presso il CRIC e le Aziende Universitarie di Padova e Verona sono presenti strutture di diagnosi e cura rivolte a questo tipo di soggetti mentre il PDTA Regionale per le demenze definisce iniziative specificamente destinate alle necessità di questi pazienti e diffuse in tutte le ULSS territoriali.

La presa in carico delle persone con demenza

L’insorgere della malattia ha come sensore e primo contatto il medico di medicina generale che viene sempre più chiamato ad intercettare precocemente la patologia, per indirizzare il paziente ad una diagnosi tempestiva e poi lo specialista ospedaliero o territoriale dei Centri per il Disturbo Cognitivo e le Demenze (CDCD) in cui vengono ridefiniti e potenziati gli ambulatori attraverso rete di lavoro sinergica tra le varie professionalità.
Per gli aspetti di diagnosi differenziale e di terapia il paziente è seguito dalla rete dei CDCD del Veneto ed il Centro Regionale Invecchiamento Cerebrale dove sono presenti specialisti neurologi, geriatri, psicologi e infermieri.
La rete dei CDCD utilizza la cartella CaCEDem (Cartella Clinica Elettronica per le Demenze) quale strumento informativo unitario a livello regionale.

Costi di ricovero delle persone affette da demenza

Per quanto riguarda i costi delle prestazioni erogate in regime di ricovero alle persone affette da demenza, trattandosi di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, fanno carico per il 50% al Servizio sanitario regionale e per il 50% agli assistiti ovvero ai comuni nei casi di integrazione economica della retta.
Tale ripartizione muove dalla ricostruzione della disciplina che regola la materia, svolta dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza 23 aprile 2015, n. 2046), che ha escluso che gli interventi in favore delle persone affette da demenza in regime di ricovero siano totalmente a carico del servizio sanitario regionale. A tale riguardo, la Tabella allegata al DPCM 14 febbraio 2001 e l’Allegato C a DPCM 29 novembre 2001, prevedono che agli anziani e alle persone non autosufficienti con patologie cronico-degenerative a essi assimilate, nelle forme di lungo assistenza semiresidenziali o residenziali, si applichi una ripartizione forfettaria del costo complessivo pari al 50% a carico del SSR e pari al 50% a carico del comune con la compartecipazione dell’utente secondo la disciplina regionale e comunale.
Il DPCM 12 gennaio 2017, che ha aggiornato i livelli essenziali di assistenza, nel riprendere i principi posti dai precedenti giurisprudenziali richiamati, stabilisce all’articolo 30, con riguardo ai trattamenti di lungo assistenza alle persone non autosufficienti, la quota del 50% della tariffa giornaliera a carico del servizio sanitario regionale.

L’U.O. Centro Regionale per lo studio e la cura dell’Invecchiamento Cerebrale (CRIC)

Nella rete Alzheimer del Veneto è presente dal 1999 il CRIC, centro di terzo livello, la cui attività è specificamente rivolta ad integrare le conoscenze biologiche, cliniche, organizzative e assistenziali per ottenere un sistema di prevenzione, diagnosi precoce e cura delle demenze. Svolge attività clinico-assistenziali con un approccio multispecialistico su casi selezionati e, parallelamente, attività di ricerca clinica traslazionale . In collaborazione con altre istituzioni (Aziende ULSS, SSP, Università), promuove attività di formazione e aggiornamento professionale specifico. L’Obiettivo generale è di proporre modelli di cura in cui concorrano in modo integrato le diverse figure professionali che andranno a operare secondo un PDTA condiviso nei diversi ambiti (Ospedale, domicilio, RSA, Centri Diurni, SAPA). Inoltre il Centro collabora alle attività del Gruppo di lavoro per l’implementazione del Piano Nazionale Demenze del Ministero della Salute.
Attività Cliniche. Il Centro, in stretta associazione con altre unità operative dell’ Azienda Ospedale- Università di Padova (Clinica Neurologica, Clinica Geriatrica, UO di Neuroradiologia, di Medicina Nucleare, Medicina di Laboratorio e Genetica) e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria integrata di Verona (UOC Neurologia B) offre attività diagnostiche di alta specializzazione secondo percorsi condivisi (PDTA Aziendale per le Demenze Giovanili) su casi selezionati.
Il crescente numero di accessi ai reparti per acuti da parte dei soggetti con disturbi cognitivi causa una serie di nuove problematiche nella gestione clinica. La demenza presenta una complessità trasversale all’ambito clinico, assistenziale e riabilitativo, che ha ripercussioni cliniche, operative ed organizzative in quanto richiede modalità di approccio specifiche, sia da parte del singolo professionista, sia da parte dell’organizzazione sanitaria in generale. Il CRIC ha il compito di sviluppare nuovi modelli di cura e nuovi modelli organizzativi replicabili ed esportabili in diversi contesti socio-sanitari (ospedale, territorio, centri diurni e residenziali) e prevenire l’ospedalizzazione incongrua.
Servizi di riabilitazione. Il Centro offre servizi di riabilitazione, sia in regime di ricovero che in forma ambulatoriale, erogati da una équipe multiprofessionale formata da medico, psicologo, logopedista, educatore, fisioterapista, infermiere e operatore sanitario che operano sinergicamente. Dato l’elevato numero di pazienti che necessitano attività di stimolazione cognitiva saranno messe a punto tecnologie avanzate per la teleriabilitazione a domicilio e il monitoraggio e il mantenimento dell’autonomia del paziente a distanza.

Attività previste nel periodo di vigenza del presente Piano

- Implementare la raccolta di dati epidemiologici, di salute, predittivi di consumo di risorse, dei costi relativi all’assistenza e cura attraverso:
dati provenienti dai flussi regionali
cartella clinica regionale Cacedem
- Implementare la tutela alla salute e l’assistenza socio-sanitaria attraverso
la conferma del Centro Regionale per l’Invecchiamento Cerebrale (CRIC) dell’ Azienda Ospedale-Università di Padova come centro di riferimento regionale per i pazienti con particolari complessità e necessità diagnostico-differenziali di secondo e terzo livello (sezione con approfondimento)
la definizione dei criteri di accreditamento per i CDCD, Centri Diurni per pazienti con demenza e nuclei di RSA definiti per Alzheimer con indicazioni specifiche circa i programmi che si propongono
l’implementazione della collaborazione multidisciplinare, promuovendo servizi sul territorio che puntino a percorsi di integrazione socio-sanitaria con l’obiettivo di
implementare la qualità delle cure e l’assistenza continuativa, favorendo la diagnosi tempestiva, il supporto dopo la diagnosi e percorsi riabilitativi di stimolazione cognitiva, cosi come la presa in carico del fine vita
la creazione di percorsi informativi accessibili su servizi e programmi basati sulle evidenze
la creazione di percorsi formativi per operatori dell’ambito sanitario e sociale per creare competenze nei confronti dell’approccio al malato con demenza
la valutazione ed il monitoraggio dei servizi dedicati alla demenza con definizione di report specifici
- Ridurre l’incidenza del rischio di demenza attraverso
la promozione di programmi e campagne di prevenzione dei fattori di rischio modificabili
il monitoraggio dei dati epidemiologici, attraverso il case mix della popolazione
la creazione di un link tra la demenza e le malattie croniche non trasmissibili
percorsi formativi di promozione di salute pubblica tra i provider socio-sanitari
- Supportare il caregiver e la famiglia attraverso
la creazione di modalità di consultazione partecipata che coinvolga i soggetti con demenza e le loro famiglie per migliorare la conoscenza della malattia ed il superamento dello stigma (es. creazione di sportelli per le demenze gestiti dalle associazioni familiari)
programmi di tutela per i caregiver per superare l’isolamento sociale, la discriminazione come incontri psicoeducativi, tenuti dallo psicologo e dal personale della riabilitazione, colloqui psicologici, sino alla terapia familiare
un inquadramento di tipo sociale finalizzato a rilevare la presenza-affidabilità dei caregiver ed il relativo grado di collaborazione nel raggiungimento dei possibili obbiettivi di cura del paziente con valutazione del carico assistenziale ed il grado di stress dei caregiver
- Favorire la creazione di comunità accoglienti attraverso
la creazione di momenti di sensibilizzazione regionale e locale in cui ci sia il coinvolgimento delle persone malate e dei loro famigliari per creare collaborazione partecipata, aumentare le conoscenze e l’accettazione della malattia
la realizzazione di contesti sanitari e sociali sicuri, inclusivi, partecipati
la definizione di programmi che incoraggino la nascita di comunità accoglienti negli ambiti pubblici e privati, valorizzando il concetto di coinvolgimento attivo e rafforzamento del senso di comunità ed responsabilizzazione (co-progettazione, co- azione e co-valore)
- Favorire programmi innovativi attraverso
il monitoraggio dei flussi delle attività dei CDCD, attraverso la Cartella Elettronica Digitale per le Demenze (CaCEDem), uno strumento informativo unico regionale per la registrazione della presa in carico clinica delle persone con demenza, fonte informativa
di riferimento per quantificare i pazienti e tracciare e documentare le attività sanitarie dei Centri, alimentando il fascicolo elettronico regionale.
programmi di ricerca innovativi che offrano opportunità di partecipazione dei malati e dei loro caregivers secondo i requisiti etici
- Promuovere un sistema di governo clinico centrato sulla misurazione dei risultati attraverso un sistema di indicatori per la valutazione:
degli esiti di salute
dei processi organizzativi
dell’esperienza di cura e del grado di coinvolgimento attivo della persona al fine di responsabilizzare tutti gli attori nella gestione integrata della demenza e della multimorbidità


PARTE II:
I SISTEMI DI SUPPORTO












COREVE
































COREVE

10. IL GOVERNO DEL SISTEMA E IL GOVERNO DELLE AZIENDE


Parole chiave
Multilivello, Modello di rete, sussidiarietà , responsabilità, ciclo di performance

Obiettivi strategici
OS1. Garantire l’equità del SSSR e la tenuta del Sistema nonché l’attuazione del principio solidaristico e di sussidiarietà
OS2. Promuovere la trasparenza e partecipazione al processo decisionale e la valutazione diretta dei cittadini in ottica di “rendicontazione sociale”
OS3. Sviluppare un modello di governance multilivello consolidando il ruolo di indirizzo e pianificazione del livello centrale, il ruolo di gestione e controllo del livello intermedio, il ruolo di produzione ed erogazione dei servizi delle Aziende sanitarie e il ruolo di supporto degli enti strumentali
OS4. Promuovere sistemi di finanziamento efficienti e sistemi informativi all’avanguardia OS5. Favorire il confronto nazionale e internazionale
OS6. Assicurare coerenza tra gli strumenti di pianificazione controllo e valutazione della performance puntando sulla collaborazione sistematica dei beneficiari di ciascun servizio
OS7. Migliorare i processi di pianificazione, controllo e valutazione delle attività aziendali favorendo il coinvolgimento degli operatori nel processo di miglioramento continuo e l’utilizzatore finale ai fini della valutazione di efficacia ed efficienza

10.1. LA GOVERNANCE DEL SISTEMA

Al fine di consentire al SSSR di affrontare le nuove sfide, è fondamentale enucleare i principi idonei ad assicurare un governo efficace del sistema e a garantirne la sostenibilità.
In primo luogo campeggia il principio solidaristico, volto ad assicurare l’assistenza sanitaria e l’accesso ai servizi ai cittadini, nel rispetto dei bisogni di salute, di appropriatezza delle cure e di economicità nell’impiego delle risorse pubbliche. Il principio universalistico che sta alla base del SSSR impone infatti, al fine di rendere possibile la sopravvivenza e l’implementazione del SSSR alla luce degli obiettivi di salute pubblica individuati in sede programmatoria, che tutti gli interlocutori del sistema siano consapevolmente impegnati nel fornire risposte flessibili in quanto ancorate ai bisogni.
Per il perseguimento della sua vocazione universalistica, il SSSR deve improntare la propria azione al principio di trasparenza e di adeguata informazione agli interlocutori del sistema e ai cittadini, i quali partecipano, attraverso gli strumenti previsti dal sistema democratico, alla formazione stessa del SSSR e sono i destinatari della sua azione.
La molteplicità degli attori del sistema di offerta e la necessità di definire un percorso di cura sempre più integrato danno conto della complessità del governo del SSSR e della necessità che gli strumenti programmatori siano in grado di prevedere e intercettare gli scenari futuri, assicurando la “tenuta” del sistema e la sua adattabilità operativa.
Un sistema sostenibile necessita di un complesso governo multilivello, che preveda ruoli chiari nell’individuazione di fabbisogni e aree di intervento primarie e la successiva pianificazione degli obiettivi, al fine di consolidare le azioni di indirizzo e di programmazione.
Alla luce dei positivi risultati derivanti dall’adozione del modello c.d. di “Hub e Spoke” e della pianificazione-programmazione per reti dedicate, si ritiene di poter mutuare tale impostazione anche nel sistema di governo, inteso dunque come modello di rete costruito su più livelli determinati dal coinvolgimento di ogni nodo di rete in base alle caratteristiche dei livelli e ciò allo
scopo di garantire una maggiore flessibilità, assicurando nel contempo trasparenza e partecipazione alle scelte programmatorie.

La Regione

Con riferimento al ruolo della Regione, si richiama, in via preliminare, quanto previsto dallo Statuto, secondo il quale spetta al Consiglio regionale la determinazione dell’indirizzo politico e amministrativo regionale, mediante la definizione di principi e indirizzi generali, nonché il controllo dell’attuazione (articolo 33); spetta alla Giunta regionale definire e realizzare gli obiettivi di governo e di amministrazione (articolo 54).
E’ nel rispetto delle suindicate sfere di competenza, pertanto, che si procede a fissare gli indirizzi di politica sanitaria e pianificare gli interventi strategici per il raggiungimento degli obiettivi di salute, individuando programmi finalizzati ad assicurare il diritto alla salute, l’accessibilità alle cure e l’integrazione tra servizi e attività sanitaria e socio-sanitaria, determinando anche le risorse necessarie a sostenere l’organizzazione del sistema SSSR e la complessa rete dei servizi erogati dal SSSR.
Il processo della programmazione, con riferimento al Piano Socio Sanitario, si sviluppa attraverso un iter che vede il coinvolgimento di:
- Giunta regionale, che adotta il piano socio sanitario regionale e lo trasmette al Consiglio regionale per l'approvazione (articolo 2, comma 4, LR 56/1994);
- Commissione consiliare permanente competente in materia di politiche socio - sanitarie, che esamina preventivamente il relativo disegno di legge (articolo 44, comma 1, dello Statuto) e che quindi, attraverso una articolata fase istruttoria, che vede il coinvolgimento di cittadini, singoli o associati, enti, associazioni e organizzazioni, che forniscono pareri ed eventuali proposte di modifica nella fase di formazione di provvedimenti legislativi, approva il testo del progetto di legge che viene quindi proposto all’approvazione del Consiglio regionale;
- Consiglio regionale che, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli dallo Statuto (sopra richiamate) e con le modalità fissate dal Regolamento, approva il provvedimento legislativo.

L’Area Sanità e Sociale

All’Area Sanità e Sociale, macro struttura della Giunta regionale, che ai sensi di quanto previsto dallo Statuto regionale (art. 44, comma 2) e dal Regolamento del Consiglio regionale (art. 54, comma 1), viene coinvolta nell’attività della Commissione consiliare competente in materia di politiche socio - sanitarie, al fine di fornire informazioni, atti, documenti, nonché al fine di riferire al Consiglio regionale sull’attività delle aziende e degli enti del sistema socio-sanitario regionale (ai sensi di quanto previsto dall’art. 11, comma 4, lett. c), della LR 19/2016), compete la realizzazione degli obiettivi socio-sanitari di programmazione, indirizzo e controllo, individuati dagli organi regionali, nonché il coordinamento delle strutture e dei soggetti che a vario titolo afferiscono al settore socio-sanitario (ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 4, della LR 23/2012 Piano Socio-Sanitario 2012-2016).
L’Area, dunque, armonizza, sviluppandole e verificandone la corretta attuazione, le politiche sanitarie e socio-sanitarie, operando in coerenza con le scelte espresse negli atti di programmazione.
Contribuisce a dare realizzazione agli obiettivi socio-sanitari di programmazione, fornendo indicazioni attuative per la programmazione alle aziende sanitarie e agli enti del sistema sanitario
e disponendo con propri atti le azioni di coordinamento e raccordo degli interventi degli enti del sistema sanitario.
Verifica la coerenza del sistema della programmazione, con il livello qualitativo e con i bisogni di salute attraverso gli indicatori di efficienza, efficacia e qualità nazionali e regionali e le analisi tecniche di Azienda Zero, al fine di consentire ai competenti organi regionali la valutazione dei risultati raggiunti.
L’Area propone alla Giunta regionale i provvedimenti, quali la definizione del sistema di
«standard», che permettono di programmare e monitorare l’organizzazione dei servizi, dei processi e delle performance, delle risorse umane, della tecnologia e degli esiti di salute del SSSR.
Proprio per assicurare la congruità delle scelte con la programmazione socio-sanitaria nonché la convenienza economica, in linea con le proprie funzioni di indirizzo, al Direttore dell’Area è stata, altresì, attribuita la presidenza della Commissione regionale per gli investimenti in tecnologia ed edilizia della Regione (CRITE), che consente l’assegnazione delle risorse finanziarie con l’obiettivo di migliorare il governo della spesa e dei dispostivi garantendo la coerenza tra gli obiettivi di Piano e i vincoli di bilancio imposti, oltre al controllo delle politiche degli investimenti.
L’Area infine si pone ed è riconosciuta come interlocutore nei tavoli tecnici nazionali nonché in diverse iniziative di rilievo internazionale.
Il Direttore generale dell’Area Sanità e Sociale presiede il Comitato dei Direttori Generali, composto dai vertici delle Aziende sanitarie che opera al fine di garantire la piena attuazione di alcune funzioni di Azienda Zero e coordinarne l’azione nei confronti delle Aziende sanitarie, come previsto dall’articolo 3 della LR 19/2016.
L’Area si avvale di Azienda Zero come supporto tecnico per attività di coordinamento, controllo e vigilanza del SSSR.

L’Azienda Zero

Le attività di Azienda zero si possono ricondurre a tre macro obiettivi di:
- supporto all’attuazione degli indirizzi regionali in materia sanitaria e socio-sanitaria;
- coordinamento e supporto alle aziende sanitarie nel miglioramento dei processi tecnico amministrativi e di organizzazione sanitaria e socio sanitaria;
- gestione di attività tecnico amministrative specialistiche a livello regionale.
L’azione di supporto all’attuazione della programmazione si concretizza nel fornire a Area Sanità e Sociale i dati, le analisi, le informazioni e il supporto tecnico necessario ad assumere decisioni o proporre provvedimenti, alla Giunta regionale.
Ad esempio l’utilizzo di un sistema di «standard» rende necessario che Azienda Zero monitori l’organizzazione dei servizi, dei processi e delle performance, delle risorse umane, della tecnologia e dei risultati di salute del SSSR, mediante una verifica costante dei risultati raggiunti.
Nell’ambito dei processi tecnico amministrativi Azienda Zero gestisce alcune funzioni per le quali l’accentramento permette una migliore risposta in termini di efficienza e semplificazione dei processi.
Altri processi tecnico amministrativi che necessitano di una gestione più vicina al luogo dove si eroga la prestazione o che sono a supporto delle funzioni gestionali aziendali restano in capo alle aziende sanitarie ma Azienda Zero svolge un fondamentale ruolo di supporto all’omogeneizzazione e al coordinamento delle stesse a livello regionale.
Questa distribuzione di funzioni consente di coordinare le azioni e razionalizzare le risorse determinando, altresì, un significativo risparmio di spesa e lo sviluppo di alte competenze tecniche, come ad esempio, avviene nell’ambito del coordinamento degli acquisti sanitari che permette di contenere tempi e costi nelle gare di approvvigionamento di beni e servizi ed una utile comparazione delle caratteristiche tecniche dei beni sanitari.
Azienda Zero infine eroga le risorse secondo quanto definito dalla Giunta e assegnato dall’Area, presiede la funzione della gestione sanitaria accentrata e monitora l’andamento economico finanziario segnalando all’Area Sanità e Sociale gli scostamenti rilevanti.
La coerenza e la sostenibilità degli interventi programmatori e di indirizzo operativo vengono valutate dal Comitato dei Direttori generali che si pone come garante di un proficuo raccordo strategico tra l’Area Sanità e sociale, Azienda zero e Aziende sanitarie.
Il Comitato dei Direttori generali, che contribuisce a dare operatività e perseguire indirizzi programmatori, è istituito e è composto da tutti i Direttori generali delle Aziende sanitarie e Azienda Zero e è presieduto dal Direttore di Area Sanità e Sociale.

Le Aziende Sanitarie

Con il termine aziende sanitarie si intendono le 9 Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e lo IOV.
La riduzione delle ULSS nella recente riforma ha tenuto in necessaria considerazione il mantenimento di strutture e direttori responsabili che coprano gli ambiti territoriali delle ULSS accorpate a salvaguardia della vicinanza tra chi eroga i servizi socio sanitari e la popolazione stessa.
I 26 Distretti delle Aziende ULSS sono infatti articolazioni che sono deputate a fare valutazioni di sintesi tra i bisogni di salute della popolazione di riferimento e l’offerta di servizi dell’Azienda ULSS.
È compito primario delle aziende in parola infatti, individuare i fabbisogni di salute espressi e inespressi e verificare il grado di soddisfacimento dei cittadini rispetto ai servizi offerti, perciò l’azienda ULSS analizza e individua i bisogni di salute e organizza il sistema di offerta delle prestazioni pubbliche individuando gli erogatori in: strutture proprie, strutture private accreditate o altri erogatori a totale partecipazione pubblica.
L’Azienda ULSS ha il compito di organizzare i servizi per i cittadini, mediante la presa in carico del paziente per tutto il percorso di cura assicurando al cittadino un servizio sicuro e di qualità. L’opera delle Aziende sanitarie deve vertere anche sull’organizzazione ottimale dei servizi affinché essi siano efficaci ed efficienti ed appropriati.
Le Aziende ULSS quindi assicurano nel territorio le prestazioni previste nei livelli uniformi di assistenza realizzando le scelte della programmazione contenute nel piano socio sanitario regionale e sugli atti di programmazione adottati dalla Giunta regionale.
Sono tenute, inoltre, a applicare gli indirizzi di pianificazione e programmazione e organizzazione efficiente determinati da Consiglio, Giunta, Area sanità e sociale.
Nell’esercizio delle loro funzioni accrescono le competenze e le conoscenze del sistema sanitario attraverso la valorizzazione del capitale umano e la promozione di strumenti per il miglioramento del governo clinico
Le aziende ospedaliere e lo IOV, che per loro natura sono strutture che erogano di prestazioni sanitarie si configurano tra le aziende del SSSR come Hub di eccellenza e punto di riferimento per le alte competenze e specializzazioni presenti e per la loro collaborazione con le università in ambiti di cura, ricerca e formazione.


I soggetti catalizzatori

Oltre agli organi regionali, l’Area, Azienda Zero e Aziende sanitarie, nel sistema di governance multilivello sono identificati, per il loro ruolo di supporto alle fasi dell’attuazione della programmazione, alcuni soggetti definibili come “catalizzatore“ di governance, ossia quei soggetti che favoriscono lo sviluppo dei processi di governo del SSSR.

La Fondazione SSP Scuola di Sanità Pubblica

Fondazione Scuola di Sanità Pubblica (FSSP), ha l’obiettivo di sostenere e contribuire al miglioramento dei servizi sanitari e socio-sanitari, attraverso la valorizzazione e lo sviluppo delle competenze del personale del SSSR, lo studio dei modelli organizzativi e gestionali, la ricerca e l’innovazione nei Sistemi Sanitari nazionali ed internazionali. FSSP realizza inoltre attività finalizzate alla promozione e diffusione dell’informazione in materia di donazione e trapianto di organi e tessuti.
Il programma di attività, su indicazione della Regione, si rivolge al personale dipendente e convenzionato delle Aziende ULSS, Aziende Sanitarie e IRCSS del Veneto. FSSP progetta e realizza percorsi di formazione manageriale per le direzioni strategiche, i direttori di struttura complessa e il middle management; percorsi di formazione specialistica sanitaria e tecnico-amministrativa, in particolare dedicata alle nuove figure professionali che la trasformazione del SSSR ha individuato. Le attività vengono realizzate attraverso collaborazioni con le migliori Università italiane, con il contributo di Scuole di formazione manageriale con cui è stato costituito un network regionale nonché con il confronto con Sistemi Sanitari che rappresentano eccellenze internazionali nel campo della Salute.
Nell’ambito delle finalità di formazione, sviluppo e aggiornamento delle competenze del personale e dei professionisti del SSR, la FSSP svolge specifica attività formativa nel campo dell’assistenza primaria; a tale fine, alla Fondazione è affidata l’organizzazione didattica e la gestione del corso di formazione specifica in medicina generale di cui al d.lgs. 368/1999, che avrà sede operativa presso la sede della Fondazione stessa.
L’obiettivo formativo deve essere quello di garantire una formazione specifica che privilegi gli aspetti tipici del ruolo del medico di medicina generale, con particolare riferimento all’attuale contesto epidemiologico ed organizzativo della Regione, fornendo gli strumenti per lo sviluppo del sistema delle cure primarie all’interno della più ampia riorganizzazione del servizio socio sanitario regionale.
In considerazione della rilevanza di tale attività, sarà istituito nell’ambito della Fondazione un Comitato scientifico composto dal direttore della struttura regionale competente per le cure primarie con funzioni di presidente e quattro membri di comprovata esperienza nell’ambito formativo dell’assistenza primaria ed in rappresentanza della medicina generale, nominati dal consiglio di amministrazione della Fondazione stessa.
Il Comitato scientifico avrà le seguenti funzioni:
- programmazione dell’attività formativa in coerenza con le linee di indirizzo nazionale e regionale;
- pianificazione annuale degli eventi formativi e conseguentemente approvazione del calendario annuale dei corsi;
- individuazione del corpo docenti;
- valutazione del regolare andamento dei corsi;
- verifica qualitativa del corso triennale, attraverso adeguati strumenti.
Infine, in considerazione della specifica competenza formativa in materia di assistenza primaria, il Consiglio di amministrazione della Fondazione sarà integrato da un rappresentante dei medici di medicina generale.

Il Consorzio per la Ricerca Sanitaria - CORIS

Il Consorzio per la Ricerca Sanitaria, ente di ricerca, costituito tra enti operanti nel settore della sanità, ricerca scientifica e assistenza sociale, quali le Aziende sanitarie e le Università, opera nel pubblico interesse e si propone di promuovere, incrementare e sostenere la ricerca regionale scientifica, in campo sanitario e socio sanitario.
Gli ambiti nei quali opera rispettano le priorità definite periodicamente a livello regionale e possono includere settori specifici, quali, ad esempio, l’oncologia, i trapianti, la medicina rigenerativa, o tematiche più trasversali che riguardano l’organizzazione e il miglioramento dei servizi offerti nel SSSR, come, ad esempio, lo sviluppo di nuovi percorsi diagnostico terapeutici e la valutazione delle tecnologie sanitarie, o lo sviluppo di progettualità volte alla tutela della salute, ex ante ed ex post, ivi compresa, a titolo esemplificativo, la farmacovigilanza.
Le attività si articolano prevalentemente nelle tre aree sotto descritte:
- Promozione e sostegno alla ricerca scientifica - che include tutte le azioni necessarie alla ricerca di finanziamenti per la ricerca e alla partecipazione a bandi nazionali ed internazionali
- Gestione dei progetti di ricerca - che prevede che CORIS supporti i progetti anche attraverso la diretta gestione dei fondi assegnati dai bandi;
- Attività di valutazione, progettazione, coordinamento, partenariato anche con il settore privato, a favore di tematiche di ricerca ritenute prioritarie - dove rientra anche l’attività di supporto alla Ricerca Sanitaria Finalizzata Regionale.
Particolare rilievo assume l’attività di sostegno alla ricerca clinica, attraverso il supporto amministrativo e gestionale ai nuclei di ricerca clinica e ai comitati etici e attraverso la costituzione di un registro delle sperimentazioni cliniche.
Anche questo Consorzio acquisisce un ruolo chiave quale strumento operativo nella realizzazione del modello di governance del sistema. In particolare contribuisce a rendere più flessibile l’organizzazione del SSSR in un’ottica di miglioramento dei servizi offerti e di soddisfacimento dei bisogni del cittadino.

Arsenàl.IT – Centro Ricerca e Innovazione per la Sanità digitale

Il consorzio tra le Aziende del SSSR, Arsenàl.IT – Centro Veneto Ricerca e Innovazione per la Sanità Digitale, il soggetto promotore dello studio, della ricerca, della diffusione della conoscenza e del sapere digitale nel campo dell’e-Health e si avvalgono del supporto dello stesso per la realizzazione di iniziative di interesse regionale e locale nel medesimo campo, compresa l’uniformazione informativa dei processi interni agli enti medesimi.
Il Consorzio, infatti, raccogliendo i rappresentanti delle Aziende SSSR (i direttori generali) che siedono negli organi consortili, realizza le proprie funzioni istituzionali e rappresenta il punto di riferimento nel campo ICT per gli enti del SSSR consorziati, garantendo sistemi e servizi informativi uniformi e replicabili sul territorio del Veneto. Contribuire a sviluppare gli indirizzi programmatori regionali, è fondamentale per poter realizzare la necessaria convergenza informativa del sistema.
Arsenàl.IT, quale centro di competenza per l'eHealth persegue il miglioramento dei processi sanitari e dell'assistenza offerta al cittadino in un’ottica di collaborazione interaziendale.
Il Consorzio deve essere promotore di modelli sostenibili di servizi sanitari, promuovere il miglioramento del sistema nel contenimento dei costi, con forte accento sull'interoperabilità e sull'utilizzo di standard internazionalmente riconosciuti e svolge un’attività di ricerca per l'innovazione, progettando nuove soluzioni mirate al perfezionamento dell'organizzazione.

Il sistema di valutazione delle performance: gli obiettivi dei Direttori generali

L’esigenza di una organizzazione sempre più attenta per il soddisfacimento di bisogni sanitari, accresce l’importanza del tema della misurazione e valutazione delle performance del SSSR .
L’impianto di assegnazione degli obiettivi, monitoraggio e valutazione dei risultati, è stato oggetto negli ultimi anni di significativi interventi legislativi ed ha dimostrato di supportare il più ampio processo di governo delle aziende sanitarie, un processo che deve tendere a collegare gli obiettivi di programmazione regionale con gli obiettivi del ciclo di programmazione delle performance aziendali.
I criteri di valutazione dell’attività dei Direttori Generali considerano infatti il raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro della programmazione regionale, con riferimento all’efficienza, efficacia e funzionalità dei servizi e qualità.
La valutazione globale dei risultati, volta a garantire la qualità dei servizi offerti ai cittadini nel rispetto dell’equilibrio economico-finanziario del SSSR. È in capo alla Giunta, al Consiglio e alla Conferenza dei sindaci, in particolare:
- garanzia dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nel rispetto dei vincoli di bilancio, di competenza della Giunta Regionale;
- rispetto della programmazione regionale derivante da specifici provvedimenti della Giunta regionale per l’anno di riferimento, di competenza della competente Commissione del Consiglio regionale;
- qualità ed efficacia dell’organizzazione dei servizi sociali e socio sanitari sul territorio delle Aziende ULSS, di competenza della relativa Conferenza dei Sindaci.
La definizione degli obiettivi dovrà consentire la conciliazione di due finalità potenzialmente conflittuali:
- la piena aderenza regionale alle disposizioni normative ed ai sistemi di misurazione e valutazione nazionale, cosa che richiede l’omogeneizzazione dei risultati sul territorio a fronte di standard che spesso rappresentano una performance media;
- mantenere e incrementare, le eccellenze presenti nel SSSR, confrontandole con le migliori pratiche a livello internazionale e adottando i più evoluti sistemi di valutazione della performance.
Si possono pertanto identificare le seguenti direttrici di sviluppo del sistema di assegnazione degli obiettivi ai Direttori Generali:
- l’apertura ancora più significativa, del sistema di assegnazione degli obiettivi e di valutazione della performance agli stimoli esterni, nazionali, internazionali e dei cittadini;
- la maggior personalizzazione degli obiettivi integrati tra le Aziende Ospedaliere di Padova e Verona, lo IOV, le ULSS con i suoi ospedali, anche utilizzando modelli organizzativi dipartimentali, in modo da attuare una integrazione effettiva tra i servizi territoriali con

quelli ospedalieri, tenendo conto del dato di partenza, degli standard nazionali ed internazionali e delle concrete soluzioni perseguibili dalle singole aziende;
- la gestione degli obiettivi con tempistiche adeguate ad una funzionale interazione con il Ciclo della performance aziendale.




COREVE

10.2. LA GOVERNANCE DELLE AZIENDE

Nell’ambito del nuovo sistema di governance regionale dei SSSR del Veneto, delineato nel paragrafo precedente ed in linea con quanto previsto dalla L.R. 19/2016, le Aziende sanitarie sono chiamate a ridelineare in loro modelli di governance interna, anche in applicazione di quanto previsto dai nuovi Atti aziendali.
Le Aziende, con il nuovo assetto organizzativo e la rifocalizzazione della loro mission, dovranno essere in grado di realizzare il processo di cambiamento, garantendo sempre più elevati livelli quali/quantitativi dei servizi ai cittadini.
In particolare esse dovranno:
- sviluppare modalità operative innovative nell’organizzazione ed erogazione dei servizi;
- garantire la presa in carico globale della persona (e della sua famiglia/caregiver) nei diversi contesti socio-sanitari;
- perseguire il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza;
- introdurre percorsi assistenziali innovativi finalizzati a garantire la continuità delle cure, l’integrazione degli operatori e dei servizi nonché un utilizzo appropriato ed equo delle risorse;
- mantenere elevati livelli di qualità riducendo i costi in applicazione degli standard regionali;
- garantire l’assistenza come competenza fondamentale, che deve essere prestata con continuità e secondo criteri di integrazione organizzativa e multidisciplinare;
- sviluppare la pratica professionale e clinica guidata dalle più aggiornate tecniche e procedure;
- assicurare gli standard più elevati dei servizi secondo criteri di appropriatezza;
- garantire la formazione continua del personale quale strumento di miglioramento dell’assistenza, finalizzata all’accrescimento del capitale umano dell’Azienda ed all’incremento/aggiornamento delle conoscenze e competenze. (L.R. 19/2016)
Tutte le aziende del SSSR dovranno, quindi, presidiare e razionalizzare, in una logica di innovazione, i loro sistemi gestionali, i meccanismi operativi e gli strumenti di governo, tra cui tra i principali si ricordano:
- il ciclo di programmazione, che dovrà essere basato sulla capacità di misurare il reale bisogno delle popolazione del territorio, diversificato per classi di rischio (impiego del sistema ACG) e la connessa attività di controllo di gestione;
- la valutazione e la rendicontazione delle performance;
- la rendicontazione sociale (in una logica di “rendere conto” e relazione con i “portatori di interesse”);
- la gestione delle cosiddette operation, attraverso l’enucleazione delle piattaforme erogative (sale operatorie, poliambulatori, degenze, ...);
- il ridisegno dei processi amministrativi, sia per le attività che rimangono in capo alle aziende sanitarie che per quelle ricondotte in Azienda Zero;
- la certificabilità dei bilanci aziendali, sviluppando il Percorso Attuativo della Certificabilità (PAC);
- il sistema informativo e la dematerializzazone dei documenti;
- la gestione del rischio clinico;
- i controlli interni;
- la trasparenza e l’anticorruzione;
- la gestione dei sinistri e dei costi assicurativi;
- lo sviluppo delle competenze e la motivazione del personale.
Dal punto di vista delle responsabilità gestionali e professionali, fermo restando il ruolo degli organi aziendali (Direttore generale, Collegio sindacale, Collegio di direzione), dei componenti la direzione generale (Direttore amministrativo, Direttore sanitario, Direttore dei servizi socio- sanitari), del Consiglio dei sanitari, delle Direzioni degli ospedali e delle Direzioni dei dipartimenti, tra gli aspetti significativi che derivano del processo di riforma in atto e che devono essere sviluppati dalle aziende vanno evidenziati:
- il nuovo ruolo dei Direttori dei distretti in linea con la crucialità delle funzioni territoriali;
- la presenza di figure di coordinamento, rispettivamente sanitario, amministrativo e dei servizi socio-sanitari per le aziende di più grandi dimensioni;
- la previsione di alcune nuovi servizi in staff alla direzione generale (innovazione e sviluppo organizzativo; internal auditing, formazione);
- la previsione di una Direzione della funzione ospedaliera e di una Direzione della funzione territoriale per le aziende ULSS;
- la previsione di strutture semplici a dirigenti delle professioni sanitarie in capo alle strutture Ospedale, Distretto e Dipartimento di Prevenzione delle aziende ULSS;
- la previsione di alcuni incarichi di natura professionale di dirigenti delle professioni sanitarie per gli ospedali hub;
- la previsione di incarico di natura professionale di dirigente delle professioni sanitarie per il Dipartimento funzionale di riabilitazione ospedale territorio delle aziende ULSS;
- altri incarichi di natura professionale di dirigente delle professioni sanitarie per alcune aree/ servizi particolari (diagnostica di laboratorio e per immagini per la aziende aulss sede di ospedali hub/spoke, punti nascita per numero di parti superiore a 3000/anno).
La presenza di tali nuovi ruoli organizzativi, prefigura un potenziamento del middle management aziendale, il cui ruolo appare fondamentale in una fase di aumento delle dimensioni delle aziende territoriali.
La Direzione generale sarà quindi chiamata in particolare a:
- sviluppare le funzioni di programmazione, allocazione, committenza e controllo;
- dare concreta attuazione ai nuovi modelli organizzativi, adottando un approccio dinamico e flessibile, in grado di adattarsi, nella fase di transizione, in modo osmotico al progressivo sviluppo dell’organizzazione e delle attività dell’Azienda Zero.
- individuare le figure più idonee a ricoprire i nuovi ruoli organizzativi previsti;
In questo contesto sarà fondamentale riconoscere e sviluppare il ruolo strategico dei Direttore Amministrativo, del Direttore Sanitario e del Direttore dei Servizi Socio-Sanitari nello svolgimento delle funzioni della Direzione generale, in affiancamento al Direttore generale.
Il Direttore dei servizi socio-sanitari e il Direttore sanitario, ciascuno per il proprio ambito di competenza, sono responsabili, inoltre, di assicurare i collegamenti funzionali tra il Distretto e il Dipartimento di Prevenzione, il Dipartimento di Salute Mentale, il Dipartimento per le Dipendenze e tutte le strutture aziendali, al fine di garantire la continuità ed il coordinamento assistenziale per il paziente.
Le macro strutture organizzative delle Aziende ULSS (Distretto, Ospedale, Dipartimento di Prevenzione), della Aziende Ospedaliere e dello IOV, dovranno concentrarsi invece sulla produzione dei servizi per gli utenti, garantendo il massimo livello di efficacia, qualità ed efficienza.
In questo ambito assume un ruolo centrale il Direttore di Distretto, quale “gestore della rete territoriale” in grado di governare molteplici servizi e risorse del territorio, nonché di alimentare e creare, laddove mancanti, le connessioni tra i soggetti (nodi) di una rete, agendo come facilitatore dei processi di integrazione al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi di salute (anche con riferimento alle strutture ospedaliere e del Dipartimento di prevenzione). Il Direttore di distretto agisce quindi come garante della salute della comunità. A lui sarà affidata in primo luogo, quindi, la gestione delle relazioni con gli stakeholder del territorio di riferimento.

COREVE

11. LA GESTIONE DEL PATRIMONIO INFORMATIVO SOCIO-SANITARIO


Parole chiave
Convergenza informativa, Digitalizzazione, Esperienza dell’utente

Obiettivi strategici
OS1. Potenziare la cooperazione informativa e informatica tra tutte le strutture sanitarie regionali
OS2. Potenziare il sistema informatico, garantendo la massima interoperabilità e il governo in tempo reale delle informazioni OS3. Controllare e validare le soluzioni informatiche adottate a livello regionale ed aziendale
OS4. Mantenere ed evolvere il fascicolo socio sanitario elettronico regionale e garantire la sua alimentazione continuativa con dati e documenti digitali permettendo agli assistiti l’accesso, la consultazione e la gestione di essi
OS5. Garantire ampio accesso e utilizzo dei servizi innovativi proposti con particolare riguardo per i cittadini anziani e/o con scarsa attitudine alla tecnologia
La strategia di digitalizzazione della sanità delineata nello scorso piano ha permesso di costruire adeguate fondamenta per la progressiva armonizzazione dei sistemi informativi e la nascita di alcuni servizi, già oggi a disposizione dei cittadini della Regione del Veneto.
Dal punto di vista del governo delle informazioni, il panorama socio sanitario si presenta come un ecosistema in rapida evoluzione che richiede ulteriori azioni strategiche al fine di completare il processo di convergenza informativa delle Aziende sanitarie/distretti e lo sviluppo di ulteriori soluzioni innovative. L’obiettivo è sfruttare le potenzialità del digitale per rispondere alle sfide legate ai nuovi bisogni di salute.
Data la particolare rilevanza dell’argomento in questione e al fine di raggiungere gli obiettivi preposti, assume ancora maggior valore il tema dello sviluppo del Fascicolo Socio Sanitario Elettronico regionale.
Sarà inoltre fondamentale armonizzare alcuni temi rilevanti, tra loro interconnessi:
- raggiungere un buon livello di convergenza informativa in modo tale da assicurare una rapida adozione del Fascicolo Socio Sanitario Elettronico regionale e la digitalizzazione dei processi;
- studiare ed implementare servizi innovativi capaci di sfruttare al meglio le potenzialità informatiche;
- dare una forte connotazione umana allo sviluppo dei servizi, coinvolgendo quanto più possibile gli utenti, siano essi cittadini o professionisti del settore, nel disegno partecipato degli stessi.
L’evoluzione tecnologica ha infatti determinato che il settore socio sanitario, nella sua complessità ed estensione geografica/territoriale, sia rappresentabile tramite un patrimonio informativo sempre più esteso ed articolato: l’informatizzazione di un numero sempre maggiore di attività socio-sanitarie ha ormai raggiunto ottimi risultati in termini di affidabilità e completezza del dato, punto di partenza per una efficiente analisi dei processi oggetto di studio.
Il governo del settore socio sanitario si basa sulla conoscenza sempre più approfondita, condivisa a livello aziendale/distrettuale e trasparente per il cittadino, di tale patrimonio informativo, e mira a:
- individuare le migliori pratiche erogate nei singoli servizi, comprenderne i motivi di successo e di estenderle su tutto il territorio regionale;
- identificare le eventuali criticità esistenti, definire le azioni di miglioramento necessarie alla loro risoluzione e monitorarne lo stato di attuazione;
- valutare le eventuali sovrapposizioni/ridondanze di attività svolte nelle singole aziende/distretti, nonché le eventuali difformità nel loro svolgimento, ricondurle a un processo di omogeneizzazione e, dove possibile, di centralizzazione, anche ai fini di liberare risorse da dedicare ad attività in grado di creare maggior valore per il cittadino.
L’intera filiera relativa alla produzione delle informazioni di carattere socio sanitario prevede nello specifico:
- il recepimento dei contenuti dei flussi informativi trasmessi dagli attori del SSSR;
- il controllo logico-formale della qualità del dato (es. rispetto delle regole di compilazione predisposte per i singoli flussi informativi);
- il controllo di appropriatezza clinica dei contenuti;
- la validazione e certificazione della qualità del dato;
- l’elaborazione delle informazioni, mediante la gestione diretta dei più moderni strumenti di analisi, integrazione e gestione dei dati raccolti;
- la generazione di indicatori e cruscotti direzionali mediante tecniche avanzate di business intelligence;
- la pubblicazione e la diffusione delle elaborazioni;
- la definizione di proposte di azioni correttive da implementare da parte degli attori oggetto di studio per risolvere le eventuali criticità riscontrate;
- il mantenimento delle relazioni con tutti gli attori del SSN (es. Ministero della Salute) per l’adempimento di tutte le attività/debiti informativi previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
La corretta gestione dei flussi informativi rappresenta il nodo iniziale e imprescindibile per la disponibilità di un patrimonio informativo agile da consultare, affidabile nei contenuti e aggiornato nelle informazioni.
Il governo delle informazioni è in capo ad Azienda Zero. Il raggiungimento degli obiettivi sotto riportati coinvolge a vario titolo i “catalizzatori di governance” quali Arsenàl.IT, Fondazione Scuola di Sanità Pubblica e CORIS, in base agli ambiti di competenza.
Gli attuatori delle disposizioni definite sono le Aziende sanitarie/distretti e tutte le strutture private accreditate che producono dati e documenti atti ad alimentare il sistema informativo regionale.
Si possono quindi individuare i seguenti obiettivi strategici:
- Perseguire la convergenza informativa tra le strutture afferenti al SSSR attraverso:
la cooperazione informativa e informatica (interoperabilità) tra l’Area Sanità e Sociale, Azienda Zero e le Aziende sanitarie/distretti, attraverso l’introduzione di soluzioni tecnologiche e organizzative uniformi e convergenti sul sistema informativo regionale;
l’inclusione nel sistema informativo socio sanitario regionale di tutte le strutture private accreditate, grazie all’integrazione e l’interoperabilità con i sistemi informativi presenti nelle Aziende sanitarie/distretti;
l’introduzione e adozione di modelli di gestione degli applicativi informatici basati su logiche di avviamento e dismissione agili orientate a massimizzare la fruibilità per gli operatori e facilitare il cambiamento;
l’innovazione e la razionalizzazione del parco applicativo esistente presso le Aziende sanitarie/distretti, rendendolo maggiormente flessibile e interoperabile, in un’ottica di convergenza;
la completa attuazione della funzione di supporto tecnico di Arsenàl.IT, attraverso il controllo e la validazione delle soluzioni informatiche adottate dal sistema informativo socio sanitario della Regione del Veneto;
l’implementazione di un sistema regionale di monitoraggio e controllo in tempo reale delle informazioni;
il potenziamento della connettività interaziendale, puntando a realizzare reti ad elevate prestazioni in grado di aumentare l’affidabilità e la sicurezza;
la razionalizzazione dei data-center attraverso l’adozione di soluzioni innovative orientate all’iperconvergenza e al cloud computing (“nuvola infromatica”).
- Perseguire lo sviluppo del Fascicolo Socio Sanitario Elettronico regionale e la digitalizzazione dei processi. Il Fascicolo in particolare risulta essere lo strumento principale per lo sviluppo del sistema socio sanitario regionale e a tal fine si ritiene strategico prevedere:
il suo mantenimento e l’evoluzione con tutti i dati e i documenti disponibili, in linea con quanto definito dai documenti di indirizzo nazionali e regionali di riferimento;
l’alimentazione continua di dati e documenti da parte delle Aziende sanitarie/distretti, verso l’infrastruttura regionale;
agile accesso, consultazione e gestione dei dati e documenti digitali da parte del cittadino;
l’implementazione di nuove soluzioni e canali di erogazione dei servizi per l’accesso al Fascicolo Socio Sanitario regionale quali ad esempio applicazioni su dispositivi mobile, in grado di assicurare l’utilizzo diffuso delle informazioni da parte di cittadini e operatori socio-sanitari;
l’integrazione sistematica e organica dei servizi di telemedicina, teleassistenza e telemonitoraggio sviluppati e in corso di evoluzione all’interno dell’infrastruttura tecnologico-informativa del FSSE regionale al fine di rendere strutturale il disegno della rete dei servizi al cittadino, nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti con particolare supporto alla gestione delle cronicità, così da migliorare la qualità della vita e, quindi, l’inclusione dei pazienti affetti da patologie croniche, in particolare gli anziani;
l’utilizzo di strumenti di appropriatezza e di sistemi di analisi di dati complessi per supportare la cura, la ricerca e il governo del sistema socio sanitario.
- Promuovere il disegno partecipato dei servizi, date le potenzialità della tecnologia e il suo crescente utilizzo nell’ecosistema sanitario al fine di:
creare servizi accessibili e di facile utilizzo in grado di rispondere in maniera adeguata e repentina alla continua evoluzione dei bisogni degli utenti correlata alle trasformazioni socio-economiche in atto;
garantire ampio accesso e utilizzo dei servizi innovativi proposti per cittadini e operatori del SSSR, con particolare riguardo per il cittadino fragile e/o con scarsa attitudine alla tecnologia, creando un sistema di comunicazione integrato e coordinato a livello regionale;
diffondere modelli di sviluppo partecipato dei servizi, nei quali gli utenti possano collaborare con gli operatori socio-sanitari nel disegno degli stessi, in modo da garantire maggiore rispondenza ai bisogni reali dei cittadini e aumentare così il livello di utilizzo degli strumenti innovativi introdotti;
supportare gli operatori SSSR nella gestione del cambiamento conseguente all’introduzione di nuovi servizi e tecnologie digitali;
creare percorsi di alfabetizzazione e diffusione della cultura digitale, nonché promuovere luoghi di intermediazione capaci di garantire ampio accesso e utilizzo dei servizi proposti.
- Monitorare e valutare gli indicatori ospedalieri e territoriali:
attivare una reportistica a livello regionale sempre più sintetica e focalizzata su singoli aspetti dell’attività, al fine di garantire all’Area Sanità e Sociale, Azienda Zero, Aziende sanitarie/distretti un’agile consultazione delle informazioni, mirata all’individuazione delle migliori pratiche ed, eventualmente, delle criticità in materia di erogazione dei servizi socio sanitari;
potenziare l’attività di definizione di indicatori dedicati alle Aziende sanitarie/distretti in modo da assicurare la disponibilità di un unico “metodo di misura”, l’omogeneità territoriale nell’adozione degli algoritmi e nella valutazione dei fenomeni da esaminare, garantendo efficienti strumenti di confronto tra i vari attori del SSSR.

COREVE

12. IL GOVERNO DELLA FARMACEUTICA E DEI DISPOSITIVI MEDICI


Parole chiave
Innovazione ,Appropriatezza, Efficienza, Interdisciplinarietà, Sostenibilità

Obiettivi strategici
OS1. Garantire l’accesso alle terapie innovative e l’uso etico delle risorse
OS2. Consolidare il modello organizzativo del rilascio delle autorizzazioni alla prescrizione dei farmaci e dispositivi medici più innovativi, in coerenza con le reti cliniche
OS3. Centralizzare le valutazioni di HTA e gli acquisti delle tecnologie sanitarie OS4. Garantire la sicurezza dei farmaci e dei dispositivi in tutti i luoghi di cura OS5. Valorizzare le Farmacie di comunità attraverso i nuovi Servizi
Il continuo progresso tecnologico e le dinamiche demografiche attese legate all’invecchiamento della popolazione italiana determineranno nei prossimi anni un’ulteriore espansione della domanda di nuove e costose tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi medici, attrezzature sanitarie e sistemi diagnostici) che rende indispensabile un incessante e rinnovato impegno verso livelli di efficienza ed efficacia ottimali, nell’azione di governo del sistema sanitario nel suo complesso.
La spesa per le nuove tecnologie può diventare un investimento solo quando produce risultati in termini di salute o riduce altri costi sanitari. E’ corretto quindi valutare la spesa delle nuove tecnologie in modo trasversale, abbandonando la logica dei budget silos, per andare verso la valutazione del costo complessivo del trattamento sanitario.
In ambito farmaceutico spetta ad AIFA il compito di definire le condizioni di rimbosabilità e il prezzo dei farmaci, ma le Regioni possono svolgere un ruolo importante nella definizione del posizionamento terapeutico rispetto alle alternative e nell’indirizzare verso un uso etico delle risorse. Al fine di poter effettuare una buona programmazione dell’assistenza nell’ambito delle risorse disponibili , spetta alle Regioni effettuare valutazioni preventive sull’impatto di spesa atteso delle nuove tecnolgoie e sugli eventuali risparmi che si possomo verificare in altri settori .
Per i dispositivi medici, in assenza di un prontuario nazionale , le regioni hanno un ruolo ancora più rilevante nelle valutazioni , nelle scelte e nella programmazione della spesa.
Nel processo di selezione delle tecnologie svolge un ruolo fondamentale l’Health Tecnology Assessment (HTA) che deve pertanto essere ben organizzato a livello regionale . In particolare per i dispositivi medici dovrà interagire con il livello centrale nell’ambito del Programma Nazionale di valutazione di HTA dei dispositivi medici sancito con l’Accordo Stato Regioni del 21 settembre del 2017.
La complessità delle terapie farmacologiche e l’aumento dell’eta dei pazienti sono di frequente causa di interazioni farmacologiche con conseguenti reazioni avverse e abbandono delle terapie. Particolare attenzione dovrà essere pertanto dedicata al tema della aderenza della terapia e alla farmacovigilanza. L’attenzione alla sicurezza dei farmaci e dei dispositivi è importante in tutti i setting di cura ma va riservata una attenzione particolare alle situazioni meno presidiate: è intenzione della Regione proseguire l’attività di sorveglianza soprattutto nelle Residenze per Anziani e negli Istututi penitenziari.
Il nuovo assetto organizzativo delle Aziende ULSS rappresenta l’occasione per ripensare le reti delle farmacie ospedaliere e dei servizi farmaceutici territoriali che dovranno essere sempre più coinvolti nei processi di: selezione delle tecnologie valutandone benefici, rischi e costi; vigilanza
sulla sicurezza; monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva, instaurando pertanto un rapporto dinamico e costruttivo con medici e infermieri in ospedale e sul territorio. La riorganizzazione consentirà inoltre di beneficiare di un processo di aggregazione delle risorse e delle competenze conseguendo importanti economie di scala.
Al governo della farmaceutica dovranno partecipare con ruolo attivo le farmacie pubbliche e private convenzionate, tramite un rafforzamento delle funzioni di informazione sul corretto uso delle terapie, di verifica della aderenza terapeutica e di prevenzione, tramite la promozione dei corretti stili di vita attraverso il miglioramento del coinvolgimento attivo del cittadino.

Gli obiettivi strategici

Al fine di accompagnare gradualmente il SSSR verso la piena operatività di un modello unificante di governo a rete delle tecnologie sanitarie, sono identificati quali obiettivi strategici della programmazione:
- Garantire a tutti i cittadini l’accesso alle terapie innovative promuovendo l’uso etico delle risorse;
- Proseguire nel percorso di miglioramento continuo dell’appropriatezza prescrittiva;
- Favorire l’uso dei farmaci a brevetto scaduto quale strumento per liberare risorse;
- Consolidare il modello organizzativo di rilascio delle autorizzazioni in rete alla prescrizione dei farmaci ad alto costo e dell’utilizzo di dispositivi medici innovativi , basato su criteri di razionalità e appropriatezza;
- centralizzare le valutazioni di Health Technology Assessment (HTA) nel quadro di un innovativo Programma Regionale di Valutazione che sappia anche migliorare la trasferibilità nel SSSR delle valutazioni condotte a livello nazionale ed internazionale;
- centralizzare gli acquisti dei farmaci e dei dispositivi medici
- assicurare la sicurezza delle tecnologie con particolare attenzione alla interazione tra farmaci, alla aderenza terapeutica, alle transizioni di cura e al controllo degli errori farmacologici;
- aumentare la partecipazione del cittadino alle politiche farmaceutiche;
- valorizzare il ruolo delle farmacie di comunità attraverso la sperimentazione dei nuovi servizi.

La declinazione degli obiettivi strategici

Gli obiettivi annuali assegnati alle Aziende Sanitarie

La Regione intende perseguire la sostenibilità del SSSR mediante un efficiente sistema a rete di governo atto a garantire il massimo equilibrio tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ed il sistema dei finanziamenti stabiliti a livello nazionale. L’Area Sanità e Sociale, avvalendosi dell’Azienda Zero, stabilisce annualmente:
- obiettivi strategici di governo e limiti di costo, tra loro organicamente integrati e correlati con le esigenze del territorio di riferimento, da assegnare alle Aziende ULSS, alle Aziende ospedaliere e all’IRCCS Istituto Oncologico Veneto, nonché alle strutture private accreditate per quanto concerne la spesa a carico SSSR tenendo in debita considerazione l’interrelazione tra le stesse, in modo da rendere effettivamente coordinata l’offerta dei servizi ai cittadini;
- obiettivi operativi e indicatori di misurazione delle performance, fornendo alle Aziende sanitarie i risultati intermedi e consolidati, anche in collaborazione con Arsènal.IT.
Inoltre, si impegna a reinvestire parte delle risorse derivanti dagli accordi negoziali e payback e dall’applicazione dei costi standard nell’investimento in tecnologie sanitarie innovative nei limiti degli equilibri di finanza pubblica.
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto fanno propri gli obiettivi e li inseriscono nel ciclo della performance. In particolare, per quanto riguarda l’assistenza territoriale, è compito del responsabile delle Cure Primarie, in collaborazione con il Servizio farmaceutico territoriale assegnare gli obiettivi ai MMG e specialisti ambulatoriali, organizzare gli incontri ed effettuare le necessarie verifiche e interventi correttivi. Allo stesso modo è compito del Direttore Medico Ospedaliero in collaborazione con la Farmacia ospedaliera monitorare l’aderenza agli obiettivi assegnati e intervenire nelle situazioni di criticità.

La valutazione delle tecnologie

Dal momento che la gestione della spesa per tecnologie sanitarie è fortemente influenzata dall’acquisto di prodotti farmaceutici innovativi di particolare rilevanza , ma di altissimo costo , il cui accesso deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, la Regione del Veneto proseguirà il proprio programma di governo già iniziato con l’abbandono dello storico Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR) in favore di un approccio incentrato sul governo clinico, che pone al centro della programmazione e della gestione dei servizi sanitari i bisogni degli assistiti e valorizza il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità dell’assistenza.
L’Area Sanità e Sociale
- coordina le valutazioni delle nuove tecnologie (fase di appraisal dell’HTA) e esprime un giudizio tenendo conto delle migliori evidenze disponibili, dei rapporti di HTA e della programmazione regionale, gestendo il livello di incertezza delle informazioni sulle tecnologie sanitarie anche attraverso programmi di ricerca.
- Approva raccomandazioni e indirizzi prescrittivi
- Promuove lo studio del valore clinico e dei costi evitati dalle nuove tecnologie
Il processo di valutazione e le raccomandazioni avvengono all’interno di Commissioni regionali multidisciplinari costituite da medici, esperti in discipline sanitarie, organizzative ed economiche, con la partecipazione delle associazioni di pazienti. Un ruolo particolare riveste la definizione di raccomandazioni nell’abito della Rete Oncologica Veneta e la Rete Ematologica Veneta.
L’Area Sanità e Sociale partecipa attivamente al Programma Nazionale di valutazione di HTA dei dispositivi medici sancito con l’Accordo Stato Regioni del 21 settembre del 2017.
L’Azienda Zero tramite l’Unità di HTA:
- si candida a diventare un Centro collaborativo regionale della rete nazionale.
- elabora le valutazioni di HTA
- identifica e diffonde approcci innovativi nell’uso pratico delle tecnologie e cura la diffusione delle linee di indirizzo regionali, anche tramite l’organizzazione di incontri e corsi di formazione con le Aziende Sanitarie, favorendo lo scambio di informazioni e la diffusione delle conoscenze di HTA;
- potenzia la partecipazione ad iniziative volte a migliorare la gestione della trasferibilità nel SSSR delle valutazioni prodotte in contesti nazionali ed internazionali;
- attiva un sistema per intercettare in modo tempestivo i fabbisogni di nuove tecnologie (dispositivi medici e attrezzature) ed effettuare una valutazione rapida sul valore aggiunto e il rapporto tra costi e benefici, in modo da governare i processi di acquisto delle Aziende sanitarie;
- potenzia la qualità dei flussi informativi e sviluppa nuovi indicatori per valutare l’appropriatezza, gli esiti e i costi assistenziali complessivi .
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto fanno proprie le decisioni e i relativi documenti e ne curano la diffusione anche tramite l’organizzazione di incontri con gli operatori sanitari. In particolare per quanto riguarda il governo della farmaceutica e dei dispositivi medici sono confermate presso ogni Azienda sanitaria la Commissione Tecnica Aziendale dei Farmaci e la Commissione Tecnica Aziendale dei Dispositivi Medici, con compiti di verifica sugli acquisti, adozione degli indirizzi regionali, diffusione e monitoraggio della loro applicazione. Si prevede inoltre per i Dispositivi medici, l’attivazione di Unità Aziendali di Valutazioni delle richieste di acquisto che operino in stretta relazione con l’Unità di HTA di Azienda Zero.

Le autorizzazioni all’uso dei farmaci e dispositivi innovativi

L’Area Sanità e Sociale intende proseguire e consolidare il modello organizzativo del rilascio delle autorizzazioni in rete alla prescrizione dei farmaci ad alto costo e dell’utilizzo di dispositivi medici basato su criteri di razionalità e appropriatezza. Tale modello dovrà tenere conto della presenza di reti cliniche, di centri Hub & Spoke, dell’epidemiologia attesa, dell’esperienza richiesta e delle esigenze dei pazienti. In particolare per i farmaci sottoposti a monitoraggio tramite Registro AIFA o Piano Terapeutico informatizzato, la Regione individua e autorizza i centri prescrittori sulla base delle informazioni fornite dall’Autorità regolatoria, e si riserva di delegare la somministrazione di farmaci ad alto costo e ad alta specializzazione ai Centri Spoke previa autorizzazione e supervisione dei Centri Hub, al fine di una maggiore efficienza del modello organizzativo.

La centralizzazione degli acquisti di farmaci, di ausili e dei dispositivi medici

La centralizzazione degli acquisti di farmaci di ausili e dei dispositivi medici è considerato un ulteriore obiettivo strategico della programmazione regionale, in quanto consente di abbattere i costi di acquisto e favorisce, al contempo, l’armonizzazione dei percorsi terapeutici tra gli ospedali pubblici e privati accreditati della Regione. A tal riguardo, annualmente, l’Area Sanità e Sociale approva il documento di programmazione degli acquisti e lo integra in caso di sopravvenute esigenze. Successivamente l’Azienda Zero attiva un programma per addivenire alla completa centralizzazione di tutti gli acquisti di beni e servizi necessari alle Aziende ULSS, alle Aziende ospedaliere e all’IRCCS Istituto Oncologico Veneto, che si sviluppa secondo le seguenti direttive:
- attivazione di un osservatorio delle nuove tecnologie introdotte in commercio;
- rilevazione dei fabbisogni anche tramite l’utilizzo di piattaforme informatiche e conseguente programmazione triennale degli acquisti con aggiornamento annuale;
- predisposizione di rapporti di HTA o valutazioni rapide di supporto alla CRITE;
- predisposizione di documenti di indirizzo sulla stesura dei capitolati di gara in base alle specifiche necessità, orientati a garantire l’accesso alla innovatività, la standardizzazione delle procedure e la concorrenza tra i fornitori;
- espletamento delle procedure di acquisto ordinarie e straordinarie;
- monitoraggio dell’effettiva e corretta distribuzione degli ausili e dispositivi medici, garantendo l’omogenea e standardizzata distribuzione ai cittadini in possesso di prescrizione, da parte di tutte le strutture aziendali. E’ importante quindi che ogni Ulss nell’ambito del Dipartimento funzionale di Riabilitazione organizzi un Centro Ausili Complessi per poter offrire al paziente risposte omogenee e tecnologicamente all’avanguardia in tutto il Veneto.

Garantire la sicurezza nell’uso dei farmaci e dei dispositivi medici

L’Area Sanità e Sociale definisce annualmente gli obiettivi generali e le azioni di miglioramento volte a garantire la sicurezza nell’uso dei farmaci e dei dispositivi medici al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari, quale obiettivo strategico regionale.
Le azioni di si focalizzano in particolare sulla sorveglianza dei pazienti a cui sono stati somministrati farmaci o utilizzati dispositivi medici oggetto di segnalazioni o ritiri dal commercio, per garantire un sollecito richiamo e il follow-up.
Ulteriori aree oggetto di approfondimento sono rappresentate dalla sorveglianza sulle reazioni avverse dei farmaci nei pazienti anziani o in trattamento con politerapie, la riconciliazione farmacologica nelle fasi di transizione nei diversi contesti assistenziali, il miglioramento della aderenza terapeutica.
Proseguirà l’attenzione dedicata alla qualità dei processi di allestimento dei farmaci in tutte le aree di assistenza, sfruttando l’esperienza già acquisita attraverso la messa a norma del processi di allestimento degli antitumorali e la riorganizzazione delle Unità di Allestimento Farmaci Antiblastici (UFA) , e verrà promossa la progressiva adozione delle tecnologie logistiche innovative che consentono di tracciare e registrare in sicurezza tutto il percorso del farmaco e del dispositivo medico, dall’acquisto fino alla somministrazione o impianto nel paziente.
Le azioni e i programmi di sorveglianza sui farmaci tengono conto degli Accordi sottoscritti dalla Conferenza permanente dei rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome che definiscono Indirizzi per la realizzazione di Programmi di farmacovigilanza mediante stipula di convezioni tra le Regioni e AIFA per l’utilizzo delle risorse stanziate ai sensi dell’art.36 comma 14 della Legge n 449 del 17.12.1997. L’Azienda Zero e il Centro Regionale di Farmacovigilanza supportano l’Area sanità e sociale nella raccolta informatizzata delle segnalazioni e successivo invio al Ministero della Salute e AIFA, nella realizzazione di progetti mirati, nonché nella informazione e sensibilizzazione verso tutti gli operatori sanitari.
Le Aziende ULSS, le Aziende ospedaliere e l’IRCCS Istituto Oncologico Veneto e le strutture private accreditate affidano alle Farmacie ospedaliere e ai Servizi farmaceutici territoriali le funzioni di vigilanza dei farmaci e dei dispositivi medici, da svolgere in stretta collaborazione con i responsabili del rischio clinico e i servizi di ingegneria clinica.
Sono individuati quali ulteriori macro-obiettivi della programmazione regionale:
- il coinvolgimento attivo del cittadino mediante la partecipazione delle Associazioni di pazienti ai programmi di governo e l’attivazione di canali di informazione per assicurare il loro pieno coinvolgimento sulle scelte di politica farmaceutica a garanzia di un servizio sanitario regionale sostenibile e di qualità;
- la promozione della Farmacia dei Servizi . Nell’ambito della riorganizzazione delle Cure Primarie si intende sviluppare la Farmacia dei servizi riconoscendo alla rete delle farmacie pubbliche e private professionalità e vicinanza al cittadino, soprattutto nelle aree più disagiate. L’Area Sanità e Sociale promuoverà pertanto programmi per sviluppare nuove funzioni della Farmacia, in particolare il controllo della aderenza terapeutica,
l’informazione sulla corretta assunzione dei farmaci e la farmacovigilanza, avvalendosi di Azienda Zero per la conduzione e il monitoraggio dei progetti e di Arsenàl.IT per sviluppare il Dossier farmaceutico all’interno del FSE.
La Regione, attraverso il raggiungimento degli obiettivi strategici ed operativi descritti precedentemente, ambisce a migliorare la qualità dell’assistenza farmaceutica ad ogni livello, posizionandosi tra le migliori regioni rispetto agli indicatori farmaceutici annualmente definiti a livello nazionale (Nuovo Sistema di Garanzia). Infine, il rispetto dei tetti assegnati a livello nazionale e ricompresi negli adempimenti LEA (farmaceutica e dispositivi medici) garantisce il conseguimento delle premialità in sede di riparto annuale e quindi risorse aggiuntive per l’innovazione e la sostenibilità del sistema.

COREVE

13. IL GOVERNO E LE POLITICHE PER IL PERSONALE


Parole chiave
Bisogni, Flessibilità, Innovazione, Interdisciplinarietà, Motivazione, Multiprofessionalità, Risultati, Standard, Sviluppo, Valorizzazione

Obiettivi strategici
OS1. Definire nuovi orizzonti nella trasformazione della “geografia” delle professioni sanitarie OS2. Incrementare le competenze e favorire lo sviluppo del potenziale del personale
OS3. Innovare modalità e strumenti per la gestione del personale
OS4. Assicurare la piena copertura dei fabbisogni di personale del sistema del Servizio Sanitario Regionale OS5. Definire strumenti per affrontare la carenza di medici
I bisogni socio-sanitari emergenti sono caratterizzati da un aumento trasversale sia della complessità clinico-assistenziale sia degli interventi da mettere in atto per farvi fronte. Per rispondere con servizi appropriati, di qualità e sostenibili, è necessario riaffermare la centralità della persona, promuovendo ulteriormente il cambiamento organizzativo-assistenziale introdotto negli ultimi anni attraverso il supporto di adeguate politiche di governo del personale che richiedono la definizione e l’utilizzo di standard minimi fondamentali per garantire l’equilibrio tra efficacia ed efficienza del sistema salute.

Obiettivi strategici del PSSR

1. Definire nuovi orizzonti nella trasformazione della “geografia” delle professioni sanitarie;
2. Incrementare le competenze e favorire lo sviluppo del potenziale del personale;
3. Innovare modalità e strumenti per la gestione del personale
4. Assicurare la piena copertura dei fabbisogni di personale del sistema del Servizio Sanitario Regionale.
Elementi di innovazione del PSSR:
- Valorizzare la flessibilità nel cambiamento dei contesti di lavoro;
- Utilizzare al meglio le peculiarità generazionali del personale presente nei diversi ambiti lavorativi;
- Valorizzare le competenze del personale;
- Definire standard minimi per il personale nei diversi contesti;
- Introdurre la cultura dei risultati;
- Ripensare i processi chiave dell’organizzazione ponendo il personale al centro del sistema;
- Creare sinergie tra le politiche aziendali e le pratiche di gestione del personale.

Definire nuovi orizzonti nella trasformazione della “geografia” delle professioni sanitarie

La ridefinizione di ruoli e funzioni dei professionisti che operano nel contesto regionale è fondamentale per articolare risposte integrate e coordinate alla molteplicità dei bisogni tra loro interdipendenti e complementari. Questo è favorito dall’introduzione di modelli organizzativo-
assistenziali innovativi che migliorino la presa in carico dei pazienti e nel contempo motivino e valorizzino il personale, che negli ultimi anni ha visto da un lato un importante evoluzione dei livelli formativi e dall’altro, a seguito delle riforme pensionistiche, un significativo cambiamento della propria demografia.
Contestualmente si sta realizzando una profonda trasformazione della “geografia” delle professioni sanitarie coinvolte sia in processi di ridefinizione dei propri contenuti professionali, sia in modelli organizzativi che richiedono l’integrazione e la collaborazione tra diverse professionalità.
La crescente domanda di servizi sanitari e il cambiamento dell’epidemiologia regionale hanno evidenziato la necessità di strutturare un’offerta formativa adeguata e coerente con i bisogni emergenti, di poter utilizzare compiutamente l’intero ventaglio di competenze previste dai profili professionali degli operatori, ma anche di rimodulare i contesti di lavoro attraverso interventi riorganizzativi e, ove necessario, l’adeguamento della composizione professionale (skill-mix) dei professionisti sanitari.
L’evoluzione delle competenze necessarie a rispondere ai mutati bisogni di salute e la conseguente riorganizzazione e adeguamento degli skill-mix dei professionisti deve prendere avvio anche con la contestuale revisione degli obiettivi di apprendimento e dei contenuti dei percorsi formativi di base e post-base da realizzare attraverso forme di collaborazione con gli atenei che concorreranno con la Regione alla formazione dei futuri professionisti sanitari. Considerata inoltre la crucialità della gestione dell’apprendimento dei futuri professionisti sanitari nei contesti clinici delle strutture del Servizio Sanitario regionale, sarà necessario revisionare l’attuale modello organizzativo della formazione regionale di base nell’ottica della massimizzazione dei risultati e dello sviluppo delle competenze e la definizione dei ruoli del personale coinvolto.
Per strutturare i fabbisogni formativi dei professionisti sanitari, la Regione del Veneto ha aderito, tramite il Ministero della Salute, ad un progetto europeo denominato “European Health Workforce Planning and Forecasting” che ha visto il coinvolgimento e la partecipazione di molti soggetti istituzionali, e si è posto come obiettivo la diffusione di “buone pratiche” di pianificazione e la previsione di fabbisogni di professionisti sanitari già sviluppate in alcuni Stati europei, nonché l’elaborazione di un modello previsionale formulato in base alle specificità nazionali.
Tale modello che guarda al medio-lungo periodo, poggia su uno schema teorico di riferimento che individua la domanda futura di professionisti in base all’offerta.
Il modello previsionale necessita di essere migliorato e implementato mediante la costituzione di banche dati sul numero di professionisti, affidabili e consolidate, e la definizione puntuale ed esaustiva della domanda futura di salute della popolazione, variabile di non semplice interpretazione e quantificazione, atteso che afferisce a valutazioni sui possibili scenari epidemiologici che potranno influire sulle necessità delle diverse figure professionali.
Gli obiettivi così definiti richiedono l’istituzione di un team permanente e pluridisciplinare a cui affidare lo sviluppo e l’affinamento della metodologia e la creazione ed il mantenimento di banche dati regionali.
Nell’ambito della trasformazione della geografia delle professioni sanitarie e degli altri operatori, un fenomeno che ha caratterizzato gli anni recenti è l’allungamento della vita lavorativa del personale che ha indotto un rilevante cambiamento demografico e la conseguente necessità di realizzare politiche di age management, che tengano in considerazione il progressivo aumento dell’età media dei lavoratori. Contestualmente si rende necessario introdurre politiche proattive di gestione del personale che considerino l’intero arco della vita lavorativa, favorendone il benessere e il mantenimento all’interno del contesto di lavoro. Tali interventi dovranno essere tra di loro
coordinati ed integrati e dovranno riguardare sia gli aspetti organizzativi ed ergonomici del lavoro sia la promozione della salute.
Un ulteriore aspetto del quale è necessario tener conto rispetto al passato, è la maggior presenza nei contesti di cura di professionisti appartenenti a diverse “generazioni”, che sono portatori di conoscenze, competenze, valori ed esperienze molto diversi tra loro che, se valorizzati, divengono risorse per il contesto. In un ambito di lavoro “multigenerazionale” è pertanto necessario realizzare interventi volti a motivare e coinvolgere il personale in maniera dinamica, ricercando strategie per valorizzare le peculiarità e il contributo di ogni fascia di età, massimizzandone l’impegno e la motivazione. Questo richiede approcci diversificati, quali ad esempio l’utilizzo del personale senior in attività di tutoraggio per facilitare l’inserimento di personale neoassunto o neoinserito o l’utilizzo del personale più giovane per attività di “tutoraggio al contrario” (reverse- mentoring), finalizzate a supportare l’acquisizione di conoscenze e competenze prevalentemente tecnico-informatiche nel personale senior.
In un contesto improntato all’innovazione e allo sviluppo del personale, la funzione manageriale espressa a diversi livelli organizzativi assume un ruolo strategico per il raggiungimento degli obiettivi di programmazione regionale caratterizzata da nuove reti organizzative nelle quali i manager, nei diversi contesti in cui operano, ricoprono un ruolo fondamentale nel perseguire le strategie necessarie al complesso governo del contesto socio sanitario regionale.
Un importante contributo è richiesto in particolare alle Direzioni delle Professioni Sanitarie per orientare il personale di riferimento al conseguimento dei risultati anche attraverso l’utilizzo di modelli organizzativi e processi di lavoro innovativi, modelli assistenziali che identifichino, misurino e perseguano esiti di salute per i pazienti, valorizzando e sviluppando nel contempo le competenze del personale e promuovendone l’integrazione con le altre professioni che operano nel Sistema.
Infine, anche le funzioni dei middle manager, espresse da professionisti appartenenti a diverse aree contrattuali e perni centrali per diffondere la visione globale ed il pensiero strategico aziendale, in quanto situati in posizione intermedia tra l’alta direzione e le strutture operative, dovranno ulteriormente essere supportate e valorizzate attraverso strategie di sviluppo e progettualità innovative.

Incrementare le competenze e favorire lo sviluppo del potenziale del personale

Per rispondere in modo adeguato ai nuovi bisogni socio-sanitari è altresì necessario organizzare in una rete dinamica gli ospedali, i servizi del territorio e i diversi professionisti coinvolti, promuovendo, attuando e diffondendo modelli organizzativo-assistenziali innovativi focalizzati sulla persona e sulle soluzioni più favorevoli per la sua condizione clinico-assistenziale che ne incrementino la resilienza all’interno delle comunità, passando da una logica funzionale e prestazionale a quella dei risultati di salute.
A tal fine è fondamentale riconoscere il contributo di tutte le professioni sanitarie, individuando gli ambiti che richiedono l’espansione e/o l’estensione delle competenze proprie di ogni profilo e definendone fluidamente e proattivamente autonomia e responsabilità. L’adeguamento della risposta del sistema sanitario regionale a una realtà epidemiologica caratterizzata da bisogni di salute mutevoli, non può prescindere anche dalla definizione di standard di risultato per misurare, attraverso panel di indicatori specifici, i risultati degli interventi erogati. Per l’ambito assistenziale, ciò può essere perseguito, ad esempio, definendo un set di indicatori degli esiti sensibili all’assistenza infermieristica, i cui dati convergano nei flussi e nei cruscotti regionali.



L’individuazione delle competenze da aggiornare, sviluppare ed integrare, propedeutiche al cambiamento che deve essere messo in atto, va preceduta da una approfondita analisi dei fabbisogni professionali presenti nel contesto regionale, a cui deve far seguito lo sviluppo di azioni progettuali innovative, la promozione di buone pratiche e la loro contestualizzazione nell’ambito socio sanitario regionale.
Lo sviluppo di queste nuove architetture organizzative richiede che contestualmente siano definite in modo proattivo e fluido le competenze distintive dei professionisti e la loro autonomia e responsabilità e che le stesse siano sviluppate anche mediante percorsi di formazione post-base, formazione continua ed interventi di apprendimento situato nei contesti di vita lavorativa.
Le Aziende sanitarie hanno perciò necessità di essere supportate per governare questo processo di cambiamento, anche attraverso percorsi di formazione sul campo finalizzati allo sviluppo delle competenze manageriali della dirigenza strategica e dei dirigenti di linea (middle manager), figure quest’ultime che nelle nuove organizzazioni ricoprono ruoli chiave.
Oltre ai programmi di formazione manageriale, per rafforzare il ruolo di guida del management nel processo di cambiamento, verrà promossa a livello regionale un’attività di certificazione delle competenze specialistiche ed, in particolare, manageriali.
La formazione continua in particolare rappresenta una determinante fondamentale per gestire il cambiamento necessario, per garantire una qualità sempre più elevata dei servizi erogati e per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla programmazione regionale.
Le performance dei servizi sanitari sono strettamente correlate a quelle dei singoli professionisti e la formazione durante la vita lavorativa, permette l’aggiornamento costante delle conoscenze e delle competenze necessarie per poter rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale.
Per l’erogazione della Formazione Continua in Medicina (ECM), la Regione del Veneto, già nel 2012 ha avviato sul territorio regionale il sistema di accreditamento dei Provider pubblici e privati, abilitati ad erogare formazione individuando parametri per la verifica dei requisiti di accreditamento.
Il sistema si è strutturato con la realizzazione di diverse procedure necessarie per regolamentare la formazione continua e le attività di monitoraggio dei requisiti di accreditamento dei Provider e dell’offerta formativa, sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo.
La gestione del procedimento di accreditamento provvisorio e standard dei suddetti erogatori ECM e le diverse attività amministrative connesse alla realizzazione degli eventi, sono ora affidate all’Azienda Zero.
Lo sviluppo della formazione manageriale e specialistica, di valenza regionale, è assegnata alla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica, Management delle Aziende socio-sanitarie e per l’incremento dei trapianti d’organo e tessuti (FSSP). Soggetto al quale è affidato anche il coordinamento dei programmi formativi e delle attività del Centro di Simulazione e Formazione Avanzata della Regione del Veneto (Si.F.A.R.V.) finalizzate ad offrire formazione di elevato livello per migliorare l’appropriatezza clinica ed organizzativa in tutti i settori della Sanità attraverso la metodica della simulazione e l’utilizzo di tecnologia ad integrazione della formazione teorica. Si prospetta così la realizzazione di un Parco Scientifico per la Formazione che consenta un continuo miglioramento della metodica della simulazione anche attraverso aspetti innovativi quali la realtà virtuale.
Per contribuire al miglioramento delle attività formative rivolte al comparto della Sanità, saranno promosse collaborazioni con altre Scuole regionali di formazione che operano nel territorio
nazionale con l’obiettivo di mettere a fattore comune le esperienze maturate nel settore socio sanitario promuovendo l’introduzione di metodologie e strumenti innovativi che permettano un efficace ed efficiente utilizzo delle risorse.

Assicurare la piena copertura dei fabbisogni di personale del sistema del Servizio Sanitario Regionale

Innovare modalità e strumenti per la gestione del personale

Considerata l’importanza strategica e la centralità del personale nelle Aziende sanitarie, risulta fondamentale individuare politiche di gestione integrate e sinergiche con quelle organizzative e produttive a partire dalla definizione di standard necessari a garantire erogazione e qualità dei servizi.
A tal fine vanno individuati indicatori di efficienza e appropriatezza allocativa delle risorse, rapportandoli a indicatori di appropriatezza organizzativa e a valutazioni sull’erogazione dei LEA. Gli strumenti rilevatori così individuati, denominati standard, costituiscono l’unità di misura per una corretta valutazione dell’adeguatezza delle risorse impiegate rispetto all’attività richiesta e programmata.
Nel governo del personale in sanità, lo standard descrive la combinazione di professionisti in grado di garantire l’erogazione del servizio e il suo “buon esito”, evitando gli sprechi. Nell’organizzare il personale è necessario valutare il principio di efficienza allocativa, considerando sempre la centralità del rapporto con il paziente e del suo percorso di cura.
Negli ultimi anni la Regione del Veneto ha definito i valori minimi di riferimento per il personale infermieristico e di supporto delle aree di degenza ospedaliere, per il personale che opera nei pronto soccorso e parametri di riferimento per il personale medico che opera presso le strutture ospedaliere estendendo tale approccio anche all’individuazione di valori di riferimento per tutti gli altri ambiti delle strutture ospedaliere nonché per il territorio.
Le Aziende del SSSR sono periodicamente monitorate e i dati che ne derivano sono oggetto di valutazione, e supportano l’individuazione di modelli organizzativi e buone pratiche per le diverse strutture ospedaliere definite dalla programmazione regionale. La definizione di valori minimi di riferimento ha, altresì, lo scopo di individuare principi e criteri univoci e omogenei che, pur nell’ambito delle specifiche peculiarità delle singole aziende, garantiscano una base comune e un riferimento applicativo per ogni funzione e ruolo.
Va precisato che gli standard, data la complessità delle realtà analizzate, sono valori tendenziali che devono essere adeguati alle specifiche tipicità aziendali e alle peculiarità delle strutture e alla funzione loro attribuita dalla programmazione regionale.
I valori così determinati e gli esiti dei monitoraggi periodici devono essere supportati da una approfondita analisi dei modelli organizzativi che metta a confronto diverse realtà erogative, analizzandone le potenzialità e criticità. Il ruolo della Regione è anche quello di fornire strumenti condivisi, utili per l’analisi e il confronto costruttivo, a livello regionale e locale. Inoltre, i valori per il personale dovranno necessariamente confrontarsi con indicatori di esito, così da valutare le risorse impiegate in base al modello organizzativo scelto e i risultati ottenuti.
I vincoli nazionali sui costi e la crescente domanda di salute hanno innescato, nel tempo, problematiche in materia di politica sanitaria, in particolare riguardanti il governo delle risorse
umane. È necessario che il sistema regionale individui un livello di equilibrio sostenibile in termini di efficacia ed efficienza, compatibile con le scelte programmatorie. In questo contesto, le scelte che riguardano la gestione e l’organizzazione del personale svolgono un ruolo strategico ed è necessario presidiarle sia a livello regionale e locale.
In tal senso saranno sviluppati strumenti di monitoraggio e analisi, implementando un sistema di osservazione costante nel medio e lungo periodo. L’analisi osservazionale e lo studio dei sistemi complessi che sono alla base delle organizzazioni sanitarie saranno approfonditi con l’obiettivo di individuare le migliori pratiche possibili.
Le scelte di governo del personale, l’analisi delle modalità organizzative, lo studio di modelli efficienti per l’allocazione delle risorse umane sono un momento fondamentale per la determinazione del fabbisogno di personale e le aziende devono disporre di dati di confronto per poter attuare le migliori pratiche organizzative. In questo senso la definizione di standard e parametri di riferimento costituirà un riferimento fondamentale cui tendere per il raggiungimento dell’efficienza organizzativa.
In quest’ottica, la Regione del Veneto proseguirà il percorso di individuazione di valori di riferimento per tutte le aree funzionali delle aziende sanitarie, individuando, così, uno strumento di confronto e di analisi adattabile al fabbisogno di personale e alle esigenze derivanti dalla programmazione dell’offerta di salute.
Per innovare la gestione del personale, è altresì basilare strutturare interventi finalizzati a favorire e promuovere il benessere organizzativo e la valorizzazione delle competenze e dei punti di forza degli operatori lungo l’intero arco della vita lavorativa.
Tra essi risultano prioritari la promozione di interventi maggiormente flessibili per la prevenzione dei problemi di salute e delle inidoneità/limitazioni lavorative tipiche delle “professioni di cura, anche attraverso la promozione di stili di vita sani, il miglioramento degli ambienti di lavoro e della loro ergonomia, il supporto psicologico individuale e la conciliazione vita-lavoro, soprattutto in presenza di monogenitorialità, figli minori e disabili.
Anche la soddisfazione e la motivazione del personale sono fattori strategici da promuovere, in quanto condizionano il senso di appartenenza all’azienda, dando un significato all’agire professionale, influenzandone efficacia, efficienza, produttività e sviluppo, con impatto positivo anche sulla performance complessiva delle organizzazioni.
Fondamentale risulta a tal fine la periodica rilevazione del clima organizzativo, che permette di monitorare le modalità di coinvolgimento del personale, il miglioramento della comunicazione interna all’organizzazione, la partecipazione dei lavoratori al raggiungimento degli obiettivi.
A tal fine, dal 2016 la Regione del Veneto ha previsto la rilevazione periodica del clima organizzativo, nell’ambito del sistema di valutazione della performance dei Sistemi Sanitari Regionali, coordinato dal Laboratorio Management e Sanità (MeS) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Definire strumenti per affrontare la carenza di medici (13)

Incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo

La carenza dei medici specializzati, soprattutto in talune specialità rende problematica per talune aziende sanitarie l’erogazione delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza laddove risulti impossibile il reclutamento di personale medico in rapporto di dipendenza o convenzionamento.


Pertanto, allo scopo di garantire l’erogazione delle prestazioni di assistenza diretta ai pazienti comprese nei LEA, le aziende sanitarie possono, in via eccezionale, conferire a medici incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie, a condizione che l’azienda abbia:
a) accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno anche in relazione al ricorso a tutti gli istituti previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro del personale dipendente;
b) accertato l’assenza di valide graduatorie di concorso pubblico o avviso pubblico, cui attingere per eventuali assunzioni a tempo indeterminato o a tempo determinato;
c) accertato, pur in presenza di graduatorie di cui alla precedente lettera b), il rifiuto del personale utilmente collocato nelle stesse graduatorie all’assunzione;
d) indetto, nell’ipotesi di assenza di graduatorie, procedure per assunzioni di personale a tempo indeterminato o determinato, in rapporto alla natura permanente o temporanea delle funzioni che deve garantire; l’indizione delle procedure per assunzioni a tempo determinato non è obbligatoria qualora sia presumibile che il loro tempo di espletamento superi la durata della situazione che ha determinato l’attivazione delle procedure di conferimento dell’incarico.
Il personale cui viene conferito l’incarico deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento per l’accesso alla dirigenza medica e deve essere selezionato attraverso procedure comparative.
Qualora risulti oggettivamente impossibile il reperimento di medici in possesso della specializzazione richiesta, la selezione potrà essere estesa anche a medici in possesso di diploma di specializzazione in disciplina equipollente o affine. Qualora il reperimento di professionisti risulti infruttuoso anche con l’estensione alle discipline equipollenti o affini, si potrà procedere al reclutamento di medici privi del diploma di specializzazione sulla base di linee di indirizzo regionali che definiscano le modalità di inserimento dei medesimi all’interno delle strutture aziendali e di individuazione degli ambiti di autonomia esercitabili col tutoraggio del personale strutturato. Le Regioni potranno anche organizzare o riconoscere percorsi formativi dedicati all’acquisizione di competenze teorico-pratiche negli ambiti di potenziale impiego di medici privi del diploma di specializzazione. Il diploma di specializzazione è sempre richiesto per le specialità di Anestesia, rianimazione e terapia intensiva e del dolore, Medicina nucleare, Radiodiagnostica, Radioterapia e Neuroradiologia. In luogo della specializzazione in Neuroradiologia sono ammesse le specializzazioni in Radiologia diagnostica, Radiodiagnostica, Radiologia e Radiologia medica.
Il contratto è risolto anche prima della scadenza qualora l’azienda sia in grado di disporre per lo svolgimento della stessa attività assunzioni con contratto di lavoro subordinato, ovvero, nell’ipotesi di incarico a medici in possesso di diploma di specializzazione in disciplina equipollente o affine, di conferire l’incarico a medici in possesso del diploma nella specializzazione prevista.
Il contratto può essere rinnovato per una sola volta previa nuova verifica della sussistenza di tutte le condizioni previste.
Restano salve, per quanto non diversamente disciplinato nel presente articolo, le disposizioni in materia di rapporti di lavoro autonomo contenute nell’articolo 7, comma 5-bis e seguenti del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Formazione specialistica dei medici

Al fine di ampliare il numero di medici specializzati, la Regione può attivare percorsi di formazione specialistica, alternativi ai contratti di formazione specialistica disciplinati dal d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368, presso le strutture delle aziende ed enti del servizio socio sanitario regionale in
possesso degli standard generali e specifici relativi alle capacità strutturali, tecnologiche, organizzative ed assistenziali previste dalla normativa nazionale e regionale.
L’inserimento dei medici nelle strutture nelle strutture delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale avviene sulla base di una procedura di selezione finalizzata all’assunzione di medici in formazione specialistica con contratti a tempo determinato di durata pari a quella del corso di specializzazione o corrispondente all’ultimo biennio del corso di specializzazione.
I medici in formazione medico-specialistica sono affiancati da tutor proposti dal rispettivo direttore della struttura in cui operano e designati dal direttore sanitario dell’azienda o ente presso cui svolgono la formazione.
I medici assunti con il contratto a tempo determinato di cui al presente paragrafo non rientrano nella dotazione organica e il contratto non dà diritto all’accesso ai ruoli del servizio sanitario regionale, nè all’instaurazione di alcun rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso, se non interviene una ulteriore procedura selettiva a tal fine dedicata. Il trattamento economico è equivalente al trattamento economico dei titolari dei contratti di formazione specialistica disciplinati dal d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368.
La Giunta regionale, per l’attivazione dei percorsi di formazione specialistica di cui al presente paragrafo, stipula protocolli d’intesa con le Università sedi delle facoltà di medicina e chirurgia.
La Giunta regionale può inoltre promuovere la stipula di convenzioni tra la Regione, i Ministeri competenti, le università e gli altri organismi pubblici e privati competenti dell’Unione europea per il riconoscimento della formazione specialistica dei medici conseguita presso le università ed organismi parti della convenzione.
A seguito della formalizzazione delle convenzioni la Giunta regionale concorda con le università e gli altri organismi pubblici e privati competenti degli Stati membri dell’Unione europea l’attivazione e il finanziamento di posti di formazione specialistica dei medici.

Accesso al servizio sanitario regionale dei medici non specializzati

Al fine di garantire le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale possono assumere, previa procedura concorsuale, medici in possesso di laurea in medicina e chirurgia e abilitazione all’esercizio della professione e medici in possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale per lo svolgimento di attività medico chirurgiche di supporto in coerenza con il grado di conoscenze, competenze ed abilità acquisite, con autonomia vincolata alle direttive ricevute da un dirigente medico responsabile.
I medici assunti sono inseriti nella struttura sanitaria per lo svolgimento di servizi di emergenza e urgenza, limitatamente alle prestazioni rientranti nei codici verdi o bianchi, di guardie notturne e festive presso i dipartimenti ospedalieri con il supporto di reperibilità integrativa di medici specialisti, o di assistenza sanitaria presso i servizi di trasporto secondari.

Valorizzazione della professionalità del personale dipendente del servizio sanitario regionale

Al fine di favorire un complessivo miglioramento dei servizi offerti e di fornire alle aziende ed enti del servizio sanitario regionale strumenti per il conseguimento dei più elevati livelli di efficienza dei servizi anche attraverso la valorizzazione e l’incentivazione del personale, la Giunta regionale, nell’ambito delle previsioni contenute nella contrattazione collettiva nazionale, che prevede integrazioni regionali finalizzate all’efficacia ed efficienza, promuove la sottoscrizione di specifici accordi con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per destinare specifiche risorse aggiuntive ad integrazione della struttura stipendiale del personale dipendente del servizio sanitario regionale ad incentivo e valorizzazione della professionalità.
La Giunta regionale può altresì destinare specifiche risorse aggiuntive regionali per il personale dipendente in servizio presso sedi particolarmente disagiate
Incremento del massimale di scelte degli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici in formazione specifica in medicina generale.
In relazione alla contingente carenza di medici di medicina generale, aggravata dagli effetti della recente emergenza epidemiologica da COVID-19 al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e di scongiurare la possibilità di interruzioni di pubblico servizio nell’assistenza territoriale, le aziende del servizio sanitario regionale possono prevedere nelle convenzioni concernenti gli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale un massimale di scelte fino ad un massimo di 1.000 assistiti per il primo anno, e di 1.200 assistiti per gli anni successivi al primo.
Le ore di incarico di assistenza primaria risultanti dalla convenzione sottoscritta dal medico iscritto al corso di formazione specifica in medicina generale con l’azienda saranno computabili quali attività pratiche del corso (14) (15)

COREVE

14. IL GOVERNO DELLE RISORSE FINANZIARIE E STRUMENTALI


Parole chiave
Modello di riparto pluriennale Strumenti finanziari Centralizzazione Equilibrio finanziario Sostenibilità Approvvigionamento elettronico Digitalizzazione Efficienza Soggetti aggregatori Economie di scala

Obiettivi strategici
OS1. Rendere congruente il modello di riparto del FSR al reale profilo dei bisogni delle popolazioni del territorio ed ai cambiamenti istituzionali ed organizzativi del SSSR del Veneto
OS2. Aumentare la flessibilità nell’utilizzo delle risorse finanziarie OS3. Reperire risorse finanziarie aggiuntive
OS4. Garantire alla popolazione del Veneto uniformità di cura e di accesso ai servizi OS5. Garantire l’efficacia e l’efficienza del patrimonio immobiliare e tecnologico del SSSR OS6. Garantire la sostenibilità degli investimenti per il SSSR
OS7. Aumentare la qualità e l’efficienza delle forniture dei beni e dei servizi per le aziende del SSSR OS8. Aumentare la trasparenza del processo di acquisto
OS9. Semplificare il processo di acquisto
OS10. Risparmiare sui costi di approvvigionamento

14.1. LE RISORSE FINANZIARIE
Il modello di riparto del Fondo Sanitario Regionale

L’incertezza finanziaria che contraddistingue il sistema economico del nostro paese da alcuni anni a questa parte ha rilevanti ricadute anche sul SSN e, di riflesso, sui singoli sistemi sanitari regionali.
Attualmente le Regioni si trovano a programmare ed organizzare i propri sistemi sanitari e quindi ad erogare i livelli essenziali di assistenza, in un contesto caratterizzato da una forte variabilità, incertezza che si riverbera sul fronte delle risorse finanziarie con sistematici tagli nella disponibilità del Fondo Sanitario Nazionale (FSN).
Per questo motivo, il modello di riparto del Fondo Sanitario Regionale (FSR) deve essere ripensato, basandosi sull’assunto che l’ammontare complessivo delle risorse da ripartire fra le Aziende sanitarie del Veneto sia un dato esogeno, frutto di scelte effettuate a livello nazionale e dipendenti da dinamiche congiunturali.
Considerato, quindi, che l’ammontare complessivo ogni anno è soggetto a variazione (o anche con frequenza infrannuale) i finanziamenti alle Aziende sanitarie sono definiti sulla base di quote percentuali di accesso alle risorse del FSR e non in termini assoluti.
Il modello di riparto deve, inoltre, valorizzare e accentuare il ruolo decisionale degli organi di governo della Regione, attraverso la predisposizione di un modello pluriennale con decisioni inerenti:
- la distribuzione percentuale delle risorse fra i programmi di spesa e fra i vari LEA;
- i criteri per la ripartizione alle singole Aziende sanitarie, all’interno di ciascun LEA, delle risorse percentuali stabilite al punto precedente.
La definizione dei precedenti punti compete alla Giunta Regionale, previo parere del Consiglio regionale.
Il modello di riparto del FSR deve poi tenere in considerazione la peculiarità dei sistemi regionali, come i cambiamenti istituzionali ed organizzativi del SSSR conseguenti all’entrata in vigore della L.
R. 19/2016. Quest’ultima, oltre alla riorganizzazione territoriale delle Azienda sanitarie componenti il sistema, ha istituito l’ente di governance Azienda Zero affidandole numerose funzioni, tra le quali la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale. È quindi l’Azienda Zero ad erogare mensilmente le risorse alle Aziende sanitarie, dando applicazione al modello definito come descritto poc’anzi.
Nella formulazione del modello di riparto, ovvero delle scelte inerenti la distribuzione percentuale delle risorse fra i programmi di spesa e fra i LEA, nonché dei criteri per la ripartizione alle Aziende sanitarie per ciascun LEA, sono tenuti in considerazioni i seguenti elementi:
1. Il principale canale di finanziamento alle Aziende sanitarie è quello del finanziamento, a titolo indistinto, dei LEA, assegnato sulla base di:
- quota capitaria pesata (criterio che viene applicato esclusivamente per il riparto alle Aziende ULSS). Tale criterio si fonda su due dati fondamentali, ovvero, da un lato, il numero e la composizione demografica della popolazione residente (età e sesso); dall’altro, i fabbisogni sanitari per ogni residente di una particolare classe di età e sesso pesati per il carico di malattia o case-mix;
- finanziamenti a funzioni (criterio che viene applicato in via esclusiva per il riparto alle Aziende Ospedaliere e IOV, e in parte anche per il finanziamento delle Aziende ULSS). Questo criterio si fonda sulla valorizzazione economica, a costi standard di produzione, di specifiche funzioni assistenziali così come previsto dal D.Lgs. n. 502/1992;
- dotazioni e costi standard in coerenza con la programmazione regionale dei servizi sanitari.
2. Si prevede una percentuale del FSR da destinare come “contributi da assegnare alle Aziende sanitarie” per:
- favorire l’equilibrio economico e finanziario delle Aziende sanitarie in presenza particolari situazioni;
- incentivare le Aziende che hanno rispettato gli obiettivi della programmazione, tenendo conto delle difficoltà gestionali;
- come stabilito dall’articolo 15 dello Statuto e in coerenza con quanto previsto dal presente PSSR nella parte afferente alla rete ospedaliera, consentire alle Aziende ULSS afferenti in tutto o in parte al territorio montano, lagunare, del Polesine, di garantire, nel rispetto delle specificità assegnate, l’equo accesso di tutti gli utenti ai servizi socio-sanitari previsti dalla programmazione regionale che, proprio in ragione della particolare collocazione territoriale, presentano maggiori criticità e complessità di erogazione.
Il modello di riparto deve ricomprendere anche i criteri per l’assegnazione delle risorse per l’erogazione dei LEA relativi alla non autosufficienza. Queste ultime risorse rientrano nel complesso di quelle assegnate a titolo indistinto per l’assistenza distrettuale, mentre per le risorse relative alla non autosufficienza da finanziamento statale o da specifici ed ulteriori finanziamenti regionali, permane il vincolo di destinazione ai sensi della L.R. 30/2009.
La necessità di migliorare il SSSR secondo criteri di maggiore uniformità e corretta distribuzione delle risorse, oltre che secondo criteri di razionalizzazione a fronte di costi sempre crescenti, impone che vengano adottati opportuni piani di programmazione per quanto riguarda le decisioni relative alla dismissione e all’eventuale conseguente acquisto di nuove apparecchiature, scelte che vanno condivise tra il livello aziendale e quello regionale.

Strumenti finanziari innovativi

Stante la progressiva riduzione di fonti di finanziamento statali per gli investimenti, può rendersi opportuno esplorare nuove modalità di acquisizione di risorse, eventualmente anche mediante il diretto ricorso al mercato attraverso l'emissione di strumenti finanziari.
Si tratta di attivare strumenti qualificabili come “a finalità etica”, la cui attuazione favorisca fasce di popolazione individuabili come deboli, critiche o a rischio (ad esempio patologie infantili, malattie rare, patologie oncologiche ecc.).
Tale sistema consente di “fidelizzare” la popolazione veneta al proprio sistema sanitario, direttamente mediante i propri risparmi o indirettamente (ad esempio attraverso le Fondazioni bancarie) e, di contro, responsabilizzare ulteriormente il management sanitario sull’utilizzo razionale, appropriato ed efficiente degli investimenti realizzati, che devono anche consentire il rimborso e la remunerazione (a tassi contenuti, ma sicuri) del capitale ai risparmiatori.
L’operazione richiede:
- la partnership con un soggetto finanziario, particolarmente qualificato, che possa attivare e veicolare gli strumenti;
- un board di altissimo livello che garantisca ai risparmiatori ed alla cittadinanza tutta, sull’utilizzo delle risorse finanziarie secondo le finalità etiche, sociali e sanitarie per le quali si è realizzata la raccolta;
- un piano di comunicazione che consenta di favorire una fidelizzazione sul territorio.

14.2. GLI INVESTIMENTI

Il finanziamento degli investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie andrebbe dimensionato, in coerenza con l’impianto generale del modello, come quota percentuale del FSR o risorse regionali. Le risorse destinate a questa finalità comprendono sia quelle destinate a finanziare nuovi investimenti sia quelle necessarie a garantire l’efficacia e l’efficienza del patrimonio immobiliare e tecnologico esistente.
L’istituzione dell’Azienda Zero e lo sviluppo dei servizi tecnici per la valutazione dell’Health Technology Assessment (HTA), consentono lo sviluppo di piani regionali di investimento per le principali tecnologie sanitarie elettromedicali per il pieno sfruttamento del patrimonio tecnologico.
In tal modo è possibile prevedere annualmente un fabbisogno finanziario per mantenere la dotazione di macchinari all’interno di predefiniti parametri di qualità e sicurezza, garantendo uniformità di cura e di accesso alla popolazione regionale, a seconda delle specificità previste dalla programmazione sanitaria e dell'andamento di opportuni indicatori di performance.
Al fine di accompagnare gradualmente il SSSR verso la piena operatività di un modello unificante di governo a rete delle tecnologie sanitarie, viene identificato come obiettivo generale della programmazione l’implementazione di un Programma Regionale di Valutazione delle Tecnologie Sanitarie per l’aggiornamento del processo di segnalazione e di valutazione dell’appropriatezza d’uso delle tecnologie nella prospettiva del Sistema Sanitario.

Commissione Regionale per l’Investimento, Tecnologia e Edilizia (CRITE).

La CRITE supporta la Giunta regionale nella funzione di definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e di amministrazione (art. 54, comma 1, dello Statuto regionale), sulla base dei principi ed indirizzi generali della programmazione regionale generale, di competenza del Consiglio regionale (art. 33 dello Statuto regionale), verificando sia la coerenza con la programmazione regionale sia la sostenibilità economico-finanziaria di progetti di investimento, di tecnologia e di edilizia in ambito sanitario e socio sanitario.
Per la realizzazione delle attività definite della programmazione nell’ambito sopra descritto, le Aziende dovranno dotarsi di piani generali di adeguamento da sottoporre all’esame della CRITE.
Infatti, nella concreta attuazione dei progetti di investimento, la CRITE ha un ruolo centrale e, come previsto dalla sua istituzione, ha il compito di supportare l’organo di governo regionale nella scelta dei progetti d’investimento di entità economica superiori alla soglia comunitaria attraverso il rilascio di parere, tenendo conto della congruità con la programmazione socio-sanitaria regionale, della conformità sugli aspetti tecnico sanitari, della convenienza economica e della fattibilità/sostenibilità finanziaria.
La sua competenza negli investimenti si articola in: edilizia sanitaria e socio-sanitaria, grandi macchinari, impianti, attrezzature, informatica e macchine d'ufficio, altri ambiti, quali mobili, arredi, automezzi, immobilizzazioni immateriali ed altro, valutazione preventiva sulle procedure degli acquisti centralizzati in capo alla CRAV, come previsto dalla L.R. 19/2016.
La CRITE analizza e valuta “progetti di investimento” in cui rientrano anche:
- gli investimenti per service sanitari e quelli che comportano il noleggio e/o il leasing di apparecchiature/strumentazioni nonché la fornitura di attrezzature in comodato d’uso gratuito;
- gli investimenti previsti nell’ambito di contratti di finanza di progetto o di concessioni, compresi eventuali atti aggiuntivi;

- le richieste di autorizzazione alla contrazione di mutui, ai sensi degli artt. 5 e 6 della L.R.
55/1994.
Le competenze della Commissione si sono nel tempo ampliate e ad essa sono state attribuite nuove funzioni in ragione del mutato contesto economico-finanziario che ha posto in primo piano la necessità di realizzare un’attenta politica degli investimenti nel settore sanitario e socio sanitario e, conseguentemente, di potenziare le funzioni di coordinamento, razionalizzazione e di controllo della Giunta regionale in tale ambito.
In particolare alla CRITE è stato affidato il compito di supportare la Giunta regionale nel processo di approvazione dei Piani degli Investimenti triennali presentati dalle Aziende sanitarie esaminando la loro compatibilità rispetto alle risorse disponibili o rispetto a eventuali finanziamenti specificamente dedicati.
La Commissione esamina, altresì, gli appalti che prevedono la fornitura di attrezzature in comodato d’uso gratuito, indipendentemente dal loro valore economico; inoltre formula pareri in merito alla economicità delle gare d’appalto (compresi i rinnovi) per l’acquisizione di beni e servizi di valore economico superiore alla soglia comunitaria, assicurando così un risparmio a livello aziendale e quindi regionale, considerata la notevole attività contrattuale posta in essere dalle Aziende, atteso anche il parere sui costi e prezzi posti a base d’asta in relazione all’OPRVE (Osservatorio Prezzi Regione del Veneto).
Nell’attuale processo riorganizzativo del Sistema Sanitario Regionale la CRITE, anche in continuità con le azioni già individuate e realizzate dal Piano Socio-Sanitario 2012-2016, procederà nell’azione di supporto dell’organo di governo regionale attraverso i pareri di coerenza degli investimenti con la programmazione regionale e di sostenibilità economico-finanziaria in funzione della massima razionalizzazione della spesa ed assumerà, grazie alle diverse professionalità di cui dispone, un ruolo sempre più determinante nel lavoro di analisi e di attività altamente qualificate volte a individuare i fabbisogni delle nuove Aziende sanitarie in una prospettiva di coordinamento delle politiche di investimento.
Al fine di garantire la coerenza con le innovazioni introdotte da fonti normative ed amministrative nazionali e regionali, con i dettami della programmazione sanitaria regionale, con i vincoli di sostenibilità economico – finanziaria imposti dal legislatore nazionale, nonché di verificare periodicamente il progressivo raggiungimento dei valori minimi di riferimento adottati con provvedimenti di Giunta Regionale per alcuni profili del personale dipendente, possono essere sottoposti alla disamina/analisi della CRITE anche i piani trimestrali di assunzione del personale presentati dalle Aziende e dagli enti del SSSR.
Tra gli ulteriori ambiti rientrano i Percorsi Diagnostico Terapeutici (PDTA), approcci volti a garantire al paziente la continuità dell’assistenza e il collegamento funzionale tra i nodi della rete dei luoghi di cura ma soprattutto il miglior esito delle cure a livello locale. Le proposte di PDTA saranno (16) adottate con decreto del Direttore dell’Area Sanità e Sociale. I PDTA saranno successivamente monitorati al fine di verificare i risultati perseguiti nell’ottica della loro sostenibilità economica.
La disamina/analisi può concludersi con l’emissione di specifica nota di autorizzazione del Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale e consente l’avvio delle apposite procedure selettive di reclutamento normativamente previste.
Il ruolo di supporto della CRITE può esplicarsi pertanto in tutti quegli ambiti in cui ci sarà l’esigenza di verificare la sostenibilità economica di azioni attuative della programmazione regionale, anche in relazione a eventuali limiti di spesa o di risorse assegnate.

Interventi edilizi

Allo scopo di ottimizzare l'allocazione delle risorse finanziarie disponibili, oggi sempre più limitate, appare innanzitutto rilevante razionalizzare l'efficacia degli interventi sulle strutture sanitarie.
Tra gli obiettivi che si vuole perseguire per il controllo degli investimenti, vi è l’adeguamento ed innalzamento della sicurezza degli edifici e degli impianti nel rispetto di quanto stabilito dalle norme in materia di antincendio e protezione dagli eventi sismici, assicurando in tal modo la piena funzionalità degli edifici ospedalieri e socio-sanitari.
Da quanto è emerso dalla ricognizione operata presso le strutture è risultato necessario coordinare le esigenze di adeguamento funzionale delle strutture sanitarie con gli interventi di adeguamento alle norme di sicurezza, sia antincendio che sismica, recuperando altresì gli investimenti necessari per garantire la continuità dell'esercizio.
Nel quadro di sintesi sopra illustrato è fondamentale, nel rispetto del risparmio e dell'efficienza nell'utilizzo delle limitate risorse finanziarie a disposizione, avviare un percorso coordinato di interventi le cui procedure operative e contenuti tecnici sono stati ampiamente definiti; pertanto nel prossimo futuro, dovranno essere implementati gli adeguamenti sopra descritti in base alle risorse finanziarie disponibili.
Azioni prioritarie che la programmazione regionale deve perseguire sono l’ottimizzazione degli spazi attualmente occupati prevendendo l’accorpamento delle strutture socio-sanitarie ed il riuso razionale degli spazi, anche mediante la dismissione di immobili di proprietà utilizzati ad uso istituzionale e la cessazione dei rapporti di locazione passiva in essere.
Le dismissioni e cessazioni di immobili e locali sono finalizzate anche alla razionalizzazione degli spazi destinati all’Azienda Zero per consentire l’operatività degli uffici aziendali.

14.3. GLI APPROVVIGIONAMENTI

La centralizzazione delle procedure di approvvigionamento di beni e servizi, unita all'utilizzo di strumenti evoluti di approvvigionamento elettronico, consente di ottenere benefici sia in termini di risparmi sia di aumento della qualità delle forniture, trasparenza, semplificazione ed efficacia delle stesse, dunque le procedure di acquisti centralizzati rappresentano, l’elemento che più evidenzia i cambiamenti intercorsi nell’area degli acquisti, nonché la base da cui partire per assumere le opportune decisioni nel medio/lungo periodo.
Accanto alle collaudate centrali di committenza (Consip, regionali), la Legge 89/2014 ha introdotto la figura del Soggetto Aggregatore Abilitato - dopo la qualificazione dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione - anche ad approvvigionare gli enti dei beni/servizi standardizzati e normalmente acquisiti dalla pubbliche amministrazioni, a tale scopo ha perciò istituito il “Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori” prevedendo, tra l’altro, che ogni anno ciascun soggetto trasmetta dati e informazioni relative ai propri fabbisogni di spesa.
La medesima Legge all’interno dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, ha previsto:
- un elenco di Soggetti Aggregatori di cui fa parte Consip e una centrale di committenza per ciascuna Regione;
- altri soggetti che svolgono attività di Centrale di Committenza in possesso degli specifici requisiti definiti con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Inoltre con apposito DPCM, entro il 31 dicembre di ogni anno, vengono individuate categorie di beni e servizi, nonché soglie di obbligatorietà economica nel perimetro delle quali i Soggetti Aggregatori e le amministrazioni ivi contemplate, espletano le procedure di gara per i relativi approvvigionamenti. Attualmente vige il DPCM del 24.12.2016 che, con riferimento al biennio 2016-2017, determina le categorie merceologiche e le soglie.
Successivamente con altri interventi normativi (il D.Lgs. 50/2016 sul nuovo codice degli appalti e la Legge 208/2015 Legge di stabilità 2016) è stato rafforzato il processo di centralizzazione e aggregazione delle varie committenze stimolando, peraltro, forme più efficaci di collaborazione per ottimizzare le economie di scala, sul fronte dei costi operativi e su quelli degli effettivi approvvigionamenti attivati.
Si deve poi registrare anche la spinta ad una progressiva digitalizzazione dei sistemi di acquisizione di beni e servizi con l’implementazione di piattaforme elettroniche da condividere fra più stazioni appaltanti.
In Veneto già da qualche anno opera la Centrale di Committenza per le aziende sanitarie ed il percorso di centralizzazione degli approvvigionamenti regionali si è concluso con l’affidamento all’UO Acquisti Centralizzati SSSR - CRAV operante all'interno della Direzione Risorse Strumentali SSSR - CRAV delle funzioni di Soggetto Aggregatore regionale.
La programmazione del sistema degli acquisti ha come obiettivo di breve periodo quello, una volta a regime la riforma di cui alla L.R. 19/2016, di ridurre le strutture preposte agli approvvigionamenti che dovranno interfacciarsi con il Soggetto Aggregatore regionale, affidato all’Azienda Zero.
Atteso il quadro sopradescritto spetta alla centrale di acquisto regionale al fine di alleggerire le Aziende sanitarie dalle funzioni meramente amministrative, soddisfare i bisogni di approvvigionamento di beni e servizi, accentrando le procedure di espletamento che più efficacemente possono essere condotte a livello unificato.
A livello decentrato, viceversa, sarà richiesto uno sforzo maggiore nell’ individuare i fabbisogni di beni e servizi qualitativamente e quantitativamente corretta, nonché nella verifica dell’esecuzione
contrattuale da parte degli operatori economici aggiudicatari delle procedure di acquisizione; l’utilizzo di strumentazioni elettronico-telematiche favorirà la rapida esecuzione delle procedure di acquisizione e lo scambio dati fra la Centrale di Committenza e le Aziende sanitarie.
In tale direttrice di efficientamento si può prevedere un piano operativo, per gli acquisti centralizzati, che persegua i seguenti obbiettivi:
- incremento del numero delle procedure di gara, con progressivo utilizzo delle procedure telematiche, con ampliamento delle categorie di beni e servizi oggetto di acquisizione;
- incremento del numero degli strumenti di acquisto a disposizione delle Aziende sanitarie, anche mediante la conclusione di accordi con altri Soggetti Aggregatori;
- potenziamento dell’attività di formazione e di aggiornamento per il personale chiamato ad operare nei processi di acquisizione dei beni, sia esso operante presso la centrale di acquisto che a livello decentrato.

COREVE

15. RICERCA, INNOVAZIONE E VALUTAZIONE DELLE TECNOLOGIE SANITARIE


Parole chiave
Ricerca, Innovazione, Internazionalizzazione, HTA, Ricerca trazionale

Obiettivi strategici
OS1. Promuovere ricerca ed innovazione in ambito sanitario
OS2. Favorire mediante la ricerca e l’Health Technology Assessment (HTA) il processo di introduzione delle nuove tecnologie OS3. Promuovere, a livello nazionale ed internazionale, le eccellenze del Veneto
OS4. Sostenere la ricerca sanitaria trazionale negli ambiti di interesse prioritario, ivi compresi gli studi di fase IV OS5. Favorire la sperimentazione clinica
Promuovere e sostenere ricerca e innovazione di qualità per i servizi di prevenzione, cura e riabilitazione è un investimento che alimenta le conoscenze scientifiche e operative a beneficio dello stato di salute delle persone, della qualità del servizio sanitario e dello sviluppo dell’intero sistema economico.
Ricerca e innovazione in sanità richiedono un approccio progettuale ed operativo fortemente interdisciplinare, in stretta collaborazione con università, enti di ricerca, aziende sanitarie e imprese. Cruciale per il SSSR è infatti la capacità del sistema di garantire il sostegno al trasferimento tecnologico, per integrare nell’offerta di servizi sanitari risorse, strumenti e processi che ne migliorino la qualità.
È in questa cornice di sistema che la Regione intende svolgere la propria funzione di regia, delegando al Consorzio per la Ricerca Sanitaria – CORIS gli aspetti operativi, esso infatti annovera tra i suoi scopi la promozione e il sostegno della ricerca scientifica nel campo dei trapianti d’organo, di tessuti e della medicina rigenerativa ma a seguito dei crescenti bisogni in materia di Ricerca delle Aziende Sanitarie del terriotorio, ha esteso il proprio ambito appunto alla ricerca sanitaria e socio sanitaria.
È innegabile, infatti, che la Ricerca abbia bisogno di strumenti in grado di rispondere in modo tempestivo ai propri bisogni, che vanno dal supporto nella stesura di progetti di ricerca, alla gestione dei relativi finanziamenti fino alla fase del trasferimento tecnologico.
In questa aerea si possono quindi delineare i seguenti obiettivi strategici:
1. Promuovere ricerca ed innovazione in ambito sanitario
2. Favorire mediante la ricerca e l’Health Technology Assessment (HTA) il processo di introduzione delle nuove tecnologie
3. Promuovere, a livello nazionale ed internazionale, le eccellenze del Veneto
4. Sostenere la ricerca sanitaria tradizionale negli ambiti di interesse prioritario, ivi compresi gli studi di fase IV
5. Favorire la sperimentazione clinica

Promuovere ricerca ed innovazione in ambito sanitario

La definizione delle priorità regionali nell’area della ricerca sanitaria rappresenta un argomento di particolare rilevanza al fine di attuare una programmazione della ricerca di base, clinica e sanitaria dando risalto a particolari ambiti, enfatizzando l’importanza della trazionalità e valorizzando le collaborazioni tra ricercatori della Regione del Veneto.
La L. R. 9 febbraio 2001, n. 5 , prevede la possibilità per la Regione di stanziare annualmente un finanziamento per la ricerca svolta dalle Aziende Sanitarie, Ospedaliere e dall’Istituto Oncologico Veneto attraverso il Bando per la Ricerca Sanitaria Finalizzata Regionale documento che ha alla base le aree prioritarie di intervento di volta in volta individuate e portate avanti dal CORIS.
Anche la partecipazione ai bandi ministeriali di ricerca finalizzata e ai programmi finanziati dall’Unione Europea o promossi da finanziatori privati rappresentano obiettivi da continuare a perseguire, ma che devono essere necessariamente correlati alle tematiche ritenute di interesse prioritario per la Regione, anche allo scopo di ottimizzarne gli investimenti. Risulta, dunque, fondamentale promuovere la partecipazione a bandi nazionali ed europei nelle aree identificate quali prioritarie, eventualmente incentivando anche il cofinanziamento.
Ciò consentirà di ottenere un ritorno diretto e una ricerca fortemente trazionale, in grado di incidere rapidamente sulla pratica clinica.
Tuttavia non si può non considerare come le risorse istituzionali destinate alla ricerca stiano riducendosi e solo condividendo percorsi con il settore privato sarà possibile far fronte al bisogno di conoscenze cui risponde la ricerca.
Le forme di partnership pubblico private possono, opportunamente disciplinate e vigilate, rappresentare un’importante opportunità, che la Regione già percorre mediante l’ideazione della “Chiamata - nell’ambito di collaborazioni pubblico-private - alla presentazione di progetti di ricerca, innovazione e formazione in sanità” nell’ambito del Programma per la Ricerca l’Innovazione e l’Health Technology Assessment (PRIHTA), funzioni gestite da CORIS.
La Ricerca, inoltre, per essere competitiva, deve rispondere a requisiti di qualità, per i quali sono necessari interventi diretti di formazione ai ricercatori, ecco perchè sono necessari strumenti che valorizzando le eccellenze del Veneto, siano in grado di renderlo concorrenziale in Italia e all’estero.
E’ infine importante prevedere fasi di approfondimento diverse dai progetti di ricerca, in quanto alcune tematiche possono avere l’esigenza di esssere trattate tempestivamente, con metodologie diverse e senza risorse aggiuntive a carico del sistema. Il CORIS può contribuire in maniera rilevante grazie alla sua flessibilità e competenza in materia, alla gestione e al cordinamento di tavoli tecnici su temi che la Regione potrà indicare periodicamente.

Sostenere con la ricerca e l’Health Technology Assessment (HTA) il processo di introduzione delle nuove tecnologie

Nei sistemi sanitari pubblici, le tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi medici, attrezzature sanitarie, sistemi diagnostici e percorsi assistenziali) costituiscono un ambito di governo dinamico e complesso, caratterizzato dalla presenza di una pluralità di soggetti e dalla necessità di cercare un connubio tra richieste di innovazione e risorse disponibili.
Ai manager sanitari viene richiesto di contemperare le istanze dei clinici di poter disporre di tecnologie innovative, quelle dei pazienti di vedere garantito un equo accesso alle cure e prestazioni appropriate, oltre che di rispettare i vincoli di spesa stringenti imposti alle Aziende sanitarie. L’identificazione e il coinvolgimento dei portatori di interesse nei processi valutativi, la piena adesione al metodo scientifico, l’approccio multidisciplinare e il rispetto dei principi di equità e trasparenza, pertanto, si dimostrano elementi essenziali per conferire credibilità alle valutazioni e renderle sostenibili nei confronti delle parti interessate.
Inoltre, il crescente sviluppo delle attività di ricerca e il relativo trasferimento dei risultati in ambito assistenziale attraverso l’introduzione di tecnologie innovative nei sistemi sanitari, impone
a questi ultimi di dotarsi di processi strutturati di valutazione e di monitoraggio, in grado di assistere ed informare in modo adeguato i decisori nella definizione delle scelte di politica sanitaria, a qualsiasi livello di governo. Scelte di politica sanitaria che, in ultima istanza, dovranno caratterizzarsi per la capacità di favorire la diffusione nella pratica clinica delle tecnologie più efficaci, sicure ed efficienti, in sostituzione o in alternativa alle tecnologie meno efficaci, sicure ed efficienti, sulla base di modalità condivise, trasparenti, monitorabili e verificabili, che permettano l’attribuzione di chiare responsabilità in capo ai soggetti coinvolti nel loro governo.
La Regione del Veneto ha da tempo individuato nell’Health Technology Assessment (HTA) l’approccio critico di riferimento per la valutazione delle implicazioni assistenziali, economiche, sociali ed etiche, provocate in modo diretto ed indiretto dalle tecnologie sanitarie esistenti e da quelle di nuova introduzione. L’HTA viene riconosciuto a livello nazionale ed internazionale come mezzo per supportare decisioni di politica sanitaria sostenibili, rigorose e basate sulle migliori evidenze, in grado di assicurare un’assistenza sanitaria efficiente, sicura e di qualità. Il Veneto è inserito in una rete di organizzazioni che, a livello regionale, nazionale ed europeo, collaborano attivamente in tale ambito. In particolare, a livello europeo, si segnala la partecipazione ed il coinvolgimento nel programma comune European Network for Health Technology Assessment (EunetHTA), da cui è possibile trarre un confronto costante con realtà avanzate, contribuendo così alla maturazione di una cultura della valutazione, a favorire lo scambio di risorse ed informazioni con gli altri stati membri e a facilitare il trasferimento dei risultati di processi HTA da un contesto all’altro.
Con l’attuazione della L.R. 19/2016 recante disposizioni in materia di riorganizzazione territoriale e funzionale del SSSR, anche i servizi di valutazione delle tecnologie sanitarie sono stati oggetto di processi di semplificazione e razionalizzazione del sistema, prevedendone la loro attribuzione in capo al nuovo ente di governo del SSSR – Azienda Zero. In questo modo, la Regione del Veneto ha potuto rispondere appieno alle disposizioni sull’HTA indicate nella Legge di Stabilità 2016, ove si specifica che le regioni adottano provvedimenti volti a garantire che gli enti del SSN non istituiscano unità organizzative di valutazione delle tecnologie, ovvero sopprimano tutte quelle esistenti, ricorrendo a strutture di valutazione istituite a livello regionale o nazionale.
Strettamente legato al tema dell’HTA, c’è quello del Value Based Health Care, ossia la possibilità di orientare le scelte di politica sanitaria verso interventi che dimostrino di generare “valore aggiunto per il paziente”. Occorre dunque generare strumenti che siano in grado di misurare (e in futuro anche predire) gli esiti clinici, spostando il focus dalla singola tecnologia all’intero percorso di cura, utilizzando indicatori che incorporino anche variabili quali la qualità percepita dal paziente e che siano orientati a trasformare i processi in un’ottica trasversale di patologia e non di terapia.
Anche la nostra Regione intende contribuire al dibattito che si sta sviluppando intorno a questi temi e alle forme innovative di Value Based Procurement e di gestione condivisa del rischio.

Promuovere a livello nazionale ed internazionale le eccellenze del Veneto

Essenziale per poter attrarre finanziamenti è la possibilità di comunicare quanto fino ad oggi ha prodotto la nostra ricerca e come questa abbia impattato nella pratica clinica. La collaborazione con gruppi di ricerca presenti nelle strutture ospedaliere con i più alti punteggi a livello internazionale, sono ambiti nei quali molti dei parametri su cui si basa la valutazione di una proposta si riferiscono a pubblicazioni, finanziamenti precedentemente ricevuti e brevetti registrati.
CORIS si propone di promuovere la ricerca nei centri clinici di eccellenza attraverso la ricerca di gruppi attivi negli stessi ambiti, in grado di stimolare percorsi di innovazione di prodotto e di processo condivisi.
L’obiettivo di supportare integrazione tra gruppi di ricerca a livello locale, nazionale e internazionale, è strettamente legato a quello della costituzione dell’anagrafe della ricerca, che consenta alla Regione di conoscere non solo quali siano i gruppi di ricerca impegnati in un determinato ambito, ma anche quali e quanti finanziamenti abbiano ricevuto e quale sia la produzione scientifica generata a fronte degli stessi. Tale strumento, oltre a favorire l’aggregazione, permette di evitare la duplicazione di tematiche di ricerca, dei relativi finanziamenti e soprattutto la mancata conoscenza degli ambiti di attività dei singoli gruppi di ricerca sul territorio veneto.
Nella promozione delle eccellenze venete a livello internazionale non si devono trascurare le attività di lobbying, che vanno intese come quelle volte a orientare la Commissione Europea e gli altri enti detentori di finanziamenti per la ricerca, nell’individuare quali prioritarie alcune tematiche piuttosto che altre. La possibilità di partecipare ai tavoli, come ad esempio, quello che sta lavorando alla stesura del IX Programma Quadro equivale a contribuire attivamente alla definizione delle singole chiamate, portando in Europa le necessità di ricerca della Regione del Veneto.

Favorire la ricerca sanitaria tradizionale negli ambiti di interesse prioritario, ivi compresi gli studi di fase IV

Considerato che le risorse che la Regione mette a disposizione per la ricerca derivano dal Fondo SSSR, è di fondamentale importanza che vengano promossi studi che siano fortemente trazionali, ossia la cui ricaduta nella pratica clinica sia concreta.
In quest’ambito occorre favorire il trasferimento tecnologico delle innovazioni che nascono dalla ricerca, attraverso l’assistenza ai ricercatori che vogliano registrare in brevetti le proprie idee progettuali o in generale abbiano bisogno di tutelare i diritti legati all’invenzione.
La sorveglianza successiva alla messa in commercio su farmaci e dispositivi è un obiettivo che viene indicato anche a livello nazionale. I dati a disposizione della Regione e rientranti nei flussi sono la base di partenza per favorire la conduzione di sudi di fase IV sui temi ritenuti più rilevanti.

Facilitare la ricerca

Come già anticipato, all’interno della rete dei Comitati Etici del Veneto una funzione particolarmente importante è assegnata alla promozione della ricerca attraverso i Comitati Etici per la Sperimentazione Clinica, operanti nelle strutture sanitarie della Regione del Veneto.
La Rete dei Comitati Etici per la Sperimentazione è integrata dalle Unità dedicate alla ricerca clinica, istituite presso le Aziende Sanitarie e dall’ IRCCS Istituto Oncologico Veneto, dotate delle risorse necessarie per espletare le attività fondamentali per l’avvio e lo svolgimento della sperimentazione.
Al fine di promuovere la ricerca e l'innovazione sul proprio territorio, la Regione intende rilanciare la sperimentazione clinica mediante l’adozione di provvedimenti regionali finalizzati ad incrementare l’adesione delle strutture sanitarie agli studi clinici (anche in qualità di centro coordinatore), il consolidamento delle reti di ricerca e il miglioramento della efficienza dei Comitati Etici e delle procedure amministrative.
Il CORIS contribuisce alla semplificazione e alla riorganizzazione dei processi amministrativi che riguardano gli Uffici per la Ricerca Clinica delle Aziende Sanitarie e la rete dei Comitati Etici per la sperimentazione, mettendo a disposizione delle Aziende le risorse necessarie per funzioni di data management e di supporto amministrativo legale. In questo modo la Regione intende garantire
tempi certi di valutazione, una corretta analisi dei costi e stipula dei contratti e una maggiore efficienza nel reclutamento dei pazienti e nella conclusione degli studi.

Parole chiave

16. RAPPORTI CON L’UNIVERSITÀ


COREVE
COREVE
Obiettivi strategici
OS1. Favorire la collaborazione tra Regione e Università nel raggiungimento dei compiti istituzionali
OS2. Incentivare la formazione come sviluppo di professionisti competenti rispetto ai bisogni clinico-assistenziali OS3. Collaborare per rispondere alle esigenza del sistema sanitario rispetto alla formazione degli specializzandi
COREVE

Compito istituzionale dell’Università è provvedere, oltre che all’attività di ricerca e di didattica, all’attività assistenziale e ciò nel quadro della programmazione nazionale e regionale e secondo i principi e i criteri direttivi di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 517/1999, come declinati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 71/2001.
Le attività assistenziali, di ricerca e di didattica sono tra loro compenetrate; i rapporti con le Università sono improntati al principio della leale cooperazione in ogni fase del processo volto a garantire il conseguimento degli obiettivi della suddetta compenetrazione, anche attraverso l’assolvimento, da parte dell’Università, dei suoi compiti istituzionali in particolare attinenti all’attività assistenziale, nonché mediante il supporto da parte della Regione alle attività istituzionali dell’Università.
La reciproca leale cooperazione sinergica tra Regione e Università deve essere funzionale a incrementare l’efficienza e l’efficacia dell’una e dell’altra nel perseguimento dei rispettivi compiti istituzionali.
La collaborazione tra Servizio sanitario regionale e le Università degli studi di Padova e di Verona e l’apporto di queste all’attività assistenziale del servizio sanitario regionale è regolata da specifici protocolli d’intesa.
L’apporto dell’Università alla programmazione regionale socio-sanitaria, riferita alle due aziende ospedaliere di Padova e Verona, è necessaria e importante e si esprime attraverso la formulazione alla Regione di proposte e di programmi, i quali, fermi i vincoli di legge quanto agli standard di dotazione di posti letto ospedalieri, potranno aver riguardo anche alla dotazione complessiva di posti letto per le attività assistenziali essenziali alle attività didattiche e di ricerca dell’Università e dei suoi corsi di studio.
La formazione dei professionisti sanitari è resa possibile attraverso una stretta collaborazione tra Servizio Sanitario Regionale e Università, che consente, attraverso la compenetrazione della funzione didattica con l’assistenza, la sviluppo di professionisti competenti rispetto ai bisogni clinico-assistenziali espressi dagli assistiti nei vari contesti sanitari. La stessa è regolamentata con specifici protocolli tra Regione e Università con l’obiettivo di mantenere elevata la qualità formativa, contemperando la necessità di rispettare gli standard previsti dall’ordinamento universitario con quella di mantenere un numero di sedi di corso di laurea diffuso sul territorio regionale. Allo scopo di garantire la disponibilità di professionisti sanitari impiegati nei corsi di laurea che, oltre alle competenze pedagogico-tutoriali, mantengano elevati livelli di competenza clinica dovrà essere valutata l’individuazione di nuove modalità di interazione di tali professionisti con i diversi contesti clinici.
Dovranno essere definite e disciplinate le modalità della reciproca collaborazione al fine di soddisfare le specifiche esigenze del servizio sanitario nazionale connesse alla formazione degli specializzandi. La Regione contribuisce alla formazione specialistica dei propri medici e non medici finanziando contratti di formazione specialistica e borse di studio aggiuntivi presso le scuole di specializzazione universitaria di Atenei veneti e contermini, favorendo la permanenza dei professionisti così formati nelle strutture e negli enti del servizio sanitario regionale.
La collaborazione con l’Università si attua anche nella formazione post laurea dei professionisti sanitari attraverso la progettazione congiunta e l’implementazione di master e/o corsi di perfezionamento indirizzati a professionisti in servizio presso enti e aziende del SSN, anche con riferimento a specifiche esigenze della programmazione socio sanitaria regionale.


Note

( 1) Con sentenza n. 112/2023 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 23/2023) la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo con ricorso n. 50 del 27 luglio 2022 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 38/2022), per violazione degli articoli 3 e 117, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui, modificando l’allegato alla legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 “Piano socio sanitario regionale 2019 – 2023”, attraverso l’inserimento del paragrafo rubricato “Incremento del massimale di scelte degli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici in formazione specifica in medicina generale”, si discosta dalla vigente normativa statale in materia di incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici iscritti al corso di formazione in medicina generale, integrando una violazione del principio di eguaglianza nonché dei principi fondamentali nelle materie concorrenti della tutela della salute e delle professioni. Ad avviso della Corte, invece, il massimale di incarichi più elevato introdotto dal legislatore veneto rispetto al limite fissato dal legislatore statale con l’articolo 9, comma 2, del d. l. 135/2018, come convertito, non contrasta con principi fondamentali, posto che tale disposizione ha portata strumentale e non prescrive una modalità organizzativa vincolante, ma un possibile criterio di contemperamento tra l’esigenza contingente, dettata dalle scoperture in ambito sanitario, di impiegare nell’attività assistenziale i medici che frequentano il corso e la necessità di perseguire il risultato della qualità della loro formazione.
( 2) Con sentenza n. 36/2022 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 8/2022) la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 1, comma 2 e all’allegato Piano socio sanitario regionale 2019 - 2023, per violazione degli articoli 3, 32 e 117, commi secondo, lettera l) e terzo della Costituzione.
( 3) Con sentenza n. 36/2022 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 8/2022) la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanza n. 33/2021, con riferimento all’art. 1, comma 2 e all’allegato Piano socio sanitario regionale 2019 - 2023, nella parte in cui in cui approva l'allegato Piano socio-sanitario regionale della Regione Veneto 2019-2023 limitatamente alla previsione che «allo scopo di garantire l'erogazione delle prestazioni di assistenza diretta ai pazienti, comprese nei LEA, le aziende sanitarie possono, in via eccezionale, conferire a medici incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie» e che «Qualora risulti oggettivamente impossibile il reperimento di medici in possesso della specializzazione richiesta, la selezione potrà essere estesa anche a medici in possesso di diploma di specializzazione in disciplina equipollente o affine. Qualora il reperimento di professionisti risulti infruttuoso anche con l'estensione alle discipline equipollenti o affini, si potrà procedere al reclutamento di medici privi del diploma di specializzazione sulla base di linee di indirizzo regionali che definiscano le modalità di inserimento dei medesimi all'interno delle strutture aziendali e di individuazione degli ambiti di autonomia esercitabili col tutoraggio del personale strutturato. Le Regioni potranno anche organizzare o riconoscere percorsi formativi dedicati all'acquisizione di competenze teorico-pratiche negli ambiti di potenziale impiego di medici privi del diploma di specializzazione»; quanto sopra, ad avviso del TAR remittente contrastava con i principi fondamentali posti dal legislatore statale nella materia, di competenza concorrente, della tutela della salute (art. 117 terzo comma della Costituzione) con riguardo sia ai principi relativi alle modalità di accesso al SSN, sia ai requisiti e ai titoli professionali di accesso al SSN del personale medico affidatario di incarichi, nonché con le previsioni statali che forniscono coordinate e vincoli per le amministrazioni pubbliche che intendono avvalersi di contratti flessibili, con conseguente ridondanza anche sui principi in materia di coordinamento della finanza pubblica: ad avviso della Corte, invece, l’ordinanza di rimessione non ha tenuto conto dell’evoluzione della normativa statale in materia; della specifica previsione del PSSR che fa salve (per quanto non diversamente disciplinato), le vigenti disposizioni in materia di rapporti di lavoro autonomo; non ha autonomamente argomentato le censure riferite agli articoli 3 e 32 della Costituzione.
( 4) In materia vedi anche quanto disposto dalla legge regionale 18 gennaio 2022, n. 1 “Risparmi di spesa in sanità”.
( 5) Testo riportato ai commi 1 e 2 dell’art. 2 legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 .
( 6) Comma inserito da comma 1 art. 1 legge regionale 16 maggio 2019, n. 18 .
( 7) Testo riportato all’art. 15 della legge regionale 29 giugno 2012, n. 23 .
( 8) In materia di personale di Azienda Zero vedi ora quanto disposto dall’articolo 20 della legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 , ai sensi del quale: “ Art. 20 - Chiusura della disciplina di prima applicazione della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 “Istituzione dell'ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS.” in materia di personale di Azienda Zero.
1. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 7 della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 e di cui all’articolo 14 della legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 “Piano socio sanitario regionale 2019-2023” esauriscono i loro effetti con il completamento delle procedure di mobilità dalle aziende ed enti del Servizio sanitario regionale e del trasferimento dei relativi fondi contrattuali a seguito degli accordi conclusi in sede sindacale dalle stesse aziende ed enti ai sensi dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e dell’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1990)”.
2. A completamento delle procedure di cui al comma 1, Azienda Zero dispone le assunzioni di personale in conformità all’Atto aziendale, al Piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, alla legislazione statale in materia di spesa del personale del Servizio sanitario nazionale ed alle determinazioni della Giunta regionale riguardanti il personale del Servizio sanitario regionale.
3. Resta fermo che al personale di Azienda Zero si applica la disciplina giuridica, economica e previdenziale del personale del Servizio sanitario nazionale.”.
( 9) Vedi anche quanto disposto dall’articolo 19, recante graduatorie concorsuali delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale, della legge regionale 16 maggio 2019, n. 15 .
( 10) Vedi anche le funzioni riconosciute alla CRITE dalla legge regionale 16 luglio 2019, n. 26 .
( 11) Testo riportato al comma 2 dell’art. 2 legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 .


( 12 ) Paragrafo modificato da comma 1 art. 13 legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 che ha soppresso le parole: “accompagnata da una relazione sulla sostenibilità economica per l’utilizzo delle risorse nel percorso delineato che deve essere sottoposta a valutazione della CRITE”.
( 13 ) Denominazione del paragrafo modificata da comma 1 art. 12 legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 .
( 14 ) Sottoparagrafo aggiunto da comma 2 art. 12 legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 .
( 15 ) Con sentenza n. 112/2023 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 23/2023) la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo con ricorso n. 50 del 27 luglio 2022 (G.U. - 1ª Serie Speciale n. 38/2022), per violazione degli articoli 3 e 117, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui, modificando l’allegato alla legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 “Piano socio sanitario regionale 2019 – 2023”, attraverso l’inserimento del paragrafo rubricato “Incremento del massimale di scelte degli incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici in formazione specifica in medicina generale”, si discosta dalla vigente normativa statale in materia di incarichi temporanei di assistenza primaria assegnati ai medici iscritti al corso di formazione in medicina generale, integrando una violazione del principio di eguaglianza nonché dei principi fondamentali nelle materie concorrenti della tutela della salute e delle professioni. Ad avviso della Corte, invece, il massimale di incarichi più elevato introdotto dal legislatore veneto rispetto al limite fissato dal legislatore statale con l’articolo 9, comma 2, del d. l. 135/2018, come convertito, non contrasta con principi fondamentali, posto che tale disposizione ha portata strumentale e non prescrive una modalità organizzativa vincolante, ma un possibile criterio di contemperamento tra l’esigenza contingente, dettata dalle scoperture in ambito sanitario, di impiegare nell’attività assistenziale i medici che frequentano il corso e la necessità di perseguire il risultato della qualità della loro formazione.
( 16 ) Paragrafo modificato da comma 2 art. 13 della legge regionale 27 maggio 2022, n. 12 che ha soppresso le parole: “sottoposte a valutazione e approvazione della CRITE e successivamente”.


SOMMARIO
Sommario: Legge Regionale 48/2018
S O M M A R I O
Legge regionale 28 dicembre 2018, n. 48 (BUR n. 133/2018) – Testo storico

PIANO SOCIO SANITARIO REGIONALE 2019-2023

Art. 1 - Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
1. In conformità all’articolo 1, comma 13, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421” e successive modifiche ed integrazioni e nel rispetto dei principi fondamentali ivi contenuti, in attuazione degli articoli 2 e 6 della legge regionale 14 settembre 1994, n. 56 “Norme e principi per il riordino del Servizio sanitario regionale in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, così come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517”, in coerenza con il vigente Piano sanitario nazionale, è approvato il Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
2. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 individua gli indirizzi di programmazione socio-sanitaria regionale per il quinquennio 2019-2023 ed è approvato nel testo allegato che costituisce parte integrante della presente legge.
3. Il Piano socio sanitario regionale 2019-2023 è attuato dai provvedimenti adottati dalla Giunta regionale nei settori dell’assistenza territoriale, dell’assistenza ospedaliera, delle reti assistenziali e socio sanitarie e trasmessi alla commissione consiliare competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla data di ricevimento. Acquisito il parere della commissione consiliare, la Giunta regionale approva i provvedimenti di attuazione di cui al presente comma.
4. La Regione assicura le necessarie risorse per garantire sul territorio regionale i livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e di cui all’articolo 22, commi 2 e 4 della legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
Art. 2 - Esercizio delle forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto.
1. Le forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e legislativa nella materia “Tutela della Salute” previste in capo alla Regione del Veneto sulla base dell’Accordo preliminare all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, firmato il 28 febbraio 2018 tra il Governo della Repubblica italiana e la Regione del Veneto, nonché le ulteriori forme di autonomia differenziata che saranno concesse nel prosieguo del negoziato, come previsto dall’Accordo medesimo, saranno esercitate a seguito dell’approvazione della legge statale di recepimento dell’Intesa ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Art. 3 - Modifiche alla legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 “Norme per la riorganizzazione del Servizio ispettivo e di vigilanza per il sistema socio-sanitario veneto”.
1. I commi 1 e 2 dell’articolo 2 della legge regionale 5 agosto 2010, n. 21 “Norme per la riorganizzazione del Servizio ispettivo e di vigilanza per il sistema socio-sanitario veneto” sono sostituiti dai seguenti:
“1. Alla struttura ispettiva competono funzioni ispettive e di vigilanza di secondo grado, di carattere amministrativo, contabile e funzionale, in ambito sociale, sanitario e socio-sanitario, nei confronti dei soggetti previsti dall’articolo 1, comma 1, della presente legge.
2. Particolare rilevanza nello svolgimento dell’attività di controllo è attribuita al rapporto della struttura ispettiva con i collegi sindacali o dei revisori dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge.”.
Art. 4 - Salvaguardia delle specificità territoriali.
1. La Regione garantisce cura, assistenza e servizi socio-sanitari in modo uniforme, appropriato e responsabile su tutto il territorio regionale, salvaguardando, in conformità a quanto previsto dall’articolo 15 della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 “Statuto del Veneto”, le specificità del territorio bellunese, del Polesine e lagunari.
Art. 5 - Valutazione del Piano socio sanitario regionale 2019-2023.
1. Al fine di valutare l’efficacia degli interventi previsti nel Piano socio sanitario regionale 2019-2023, la Giunta regionale, per il tramite dell’Area Sanità e Sociale, attua il monitoraggio sull’attuazione del Piano presso le singole aziende ed enti del servizio sanitario regionale.
2. I risultati del monitoraggio sono raccolti da Azienda Zero e trasmessi all’Area Sanità e Sociale, che semestralmente relaziona alla Giunta regionale e alla competente commissione consiliare.
Art. 6 - Definizione delle dotazioni standard e dei costi standard.
1. Entro il 2019 la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, definisce le dotazioni standard del personale sanitario, professionale e amministrativo dei servizi sanitari e socio-sanitari necessari a garantire l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), con riferimento ai bacini territoriali coincidenti con le aziende ULSS, in conformità a quanto previsto dall’articolo 128, comma 4, della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”.
Art. 7 - Schede di dotazione territoriale dei servizi e delle strutture di ricovero intermedie.
1. La Giunta regionale approva, sentita la competente commissione consiliare, contestualmente alle schede di dotazione ospedaliera, al fine di rendere omogenea la prevenzione, l’assistenza e la cura nel proprio territorio e per garantire la continuità dell’assistenza e delle cure, le schede di dotazione territoriale delle unità organizzative dei servizi e delle strutture di ricovero intermedie da garantire in ogni azienda ULSS, tenendo conto dell’articolazione distrettuale, della distribuzione delle strutture sul territorio regionale nonché dell’accessibilità da parte del cittadino.
2. Le schede di dotazione territoriale contengono anche la previsione delle strutture residenziali e semiresidenziali sanitarie e socio-sanitarie. I posti letto delle strutture intermedie avranno come indice minimo lo 0,6 per mille della popolazione di età superiore ai 45 anni presente nell’Azienda ULSS di appartenenza.
3. Le specificità del territorio bellunese, del polesine, delle aree montane e lagunari, delle aree a bassa densità abitativa possono dotarsi di un incremento dei posti letto delle strutture previste nelle schede territoriali dello 0,2 per mille.
Art. 8 - Conferimento incarichi e valutazione dei dirigenti apicali di unità operative complesse.
1. Il direttore generale delle aziende ULSS, ospedaliere, ospedaliero-universitarie integrate e dell’Istituto oncologico veneto (IOV) procede al conferimento degli incarichi di dirigenti apicali di unità operativa complesse rendendo pubbliche le motivazioni professionali ed evidenziando qualità e meriti del soggetto al quale viene conferito l’incarico.
2. La Giunta regionale provvede, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, alla formulazione di uno schema-tipo di contratto di lavoro che, nel rispetto della vigente normativa, individua i seguenti criteri ai quali è obbligatorio far riferimento per la valutazione di fine incarico dei dirigenti apicali di unità operativa complesse:
a) quantità e qualità delle prestazioni sanitarie erogate in relazione agli obiettivi assistenziali concordati preventivamente in sede di discussione del budget;
b) valorizzazione dei collaboratori;
c) soddisfazione degli utenti;
d) strategie adottate per il contenimento dei costi tramite l’uso appropriato delle risorse.
3. L’esito positivo della valutazione di cui al comma 2 determina la conferma dell’incarico.
Art. 9 - Trasparenza.
1. L’articolo 15 della legge regionale 29 giugno 2012, n. 23 “Norme in materia di programmazione socio sanitaria e approvazione del piano socio-sanitario regionale 2012-2016” è sostituito dal seguente:
“Art. 15 - Trasparenza.
1. La Giunta regionale pubblica annualmente sul sito internet istituzionale regionale le somme corrisposte nell’anno precedente ad ogni struttura privata accreditata per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali.”.
Art. 10 - Forme integrative regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria.
1. La Giunta regionale promuove lo sviluppo di forme integrative regionali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, in particolare per la non autosufficienza, coinvolgendo le parti sociali, i soggetti e le organizzazioni finanziarie e assicurative e altri enti e istituzioni al fine di darne un’ampia diffusione, nell’interesse della popolazione. Inoltre assicura il coordinamento e l’unitarietà della politica sanitaria e l’integrazione del servizio sanitario regionale con le prestazioni finanziate attraverso le forme integrative.
Art. 11 - Fascicolo sanitario elettronico. Attuazione dell’articolo 2, comma 1, lettera g), numero 11, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 “Istituzione dell’ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS”.
1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del Piano socio sanitario 2019-2023, la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, approva i provvedimenti attuativi del fascicolo sanitario elettronico con particolare riferimento alla realizzazione di un’unica rete regionale per interconnettere tutte le aziende sanitarie e gli enti socio-sanitari. Gli enti privati accreditati con il sistema socio-sanitario avranno l’obbligo di partecipare al fascicolo sanitario elettronico. Il fascicolo sanitario elettronico e la conseguente tessera sanitaria elettronica per tutta la popolazione veneta verranno attivati entro un anno dall’entrata in vigore del Piano socio sanitario 2019-2023.
Art. 12 - Prestazioni dei dirigenti veterinari.
1. Al fine di assicurare l’erogazione di prestazioni obbligatorie per legge che non possano essere effettuate in orario diurno o esclusivamente nei giorni feriali, le Aziende ULSS, nel rispetto del sistema di relazioni sindacali previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro della dirigenza medico-veterinaria, possono disporre della presenza in servizio dei dirigenti veterinari durante le ore notturne e nei giorni festivi. L’attività è espletata nell’ambito dell’orario di lavoro settimanale ovvero in regime di prestazioni aggiuntive qualora ricorrano i presupposti e le condizioni stabiliti dai predetti contratti collettivi, nel rispetto della normativa nazionale sull’orario di lavoro.
Art. 13 - Direttore sanitario di struttura privata accreditata.
1. Il direttore sanitario di struttura privata accreditata che gestisce ospedali con più di cento posti letto deve possedere gli stessi requisiti richiesti per il direttore medico ospedaliero di ospedali pubblici
Art. 14 - Disposizioni in materia di personale di Azienda Zero.
1. In considerazione degli esiti delle procedure di mobilità esperite ai sensi della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , articolo 7, comma 1, a seguito degli accordi conclusi con le aziende ed enti del servizio sanitario regionale in sede sindacale ai sensi dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, al fine di limitare il disagio organizzativo alle aziende ed enti che, avendo sede limitrofa a quella di Azienda Zero, hanno già sopportato un rilevante esodo di personale, Azienda Zero è autorizzata ad effettuare assunzioni dirette, previa autorizzazione della Giunta regionale sentita la competente commissione consiliare, di personale mediante procedure concorsuali per la copertura di posti di dotazione organica, così come definita dall’articolo 7, comma 3 della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , che non siano stati coperti a seguito delle medesime procedure di mobilità.
2. Il finanziamento destinato ad Azienda Zero considera il trasferimento di risorse effettuato dalle aziende ed enti del servizio sanitario regionale sulla base degli accordi sindacali di cui al comma 1 che deve considerarsi confermato.
Art. 15 - Interventi per la razionalizzazione della spesa delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale.
1. La disciplina di cui all’articolo 37, commi 2, 3, 4 e 5 della legge regionale 19 febbraio 2007, n. 2 “Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2007” è confermata per il triennio 2019-2021.
Art. 16 - Commissione regionale per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE).
1. La Commissione regionale per l’investimento, tecnologia e edilizia (CRITE) supporta la Giunta regionale nella funzione di definizione e realizzazione degli obiettivi di governo e amministrazione sulla base dei principi ed indirizzi generali della programmazione regionale generale di competenza del Consiglio regionale, verificando la coerenza con la programmazione regionale e la sostenibilità economico finanziaria dei progetti d’investimento, di tecnologia e di edilizia in ambito sanitario e socio-sanitario.
2. La Giunta regionale può altresì incaricare la CRITE di effettuare la disamina/analisi dei piani trimestrali di assunzione del personale delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale al fine di verificarne la coerenza con la normativa nazionale e regionale, nonché con gli atti di programmazione regionale.
3. La CRITE supporta la Giunta regionale nel processo di approvazione dei Piani degli investimenti triennali delle aziende sanitarie, esaminando la loro compatibilità rispetto alle risorse disponibili o rispetto a eventuali finanziamenti specificamente dedicati.
4. La Giunta regionale approva i Piani degli investimenti triennali di cui al comma 3 previo parere della commissione consiliare competente.
5. La composizione della CRITE e il ruolo di supporto della CRITE che può esplicarsi in tutti quegli ambiti in cui vi sia l’esigenza di verificare la sostenibilità economica di azioni attuative della programmazione regionale, anche in relazione a eventuali limiti di spesa o di risorse assegnate, sono definiti con provvedimento della Giunta regionale.
Art. 17 - Modifica dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 “Istituzione dell’ente di governance della sanità regionale veneta denominato “Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero”. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende ULSS”.
1. All’articolo 2, comma 2, della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19 , dopo la lettera f) è inserita la seguente:
“f bis) monitoraggio e vigilanza sulle varie forme di sanità integrativa con l’obiettivo di finalizzarle al sostegno della compartecipazione dei LEA.”.
Art. 18 - Clausola di neutralità finanziaria.
1. All’attuazione della presente legge si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione.
Art. 19 - Norma transitoria.
1. Il Piano socio sanitario regionale ha durata e validità per il quinquennio 2019-2023. Le norme e le disposizioni del Piano medesimo mantengono efficacia fino all’approvazione del Piano socio sanitario regionale successivo.
2. Le disposizioni del Piano socio sanitario regionale 2012-2016 mantengono la loro efficacia fino all’approvazione degli specifici provvedimenti di attuazione di cui all’articolo 1, comma 3.

ALLEGATO OMESSO


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