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Legge regionale 6 giugno 1983, n. 29 (BUR n. 25/1983)

Interventi a favore dei territori montani e approvazione del progetto montagna

Legge regionale 6 giugno 1983, n. 29 (BUR n. 25/1983)

INTERVENTI A FAVORE DEI TERRITORI MONTANI E APPROVAZIONE DEL PROGETTO MONTAGNA.

Art. 1

La Regione del Veneto, in attuazione di quanto previsto dall’ art. 4 dello Statuto e dal Programma regionale di sviluppo promuove lo sviluppo della montagna attraverso il recupero e il potenziamento delle risorse economiche e il risanamento e la salvaguardia del territorio.
A tal fine, richiamate le competenze dei comuni e delle province, riconosce nelle comunità montane gli enti dotati di specifica competenza per la programmazione e l’attuazione degli interventi per lo sviluppo della montagna nello spirito della legge 2 dicembre 1971, n. 1102.

Art. 2

E' approvato il “ documento delle direttive ” allegato alla presente legge, della quale forma parte integrante; le direttive contenute nel “ documento ” hanno efficacia vincolante per l’attività della Regione, degli enti e aziende dipendenti dalla Regione e con funzioni di indirizzo e di coordinamento per gli enti locali relativamente alle funzioni a essi delegate dalla Regione, e in particolare per le comunità montane nella formazione dei piani di sviluppo.

Art. 3

E' approvato il piano degli interventi straordinari, secondo l’elenco di cui al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ” allegato alla presente legge, per formare parte integrante e sostanziale.

Art. 4

Le procedure per la attuazione dei singoli interventi di spesa previsti nel piano straordinario degli interventi sono quelle delle leggi regionali che regolano le materie corrispondenti, come richiamate nell’apposito elenco inserito al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ”allegato alla presente legge.
Per gli interventi in corrispondenza dei quali non risulti in vigore alcuna specifica normativa regionale, la disciplina delle procedure di spesa sarà disposta dalla legge finanziaria regionale sulla base della normativa vigente per la esecuzione di interventi in settori similari.
Con la esclusione degli interventi di carattere generale di cui alla lettera A dell’elenco inserito al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ”, nell’attuazione della presente legge saranno osservate le seguenti norme procedurali generali:
a) gli enti richiedenti provvedono all’inoltro alla Regione dei progetti esecutivi delle opere indicate nell’elenco, debitamente approvati dall’organo deliberativo competente, senza che sugli stessi debbano pronunciarsi gli organi consultivi previsti dalla vigente normativa regionale in materia di opere pubbliche con esclusione delle opere igienico - sanitarie e di difesa del suolo;
b) l’approvazione dei progetti nei termini indicati sub a) costituisce dichiarazione di pubblica utilità dell’opera a tutti gli effetti di legge;
c) la concessione del contributo è disposta dalla Giunta regionale, ovvero dal funzionario delegato a tale compito dalla medesima a norma dell’ articolo 53 della legge regionale n. 72/1977 ; ( 1)
d) la erogazione del contributo viene disposta dai dipartimenti competenti per materia secondo le modalità seguenti:
- un primo acconto pari al 50 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario comprovante l’avvenuta consegna dei lavori all’impresa esecutrice dei medesimi;
- un secondo acconto pari al 40 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario attestante l’avvenuta erogazione di almeno due terzi del primo acconto;
- il restante 10 per cento a saldo, sulla base della prescritta certificazione di regolare esecuzione o di collaudo a norma di legge previo decreto di liquidazione finale del contributo del dipartimento competente per funzione o materia;
d bis) il termine ultimo per la realizzazione del progetto esecutivo e per la presentazione della certificazione di regolare esecuzione o collaudo, di cui alla lettera d), è fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di assegnazione del contributo e la sua inosservanza comporta la revoca dello stesso e l’obbligo di restituzione delle somme già erogate. ( 2)
L’accreditamento dei primi due acconti può essere disposto in una unica soluzione pari al 90 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario comprovante l’avvenuta consegna dei lavori all’impresa esecutrice dei medesimi, qualora si ritenga, in ragione dell’ammontare non elevato dei lavori e dei tempi di esecuzione assegnati, che la somma possa essere utilizzata in tempi brevi.
L’accreditamento dei primi due acconti o dell’acconto unico può essere effettuato su appositi conti speciali vincolati, a favore del legale rappresentante dell’ente beneficiario secondo la normativa introdotta dall’ articolo 95/ bis della legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 in materia di contabilità regionale, come modificato dalla legge regionale. ( 3)
Qualora i fondi siano accreditati nelle forme previste al comma precedente, gli interessi maturati sui conti di cui ai precedenti commi sono a credito della Regione.

Art. 5

omissis ( 4)

Art. 5 bis - Spese di funzionamento della Conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane

1. Sono a carico della Regione le spese autorizzate dalla Giunta regionale per il funzionamento della Conferenza permanente per la montagna di cui all’articolo 19 bis della legge regionale 3 luglio 1992, n. 19 “Norme sull’istituzione e il funzionamento delle Comunità montane”, che abbiano per oggetto gli oneri sostenuti per le sue sedute, ospitalità e rappresentanza, nonché le spese per la realizzazione delle manifestazioni e attività deliberate dalla Conferenza e per gli incarichi per la redazione di pareri, studi e documenti riguardanti lo sviluppo delle aree montane.
2. Le spese di cui al comma primo sono anticipate dalle Comunità montane o dall’U.N.C.E.M. regionale. Il rimborso è disposto, entro i successivi sessanta giorni, con decreto del dirigente regionale della struttura competente in materia di foreste ed economia montana su presentazione della relativa documentazione di spesa. ( 5)

Art. 6

E' istituito il “ Centro studi per la cultura e la tecnologia delle aree montane ” composto dal “ Comitato scientifico ”, dal personale della sezione dell’Esav, formata ai sensi dell’ articolo 23 della legge regionale n. 88/1980 e dal personale del Dipartimento piani, programmi e legislativo della Regione destinato al Centro.
Il “ Comitato scientifico ” è composto da non più di nove membri, scelti tra docenti universitari e tra esperti di chiara fama nelle materie di competenza del Centro; i componenti sono nominati dalla Giunta regionale entro tre mesi dalla prima riunione della conferenza permanente.
Il “ Comitato scientifico ” è presieduto e coordinato da uno dei suoi membri, scelto dalla conferenza permanente.
Il Centro studi riferisce alla conferenza in ordine all’esito degli studi e delle ricerche.
Assolve alle funzioni di dirigente del “ Centro studi ” il coordinatore del dipartimento piani, programmi e legislativo.
La Regione provvede al finanziamento del “ Centro studi ”.

Art. 7

Ai sensi dell’art. 1 della legge regionale 7 settembre 1982, n. 37 , le comunità montane sono abilitate a ottenere i contributi per la costruzione e la gestione di una propria rete di informatica distribuita. ( 6)

Art. 8

Le comunità montane procedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’adozione del piano generale di sviluppo previsto dall’articolo 5 della legge regionale 27 marzo 1973, n. 11 ( 7) ; le comunità montane, che già hanno adottato e trasmesso alla Regione il Piano generale di sviluppo, procedono, entro gli stessi termini, alla verifica di compatibilità delle scelte di piano con le direttive del “ Progetto montagna ” e adottano le relative varianti.
Il piano generale di sviluppo e le varianti al piano, sono trasmesse per l’approvazione alla Regione secondo le procedure di cui all’articolo 5 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; le comunità montane, prima della trasmissione degli atti alla Regione sono tenute a sottoporre il Piano, o la variante, all’esame della conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane che esprime il parere in merito. Il parere della conferenza è allegato agli atti che sono trasmessi alla Giunta.
La conferenza permanente si avvale, per l’istruttoria degli atti, degli uffici della Giunta regionale e di quelli delle comunità montane.

Art. 9

omissis ( 8)

ALLEGATO ( 9)


Note

( 1) La legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 è stata abrogata dall'art. 62 comma 1 della legge regionale 29 novembre 2001, n. 39 che ha ridisciplinato la materia.
( 2) Lettera aggiunta da art. 94 comma 3 della legge regionale 30 gennaio 1997, n. 6 .
( 3) La legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 è stata abrogata dall'art. 62 comma 1 della legge regionale 29 novembre 2001, n. 39 che ha ridisciplinato la materia.
( 4) Articolo abrogato da comma 2 lett. b) art. 18 della legge regionale 9 settembre 1999, n. 39 .
( 5) Articolo già introdotto da art. 1 della legge regionale 10 agosto 1989, n. 23 ed ora così sostituito da art. 29 della legge regionale 4 agosto 2006, n. 15 .
( 7) La legge regionale 27 marzo 1973, n. 11 è stata abrogata dall'art. 24 della legge regionale 3 luglio 1992, n. 19 che ha ridisciplinato la materia.
( 8) Disposizione finanziaria ad effetti esauriti.
( 9) Si omette allegato alla legge.


SOMMARIO
Legge regionale 6 giugno 1983, n. 29 (BUR n. 25/1983)

INTERVENTI A FAVORE DEI TERRITORI MONTANI E APPROVAZIONE DEL PROGETTO MONTAGNA.


Art. 1
La Regione del Veneto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto e dal Programma regionale di sviluppo promuove lo sviluppo della montagna attraverso il recupero e il potenziamento delle risorse economiche e il risanamento e la salvaguardia del territorio.
A tal fine, richiamate le competenze dei comuni e delle province, riconosce nelle comunità montane gli enti dotati di specifica competenza per la programmazione e l’attuazione degli interventi per lo sviluppo della montagna nello spirito della legge 2 dicembre 1971, n. 1102.
Art. 2
E' approvato il “ documento delle direttive ” allegato alla presente legge, della quale forma parte integrante; le direttive contenute nel “ documento ” hanno efficacia vincolante per l’attività della Regione, degli enti e aziende dipendenti dalla Regione e con funzioni di indirizzo e di coordinamento per gli enti locali relativamente alle funzioni a essi delegate dalla Regione, e in particolare per le comunità montane nella formazione dei piani di sviluppo.
Art. 3
E' approvato il piano degli interventi straordinari, secondo l’elenco di cui al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ” allegato alla presente legge, per formare parte integrante e sostanziale.
Art. 4
Le procedure per la attuazione dei singoli interventi di spesa previsti nel piano straordinario degli interventi sono quelle delle leggi regionali che regolano le materie corrispondenti, come richiamate nell’apposito elenco inserito al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ”allegato alla presente legge.
Per gli interventi in corrispondenza dei quali non risulti in vigore alcuna specifica normativa regionale, la disciplina delle procedure di spesa sarà disposta dalla legge finanziaria regionale sulla base della normativa vigente per la esecuzione di interventi in settori similari.
Con la esclusione degli interventi di carattere generale di cui alla lettera A dell’elenco inserito al paragrafo 2.2 del “ documento delle direttive ”, nell’attuazione della presente legge saranno osservate le seguenti norme procedurali generali:
a) gli enti richiedenti provvedono all’inoltro alla Regione dei progetti esecutivi delle opere indicate nell’elenco, debitamente approvati dall’organo deliberativo competente, senza che sugli stessi debbano pronunciarsi gli organi consultivi previsti dalla vigente normativa regionale in materia di opere pubbliche con esclusione delle opere igienico - sanitarie e di difesa del suolo;
b) l’approvazione dei progetti nei termini indicati sub a) costituisce dichiarazione di pubblica utilità dell’opera a tutti gli effetti di legge;
c) la concessione del contributo è disposta dalla Giunta regionale, ovvero dal funzionario delegato a tale compito dalla medesima a norma dell’articolo 53 della legge regionale n. 72/1977 ;
d) la erogazione del contributo viene disposta dai dipartimenti competenti per materia secondo le modalità seguenti:
- un primo acconto pari al 50 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario comprovante l’avvenuta consegna dei lavori all’impresa esecutrice dei medesimi;
- un secondo acconto pari al 40 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario attestante l’avvenuta erogazione di almeno due terzi del primo acconto;
- il restante 10 per cento a saldo, sulla base della prescritta certificazione di regolare esecuzione o di collaudo a norma di legge previo decreto di liquidazione finale del contributo del dipartimento competente per funzione o materia;
L’accreditamento dei primi due acconti può essere disposto in una unica soluzione pari al 90 per cento sulla base della richiesta del legale rappresentante dell’ente beneficiario comprovante l’avvenuta consegna dei lavori all’impresa esecutrice dei medesimi, qualora si ritenga, in ragione dell’ammontare non elevato dei lavori e dei tempi di esecuzione assegnati, che la somma possa essere utilizzata in tempi brevi.
L’accreditamento dei primi due acconti o dell’acconto unico può essere effettuato su appositi conti speciali vincolati, a favore del legale rappresentante dell’ente beneficiario secondo la normativa introdotta dall’articolo 95/ bis della legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 in materia di contabilità regionale, come modificato dalla legge regionale.
Qualora i fondi siano accreditati nelle forme previste al comma precedente, gli interessi maturati sui conti di cui ai precedenti commi sono a credito della Regione.
Art. 5
E' istituita la conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane. La conferenza è formata dai Presidenti delle comunità montane del Veneto, dai Presidenti delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Verona, da tre Sindaci di comuni montani designati dall'Anci, ed è presieduta dal Presidente della Giunta regionale o da un assessore regionale da lui delegato.
La conferenza è tenuta a presentare alla Regione, entro il mese di agosto di ciascun anno, il documento sullo stato di attuazione della programmazione nelle aree montane che sarà allegato alla relazione annuale che la Giunta è tenuta a presentare al Consiglio ai sensi dello art. 59 dello Statuto; la conferenza procede altresì alla verifica quadrimestrale sullo stato di attuazione dei programmi e sull' andamento della spesa e formula raccomandazioni alle comunità montane, agli enti locali e alla Regione su tali temi e su ogni altra questione attinente allo sviluppo delle aree montane.
La conferenza ha inoltre compiti di indirizzo, di direttiva e di coordinamento dell' attività del << Comitato scientifico >> e del << Centro studi per la cultura e la tecnologia delle aree montane >>, propone alla Giunta regionale i nominativi dei componenti del << Comitato scientifico >> ed esprime il proprio parere in ordine agli studi prodotti.
La prima riunione della conferenza è indetta entro tre mesi dalla data di approvazione della presente legge.
Art. 6
E' istituito il “ Centro studi per la cultura e la tecnologia delle aree montane ” composto dal “ Comitato scientifico ”, dal personale della sezione dell’Esav, formata ai sensi dell’articolo 23 della legge regionale n. 88/1980 e dal personale del Dipartimento piani, programmi e legislativo della Regione destinato al Centro.
Il “ Comitato scientifico ” è composto da non più di nove membri, scelti tra docenti universitari e tra esperti di chiara fama nelle materie di competenza del Centro; i componenti sono nominati dalla Giunta regionale entro tre mesi dalla prima riunione della conferenza permanente.
Il “ Comitato scientifico ” è presieduto e coordinato da uno dei suoi membri, scelto dalla conferenza permanente.
Il Centro studi riferisce alla conferenza in ordine all’esito degli studi e delle ricerche.
Assolve alle funzioni di dirigente del “ Centro studi ” il coordinatore del dipartimento piani, programmi e legislativo.
La Regione provvede al finanziamento del “ Centro studi ”.
Art. 7
Ai sensi dell’art. 1 della legge regionale 7 settembre 1982, n. 37 , le comunità montane sono abilitate a ottenere i contributi per la costruzione e la gestione di una propria rete di informatica distribuita.
Art. 8
Le comunità montane procedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all’adozione del piano generale di sviluppo previsto dall’articolo 5 della legge regionale 27 marzo 1973, n. 11 ; le comunità montane, che già hanno adottato e trasmesso alla Regione il Piano generale di sviluppo, procedono, entro gli stessi termini, alla verifica di compatibilità delle scelte di piano con le direttive del “ Progetto montagna ” e adottano le relative varianti.
Il piano generale di sviluppo e le varianti al piano, sono trasmesse per l’approvazione alla Regione secondo le procedure di cui all’articolo 5 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; le comunità montane, prima della trasmissione degli atti alla Regione sono tenute a sottoporre il Piano, o la variante, all’esame della conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane che esprime il parere in merito. Il parere della conferenza è allegato agli atti che sono trasmessi alla Giunta.
La conferenza permanente si avvale, per l’istruttoria degli atti, degli uffici della Giunta regionale e di quelli delle comunità montane.
Art. 9
Il costo complessivo degli interventi è previsto in L.128.102.000.000 per il triennio 1983- 1985 e ha valore programmatico.
Esso troverà copertura nell’ambito del bilancio pluriennale 1983- 1986 approvato con legge 31 gennaio 1983, n. 7 relativa al bilancio per l’esercizio finanziario 1983 e nelle successive leggi di variazione e modifica dello stesso.
Le leggi finanziarie da approvare contestualmente alla legge di bilancio per l’esercizio finanziario 1983 e alle sue successive variazioni, a norma dell’articolo 32/bis della legge regionale di contabilità n. 72/1977 provvederà alle autorizzazioni di spesa distribuendo le stesse nei diversi esercizi di validità del bilancio pluriennale, tenuto conto della disponibilità delle risorse nonchè dei prevedibili tempi tecnico - amministrativi di attuazione delle singole componenti del progetto e con riferimento alle procedure e modalità operative previste dalla legislazione regionale in vigore nelle singole materie, fatto salvo a questo ultimo riguardo, quanto stabilito dal terzo comma dell’articolo 4.
ALLEGATO DI CUI ALL'ARTICOLO 2

Progetto Montagna

Documento delle direttive

Indice

Capitolo 1 - Il progetto montagna e la programmazione regionale
1.1. Premessa: perché il progetto montagna
1.2. Il progetto montagna e la programmazione regionale
1.3. Il progetto montagna e la politica delle deleghe
1.4. La struttura del progetto

Capitolo 2 - Il piano degli interventi straordinari
2.1 Il piano degli interventi straordinari
2.2. Gli interventi nei diversi settori

Capitolo 3 - Le direttive per il coordinamento intersettoriale.
3.1. Obiettivi delle direttive di coordinamento
3.2. Direttive per l'agricoltura e la zootecnia
3.3. Direttive per le foreste e la difesa idrogeologica
3.4. Direttive per il turismo
3.5 Direttive per l’artigianato
.
Capitolo 4 Le direttive per la revisione legislativa
4.1. Obiettivi della revisione legislativa
4.2. Le leggi nel settore del territorio
4.3. Le leggi nei settori dei servizi
4.4. Le leggi nei settori produttivi

Capitolo 5 Le direttive per i piani di sviluppo
5.1. Gli antefatti legislativi
5.2 . Il meccanismo finanziario
5.3 Carattere intersettoriale del piano generale di sviluppo
5.4 Pianificazione regionale e pianificazione delle Comunità montane
5.5 Riferimenti metodologici per la formazione del piano generale di sviluppo
5.6 Programmi stralcio annuali e programmi annuali di spesa
5.7 I piani di sviluppo già adottati

Capitolo 6 Gli strumenti strategici per lo sviluppo della montagna
6.1 Conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane
6.2 La formazione professionale come cultura della trasformazione
6.3 Il centro studi per la cultura e la tecnologia delle aree montane
6.4 L'energia come supporto allo sviluppo



Capitolo 1 Il progetto montagna e la programmazione regionale

1.1. Premessa: perché il progetto montagna
Il “progetto montagna” costituisce lo strumento di programmazione tramite il quale la Regione del Veneto attua una politica nuova per lo sviluppo della montagna; la necessità di una particolare attenzione per i problemi della montagna, voluta dal “Programma regionale di sviluppo”, esprime l'obiettivo politico e la volontà di superare le condizioni di svantaggio che ancora gravano su tale territorio.
Le condizioni di crisi strutturale, presenti in tutte le aree di montagna sono caratterizzate, anche nella montagna veneta, da diffuse situazioni di preoccupante calo della popolazione, dovute anche al perdurare del fenomeno dell'emigrazione, da inferiori condizioni di reddito e da più limitate opportunità di partecipazione ai servizi civili e sociali. Queste situazioni, che d'altra parte non sono esclusive delle aree di montagna, si manifestano qui con modalità del tutto tipiche per intensità e per diffusione; la stessa presenza umana è, in montagna, premessa per la salvaguardia e la difesa dell'intero territorio, anche di quello di pianura, dagli incombenti pericoli di degradazione.
Il cittadino della montagna, con la sua ricchezza di cultura, di antiche tradizioni e di civile volontà per realizzare migliori condizioni di vita, sopporta più rilevanti costi umani e sociali e quindi un'esistenza che presenta momenti di maggiore difficoltà e comunque è diversa da quella della generalità di altri cittadini.
La filosofia politica di fondo del presente “progetto” consiste pertanto nella definizione delle strategie e delle azioni di intervento pubblico che occorre realizzare per promuovere il progressivo superamento delle condizioni di svantaggio delle aree montane e per il recupero di maggiori livelli di uguaglianza tra tutti i cittadini veneti.
Gli effetti sperati dall'applicazione del progetto potranno essere conseguiti se si realizzeranno inoltre più consapevoli forme di solidarietà tra le diverse componenti politiche e sociali e tra le diverse aree regionali nella certezza che gli interventi specifici per la montagna veneta non costituiscono forme di privilegio e di assistenzialismo ma strumenti per attuare la parità e la uguaglianza fra tutti i cittadini.
D'altra parte, un'efficace politica per la montagna, non può che essere costruita direttamente dalle popolazioni che vivono nelle aree di montagna; la Regione, nell'approvare il presente “progetto” riafferma quindi la volontà di un diretto coinvolgimento delle Comunità montane e degli altri enti e organismi che operano in queste aree.
Il “progetto” stabilisce le direttive generali e di coordinamento intersettoriale e il quadro di riferimento al quale dovrà uniformarsi ogni futura azione politica della Regione, delle Comunità montane e degli altri enti istituzionalmente delegati alla programmazione e alla attuazione dello sviluppo nelle aree montane.
Le Comunità montane costituiscono, in particolare, uno strumento primario di programmazione dello sviluppo economico e sociale, proprio perché esse presentano i requisiti necessari, per la soluzione dei problemi a livello zonale, sia in termini di possibilità di partecipazione delle popolazioni, sia in termini di dimensioni di intervento.
In tale contesto va collocata l'esigenza della definizione del nuovo quadro istituzionale delle autonomie locali che, per le aree di montagna, non potrà non tener conto del ruolo attivo e consolidato delle Comunità montane.
Una ulteriore questione di carattere istituzionale riguarda la definizione degli ambiti delle Comunità montane.
Le Comunità montane del Veneto rispondono largamente, nella attuale definizione, alle esigenze fondamentali di rappresentatività politica e di capacità di governo alla scala sovracomunale in quanto sono espressione significativa delle autonomie comunali, delle affinità etniche e culturali e della unità sociale delle vallate.
Peraltro, rispetta agli attuali ambiti, potranno essere attuate aggregazioni, anche in conseguenza a precise espressioni di volontà formulate dalle comunità e dalle autonomie locali fermo restando la possibilità di realizzare mediante forme associative, quelle funzioni gestionali e di servizio che hanno validità per dimensioni territoriali e demografiche superiori a quelle di alcune comunità.
L'obiettivo principale del “progetto” è quello dell'arresto dell'esodo della popolazione come indispensabile presupposto alla scelta più ampia del riequilibrio territoriale: è chiaro infatti, che un ulteriore impoverimento della struttura demografica nella montagna rischia di far oltrepassare il livello di guardia, oltre il quale parlare di sviluppo economico sarebbe un non senso per la mancanza di idonee risorse umane.
Al conseguimento di tale obiettivo non si perviene solo attraverso meccanismi di tipo economico, ma con un'azione coordinata sulla base di un insieme di opzioni così individuate:
- nell'ambito dei servizi sociali e culturali vanno privilegiati quegli interventi che consentono alla popolazione che risiede in montagna di non sentirsi emarginata o estranea al più generale con testo socio- culturale della Regione, puntando principalmente alla valorizzazione delle potenzialità creative proprie della cultura e delle tradizioni della popolazione montana, in modo che questa possa promuovere e realizzare il suo specifico modello di sviluppo.
In tale prospettiva si riafferma l'impegno per la valorizzazione delle minoranze etniche e per il mantenimento delle loro forme culturali originali e il ruolo importante che dovrà essere svolta dall'istruzione professionale e dall'università, alla quale si chiede di realizzare interventi e servizi utili e specifici per le aree di montagna. Analogamente si attribuisce importanza alla possibilità di realizzare, con continuità, forme di collegamento con la comunità di lavoro “Alpe-Adria” al fine di una più ampia circolazione di momenti formativi e culturali.
Si sottolinea, infine, l'impegno perché anche nelle aree di montagna si abbia una maggiore diffusione delle moderne tecniche di informazione (informatica, telefono, televisione);
- sotto l'aspetto della risorsa territorio, la protezione e il miglioramento dell'ambiente naturale assumono un ruolo primario, per cui va evitato che, con il pretesto della sviluppa, si inneschino processi di sfruttamento eccessivo della risorsa territoriale a si verifichi uno sconsiderato uso della stessa attraverso forme speculative contrarie a qualsiasi interesse reale del montanaro in specie e di ogni cittadino in generale;
- nel quadro delle risorse fisiche la scelta è per un potenziamento delle risorse boschive, nella concezione della foresta come strumento di riequilibrio biologico, economico e sociale; gli stessi parchi e riserve naturali, che saranno realizzati in applicazione della specifica normativa di settore, sono da considerare come risorse per lo sviluppo della montagna;
- in termini di settori produttivi l'orientamento è verso la valorizzazione del settore primario attraverso il recupero della potenziale produttività per sviluppare le colture tipiche di questi ambienti e, in particolare, il settore zootecnico e soprattutto quello bovino stabilendo anche le opportune integrazioni con l'agricoltura di pianura. Per le attività extra agricole viene posto il vincolo della salvaguardia dell'ambiente, sia per le iniziative del settore secondario, sia per il turismo, le cui manifestazioni non devono tradursi in concentrazioni di insediamenti o in moltiplicazione in controllata di impianti; in generale la scelta è per quelle attività che possono garantire, sia a livello personale che di nucleo familiare, la mobilità fra i vari settori produttivi.

1.2. Il progetto montagna e la programmazione regionale
Il programma regionale di sviluppo (P.R.S.) stabilisce che sia approvato il “progetto montagna” al fine di orientare le risorse disponibili per lo sviluppo dell'agricoltura, della zootecnia, del turismo e della salvaguardia e tutela dell'ambiente collinare e montano, in un quadro coerente di compatibilità e di sviluppo dell'economia montana.
Si riconosce quindi l'esigenza di uno specifico processo programmatorio per quest'area, e la necessità di realizzare forme di economia integrata, alla quale concorrono, in una situazione di migliorata efficienza, i diversi settori produttivi.
Tra questi, il settore primario ha un ruolo rilevante per la sua diretta connessione, fisica e sociale, con l'ambiente e, pertanto, il “progetto montagna” considera tale settore con particolare attenzione, anche al fine di recuperare e reinserire queste risorse nel processo produttivo del Veneto.
Il “progetto montagna” si propone quindi di:
- promuovere il reale e attivo coinvolgimento delle popolazioni della montagna, delle province, dei comuni e delle Comunità montane, nel processo di programmazione regionale;
- definire il complessivo intendimento politico, la filosofia generale e gli obiettivi dell'azione pubblica nelle aree di montagna;
- individuare l'insieme delle modifiche da apportare al quadro normativo vigente per adeguarlo agli obiettivi assunti;
- stabilire le direttive di coordinamento nei settori prioritari, indicati dal P.R.S. per il presente progetto, per ogni futura azione pubblica, e quelle per la formazione o la revisione dei piani generali di sviluppo;
- finanziare un prima insieme di interventi straordinari;
- realizzare, nell'area della montagna, strutture scientifico-culturali per lo studio e la soluzione delle problematiche di quest'area.
Il progetto montagna assume quindi un significato ben superiore a quello degli altri progetti, che sono previsti dal P.R.S., in quanto, non solo si riferisce a tutti i settori di intervento regionale e a un'area che è pari a circa il trenta per cento dell'intero territorio, ma costituisce anche con il “documento delle direttive” e con la legge di approvazione, il quadro di riferimento stabile per la futura definizione di ogni intervento della Regione e degli altri enti pubblici nell'area montana.
A tal fine il “progetto” indica le linee generali secondo le quali dovrà attuarsi l'intervento pubblico nei diversi settori e più in particolare:
a) interventi per il territorio
- la stabilità fisica del territorio costituisce per la montagna il presupposto di base per lo sviluppo economico e sociale della popolazione. Pertanto si rende necessario e urgente dare attuazione a quel complesso di interventi propri della difesa del suolo (regimazione delle acque, correzione degli alvei, consolidamento delle pendici, sistemazione delle frane, manutenzione delle opere esistenti, conservazione della qualità delle acque, ecc.) articolati secondo criteri prioritari intesi a privilegiare particolari situazioni di grave dissesto e situazioni strettamente interconnesse con gli aspetti economici settoriali del riassetto del territorio. Ne discende che strumento essenziale per un approccio di questo tipo sarà rappresentato dal piano di bacino dove accanto alla progettazione delle opere di ripristino dei dissesti in atto dovrà essere previsto nel complesso di norme di previsione e controlla degli effetti futuri innescabili da qualsiasi intervento dell'uomo a nuova forma d'uso;- in materia di sistema delle comunicazioni oltre ai problemi delle vie di comunicazione da e per la pianura e le altre aree limitrofe, particolare rilevanza è assegnata alle comunicazioni intervallive, in quanto rappresentano uno strumento fondamentale per consentire una migliore accessibilità tra gli attuali insediamenti residenziali e poli produttivi e di servizio interni all'area;
b) interventi per il settore primario
- la zootecnia costituisce il punto di forza del settore agricolo per le aree di montagna. A tal fine interventi già previsti dal progetto agricolo alimentare, saranno adeguatamente rinforzati e diretti in modo specifico a sviluppare l'allevamento delle varie specie di interesse zootecnico sottolineando altresì il particolare interesse di alcune specie la cui diffusione potrà consentire l'utilizzazione in zona di risorse foraggere e il recupero inoltre di aree marginali.
Il potenziamento della zootecnia in montagna richiede la realizzazione di adeguate strutture di servizio e di valorizzazione delle produzioni, secondo quanto previsto anche dalle direttive della C.E.E.
A integrazione di quanto già stabilito dal progetto agricolo-alimentare nel settore della ricerca e dell'assistenza tecnica il “progetto montagna” chiarirà i rapporti tra assistenza tecnica e formazione professionale, la quale sarà orientata in modo specifico ai bisogni della montagna;
- per il settore forestale sono da favorire gli interventi intesi a migliorare le condizioni del patrimonio boschivo esistente con la più efficace valorizzazione delle risorse, mediante anche iniziative per la trasformazione e commercializzazione dei materiali legnosi.
c) interventi per il turismo e l'artigianato
- “il progetto montagna” definisce i programmi di sviluppo del settore del turismo e dell'artigianato nell'ambito di una generale qualificazione del terziario; conferma inoltre il ruolo importante del settore industriale i cui processi evolutivi e di riqualificazione produttiva sono da sostenere anche in relazione alle particolari attitudini dell'area.
La creazione di capacità ricettiva per la seconda stagione rientra nella politica dello sviluppo turistico diversificato e integrato; il piano per le nuove piste da sci rientra in questo quadro di sviluppo integrato, con l'attenzione di non generare conflitti e competizioni con le altre attività presenti nel territorio, prima fra tutte l'agricoltura.
Inoltre nel settore delle infrastrutture turistico-sportive invernali dovrà essere tenuto presente il divario esistente rispetto alle forme di intervento nelle regioni speciali con termini, anche con riferimento al credito agevolato.
Per l'artigianato è necessario creare alcuni servizi per la sua promozione, valorizzazione e preparazione del personale, nonché una politica del credito che preveda, tra l'altro, a livello regionale di riservare alla montagna una quota adeguata su tutti i finanziamenti destinati al settore. Specifica cura va riservata alla costituzione di aree attrezzate, per lo sviluppo artigiano, in armonia con le indicazioni dei piani delle Comunità montane.

1.3. Il progetto montagna e la politica delle deleghe
Con il “progetto montagna” la Regione ribadisce la volontà di potenziare l'autogoverno delle popolazioni montane - non solo mediante forme di diretto coinvolgimento nell'esercizio di funzioni regionali, anzitutto attraverso l'istituzione della “Conferenza permanente” ma anche con l'attuazione di una più incisiva politica di delega di funzioni amministrative agli enti locali della montagna, in cui sia effettivamente realizzato e valorizzato il principio costituzionale e statutario dell'autonomia e del decentramento.
La Regione, in attuazione anche di quanto stabilito dal P.R.S. e nel contesto della vigente normativa, intende quindi esercitare pienamente la facoltà di delega, anticipando tutto quanto sia possibile per definire correttamente sin d'ora il futuro ruolo “a regime” degli enti locali.
Nella prospettiva del “progetto montagna” una particolare attenzione viene riservata al ruolo delle Comunità montane le cui funzioni, innovative e originali rispetto a quelle storicamente attribuite agli altri enti locali, meritano di essere progressivamente consolidate in parallelo col rafforzamento delle strutture organizzative e operative di tali nuovi enti montani.
Nel riconoscere le positive potenzialità e il ruolo delle Comunità montane si afferma l'esigenza che la normativa per il nuovo “ordinamento delle autonomie locali” definisca modi organizzativi atti a valorizzare le specificità delle funzioni svolte dalle comunità nel particolare con testo della montagna; in tal senso la Regione è impegnata a operare nei confronti del livello nazionale.
Le direttive da seguire nelle leggi di settore, in questa fase di prima anticipazione del futuro assetto delle autonomie locali, sono le seguenti:
- sono da mantenere alla competenza della Regione essenzialmente le funzioni di programmazione generale e di settore, altre che le funzioni di amministrazione che siano strettamente connesse con i compiti di programmazione e interventi da attuare in forma unitaria per la intera collettività e territorio regionale;- sono da attribuire alle province le funzioni nel campo dell'assetto e dell'uso del territorio e dello sviluppo delle attività produttive;
- sono da attribuire al comune la generalità delle funzioni di gestione (organizzazione ed erogazione) dei servizi civili e sociali e la generalità delle funzioni di disciplina, controllo e gestione urbanistica;
- in aggiunta alle funzioni di programmazione e promozione dello sviluppo esercitate nell'ambito della L. n. 1102 del 1971 e delle leggi regionali di attuazione è da attribuire alle Comunità montane l'esercizio associato delle funzioni dei comuni montani che trovano il più adeguato ambito di decisione e di gestione a livello sovracomunale e di unità socio-culturale di vallata.
Per assicurare concreta operatività nell'esercizio delle funzioni delegate occorre:
- assicurare la disponibilità di strutture tecniche adeguate alle Comunità montane oppure, in alternativa, l'obbligo di avvalersi di strutture tecniche e uffici regionali;
- definire i provvedimenti relativi al personale comandato e le modalità di finanziamento delle funzioni delegate;
- procedere all'adeguamento degli statuti delle Comunità montane occorrente per l'esercizio delle funzioni delegate.
Infine si sottolinea la necessità di modificare, in armonia con il nuovo assetto delle autonomie locali, l'ordinamento di altri enti operanti in montagna, in modo da semplificare il quadro istituzionale al fine anche di riconoscere un effettivo ruolo di governo, e quindi di coordinamento, agli enti rappresentativi delle popolazioni della montagna e cioè provincia, Comunità montane e comuni.
Ci si riferisce ai consorzi di bonifica montana le cui funzioni saranno da attribuire alle Comunità montane, ai consorzi forestali, agli enti turistici e alle regole-comunioni familiari.
La Regione, all'atto dell'approvazione dei regolamenti delle regole, ne accetterà la rispondenza con le scelte e le indicazioni dei piani generali di sviluppo delle Comunità montane.

1.4. La struttura del progetto

Il “progetto montagna” è l'unico tra quelli previsti dal P.R.S. ad avere natura intersettoriale, essendo lo strumento di coordinamento e di indirizzo dell'azione politica della Regione e degli altri enti per tutti i settori e, più in particolare, secondo quanto stabilito dal P.R.S., per quelli che rappresentano più immediate potenzialità ai fini dello sviluppo della montagna.
Una larga parte delle definizioni del progetto ha pertanto lo scopo di stabilire l'insieme delle direttive alle quali l'azione pubblica dovrà attenersi perché si realizzi una costante attenzione alle specificità dei problemi della montagna e perché dal coordinamento intersettoriale derivi una maggiore efficacia complessiva.
Il “progetto” consiste nell'insieme di due documenti e cioè la “legge” e il presente “documento delle direttive”.
La legge, oltre che approvare come allegato il “documento delle direttive”, approva il piano degli interventi straordinari e le relative procedure, l'istituzione della “Conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane” e del “Centro per la cultura e la
tecnologia delle aree montane”.
Il presente “documento delle direttive” è articolato in sei capitoli che riguardano in sintesi:
- l'individuazione delle interconnessioni tra il progetto montagna e la più generale politica di programmazione regionale;
- la definizione del piano degli interventi straordinari con la descrizione delle caratteristiche di ciascuno;
- le direttive e il mandato alla Giunta regionale per la revisione della legislatura nei diversi settori;
- le direttive per il coordinamento intersettoriale con particolare riferimento ai settori prioritari dell'agricoltura-zootecnia, delle foreste-difesa idrogeologica, del turismo e dell'artigianato;
- le direttive per la formazione e il coordinamento dei piani generali di sviluppo delle Comunità montane.
- le direttive per l'istituzione della “Conferenza permanente” e del Centro per la cultura e la tecnologia delle aree della montagna, per la definizione degli interventi nei settori dell'energia e dell'istruzione professionale.


Capitolo 2 Il piano degli interventi straordinari.

2.1. Il piano degli interventi straordinari

L'obiettivo principale che si intende raggiungere con il “progetto montagna” consiste, come già affermato, nell'individuazione di presupposti di tipo ideologico-politico nonché di quelli di carattere istituzionale e operativo perché ogni futura decisione pubblica riguardante la montagna sia stabilmente orientata alla finalità dello sviluppo.
Il presente progetto quindi non si configura come un insieme di interventi da realizzare nei diversi settori, ma persegue un obiettivo più ampio e di maggiore efficacia in quanto predetermina, una volta per tutte, il quadro generale e gli obiettivi specifici da assumere in ogni futura azione della Regione e delle Comunità montane; la conferenza permanente dei presidenti, il quadro delle deleghe alle Comunità montane, il centro studi per la cultura e la tecnologia della montagna costituiscono ulteriori momenti di garanzia della validità della linea assunta.
In questa prospettiva il “piano degli interventi straordinari”, che viene formulato nel presente capitolo, non risulta discendere dalla impostazione generale assunta per il progetto. Si riconosce infatti che il raggiungimento degli obiettivi non potrà essere perseguito se non con un'azione progressiva che troverà sostegno nelle annuali disponibilità di bilancio e quindi nella finanza normale, sia regionale che degli altri enti locali, con quelle accentuazioni perequative che saranno attuate in applicazione del presente progetto.
Il piano degli interventi straordinari ha tuttavia il preciso scopo di rispondere concretamente ad alcune specifiche esigenze e di avviare, nei fatti, un primo insieme di azioni che, oltre a essere significative per lo sviluppo della montagna, costituiscono anche il raccordo tra la fase iniziale e quella a regime.
Le azioni scelte si caratterizzano quindi in quanto riguardano opere immediatamente appaltabili e in questo caso l'intervento assume anche una funzione anticongiunturale, oppure hanno una rilevante validità sociale o, infine, sono di presupposto generale allo sviluppo della montagna.
In tal senso tra gli interventi straordinari sono particolarmente significativi il piano per la formazione professionale dei funzionari dirigenti che dovranno operare presso le Comunità montane, il piano per la realizzazione di impianti idroelettrici di piccola derivazione e il piano zootecnico per lo svezzamento dei vitelli.
Il piano degli interventi straordinari è caratterizzato dal fatto di riguardare opere o azioni fattibili e per le quali sono individuate precise modalità di finanziamento.
Spetta alla Giunta regionale, e alla “Conferenza permanente” di cui al successivo capitolo 6, svolgere azione di controllo e di vigilanza perché i tempi di realizzazione delle opere siano puntualmente rispettati.
Entro sei mesi dalla data di approvazione del presente progetto, il Presidente della Giunta regionale trasmette al Consiglio una relazione, predisposta alla “Conferenza permanente dei presidenti”, riguardante lo stato di attuazione del piano degli interventi straordinari.

2.2. Gli interventi nei diversi settori

È approvato il piano degli interventi straordinari riguardante le opere e gli importi stabiliti nei prospetti seguenti.
A. Interventi di carattere generale.
B. Interventi sociali.
C. Opere infrastrutturali.
D. Acquedotti.
ELENCO DEGLI INTERVENTI STRAORDINARI


Comunità Montana interessata
Intervento
Località sede intervento
Ente
Finanziamento nel triennio 1983 - 1985 (in milioni)
A. Interventi di carattere generale




1. Tutte le Comunità Montane
Progettazione e realizzazione del sistema informativo della montagna, rifinanziamento legge regionale
Comuni delle Comunità Montane
Regione
4.500
2. Tutte le Comunità Montane
Forestazione produttiva L.R. 52/1978
Territorio delle Comunità Montane
Regione
33.801
3. Tutte le Comunità Montane
Corso di formazione per quadri delle Comunità Montane L.R. 59/1978

Regione
350
4. Comunità Montane della Provincia di Belluno
Realizzazione di impianti idroelettrici di piccola derivazione
Territorio delle Comunità Montane
Regione BIM
in conto capitale 12.000 oppure
in conto ammort. 2.490 (1)
5. Tutte le Comunità Montane
Attività cooperativa per il recupero dei vitelli nelle zone Montane
Territorio delle Comunità Montane
Regione
1.610
3.500
6. Alpago, Bellunese e Feltrina
Metanizzazione della Val Belluna
Territorio delle Comunità Montane
BIM Belluno
in conto capitale 6.700
7. Varie Comunità Montane
Partecipazione a società di promozione turistica e contributi su impianti di risalita ad Enti e Società
Territorio delle Comunità Montane interessate
Regione
in conto
interessi 3.000 (2)
capitale 4.000
8. Tutte le Comunità Montane
Potenziamento del turismo sociale - Rifinanziamento L.R. 28/1979 e L.R. 93/1979
Territorio delle Comunità Montane
Regione
1.000
3.000
9. Tutte le Comunità Montane
Acquisto e riattivazione vivai forestali
Comune di Crespano del Grappa
Regione
300
10 Tutte le Comunità Montane
Fondo per interventi straordinari su opere stradali
Territorio di tutte le Comunità Montane
Regione
9.000
11. Tutte le Comunità Montane
Opere di smaltimento rifiuti solidi ed antinquinamento
Territorio di tutte le Comunità Montane
Regione
4.500
11/b Tutte le Comunità Montane
Acquisto attrezzature sgombero neve
Territorio delle Comunità Montane
Comuni, Consorzi e Comunità Montane
1.200
11/c Comunità Montane del Bellunese
Sostegno delle Attività produttive
Territorio delle Comunità Montane del Bellunese
Comunità Montane
20.000 (3)
4.500
11/d Tutte le Comunità Montane
Miglioramento genetico del patrimonio bovino e programmi di fecondazione artificiale - art. 34 L.R. 88/1980
Territorio delle Comunità Montane
Regione
500


(1) Due opzioni: o intervento in conto capitale, oppure limite di impegno decennale in conto ammortamento mutuo.
(1) Contributo in capitale di lire 12 miliardi. Se il mutuo viene contratto direttamente dagli Enti beneficiari dell'intervento, la Regione potrà assumere a proprio carico l'intera rata di ammortamento del mutuo (che rappresenta un terzo dell'intero investimento). L'onere annuo di ammortamento nell'ipotesi di mutuo 15 anni al tasso 20 per cento sarebbe di annue lire 2.490 milioni.
(2) Limite di impegno di lire 1.500 milioni a partire dal 1984 di durata decennale, costo nel biennio 1984 - 1985 lire 3 miliardi.
(3) L'intervento di assistenza creditizia, che sarà regolato da convenzione tra Comunità Montane ed istituti di credito, assomma a lire 1.500 milioni annui nel triennio per promuovere finanziamenti per complessivi 20 miliardi.
ELENCO DEGLI INTERVENTI STRAORDINARI

Comunità Montana interessata
Intervento
Località sede intervento
Ente
Finanziamento nel triennio 1983 - 1985 (in milioni)
B. Interventi sociali




12. 1 Agordina
Realizzazione di un Istituto professionale alberghiero
Comune di Falcade
Comune di Falcade
2.000
13. 1 Agordina
Realizzazione di un centro servizi in Arabba
Comune di Livinallongo di Col di Lana
Comune di Livinallongo
1.200
14. 2 Alpago
Completamento casa di riposo per anziani L.R. 45/1979
Comune di Puos d'Alpago
Comunità Montana
878
15. 4 Bellunese
Ripristino Casa del Sole per handicappati gravissimi
Comune di Ponte nelle Alpi
Amministrazione Provinciale Belluno
500
16. 6 Comelico e Sappada
Costruzione Casa riposo per anziani L.R. 45/1979
Comune di S. Stefano di Cadore
Comunità Montana
1.300
17.7 Feltrina
Casa albergo per anziani L.R. 45/1979
Comune di Seren del Grappa
Comune di Seren del Grappa
250
18.18 Sette Comuni
Ristrutturazione di immobile da adibire a casa albergo per anziani L.R. 45/1979
Comune di Asiago
Comunità Montana
500
19. 1 Agordina
Restauro casa della cultura ladina
Comune di Colle S. Lucia
Comune di Colle S. Lucia
300
19/b 6 Comelico Sappada
Ristrutturazione scuola media
Comune S. Pietro di Cadore
Comune
200
19/c 1 Agordina
Ristrutturazione casa di riposo
Rivamonte Agordino
Comune
210
C. Opere infrastrutturali




20. 2 Alpago
Completamento sede Comunità Montana
Comune di Puos d'Alpago
Comunità Montana Comune di Puos
290
21. 7 Feltrina
Recupero terrazzamenti Comuni vari L.R. 52/1978
Comune di Fonzaso
(1)
500
22.15 Brenta
Recupero terrazzamenti Comuni vari L.R. 52/1978 primo progetto pilota a scopo sperimentale
Campolongo sul Brenta, Bassano, S. Nazarlo e Solana
Comunità Montana
500
23.17 Leogra Timonchio
Recupero delle contrade sparse, contributi a Comuni e a privati
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
1.500
21/b 13 Alto Astico Posina
Urbanizzazione area produttiva
Comune di Velo d'Astico
Comunità Montana
2.428
21/c 13 Alto Astico Posina
Completamento della strada di Pian Fiorentini - Località
Territorio Comunità Montana
Provincia
1.000
21/d 1 Agordina
4 Bellunese
Sistemazione della strada del Mis
Territorio delle 2 Comunità Montane
Provincia
2.500


(1) Consorzio per l'industrializzazione della vallata del Cismon.
ELENCO DEGLI INTERVENTI STRAORDINARI
Comunità Montana interessata
Intervento
Località sede intervento
Ente
Finanziamento nel triennio 1983 - 1985 (in milioni)
D. Acquedotti




24. 9 Grappa
Completamento opere acquedottistiche
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
2.500
25. 11 Baldo
Opere acquedottistiche
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
1.800
26. 12 Lessinia
Opere acquedottistiche
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
3.000
27. 14 Dall'Astico al Brenta
Opere di adduzione acqua potabile in contrade
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
2.000
28.18 Sette Comuni
Opere acquedottisitiche di distribuzione
Territorio Comunità Montana
Comunità Montana
2.885
E. Risanamento ambientale




29. 10 Prealpi Trevigiane
Lavori di risanamento, valorizzazione e tutela dei Laghi di Revine
Laghi di Revine
(1)
1.300
30. 5 Centro Cadore
Lavori di risanamento e tutela del Lago di Misurina
Misurina
Comune di Auronzo
300
F. Turismo e servizio




31. Comunità Montane
Interventi per Universiade invernale 1985
Territorio delle Comunità Montane
Comuni
4.500
31/b 11 del Baldo
Realizzazione orto botanico
Ferrara Monte Baldo
Comunità Montana
300

Capitolo 3 Le direttive per il coordinamento intersettoriale.

3.1. Obiettivi delle direttive di coordinamento

Il “progetto montagna” costituisce lo strumento per il coordinamento nelle diverse politiche settoriali tramite le quali la Regione intende promuovere il complessivo sviluppo della montagna; in tale contesto il presente capitolo definisce l'insieme delle direttive per ciascuno dei quattro settori prioritari, e cioè per l'agricoltura e la zootecnia, per le foreste e la difesa idrogeologica, per il turismo e per l'artigianato, nei quali occorre concentrare l'azione pubblica per attuare gli effetti di sviluppo sperati.
L'obiettivo principale consiste nel mantenimento della popolazione nelle aree montane e nella protezione di quella economia mista nella quale il nucleo familiare è allo stesso tempo unità sociale ed economica, che mantiene un rapporto diretto con il territorio e l'ambiente e trae i propri redditi, dato la scarsità delle risorse, combinando il lavoro dei proprietari in più settori produttivi.
L'avere limitato le direttive ai quattro settori prioritari non significa non riconoscere che lo sviluppo della montagna è conseguente alla complessiva politica di programmazione per questi territori, che avrà la sua completa definizione negli strumenti generali della legislazione e della programmazione regionale e degli enti locali e, in particolare nei piani generali di sviluppo delle Comunità montane che dovranno essere coerenti con le determinazione del presente “progetto”.

3.2. Direttive per l'agricoltura e la zootecnia

La Regione del Veneto con l'approvazione della L. 31 ottobre 1980, n. 88, ha dato per la prima volta un quadro preciso programmatico all'azione regionale nel settore agricolo, supportando il “Progetto agricolo alimentare” [nel seguito del paragrafo sarà usata la dizione “Progetto” per indicare il “progetto agricolo alimentare”], che definisce le linee di intervento, con un organico sistema di provvedimenti normativi e finanziari.
Il “Progetto agricolo alimentare” presta specifica attenzione ai problemi dell'agricoltura montana nel “sub-progetto n. 6: territori di collina e montagna”, il quale si articola in due azioni: “recupero e valorizzazione rurale dei territori di collina e montagna” e “recupero e valorizzazione delle malghe e dei pascoli montani”.
L'obiettivo assunto dal “sub-progetto”, che ha fatto proprio quello indicato dal “Piano agricolo nazionale” per lo stesso settore d'intervento, mira “a provocare una organica rianimazione rurale del territorio, al fine di avviare consistenti meccanismi di sviluppo, che troveranno fondamento nell'integrazione economica in intersettoriale e nel recupero e potenzialità delle risorse tipiche di queste aree”; a questo fine i provvedimenti di carattere finanziario relativi ai diversi settori di intervento sono stati differenziati in modo da rendere più favorevoli quelli destinati alle aree montane.
Rapporto tra “progetto agricolo alimentare” e “progetto montagna”.
Le linee di intervento per l'agricoltura montana, definite dal “progetto agricolo-alimentare” sono limitate dal fatto di essere individuate all'interno di uno strumento di programmazione settoriale nel quale, più che a obiettivi di incremento produttivo, si punta al recupero e al potenziamento delle strutture di base dell'agricoltura veneta e di quella montana in particolare.
La natura intersettoriale del presente progetto permette di superare tale limite e di assumere, nella logica dell'economia mista, anche finalità di incremento produttivo.
In tale logica il vincolo di essere almeno imprenditore a titolo principale, che il “progetto” poneva per poter usufruire dei benefici della legge n. 88 del 1980, non ha qui più senso. Da ciò deriva per la Regione l'impegno a procedere a una modifica legislativa dell'art. 4 della legge n. 88 del 1980 e per le Comunità montane la direttiva a considerare l'azienda agricola “part-time” fisiologicamente rispondente alle esigenze dello sviluppo economico della montagna. Per lo sviluppo dell'agricoltura nell'area montana è determinante il ruolo dell'impresa agricola, sia singola che associata (cooperativa), in particolare di quella in cui operano giovani imprenditori o giovani famiglie ai quali sarà attribuita concreta preferenzialità; una prima concreta attuazione di tale obiettivo consiste nella realizzazione di aziende pilota sperimentali nel settore agro-silvo-pastorale nelle aree del Comelico, Cansiglio e Altopiano di Asiago.
Il rapporto tra “Progetto agricolo alimentare” e “Progetto montagna” è in rapporto analogo a quello esistente tra le prime tre direttive comunitarie sulla riforma dell'agricoltura e la direttiva n. 268/1978 stilla “Agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate”. Le condizioni difficili dell'ambiente montano e la grave crisi attraversata dalla sua economia hanno richiesto infatti, una direttiva “ad hoc”, la quale trasformasse il problema della montagna in un problema di tutta la collettività e non soltanto di un settore e impegnasse la C.E.E. e gli Stati nazionali ad affrontarlo con un insieme integrato di strumenti, perché la limitatezza delle risorse di tali aree richiede il contributo di tutti i settori alla economia delle popolazioni residenti.
Tra le risorse forse più scarse delle montagna è proprio il terreno da destinare all'agricoltura e all'allevamento che sia adatta all'impiego delle moderne tecnologie risparmiatrici di lavoro, le quali nell'agricoltura montana non sono sempre conseguenza di una scelta economica ma più spesso dettate dalla necessità di sopperire alla carenza di manodopera.
La strumento più diretto di programmazione di cui le Comunità montane dispongono per impedire un uso improprio del territorio da destinare ai fini agricoli e silvo-pastorali è rappresentato dal piano generale di sviluppo e dal piano territoriale di coordinamento della comunità il quale, a norma della legge urbanistica n. 40 del 1980, dovrà, tra l'altra, indicare “le zone a prevalente destinazione agricola forestale e ad agricoltura specializzata”.
Due ultimi aspetti da esaminare in relazione all'obiettivo di rianimazione dell'ambiente rurale, che deve informare tutta l'azione diretta al recupero e alla valorizzazione dell'agricoltura montana riguardo la ricerca e la sperimentazione e l'assistenza tecnica.
La L. n. 88 del 1980 stabilisce che il 20 per cento delle somme annualmente stanziate per la ricerca e la sperimentazione sono riservate alla realizzazione di progetti che riguardano l'agricoltura montana e inoltre che una sezione del “Centro scientifico didattico per l'assistenza tecnica in agricoltura” si dedicherà in maniera specifica allo studio dell'agricoltura e dell'ambiente montano e collinare; la legge peraltro non prevede alcun rapporto tra Comunità montane ed enti locali e questa struttura, né un loro potere di indirizzo per una formulazione dei programmi di ricerca e sperimentazione.
Il presente progetto integra le definizioni che, in tale settore, sono previste dalla L. n. 88 del 1980 nel senso che ai paragrafi 6.1 e 6.2 è stabilito che la sezione del “Centro scientifico e didattico” diventi parte di un più ampio “Centro studi per la cultura e la tecnologia della montagna”, e che il rapporto con le Comunità montane ed enti locali sia formalmente stabilito, tramite la “Conferenza permanente”.
In ogni caso, già da ora in base all'art. 21 spetta alle Comunità montane approvare i programmi triennali dell'assistenza tecnica polivalente, i cui settori di azione non potranno che essere indicati dalle stesse comunità.
Si riportano di seguito le azioni previste dal “Progetto agricolo alimentare” definendo per ciascuna di esse elementi specifici per la montagna. Si ritiene di dover preliminarmente sottolineare l'interesse per la utilizzazione dei terreni montani idonei alla coltivazione della patata; la Regione è impegnata a organizzare, mediante un apposito progetto di settore, l'attività dei centri di moltiplicazione della patata da seme in montagna in collegamento con le aree di coltura intensiva nella pianura.
Zootecnia
Il “sub-progetto: zootecnia” indica specifiche linee di intervento dell'azione regionale a favore dell'agricoltura montana. Si assume la direttiva che gli interventi nel settore zootecnico seguano la logica dei progetti intersettoriali, per interventi integrati nei differenti aspetti tra loro collegati e supportati dalle necessarie disponibilità finanziarie.
Le azioni previste dal “Progetto agricolo-alimentare” sono:
- azione: miglioramento genetico del patrimonio bovino.
L'azione rileva che la fascia montana e collinare presenta la più bassa percentuale di fecondazione artificiale con conseguenze negative sul miglioramento genetico, in quanto i tori impegnati nella monta naturale posseggono mediamente caratteristiche inferiori a quelli dei centri di fecondazione artificiale.
L'indicazione programmatica da attuare anche mediante una più incisiva azione dell'Intermizoo è, quindi, quella di favorire la diffusione della fecondazione artificiale, anche ricorrendo all'attività di operatori pratici; e fino a quando non sarà in atto un efficiente servizio di fecondazione artificiale, mantenere stazioni pubbliche di monta naturale datandole però di tori di elevata qualità.
- azione: profilassi delle malattie infettive e diffusive e lotta alla infertilità degli animali.
Per quanto riguarda questa azione il “Progetto” ha affidato le attività relative alla profilassi dell'infertilità e della mortalità neonatale all'Associazione regionale allevatori veneti (A.R.A.V.) la quale opererà attraversa le proprie associazioni provinciali (A.P.A.).
Oltre alla collaborazione tra Comunità montane e A.P.A., per la buona riuscita di questa azione un importante contributo potrà essere anche dato dall'assistenza tecnica e dalla formazione professionale, i cui programmi nelle aree montane saranno orientati soprattutto per fornire un supporto allo sviluppo del settore zootecnico.
- azione: incremento e migliore utilizzazione della produzione di foraggi e cereali foraggeri.
Tra gli obiettivi di questa azione programmatica vi è quello di aumentare le rese e di migliorare la utilizzazione dei prati permanenti e dei pascoli che presentino maggiori suscettività produttive e che siano accorpate in unità aziendali di adeguate dimensioni. A questo scopo la Regione si impegna a favorire, attraverso le Comunità montane, il sorgere di organismi cooperativi e associativi, anche di servizio, per il recupero dei terreni che risultino abbandonati, per incentivare la utilizzazione dei prati e la loro eventuale cessione a imprese in attività.
Per quanto riguarda il recupero e la valorizzazione delle malghe, le linee di intervento formativo oggetto di una specifica azione del sub-progetto “Territori di collina e montagna”.
Oltre agli interventi sulle unità produttive la Regione indica tra le azioni da svolgere anche quella diretta a diffondere le più idonee pratiche agronomiche per migliorare la produttività dei prati e dei pascoli.
A integrazione di quanto stabilito dal “Progetto agricolo alimentare” per la valorizzazione dei pascoli e dei prati-pascoli, la Regione e le Comunità montane sono impegnate inoltre a favorire la loro utilizzazione razionale attraversa il pascolo turnario razionato, che comporta adeguate recinzioni, e il pascolo turnato in alta montagna; una ulteriore azione di sostegno dovrà derivare dallo sviluppo e dall'utilizzazione di nuove tecnologie da gestire anche tramite l'associazionismo con funzioni di servizio.
- azione: incremento delle produzioni bovine.
In particolare per le Comunità montane del bellunese, quelle del vicentino e del veronese, il basso carico di vacche allevate per ettaro di Sau in presenza di un potenziale di risorse in grado di sopportare una maggiore consistenza degli allevamenti, fa indicare come obiettivo di questa azione non solo quello di sostenere le stalle in attività, ma anche il recupero di risorse ora del tutto abbandonate o insufficientemente utilizzate.
Il “Progetto” individua nell'allevamento bovino da latte l'indirizzo produttivo tipico della zona montana, tuttavia la necessità di aumentare il numero dei ristalli da destinare all'ingrasso, soprattutto nelle zone maidicole della pianura, giustifica anche interventi diretti a favorire la diffusione dell'incrocio con tori di razze da carne e il proseguimento di esperimenti della cosiddetta “linea vacca-vitello”.
Nell'ipotesi di integrazione tra aziende di diverse zone, che tuttavia non deve provocare l'esproprio di risorse dalle aree più povere, potrà essere incentivato la sfruttamento dei prati e dei pascoli anche da parte di allevatori in altre zone; la gestione di questi interventi è affidata alle Comunità montane.
Nella logica del “Progetto montagna” si ribadisce la esigenza di sviluppo delle razze a duplice attitudine verso situazioni di equilibrio produttivo latte-carne; particolare rilevanza assume quindi il recupero dei vitelli prodotti in zona montana, che attualmente vengano raccolti per essere destinati prevalentemente alla produzione di carne bianca, con insufficiente realizzo da parte dei produttori e con modesto contributo alla produzione complessiva di carne.
Il presente progetto promuove tale azione di recupero, e la potenzia dove già esiste (come nella montagna veronese), istituendo centri di svezzamento vitelli gestiti dagli allevatori attraverso la cooperazione. Altre forme imprenditoriali singole o associate potranno essere ammesse sempreché dotate di ogni requisito.
Questo programma, che porterà una integrazione del reddito degli allevatori locali, interessa circa 30.000 vitelli.
A completamento dell'attività zootecnica per la produzione del latte, la Regione intende attivare il regolamento C.E.E. n. 1944 del 1981 che istituisce un'azione comune per l'adattamento e la modernizzazione della struttura di produzione di carni bovine, ovine e caprine in Italia (Piano carne), attuando un programma speciale per le zone montane.
In tale programma potranno trovare collocazione finanziaria alcuni tipi di interventi, già descritti in precedenza, quali: l'ammodernamento, la razionalizzazione e la costruzione di stalle da carne, singole o associate, l'acquisto di macchine destinate alla produzione di foraggio, il miglioramento dei prati, prati-pascoli, pascoli e recinzioni, premi supplementari per vitelli da carne e per le vacche destinate alla produzione di carne.
- azione: incremento della produzione avicola e cunicola.
Nell'ipotesi di dover procedere con una certa cautela all'ulteriore sviluppo all'allevamento avicolo nel Veneto, l'azione riconosce, invece, un particolare interesse alla diffusione dell'allevamento cunicolo soprattutto nella fascia pedemontana per gli apporti aggiuntivi di reddito.
- azione: incremento della produzione ovicaprina, equina e degli allevamenti minori.
La capacità della specie ovina di sfruttare aree pascolive non adatte ai bovini, costituisce uno delle ragioni per le quali il “Progetto” individua la convenienza a sviluppare questi tipi di allevamenti nelle zone montane, da attuare con allevamenti stanziali che applichino le moderne tecniche basate sull'aumento della fecondità e della prolificità, nonché sullo produzione dell'agnello pesante.
L'allevamento caprino, attualmente molto ridotto nella consistenza, va esteso, invece, puntando sulla produzione del latte oltre che della carne. Per tali allevamenti il “Progetto” propone l'organizzazione di aree attrezzate per il pascolo programmato, in modo da non interferire negativamente sulla forestazione.
- azione: recupero e valorizzazione alle malghe e dei pascoli montani.
Tale azione individua una serie di interventi per fermare il degrado di queste tipiche unità di produzione della montagna onde consentire una loro completa utilizzazione economica. Si tratta di interventi di carattere costruttivo e impiantistico, colturale e permanente, zootecnico, sperimentale e di supporto.
Riguardo a questo ultimo tipo di interventi che comprendono la riorganizzazione fondiaria delle malghe, la promozione dell'associazionismo e della cooperazione, favorendo anche la formazione di società di imprese familiari, alle quali affidare la gestione, si può osservare che il “Progetto” non individua i comuni, che sono quasi sempre i proprietari delle malghe, tra gli interlocutori per realizzare gli interventi di ristrutturazione di queste unità di produzione.
Il presente “progetto montagna” assume la direttiva che le Comunità montane, promuovano nell'ambito dei propri piani di sviluppo economico e sociale, la formazione da parte dei comuni interessati di progetti di recupero e ristrutturazione per comprensori di malghe, in modo da collegare razionalmente il tipo di bestiame che alpeggia con le associazioni floristiche, l'orografia del terreno e la quota delle superfici da monticare.
- azione: miglioramento delle condizioni di commercializzazione e di trasformazione dei prodotti lattiero-caseari e delle carni
Per il settore lattiero-caseario l'azione mira alla riorganizzazione del settore anche attraverso un'incisiva opera di fusione e di trasformazione degli impianti per poter raggiungere livelli dimensionali più economici prevedendo le necessarie integrazioni sia a monte, favorendo la realizzazione di impianti per la fornitura dei mezzi di produzione e la razionalizzazione tecnico-economica del trasporto del latte, che a volte ricercando la più idonea utilizzazione dei sotto prodotti.
Nelle zone di montagna, tuttavia, dove gli allevamenti sono polverizzati e sono presenti particolari condizioni ambientali e sociali, il “Progetto” riconosce che anche la piccola latteria turnaria può svolgere una propria funzione economica, costituendo l'indispensabile sbocca alla produzione di tanti piccoli allevamenti dispersi, per i quali la raccolta del latte sarebbe altrimenti onerosa.
La chiusura di piccoli e piccolissimi impianti cooperativi per poter consentire ad altri di arrivare a dimensioni economicamente valide, deve essere attuato, quindi, considerando attentamente le condizioni che devono realizzarsi perché la produzione possa essere convogliata con certezza verso questi ultimi.
Altre due indicazioni importanti di questa azione per il potenziamento del settore lattiero-caseario nelle aree montane è la promozione del pagamento del latte secondo qualità e la valorizzazione delle produzioni locali tipiche da proteggersi con il marchio di origine di qualità.
Frutticoltura e viticoltura
Per quanto riguarda il settore frutticolo e viticolo il “Progetto”, in attesa di studi più approfonditi, ha proceduto a una prima delimitazione delle aree di sviluppo di queste colture; alcune vallate e la fascia pedemontana delle Comunità montane delle province di Verona e di Vicenza sono tra le zone montane più interessate alla loro diffusione, anzi il ciliegio trova la propria zona di elezione proprio nella fascia collinare e pedemontana di queste province. Il principio generale da seguire nel favorire l'eventuale sviluppo di colture non tipiche dell'area montana deve essere, in ogni caso, quello di assicurarsi non solo della vocazione agronomica del terreno, ma soprattutto della presenza di capacità professionali e di uno sbocco commerciale stabile per il prodotto che si otterrà.
- azione: recupero e valorizzazione rurale dei territori di collina e montagna.
Avendo inserito nelle azioni previste per i singoli settori produttivi le direttive di intervento per l'agricoltura montana, il “sub-progetto: territori di collina e montagna” ha il compito di completare detti interventi, sia per eliminare certe carenze infrastrutturali dovute all'ambiente e ai ritardi dello sviluppo che possano pregiudicare il successo di alcune scelte produttive, sia per valorizzare alcune risorse tipiche di queste aree che, all'interno dei singoli settori produttivi, non potevano trovare sufficiente attenzione data la loro specificità.
Con tale azione si mira alla realizzazione:
- di strade di penetrazione agrario, interpoderali e silvo-pastorali, anche al fine di favorire il collegamento tra centri e borgate rurali, il trasporto dei prodotti e l'incremento del flusso turistico;
- di elettrodotti e linee telefoniche;
- di acquedotti, di opere di captazione, presa e distribuzione delle acque;
- di strutture da adibire all'agriturismo e per consentire la ripresa e il potenziamento delle attività artigianali, nonché commerciali, quali la creazione di centri di lavorazione, trasformazione e vendita dei prodotti lattiero-caseari e di prodotti secondari del bosco.

3.3. Direttive per le foreste e la difesa idrogeologica.

Con l'emanazione della legge forestale 13 settembre 1978, n. 52, la Regione, oltre a regolamentare il settore delle foreste e dell'economia montana, ha posto come punti irrinunciabili, per l'individuazione delle linee di una organica politica programmatoria e di pianificazione, l'avvio di tutta uno serie di indagini conoscitive connesse ai previsti adempimenti legislativi:- individuazione delle unità idrografiche del territorio regionale;
- carta regionale forestale;
- direttive e norme di pianificazione forestale;
- catasto dei corsi d'acqua;
- catasto delle opere di sistemazione idraulico-forestali;
- individuazione dei bacini pilota per attività di indagine, studio e ricerca;
- attivazione del servizio neve e valanghe;
- mappe dei pascoli;
- catasto delle piste per lo sci e impianti di risalita;
- gestione computerizzata del territorio regionale.
Si tratta di un insieme di attività iniziate, con un notevole impegno organizzativo e finanziario, agli inizi del 1979 e tutte organizzate allo scopo di confluire in un unico sistema informativo regionale a struttura “aperta” o “flessibile”, capace cioè di estendersi indefinitamente (compatibilmente con le capacità del computer all'acquisizione di dati e informazioni che direttamente o indirettamente hanno attinenza con lo gestione del territorio e con l'economia delle popolazioni che in esso vivono).
Nonostante il breve periodo intercorso (poco più di due anni) dall'attivazione delle summenzionate indagini conoscitive, il più è stato organizzato come risulta dall'allegato prospetto; occorre soltanto portare a compimento la parte relativa all'organizzazione gerarchica delle informazioni e le iniziative sperimentali a esso collegate.
Questo fatto finora consente già, comunque, di passare, con cognizione di causa, alla delineazione delle direttive su cui operare nel prossimo futuro.
a) Direttive per le foreste
Per la politica delle foreste si assumono le seguenti direttive conseguenti all'esperienza acquisita nel primo triennio di applicazione della legge regionale forestale:
- a1) miglioramento dei parametri di struttura, densità e composizione dei soprassuoli boschivi.
La legge forestale regionale ha introdotto finanziamenti e strumenti operativi adeguati per l'esecuzione dei necessari interventi di diradamento e delle successive operazioni selvicolturali, nelle fustaie, tendenti a riportare i soprassuoli boschivi alle originarie condizioni di normalità strutturale e provvigionale.
Su questa strada occorre proseguire facendo sempre più ricorso alla redazione di piani colturali preliminari, di durata poliennale, estesi a comprensori boschivi di notevole superficie anche se disomogenei dal punto di vista dell'assetto fondiario.
Più complesso è il discorso relativo ai boschi cedui; le sempre maggiori esigenze energetiche hanno ridato importanza ai popolamenti forestali con questa forma di governo, ridestando l'interesse degli studiosi e degli operatori economici.
Il nodo da risolvere è quello del futuro assetto da dare a questi popolamenti e quindi sono da stabilire i criteri tecnico-economici che devono indirizzare verso la conversione dell'alto fusto, ovvero verso il mantenimento delle condizioni attuali, e ciò attraverso l'emanazione delle “Norme tecniche per i cedui”.
- a2) incremento dell'attività connessa alla redazione dei piani di riassetto forestale delle proprietà silvo-pastorali pubbliche e private.
Nelle tabelle allegate sono evidenziate le positive conseguenze derivanti dalla prima applicazione della legge forestale: si rileva che la superficie forestale regionale sottoposta a pianificazione è stata incrementata dell'11,10 per cento, che le revisioni dei piani avvengono con regolarità e alla scadenza prevista (il 23,95 per cento delle superfici forestali assestate è già stato sottoposto a revisione per complessivi 21,710 ha) e ciò è stato possibile per la buona dotazione finanziaria assicurata dalla legge che consente di programmare di anno in anno l'entità dell'esecuzione di nuovi piani e della revisione di quelli esistenti.

STATO DI ATTUAZIONE DELLE INDAGINI CONOSCITIVE IMPOSTATE PRESSO IL DIPARTIMENTO FORESTE


Nota: C.E.D. Centro Elaborazione Dati Giunta Regionale - I.G.M. Istituto Geografico Militare
Attività
Cosa si è fatto
Cosa si sta facendo
Cosa si deve fare
Note
Suddivisione del territorio in unità idrografiche
Il territorio regionale è stato suddiviso in 47 Unità Idrografiche all'interno delle quali sono stati classificati tutti i sottobacini, suddivisi a loro volta in Unità Minime di informazione. (2-5 kmq. di ampiezza) che sono le unità di base per tutti i processi conoscitivi del territorio. Ogni settore territoriale è stato codificato ed inserito nel calcolatore del C.E.D.



Catasto dei corsi d'acqua
Tutti i corsi d'acqua della montagna veneta sono stati codificati ed inseriti nel calcolatore C.E.D. con riferimento ai codici delle Unità Idrografiche



Catasto delle opere di sistemazione idraulico forestale
Si sono rilevate tutte le opere di sistemazione presenti in tutti i corsi d'acqua della montagna veneta. Per ogni opera è stata fatta un'apposita scheda i cui dati sono nell'elaboratore del C.E.D., ed un microfilm che contiene l'ubicazione cartografica di tutte le opere

Ogni anno si aggiorna questo catasto con le opere realizzate nel corso dell'anno

Carta inventario
E' stato completato tutto il rilevamento di campagna riportato su tavolette I.G.M. in scala 1:25.000. Sono state raccolte circa 7,5 milioni di informazioni relative a: - superfici boscate; - composizioni specifiche; - densità; - governo, provvigioni ed incrementi (solo parte assestata); - funzioni prevalenti del bosco (solo parte assestata); - antropizzazioni diffuse, ecc.
Le informazioni sono state raccolte in nastri per la realizzazione di Banca Dati presso il C.E.D. Riordinamento logico delle informazioni. Esecuzione programma di controllo dati, verifica e correzione schede inesatte (presso C.E.D.).
Allestimento e stampa degli elaborati cartografici su fogli I.G.M. scala 1:50.000.
Elaborazione vera e propria dei dati per la loro sintesi su tabulati suddivisi per: - Unità Idrografiche; - Sottobacini; - Comune; - Comunità Montana; - Regione Veneto.






























STATO DI ATTUAZIONE DELLE INDAGINI CONOSCITIVE IMPOSTATE PRESSO IL DIPARTIMENTO FORESTE


Nota: C.E.D. Centro Elaborazione Dati Giunta Regionale - I.G.M. Istituto Geografico Militare
Attività
Cosa si è fatto
Cosa si sta facendo
Cosa si deve fare
Note
Gestione computerizzata dei Piani di riassetto forestale dei beni silvopastorali
Sono state redatte le Direttive e Norme di Pianificazione forestale.
Sono stati fissati i modelli colturali per tutte le fustaie del Veneto.
Raccolti tutti i dati relativi ai Piani di riassetto tuttora vigenti nel territorio regionale
Si sta redigendo un Piano Pilota per la Regola di Candide.
Riordinamento logico delle informazioni, controllo schede inesatte e loro correzione.
Prove di taratura dei modelli colturali presso il C.E.D.
A partire dalla primavera 1982 applicazione pratica delle nuove metodologie ai Piani di riassetto forestale da elaborare
Norme tecniche per i cedui.
Metodologia per il controllo delle utilizzazioni e della gestione dei boschi privati.
Corso di aggiornamento sulle nuove metodologie per tutti i tecnici forestali.

Bacini pilota
Si sono delimitati 6 bacini pilota (Alto Agordino, Alto Boite, Val Visdende, Alto Tesa, Alto Agno, Posina) nei quali attuare a scopo sperimentale studi e ricerche per individuare i criteri tecnico economici più idonei nel campo della difesa del suolo
Ricerche per nuove opere di sistemazione idraulica, studi su metodologie di gestione computerizzata del territorio, studi sulle valanghe
Continuare ed ampliare queste ricerche

Carta di localizzazione probabile delle valanghe e piano zone esposte
Per il Comune di Livinallongo (Bacino pilota Alto Agordino) si sta realizzando la carta di tutte le aree che possono essere soggette a valanghe. Per i centri abitati la carta è su scala catastale (piano delle zone esposte).

Ampliare ad altri settori territoriali questa cartografia

Servizio neve valanghe
Opera dell'inverno '78 . '79, effettua quotidianamente o settimanalmente le analisi del manto nevoso e redige il bollettino valanghe che può essere ascoltato in segreteria telefonica (041/985777)
La Giunta regionale ha deliberato di installare nel Centro valanghe di Arabba un computer Honoywell DPS 6 perfettamente compatibile con il DPS 8 del C.E.D. regionale


Mappa dei pascoli
Quadro d'unione riproducibile di varie tavolette I.G.M. in scala 1:500.000, di ciascuna Comunità Montana con la delimitazione interna dei singoli comuni. Schede di confronto tra dati presentati dalle Comunità Montane e dati del prof. Berni
Indagine conoscitiva in atto
Trasferimento in supporto cartografico di malghe e pascoli suddivisi per categorie con denominazione e codificazione. Inserimento in calcolatore CE.E.D. dei dati raccolti per singola mappa.

Catasto piste sci ed impianti di risalita
Suddivisione in categorie delle Piste e degli Impianti sci nordico, sci discesa, ecc. Riparto cartografico dati raccolti da scala 1:25.000 a scala 1:50.000
Inserimento in calcolatore C.E.D. dei dati raccolti


Gestione computerizzata del territorio dell'Alto Agordino

Si stanno inserendo in calcolatore tutti i dati dei terreni relativi a quest'area (che è bacino p8lota) per avviare una gestione computerizzata di questo tratto di territorio
Apliare ad altri settori territoriali questo lavoro

Sistema informativo computerizzato di supporto al servizio antincendi boschivi
In collaborazione con l'Università di Padova è stato realizzato il progetto che, oltre ad analizzare ed elaborare i dati disponibili sugli incendi boschivi, ricerca eventuali correlazioni fra fenomeno incendio e principali parametri selvicolturali.
Nell'ambito di tale progetto è stata formulata una nuova scheda raccolta dati che consente una più corretta analisi computerizzata
Istruzione nella compilazione delle schede al personale forestale addetto. Applicazione del nuovo sistema raccolta ed elaborazione dati


Rete radio telefonica
Realizzata per il 75% della dotazione prevista dal Piano Regionale Antincendi boschivi. Sono stati installati impianti fissi presso le sedi dei distretti anticendi, pianti veicolari a bordo di campagnole e impianti portatili.
Si è provveduto alla installazione di n. 11 impianti ripetitori, presso strutture RAI esistenti (mediante apposita convenzione), che consentono i collegamenti fra tutte le stazioni della rete
E' in fase di ultimazione il completamento tale rete
Dotazione di apparati portatili a tutti i comandi stazione forestale.
Utilizzare la rete radio per la trasmissione di dati da gestire mediante calcolatore



Circa il 40% della superficie forestale regionale (esclusi i pioppeti) risulta quindi in corso di assestamento; si tratta, nella quasi totalità, di patrimoni di comuni ed enti che costituiscono, nel loro complesso. il 49% delle proprietà nel Veneto; si consideri tutta via che il 9% ancora da condurre a regime pianificatorio comprende le proprietà meno produttive, cedui soprattutto.
Un secondo passo in avanti si è fatto recentemente - 1980 - con l'emanazione delle citate “Direttive e norme di pianificazione forestale” adempimento previsto dalla legge regionale forestale.
Le acquisizioni raggiunte in Cadore nella definizione dello stato di equilibrio colturale delle fustaie disetanee e dei problemi connessi all'evoluzione dei soprassuoli arborei e della rinnovazione (Susmel) hanno confermato l'indirizzo naturalistico che la regione intende dare all'assestamento delle fustaie alpine e subalpine, soprattutto adesso che la preminente preoccupazione dei forestali di accrescere le provvigioni e le produzioni (tabella n. 1-2) ha ceduto il posto all'esigenza di individuare idonei modelli colturali su cui uniformare la gestione delle fustaie.
Dalla primavera 1981 detta normativa è in vigore su tutto il territorio regionale.
Le linee d'azione su cui muoversi nel prossimo futuro dovranno tendere a incrementare le superfici sottoposte a piani di riassetto forestale con particolare riferimento a quelle di proprietà privata per le quali è già in atto, presso l'Università di Padova, lo studio di una metodologia tecnica e per il controllo delle utilizzazioni.
- a3) sviluppo del settore delle utilizzazioni forestali e della lavorazione del legname.
Per il raggiungimento di questa direttiva la Regione è impegnata a realizzare le seguenti azioni:
- adeguamento e potenziamento della viabilità silvo-pastorale;
- razionalizzazione delle utilizzazioni in foresta;
- potenziamento del Fondo forestale regionale (art. 30, L.R. n. 52 del 1978;)
- addestramento e formazione professionale degli addetti ai lavori.
L'analisi dell'attuale situazione della produzione legnosa del Veneto, vista anche alla luce delle esperienze condotte da Paesi confinanti, ha inequivocabilmente indicato la necessità di addivenire a un notevole potenziamento della rete viabile forestale propriamente detta.
La densità attuale della rete viabile forestale stimata in 20 m/ha dovrà essere elevata ad almeno 35 m/ha.
La razionalizzazione di dette utilizzazioni legnose, discenderà dall'incremento della densità viabile forestale e dalla diffusione sempre maggiore che si dovrà dare alla meccanizzazione in foresta, anche in regime d'uso superaziendale.
Contemporaneamente, si dovrà accrescere la dotazione finanziaria del Fondo forestale regionale (istituito ai sensi dell'art. 30 della L.R. n. 52 del 1978) allo scopo di concedere mutui per l'acquisto di attrezzature per le utilizzazioni forestali, nonché per la realizzazione di impianti e per l'acquisto di macchine per la prima lavorazione del legname.
Si dovranno privilegiare gli operatori delle aree montane, favorendo le imprese o gli enti (ivi comprese le regole comunioni famigliari) che utilizzano o intendano utilizzare il legname di produzione locale.
La Regione è impegnata, tramite il “progetto legno”, a individuare modalità, criteri e strumenti operativi per lo sviluppo delle lavorazioni locali del legno, allo scopo di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e di mantenere il valore aggiunto nell'area montana e, inoltre, a istituire un apposito centro per la formazione e l'addestramento di maestranze specializzate.
b) Direttive per la difesa idrogeologica
Nel settore della difesa idrogeologica, la legge forestale regionale n. 52 del 13 settembre 1978 e la L.R. n. 8 del 20 marzo 1981 garantiscono spazi operativi estremamente validi, nonché celerità di procedure.
I programmi, approvati dalla Giunta regionale di intesa con le Comunità montane, sentita la competente commissione consiliare, sono pluriennali, le opere vengono realizzate direttamente dalla Giunta regionale la quale, qualora ne ravvisi l'opportunità, può realizzarle mediante concessione a Comunità montane.
Gli specifici interventi vengono realizzati sulla base delle indagini conoscitive, e in particolare:
- viene esaminata ogni unità idrografica nel suo insieme al fine di stabilire le linee di intervento ottimale;
- sulla base del catasto delle opere di sistemazione idraulico-forestali viene individuata l'ubicazione ottimale dell'opera.
In linea generale si individuano i seguenti obiettivi specifici per gli interventi di sistemazione idraulico-forestale:
- completamento degli interventi già intrapresi e inseriti nell'ambito dei programmi in corso di attuazione e, salvo casi eccezionali, sistemazione definitiva delle aste dei torrenti parzialmente sistemati;
- in base alle conoscenze acquisite, agli studi effettuati e alle effettive esigenze rappresentate dalle Comunità montane verrà data la dovuta priorità agli interventi da effettuare nelle zone di maggior dissesto e in particolare in quelle in cui si reputa maggiormente necessario salvaguardare la pubblica incolumità oltre che i beni pubblici e privati;
- gli interventi di conservazione e difesa del suolo, sia estensivi che intensivi, saranno tra loro integrati e coordinati nell'ambito di ciascuna unità idrografica; il tutto al fine della limitazione dei fenomeni erosivi, in atto e potenziali, e in modo da evitare la frammentarietà e la dispersione degli interventi da attuarsi;
- dovranno rimuoversi le cause di dissesto alla loro origine mediante la realizzazione di interventi volti al riassetto del regime idraulico e dell'equilibrio morfologico dei corsi d'acqua da realizzarsi specialmente nei tratti medio-alti delle unità idrografiche al fine di ridurre e contenere il trasporto solido, di garantire la conservazione delle sponde e la stabilità dei versanti;
- dovrà essere recuperata, ove tecnicamente possibile, vantaggioso ed economicamente poco oneroso, la completa funzionalità dell'ingente patrimonio di opere intensive di sistemazione idraulico-forestali già eseguite al fine di reintegrare la loro efficienza nel quadro organico di sistemazione idraulica di ogni singola unità idrografica;


Tabella 1 - Variazioni delle provvigioni medie unitarie nell'altofusto resinoso sottoposto a Pianificazione forestale nelle diverse zone della Regione (riferito a tutte le categorie attitudinali).

Precedenti
(mc/Ha)
Attuali
(mc/Ha)
Differenza
(mc/Ha)
Comelico
162
184
+ 22
Cadore
131
160
+29
Altopiano di Asiago
126
134
+ 8
Media Regionale
140
155
+15


Tabella 2 - Raffronto fra l'incremento corrente unitario medio attuale e la ripresa stereometrica (mc/Ha/anno) dell'altofusto di produzione nelle diverse zone della Regione.

Incremento corrente
(mc/Ha)
Ripresa steriometrica
(mc/Ha/anno)
Comelico
3,89
2,30
Cadore
3,51
2,16
Altopiano di Asiago
2,99
0,67
Media Regionale
3,52
1,41



Tabella 3 - Prospetto riassuntivo dell'attività regionale svolta nel Campo della pianificazione forestale dall'entrata in vigore della legge regionale n. 52/1978 (aggiornato a tutto il 31 maggio 1981).
Superficie forestale Regionale Assestata all'anno 1978
90.628 Ha
Superficie forestale Regionale sottoposta a compilazione nel triennio 1979 - 1981
10.061 Ha
Aumento percentuale della superficie forestale Regionale Assestata
11.10 %
Superficie forestale Regione sottoposta a revisione nel triennio 1979 - 1981
21.710 Ha
Percentuale della superficie forestale Regionale Assestata sottoposta a revisione ne triennio 1979 - 1981
23.95 %
Totale della superficie forestale Regionale Assetata aggiornata al 1981
100.689 Ha
Percentuale della superficie totale forestale Regionale sottoposta ad assestamento 39.76 %
39.76 %


Tabella 4 - Prospetto della pianificazione forestale per il triennio 1979 - 1981, a partire dall'entrata in vigore della legge regionale n. 52/1978 (aggiornamento a tutto il 31 maggio 1981).
Tipo
Provincia di Belluno
Provincia di Vicenza
di intervento
Totale Sup. Assest.
Ha
Alto fusto
Ha
Ceduo
Ha
Totale Sup. Assest.
Ha
Altofusto
Ha
Ceduo
Ha
Compilazioni
8.878
2.899
1.802
8.203
1.915
3.045
Revisioni
35.060
17.006
1.553
3.517
2.383
---
Tipo
Alre Province
Totale Generale
di intervento
Totale Sup. Assest.
Ha
Alto fusto
Ha
Ceduo
Ha
Totale Sup. Assest.
Ha
Altofusto
Ha
Ceduo
Ha
Compilazioni
900
---
400
17.981
4.814
5.247
Revisioni
1.438
409
359
40.015
19.798
1.912


- sarà operato un ulteriore sviluppo e potenziamento dei vivai regionali al fine della produzione del materiale forestale di propagazione più idoneo per l'esecuzione degli interventi a carattere estensivo, riguardanti il miglioramento dei boschi esistenti e il rimboschimento soprattutto volto alla tutela dei terreni nudi contro la degradazione.
La Giunta regionale, in attuazione della L.R. n. 52 del 1978 ha individuato e delimitato i bacini pilota nei quali attuare a scopo sperimentale studi, ricerche e interventi particolari al fine di determinare i criteri tecnico-economici più idonei per conseguire gli scopi della difesa idrogeologica.
In essi si opera con programma di ricerca finalizzati, nell'ambito dei quali si dà corso alle misurazioni necessarie per la determinazione dei flussi, delle portate, delle caratteristiche meteorologiche dei bacini; da tutte queste valutazioni, unite all'esperienza già acquisita nell'ambito della difesa idrogeologica, prendono spunto le indicazioni necessarie per realizzare opere e interventi più funzionali, ma anche, ove possibile, più economici.
Infine la L.R. n. 52 del 1978 prevede, all'articolo 11, che la Giunta regionale curi il servizio di rilevamento al fine della previsione delle valanghe.
Questo servizio funziona dall'inverno 1978-79, opera mediante 24 stazioni di rilevamento organizzate in 5 zone, coordinate dal dipartimento forestale. Esso fornisce valutazioni sul grado di pericolosità della neve, realizza studi e ricerche nel settore specifico ed è, oggi, all'avanguardia in Italia e nel mondo per la sua funzionalità ed efficienza.
Da quanto detto si comprende il motivo per il quale la Regione ha provveduto alla costruzione del Centro sperimentale per lo studio della neve, delle valanghe, delle sistemazioni idraulico-forestali e della meteorologia alpina in Arabba di Livinallongo del Col di Lana (BL) e il motivo per il quale ci si propone di potenziarlo via via dotandolo dei mezzi e attrezzature tecnicamente all'avanguardia.
Tale centro ha pertanto la funzione operativa di studio, di analisi e di sperimentazione nei settori specifici, basandosi anche su di un confronto in campo nazionale e internazionale con gli altri enti o organismi che si interessano alle problematiche relative alla difesa dei territori montani.

3.4. Direttive per il turismo

Il turismo, nella sua funzione di fattore di produzione e di reddito per la popolazione della montagna è, tra le diverse materie, quella che maggiormente dipende da una efficace programmazione in settori di intervento collegati.
La sensibile flessione del movimento turistico estivo e la difficile ripresa di quello invernale dopo le carenze di innevamento della stagione 1980-81, hanno accelerato una tendenza in atto da tempo: quella del progressivo abbandono nei centri minori della grossa struttura ricettiva, dove il costo di produzione dei servizi è più alto e dove si verifica il più alto indice di sottoutilizzazione, e la concomitante e pure progressiva propensione, da parte dell'operatore turistico, di assicurare maggiormente i propri interessi mediante interventi su più settori tra di loro integrati (esempio: albergo più impianto di risalita).
La difesa dei valori ambientali e socioculturali del territorio, che rappresenta la materia prima su cui si fonda l'attività del turismo, la realizzazione e il mantenimento di adeguate comunicazioni, la disponibilità di imprenditori e di manodopera locale preparata e la possibilità di utilizzare di adeguati servizi sono elementi indispensabili per lo sviluppo del turismo.
Nell'attuale prima fase del progetto montagna ci si limita a delineare il quadro per la valorizzazione dei settori produttivi prioritari.
Si ritiene tuttavia di dover fin d'ora, in relazione alla funzione di direttiva del presente progetto, indicare di seguito alcuni interventi che già rientrano in altri documenti di programmazione che sono di particolare importanza per lo sviluppo del turismo:
- tutela ambientale: è prioritaria l'istituzione del parco delle “Dolomiti Ampezzane”, comprendente l'area di preminente interesse naturalistico di Fanes-Senes, e il parco delle Valli di Gares e S. Lucano. Con funzione anche di riserva naturale si individua l'area delle “Dolomiti Bellunesi e Feltrine”. Nella fascia prealpina e collinare le aree di tutela ambientate sono individuale nella catena prealpina del Monte Baldo, della Lessinia, che ha in Bolca il suo riferimento più prestigioso, del Pasubio, con le Piccole Dolomiti e del Bosco del Cansiglio;
- vie di comunicazione: il miglioramento dei servizi ferroviari ha importanza preminente soprattutto per la montagna Bellunese, in tale prospettiva si ritiene anche importante avviare, a livello locale, uno studio preliminare di affidabilità di un collegamento ferroviario Calalzo-Dobbiaco. I collegamenti su strada, rimangono, allo stato attuale, fondamentali per lo sviluppo turistico dell'area montana veneta per cui occorre ribadire l'impegno, assunto con il P.R.S., per realizzare le vie di penetrazione e per migliorare la rete esistente dei collegamenti intervallivi. Su questo settore occorre anche aumentare le disponibilità per interventi di sostegno a favore degli enti locali per la manutenzione delle strade, in particolare durante la stagione invernale;
- turismo alternativo: per le comunità dell'area pedemontana e delle prealpi andranno incentivate forme di turismo diverse da quelle tradizionali puntando, in particolare, sul turismo per la terza età e sul turismo di fine settimana.
Non solo, ma dovrà in queste aree essere anche ricercata, ai fini di una loro rivitalizzazione estiva, la possibilità di espandere alcune forme del cosiddetto “turismo verde”, le stesse che i più recenti studi in materia di agriturismo hanno indicato come suscettibili di attecchimento anche in zone collinari e prealpine.
Ciò posto si definiscono nel seguito le direttive specificandole nei due sottocapitoli dello “sviluppo del turismo” e del “piano per gli impianti sportivi”.
a) Lo sviluppo del turismo
L'attività nel settore del turismo può essere sintetizzata nelle seguenti categorie di intervento: attività promozionali, turismo sociale, attrezzature ricettive, piccolo credito turistico e infine sentieri e rifugi alpini.
L'attività promozionale acquista un particolare significato all'attuale fase in cui, alla ormai strutturale crisi che subisce la stagione estiva per la concorrenza di alternative a livello mondiale, si è sovrapposta una caduta di domanda anche nella stagione invernale.
Si rende pertanto indispensabile una efficace azione di recupero per dar corso a un piano specifico di attività promozionale da attuarsi con il rifinanziamento della legislazione regionale in materia in favore degli enti turistici intermedi della montagna.
Analogamente è urgente rifinanziare le leggi regionali per il turismo sociale prevedendo adeguati stanziamenti in favore delle Comunità montane e a sostegno delle iniziative delle varie sezioni del C.A.I.
Nell'ambito degli interventi che vengono operati in favore della riqualificazione e del potenziamento delle strutture ricettive, occorre accentuare la priorità in favore delle località montane; occorre altresì aumentare gli stanziamenti e privilegiare il meccanismo dell'“una tantum” di cui alla L.R. 27 aprile 1979, n. 28 ; istituzionalizzando altresì, per motivi di coordinamento, il parere delle Comunità montane competenti per territorio.
Per quanto riguarda il “piccolo credito turistico” si riconosce che tale tipo di intervento è particolarmente sentito nei territori di montagna dove la figura del piccolo imprenditore turistico è a sai diffusa e dove le iniziative sono conseguentemente modeste e numerose.
Stanti le passate esperienze, si afferma l'opportunità di coinvolgere in tale settore le Comunità montane al fine di garantire l'omogeneità degli interventi e il coordinamento dei medesimi con quelli operanti negli altri settori.
Oltre che tramite la L.R. n. 28 del 1979 opportunamente rifinanziata, occorre intervenire con uno stanziamento in favore del recupero e detta valorizzazione dei sentieri alpini. Per lo sviluppo del turismo, in particolare nelle aree che, pur dotate di potenzialità, non sono state oggetto di adeguata valorizzazione, il presente piano prevede uno specifico intervento straordinario per la partecipazione della Regione a società di promozione turistica: tali società saranno, in via prioritaria, a capitale prevalentemente pubblico, salva la possibilità di partecipazione azionaria da parte dei cittadini residenti nel territorio montano.
Al fine di migliorare l'offerta nel settore del turismo-termale, la Regione è impegnata a realizzare a Recoaro Terme interventi di ristrutturazione e adeguamento della struttura allorché la struttura stessa sarà ricondotta nell'ambito regionale.
b) Il piano per gli impianti sportivi
Nel riconoscere l'importanza del settore turistico quale fattore produttivo per lo sviluppo della montagna la Regione indica il “piano per gli impianti sportivi” come uno strumento tramite il quale provvedere a una razionale dotazione di strutture sportive capaci di rispondere, innanzitutto, alle esigenze delle popolazioni residenti nella montagna veneta e di costituire un efficace motivo di espansione detta domanda turistica.
La necessità di un piano è particolarmente evidente per quanto riguarda gli impianti per l'attività sportiva invernale essendo tale attività più di ogni altra dipendente dalle condizioni morfologiche del terreno, dalle condizioni climatiche e di esposizione e dalle preesistenze di carattere ambientale.
La Giunta regionale ha demandato a un apposito gruppo di lavoro intersettoriale la formulazione di una proposta complessiva per l'individuazione degli impianti sportivi nella montagna veneta, con particolare riferimento a quelli per l'attività invernale. Tale proposta, che deriverà dallo studio delle specifiche realtà locali, trova nel presente “progetto montagna” una sua prima fase di definizione mediante due elementi, e cioè la fissazione delle direttive per la formulazione del piano e l'individuazione di un primo insieme di interventi da realizzare nel breve periodo. Vengono di seguito assunte le direttive per la formazione del piano di lungo periodo e determinato il piano degli interventi di breve termine; sia le direttive che gli interventi, al fine dell'attuazione, sono subordinati al recepimento nei piani generali di sviluppo e degli strumenti urbanistici comunali.
b1) le direttive per il piano di lungo periodo
Le presenti direttive costituiscono il riferimento al quale rapportare le scelte del piano degli impianti sportivi per la montagna veneta e dei piani generati di sviluppo che sono predisposti dalle Comunità montane; alle direttive dovranno inoltre attenersi gli uffici nell'attività amministrativa e, in particolare, in quella per il rilascio delle autorizzazioni.
Le direttive sono così specificate:
- la finalità degli interventi proposti deve essere quella di creare nuove fonti di reddito sostitutive e integrative per i montanari residenti, garantendo uno sviluppo economico multisettoriale in ogni comunità montana, soprattutto riferito alla valorizzazione della stagione invernale. Priorità assoluta netta realizzazione degli impianti sarà data alle iniziative che mobilitano le risorse e capacità locali, fermo restando che occorrerà pertanto verificare l'effettiva disponibilità di popolazione attiva residente da spostare al settore terziario;
- nelle valutazioni per l'individuazione di nuove aree sciabili, o per la razionalizzazione delle esistenti, è necessario tenere conto della redditività specifica, e dell'ammontare dei rapporti tra costi e ricavi, in termini monetari e soprattutto in termini di costi ambientali;
- nelle zone a prevalente attività turistica si dovrà instaurare un sostanziale equilibrio fra la ricettività dell'area sciabile (numero di sciatori che possono essere ospitati in un giorno) e ricettività di fondo valle (numero di ospiti che possono pernottare); per quanto riguarda la ricettività di fondo valle questa non dovrà superare le effettive possibilità di prestazione di servizi da parte della popolazione residente. Pertanto si verificherà a che il massimo numero di turisti ospitabili contemporaneamente sia congruente con la capacità di svolgere i necessari servizi da parte della popolazione;
- nelle zone ove esiste attività turistica si dovranno determinare i coefficienti di utilizzazione delle attrezzature, sia quelle attinenti alla ricettività di fondo valle sia quelle riguardanti l'area sciabile; questi coefficienti di utilizzazione sono indicatori utili per determinare l'opportunità dell'intervento in ordine all'espansione dell'attività terziaria. Essi sono pertanto degli indicatori per l'orientamento delle scelte;- per razionalizzare o introdurre il turismo invernale andrà tenuto conto non soltanto dell'attività connessa alla pratica dello sci alpino ma anche di quella connessa alla pratica dello sci nordico; pertanto nella ricerca dell'equilibrio tra le ricettività di fondo valle e di quelle dell'area sciabile si dovrà tener conto del contributo che in ogni caso non dovrà mai mancare, dello sci da fondo;
- in considerazione del fatto che la pratica turistica sportiva invernale comporta sacrifici ambientali va accuratamente verificato che le condizioni climatiche e morfologiche del territorio si prestino effettivamente alla pratica di detto sport;
- in considerazione che l'appetibilità e la redditività specifica dell'area sciabile è una funzione diretta della sua dimensione andrà
fatto ogni sforzo per attuare collegamenti fra aree esistenti al fine di ottenere sistemi i più grandi possibili, capaci di aumentare i coefficienti di utilizzazione delle strutture;
- considerata la diffusione dello sport invernale su tutta la catena alpina andrà tenuto presente il fatto che questa attività è soggetta alla libera concorrenza sia nazionale che internazionale e che pertanto debbono sussistere le condizioni di base, o comunque debbono esserci prospettive di impianto, affinché la qualità dei servizi possa effettivamente essere collocabile sul mercato turistico.
In questa analisi si deve tenere presente che sistemi di piste e di impianti eccessivamente ridotti non permettono un ventaglio sufficientemente diversificato di servizi complementari. Sono pertanto da evitare micro aree sciabili che comportino consumi ambientali privi di giustificazione economica;
- non andranno accolte iniziative aventi finalità di sostegno a operazioni speculative sul territorio attraverso la produzione, la vendita o il sostegno di prezzo della seconda casa;
- la pianificazione regionale per l'attività turistica sportiva alpina avrà per fine il miglioramento del tenore di vita dell'alpigiano ottenendo, con il mantenimento della popolazione in montagna, lo scopo di una migliore manutenzione ambientale; in conseguenza del fatto che le scelte di piano avranno fini di utilità pubblica e generale, le stesse, saranno vincolanti per i vari servizi regionali;
- un aspetto particolare, connesso con lo sviluppo del turismo invernale, riguarda la regolamentazione dello sci nordico e in particolare la necessità di stabilire con normativa regionale le modalità e le procedure per la costituzione e l'esercizio di stadi destinati alla pratica non agonistica detto sci da fondo.
b-2) Il piano degli interventi a breve termine
Allo scopo di permettere la realizzazione immediata di un primo complesso di impianti per l'attività sportiva invernale, come premessa al piano di lungo periodo, sono di seguito individuati i sistemi e gli ambiti sciabili esistenti nella montagna veneta. Mentre i sistemi sciabili comprendono una pluralità di aree tra loro contigue, collegate o da collegare, gli ambiti sono costituiti da singoli territori isolati. Tali aree sono di seguito individuate:
a) Sistema delle Dolomiti Bellunesi
a1) Cortina, Misurina, S. Vito
a2) Arabba, Marmolada
a3) Monte Fernazza (Alleghe, Zoldo, Selva)
a4) Falcade, S. Pellegrino
b) Altri sistemi
b1) Sistema Sappada e Comelico
b2) Sistema di Auronzo, Centro Cadore
b3) Sistema dell'altopiano dei Sette Comuni
b4) Sistema della Lessinia e Piccole Dolomiti
c) Ambiti sciabili
c1) Alpago
c2) Cansiglio
c3) Basso Agordino
c4) Nevegal
c5) Monte Avena
c6) Monte Grappa
c7) Monte Cesen
c8) Pian dei Fiorentini
c9) Monte Baldo
c10) Recoaro Mille
c11) Medio Zoldano
Il piano a breve termine prende origine dai seguenti presupposti, che risultano in coerenza con le direttive di cui al paragrafo precedente:
- laddove già esiste un'attività turistica invernale sussistono anche le condizioni sia climatiche che territoriali-urbanistiche per mantenere tale attività;
- la redditività delle aree sciabili è tanto maggiore quanto maggiore è l'estensione dell'area stessa;
- i dati relativi al grado di utilizzazione delle attrezzature ricettive e degli impianti dimostrano che, in generale, si è ancora distanti dalla saturazione.
Pertanto il piano a breve termine si pone come obiettivo quello della razionalizzazione e ottimizzazione delle attrezzature esistenti mediante la realizzazione dei collegamenti mancanti tra i sottosistemi e all'interno di questi. Si realizzeranno in tal modo sistemi di aree sciabili molto vasti tenendo conto anche delle aree che sono al di là del confine della Regione del Veneto.
Una realtà di cui si deve tener conto, in particolare per quanto riguarda la provincia di Belluno, è l'esistenza della grossa catena del Superski. Dolomiti. Questa catena ha il suo punto focale intorno ai passi Pordoi, Sella e Gardena.
Gli interventi di collegamento proposti sono di seguito elencati in ordine di priorità:
A) Sistema delle Dolomiti Bellunesi
A2) Arabba, Marmolada e A3) Monte Fernazza.
Poiché le aree sciabili della Marmolada e di Cortina risultano non collegate direttamente con impianti a fune con la zona centrale delle Dolomiti a cui convergono le valli di Badia, di Gardena e di Fassa, si indicano come obiettivi primari di razionalizzazione del collegamento dell'area di Rocca Pietore-Marmolada con l'area di Arabba e il collegamento di quest'ultima con il passo Pordoi.
Con questo primario collegamento è possibile inserire tutta l'alta valle Agordina nel grande sistema scioviario delle Dolomiti.
Per ottenere rapidamente il collegamento dell'esistente area del Monte Fernazza, che serve i tre comuni turistici di Alleghe, di Selva di Cadore e quelli dello Zoldano, si prospetta l'opportunità di un collegamento stradale tra Alleghe (Caprile) e Malga Ciapela mediante un sistema di piccoli autobus denominati “skibus”. Questo collegamento skibus va integrato con la costruzione di una pista da sci dalla vetta del Monte Fernazza.
Va aggiunta la razionalizzazione degli intercollegamenti tra il Fernazza e l'area di Zoldo Alto che si spinge fino all'Agnellezza.
A3) Cortina, Misurina, S. Vito.
La seconda indicazione di razionalizzazione consiste nel collegare l'importante area sciabile di Cortina con il Passo di Campolongo.
Inoltre il collegamento Misurina-Val Marzon (Auronzo) attraverso Val Campedelle rappresenta una priorità.
Necessita anche l'inserimento del collegamento, seppur a tempi più lunghi, della Valle del Boite col circuito di Cortina e Giau; questo si ottiene partendo da S. Vito di Cadore-Borea attraverso tabià I Frattes, Casera Prandera, Col Duro, Corvo Alto, Forcella Giau ex Capanna Ravà, Passo Giau per collegarlo infine anche con Passo Falzarego da Cason di Cinque Torri alla Forcella Ovest dell'Averau.
Si indica inoltre l'opportunità che nell'area di Misurina sia realizzato uno stadio per lo sci da fondo.
A4) Falcade - S. Pellegrino.
Ulteriore collegamento che si considera di immediata realizzazione, è quello destinato a inserire l'area sciabile di Falcade a quella del S. Pellegrino.
Infine si tracciano i collegamenti a tempi più lunghi:
a) collegamento S. Pellegrino - Malga Ciapela;
b) collegamento Selva (Pescul) col Passo Giau passando per il Corvo Alto o il Col Duro.
B) Altri sistemi
Per il sistema B1) oltre alla razionalizzazione in particolare per Sappada va sottolineato l'indispensabilità della costruzione degli impianti per i laghi d'Olbe e il collegamento fra gli esistenti impianti.
Per il sistema B2) di Auronzo - Centro Cadore è da prevedere il miglioramento dell'accesso e, in particolare, dell'utilizzazione dell'area di Monte Agudo, di Pian dei Buoi, di Cibiana e del Pelmo.
Per i sistemi B3) Altopiano dei Sette Comuni e B4) della Lessinia, di dovrà prioritariamente puntare alla valorizzazione delle attrezzature e impianti esistenti con particolare riferimento al percorso di fondo della Translessinia, sia attraverso indispensabili collegamenti ed eventuali piccoli ampliamenti sia mediante l'introduzione del sistema “Skipass”.
C) Ambiti sciabili
Si indicano le seguenti realizzazioni a completamento o per lo sviluppo degli ambiti sciabili:
C1) Alpago: collegamento con l'area sciabile di Piancavallo;
C2) Cansiglio: impianti per il fondo nel piano e per la discesa della zona sud;
C3) Basso Agordino: valorizzazione dell'area esistente e realizzazione di uno stadio per il fondo tra Frassenè e Rivamonte e impianti per lo sci nordico;
C4) Nevegal: miglioramento e potenziamento dello inter-collegamento dell'esistente;
C5) Monte Avena - Feltre: razionalizzazione degli impianti dell'area esistente;
C6) Monte Grappa: sviluppo del fondo; inoltre sono necessari interventi di razionalizzazione degli impianti esistenti negli ambiti;
C7) Monte Cesen; C8) Pian dei Fiorentini; C9) Monte Baldo; C10) Recoaro Mille;
C11) Medio Zoldano; realizzazione di stadi per il fondo.
Fra gli interventi a breve termine sono da realizzare anche quelli per la riqualificazione e il recupero degli stadi del ghiaccio esistenti a servizio di bacini di utenza già consolidati; fra questi si indicano come più urgenti i seguenti interventi:
- Auronzo: lo stadio del ghiaccio coperto con pista artificiale abbisogna di completamento con chiusure laterali, nonché dell'adeguamento dei servizi per il pubblico;
- Cortina d'Ampezzo: lo stadio del ghiaccio olimpico - 1956 - necessita di copertura fissa nel rispetto dell'ambiente e della preesistente struttura;
- Feltre: il progetto del Palaghiaccio è già in fase di attuazione, necessita il completamento;
- Alleghe: lo stadio a ghiaccio artificiale abbisogna di copertura;
- Pieve di Cadore-Tai: l'attuale opera consistente in una pista naturale, che dovrà essere trasformata in artificiale;
- Forno di Zoldo e Belluno: trattasi di nuovi stadi per il ghiaccio per i quali già si è proceduto alla fase iniziale di progettazione delle
opere. Quello di Belluno è da realizzare anche in vista dello svolgimento della “Universiade 1986”;- Asiago: lo stadio del ghiaccio necessita di copertura;
- Boscochiesanuova: lo stadio del ghiaccio risulta in fase di attuazione.
Altri impianti sportivi, più direttamente a servizio della popolazione residente, oltre che a sostegno della funzione turistica (campi di tennis, piattaforme polivalenti, ecc.) rientrano tra gli interventi diffusi sul territorio da programmare nell'ambito dell'attività dei comuni; occorre segnalare l'iniziativa del comune di Lorenzago di Cadore che si pone quale potenziale centro federale giovanile per il tennis, con l'obiettivo del recupero turistico nell'area del Centro Cadore.

3.5.Direttive per l’artigianato

L'artigianato costituisce uno dei settori prioritari sui quali il “Progetto montagna” punta per avviare quei processi di integrazione intersettoriale dai quali ci si attende una positiva evoluzione dell'economica dei territori montani e quindi forme di migliore sviluppo.
Dall'esame della situazione in essere si desumono i seguenti elementi:
- le attività artigiane dei territori montani, più che in funzione del turismo o della trasformazione di prodotti delle attività agricole in
generale, si sviluppano prevalentemente in funzione delle necessità sociali della popolazione locale;
- la prevalenza di specializzazioni professionali in mestieri che, adeguati alla domanda sul mercato locale del lavoro, costituiscono un'offerta insufficiente sul mercato internazionale (muratori, carpentieri, ferraioli, falegnami), determina flussi migratori di manodopera più accentuati rispetto alle aree di pianura del Veneto;
- il tasso di crescita della popolazione negativo negli ultimi tre anni, il basso numero di addetti per unità locale e l'età dei titolari più elevata relativamente alle altre province venete rendono nel complesso precarie gran parte delle attività artigianali con prevedibili gravi riflessi sui livelli occupazionali oltre che, in generale, sui livelli di reddito della popolazione.
Il quadro sopra delineato comporta che le azioni di intervento per lo sviluppo dell'artigianato siano con priorità orientate verso quei comparti che garantiscono maggiormente il conseguimento degli obiettivi del riequilibrio demografico, della difesa del territorio e della valorizzazione delle risorse locali.
L'azione regionale sarà quindi rivolta a determinare la riconversione e la ristrutturazione del tessuto artigianale affinché:
- sia accentuata la dinamica di sviluppo del comparto manifatturiero con particolare riguardo alla componentistica elettronica e alla meccanica di produzione;
- siano rivalutate le possibilità di sviluppo dell'edilizia e delle attività affini all'edilizia nel recupero del patrimonio edilizio esistente anziché in nuovi insediamenti privati per residenze temporanee, coerentemente con quanto precisato per il settore del turismo;
- siano razionalizzate e riorganizzate le attività di autotrasporto;
- siano orientate verso altri mercati le attività del legno e mobili la cui attuale produzione prevalente di arredamenti su misura per nuovi insediamenti residenziali trova prevedibili scarse possibilità di espansione;
- siano ampliati i mercati in Italia e all'estero alle attività di produzione di occhialerie che in assoluto costituiscono le principali attività economiche dei comuni del Cadore.
In merito all'occhialeria la Giunta regionale svilupperà una precisa azione coordinata, attualmente già in fase di prima realizzazione, più dettagliatamente descritta nel progetto secondario.
Tale azione, che avrà come soggetto attivo soprattutto le imprese e le loro forme associative, si articolerà nei seguenti interventi finanziabili in base alla legislazione regionale:
- qualificazione della formazione professionale in relazione alle varie specializzazioni richieste dall'attività produttiva e di commercializzazione;
- incentivazione della promozione sui mercati CEE e USA, con apertura per altre aree di richiesta;
- creazione di un marchio di settore regolamentato in base a norme di sicura garanzia del prodotto e su preciso impegno delle imprese interessate;
- costituzione nel Centro Cadore di una struttura polisettoriale di ricerca e di diffusione tecnologica e di fornitura di servizi.
In relazione alle finalità predette si richiedono, in primo luogo, interventi sul territorio per la creazione di aree artigianali attrezzate e autoparchi nel rispetto dei vincoli paesaggistici e compatibilmente con le necessità di sviluppo delle attività del settore primario.
Gli interventi sul territorio per i nuovi insediamenti e le necessità di ristrutturazione e di riconversione industriale devono trovare adeguati supporti contributivi regionali che con riferimento alle agevolazioni sugli interessi, possono essere determinati con differenziazione dei tassi minimi a carico delle imprese e con riserve di quote delle disponibilità regionali per il credito agevolato.
Occorre inoltre provvedere con riferimento ai contributi a fondo perduto, che possano essere determinanti con una maggiorazione per le zone montane che tenga conto, in particolare, del più elevato costo dei terreni e dei fabbricati derivante dalla scarsità dell'offerta, dai vincoli sismici e dai necessari lavori di risanamento fondiario.
Per quanto attiene alle dotazioni infrastrutturali particolare considerazione potrà essere data alla realizzazione consortile di tre autoparchi la cui localizzazione, in relazione alle linee di traffico nonché alla sede della maggior parte delle imprese interessate e alla vicinanza con importanti aree produttive, viene individuata nell'Alpago, nel Feltrino e nell'Alto Vicentino.
Si ritiene inoltre, che il conseguimento degli obiettivi determinati richiede, in aggiunta agli interventi finanziari diretti, un'azione incisiva per una maggiore formazione e riqualificazione professionale potenziando le strutture esistenti e favorendo l'istituzione di corsi di aggiornamento tecnologico rivolti non soltanto ai lavoratori ma anche agli imprenditori artigiani.
Il “Centro studi per la cultura e la tecnologia della montagna”, come specificato nell'apposito capitolo del presente “Progetto”, estenderà l'attività di ricerca e formazione anche nel settore dell'artigianato con funzione quindi di sostegno e incentivazione.
Per il perseguimento delle finalità di cui alla lett. b) dell'art. 2 della L. n. 1102 del 1971, consistenti nel sostenere attraverso opportuni incentivi, nel quadro di una nuova economia montana integrata, le iniziative di natura economica, la Giunta regionale conferisce alle Comunità montane del Bellunese dotazioni finanziarie, atte a mobilitare quote di credito a medio termine, per un ammontare massimo di L. 20 miliardi, da destinare all'ammodernamento di impianti e macchinari nel settore industriale.
Il “progetto secondario” dovrà prevedere adeguate azioni di intervento, da attuare anche mediante l'apporto della Società finanziaria Veneto Sviluppo S.p.A., per la riqualificazione e il rafforzamento della base produttiva industriale; lo sviluppo industriale dovrà essere compatibile con le esigenze di salvaguardia ambientale e puntare a processi di crescita di quei settori collegati e integrati con i settori strategici dell'economia montana quali l'agro-industria, legno-mobilio, carta, marmo, i quali potranno avviare un processo di valorizzazione delle risorse esistenti il loco.

Capitolo 4 Le direttive per la revisione legislativa.

4.1. Obiettivi della revisione legislativa

Nel presente capitolo del progetto sono evidenziati quegli aspetti della vigente legislazione regionale che, a seguito di una pluriennale applicazione, si sono dimostrati non rispondenti alle esigenze particolari e alle situazioni caratteristiche delle aree della montagna veneta.
L'obiettivo consiste quindi nella rilettura delle norme regionali, avendo come riferimento, per i giudizi di validità, i problemi specifici delle aree montane al fine di individuare le modificazioni necessarie per migliorare appunto la normativa e per renderla quindi rispondente anche alle esigenze della montagna.
Naturalmente le modifiche saranno proposte con efficacia generale in tutti i casi in cui le difficoltà applicative non siano specifiche della particolare situazione fisico-ambientale e socio-culturale della montagna ma siano invece riferibili all'intero territorio regionale.
Con tali modifiche non si vuole infatti creare un contraddittorio dualismo normativo ma piuttosto riaffermare e perseguire l'obiettivo dell'uguaglianza mediante la necessaria differenziazione e l'opportuno adeguamento della normativa alle realtà peculiari delle diverse aree regionali.
Ulteriore aspetto di questa esigenza di adeguamento riguarda quegli atti, normativi o amministrativi, tranne i quali si procede alla ripartizione e attribuzione di finanziamenti, ai diversi territori regionali, nei vari settori di intervento.
A tale proposito si riafferma la volontà che i parametri assunti per la ripartizione delle disponibilità finanziarie, siano di volta in volta, determinati in modo da essere sicuramente significativi della specificità delle situazioni nelle diverse aree.
Nei successivi paragrafi saranno definite le direttive in base alle quali la Giunta regionale è impegnata a presentare al Consiglio i disegni di legge di modifica delle norme vigenti nel seguito precisate.
Si è ritenuto di dover limitare la funzione del progetto alla sola fissazione delle direttive, rinviando quindi le modifiche a successivi alti, per la consapevolezza che solo tranne un approfondito impegno di coordinamento, all'interno di ciascun settore, possono conseguire effettivi miglioramenti alla legislazione in un quadro di complessiva coerenza.
I settori per i quali sono definite le direttive per la revisione legislativa sono quelli del territorio, dei servizi e dei settori produttivi.

4.2. Le leggi nel settore del territorio

Nel settore del territorio gli strumenti legislativi di più immediato interesse per lo sviluppo della montagna riguardano le materie dei lavori pubblici e della difesa idrogeologica, dell'urbanistica e dell'edilizia abitativa e dei trasporti.
a) lavori pubblici e difesa idrogeologica.
Nel settore della difesa idrogeologica la Regione opera mediante la L. n. 52 del 1980 “Interventi per la manutenzione e la sistemazione dei costi d'acqua di competenza regionale”, la L. n. 66 del 1979 “Interventi per il trasferimento e il consolidamento di abitati”, la L. n. 66 del 1978 “Finanziamento per la manutenzione e sistemazione di opere pubbliche di interesse regionale” (articolo 2) e la L. n. 1 del 1975 “Interventi regionali di prevenzione e di soccorso per calamità naturali”. Le sopracitate leggi, che prevedono il finanziamento degli interventi a totale carico del bilancio regionale (a eccezione della L.R. n. 1 del 1975, articoli 4 e 5 che ammette a contributo il 50% della spesa); pur non operando a esclusivo beneficio delle zone di montagna, per la loro stessa natura e finalità consentono tuttavia l'attuazione di opere di difesa del suolo prevalentemente nelle zone medesime.
Per quanto attiene invece il più vasto settore dei lavori pubblici, le numerose leggi regionali attualmente in vigore hanno individuato programmi esecutivi di intervento, elaborati sulla base di parametri di riparto che tengono conto delle particolari condizioni e necessità dei territori di montagna, al fine di ottenere il corretto sviluppo e il riequilibrio socio-economico del territorio. Si citano a tal proposito la L.R. n. 39 del 1978, L.R. n. 59 del 1979 e la L.R. n. 27 del 1980, operanti nel campo delle reti fognarie e acquedottistiche, per le quali i rispettivi programmi esecutivi sono stati formulati adottando coefficienti correttivi che consentissero una assegnazione dei fondi tale da privilegiare le zone di montagna.
Una verifica da effettuare riguarda il valore dei parametri di ripartizione che, per quanto attiene ai maggiori costi riscontrabili nell'area montana, non dovranno essere rapportati a valori standard ma a valori reali oggettivamente riscontrati.
In ordine alla L.R. n. 44 del 1974 “Provvidenze a favore delle Comunità montane o dei comuni montani serviti da acquedotti per sollevamento”, fermo restando la necessità di rivalutare i contributi, la cui determinazione risale al 1977, la riduzione del limite di 400 m, fissato come livello minimo per la concessione di contributi alle spese di sollevamento, sarà studiata e proposta compatibilmente alle disponibilità finanziarie e alla possibilità di utilizzare energia elettrica di supero prodotta da organismi autoproduttori dei quali facciano parte gli enti gestori degli acquedotti.
Oltre a ciò, al fine di assicurare una più concreta e incisiva operatività nel settore è necessario:
- procedere al rifinanziamento delle leggi-vigenti destinando più consistenti quote al settore e ai territori montani;
- modificare le procedure di finanziamento dei lavori pubblici in modo da consentire che gli interventi, maggiormente significativi per le aree di montagna, siano realizzati con contributi fino al 90 per cento a carico del bilancio regionale superando quindi le difficoltà che gli enti locali incontrano per reperire i mutui in relazione alle vigenti procedure che prevedono la concessione di contributi in conto interesse;
- realizzare l'acceleramento delle procedure anche mediante la delega delle funzioni tecnico-amministrative, secondo quanto indicato al cap. 1.3., e lo strumento della concessione.
Infine, per quanto riguarda l'applicazione alla legge statale 26 febbraio 1982, n. 53, concernente interventi per opere idrauliche di competenza statale e regionale, occorre ricordare che lo Stato (tramite il Magistrato alle acque), d'intesa con le regioni interessate, provvede alla elaborazione dei piani di bacino interregionali come piani quadro per il finanziamento delle opere e per la gestione delle rispettive competenze
La Regione è impegnata perché il presente “Progetto montagna”, e in particolare quanto definito nel settore della difesa idrogeologica, sia assunto alla base delle intese da definire con lo Stato e quindi perché sia assicurata la necessaria attenzione ai problemi della difesa della montagna veneta mediante anche la diretta partecipazione degli enti locali.
b) urbanistica ed edilizia abitativa
La normativa urbanistica influisce sullo sviluppo della montagna in modo indiretto, attraverso gli strumenti di pianificazione urbanistica, ma anche in modo diretto tramite l'imposizione di vincoli o di limitazioni all'attività costruttiva.
All'interno dell'area montana, e tra l'area montana e le altre aree regionali, sussistono differenze in ordine alle modalità e alle tradizioni costruttive e insediative dovute principalmente alle particolari condizioni fisico-orografiche.
Ciò comporta che l'adozione di una normativa uniforme e generalizzata provoca, per queste aree, vincoli e condizioni più restrittive e quindi situazioni di disuguaglianza.
Le norme da sottoporre a verifica, secondo le direttive di seguito stabilite, sono quelle di cui alla L.R. n. 62 del 1978 recante norme sulla edificabilità dei suoli, L.R. n. 58 del 1978 edificabilità e tutela nelle zone agricole, L.R. n. 40 del 1980 norme per l'assetto e l'uso del territorio e L.R. n. 80 del 1980 riguardante i centri storici del Veneto.
Si deve tuttavia specificare che alcune delle norme riguardano aspetti e situazioni riscontrabili anche in altre aree regionali; in questi casi le modifiche avranno efficacia estesa a tutte le aree e le situazioni che presentano problematiche analoghe
Si afferma, innanzitutto, che risulta idoneo procedere esclusivamente mediante modifiche della legislazione vigente al fine di formulare una normativa specifica per le aree di montagna) tale normativa, infatti avendo ancora carattere generale, non potrebbe che comportare nuove disuguaglianze.
Occorre invece che per le aree di montagna siano, nella legislazione regionale, stabiliti i principi fondamentali della normativa urbanistica ed edilizia demandando l'articolazione della disciplina al piano regolatore generale dei comuni montani. Il piano regolatore generale è infatti strumento normativo adatto a cogliere le specifiche caratteristiche ed esigenze locali, regolamentando nel dettaglio le varie possibilità degli interventi edificatori e rimanendo nel contempo sottoposto alle normative generali e alla verifica in sede di approvazione da parte della Regione.
In relazione a particolari e individuali situazioni, la cui soluzione risponda alla finalità generale di tutela della montagna contro il fenomeno dello spopolamento e quindi a un obiettivo di riconosciuto interesse pubblico, la normativa generale e quella specifica dovranno stabilire la possibilità di ricorso ai poteri di deroga. In particolare, in relazione alla natura dei fondi agricoli e alle modalità della loro conduzione, la deroga potrà essere esercitata con riferimento a specifiche norme generali riguardanti l'estensione e l'accorpamento del fondi, i volumi per annessi rustici, le destinazioni d'uso, i limiti e le modalità di ampliamento delle residenze agricole esistenti anche in relazione alle attività per l'agriturismo, le realizzazioni di abitazioni per famigliari; analogamente la deroga potrà essere esercitata per la localizzazione e la realizzazione di aziende artigiane e per la piccola industria.
La possibilità e i limiti entro cui dovranno essere esercitati i poteri di deroga dovranno essere espressamente stabiliti dal piano regionale generale nel quale inoltre dovranno essere stabiliti, a garanzia e tutela delle finalità pubbliche della deroga, opportuni strumenti quali la obbligatoria sottoscrizione di atti di vincolo, con durata pari a quella del P.R.G., e la previsione di interventi sanzionatori e repressivi da recepire in ogni concessione edilizio data in deroga.
Esaminando più in dettaglio la vigente normativa si indicano le seguenti modifiche.
Per quanto riguarda la L. n. 62 del 1978 occorre rivedere le norme e i parametri contenuti nelle tabelle che rendono più oneroso il
costo delle concessioni edilizie rilasciate su terreni a maggiore pendenza. Tali norme, se da un lato sono finalizzate a recuperare i maggiori oneri sopportati dalla collettività per urbanizzare i terreni non pianeggianti, dall'altro risultano punitive e costituiscono un grave limite alla edificazioni delle aree montane.
Una analoga modifica deve essere approvata alla L. n. 40 del 1980 laddove, all'articolo 82, sono stabilite le norme per la determinazione dell'incidenza degli oneri di urbanizzazione: è necessario approvare opportune riduzioni degli oneri di urbanizzazione a carico delle singole concessioni, garantendo conseguentemente la possibilità di finanziamenti pubblici alternativi.
Le modifiche e le integrazioni da apportare alla L. n. 40 del 1980, oltre che la definizione formativa della deroga, riguardano, in linea di massima, i seguenti punti che dovranno formare oggetto di direttive generali da specificare nella normativa di piano regolatore generale:
- la riduzione degli standard urbanistici relativi alle dotazioni di verde pubblico, soprattutto per i piccoli comuni nei quali la natura stessa dei luoghi è sufficiente garanzia;
- la modificazione dell'art. 23, prevedendo, per le aree di montagna, la possibilità di elevare i limiti di densità edilizia territoriale e ciò per gli evidenti motivi di buon utilizzo della scarsa risorsa territoriale.
Sempre con riferimento alla L. n. 40 del 1980, e in particolare all'art. 101, nella prospettiva di attribuzione alle province della competenza alla redazione del piano territoriale comprensoriale, andranno precisate le relazioni tra tale piano e la parte territoriale del piano generale di sviluppo redatto dalle Comunità montane. Fermo restando che, anche per l'area montana, la pianificazione del territorio è definita su tre livelli si riconosce la validità della proposta territoriale formulata dalle Comunità montane, nell'ambito del piano generale di sviluppo, che dovrà essere coordinata e recepita dal livello provinciale.
Per quanto riguarda la L. n. 58 del 1978 occorre procedere a modifiche dettate dalla necessità di tener conto dei caratteri peculiari dell'agricoltura di montagna quali il “part-time”, il frazionamento della proprietà, la minima possibili la di meccanizzazione del lavoro e il più elevato costo di costruzione. Occorre pertanto che nella legge sulla edificabilità in zona agricola si proceda alla definizione di normative generali sui seguenti elementi:
- le superfici minime vitali per le aziende agricole montane debbono essere opportunamente ridotte;
- deve essere rapportato al confine comunale il raggio entro il quale sono computabili le proporzioni di terreno costituenti il fondo;
- occorre mettere in relazione le possibilità di edificare gli annessi rustici con le necessità effettive del terreno e non con la superficie complessiva dell'azienda;
- l'indice di fabbricabilità relativo agli annessi rustici deve essere più elevato considerato che in montagna le necessità sono proporzionalmente maggiori che in pianura;
- deve essere prevista la possibilità di costruire non in aderenza nel caso di preesistenza, contemperando le norme urbanistiche con le concrete realtà aziendali;
- la possibilità di ampliamento in caso di abitazioni riunite in un'unica costruzione o di complessi originariamente uni-familiari, ma con proprietà molto frazionate a causa delle numerose successioni ereditarie;
- è necessario permettere, entro certi limiti, l'edificazione di residenze anche a chi trae solo parzialmente il proprio reddito dall'agricoltura, ma che manifesta il desiderio di rimanere in loco in condizioni di vita accettabili. A tale scopo è necessario rapportare la definizione di effettivo esercizio dell'attività agricola, così come più dettagliatamente specificato nello specifico capitolo, a parametri di tempo di lavoro e di reddito ricavato più contenuti rispetto agli attuali;
- è necessario stabilire un regime favorevole alla espansione dell'attività agroturistica.
Il recupero del patrimonio edilizio esistente costituisce un aspetto di particolare interesse economico, culturale e di salvaguardia ambientale nelle aree montane; la Regione è impegnata a promuovere adeguate azioni per il recupero del patrimonio edilizio, per ridurre le nuove espansioni dei centri, e per favorire l'utilizzazione da parte dei residenti usufruendone anche a fini ricettivi turistici.
c) settore trasporti.
I miglioramenti da apportare riguardano principalmente la legislazione per impianti di funicolari aeree e terrestri per trasporto di persone in servizio pubblico e piste da sci.
Nel settore impianti a fune e piste da sci occorre procedere alla razionalizzazione del sistema, così come più dettagliatamente specificato al capitolo 3.4. in ordine alle direttive per il turismo.
È innanzitutto necessario procedere al rifinanziamento delle leggi regionali in materia e cioè la L. n. 52 del 1975, L. n. 9 del 1977 e la L. n. 54 del 1979; occorre inoltre operare modifiche per il necessario snellimento delle procedure al fine di razionalizzare e concentrare in un unico organo consultivo le verifiche preliminari al rilascio delle autorizzazioni.
In ordine alla L. n. 11 del 1975, relativamente alle piste da sci esistenti, occorre rivedere la discrezionalità degli esercenti di richiedere o meno il riconoscimento.
Poiché per le piste esistenti i concessionari il più delle volte non dispongono di documenti legali per i passaggi, ma solo di autorizzazioni verbali, come tuttora in uso in montagna e considerato che il montanaro è restio a rilasciare scritti, è opportuno che limitatamente alle piste esistenti la dimostrazione della disponibilità dei suoli venga sostituita da una dichiarazione del richiedente stesso. In questo modo sarà agevole sottoporre a riconoscimento tutte le piste.

4.3. Le leggi nei settori dei servizi

Si esaminano di seguito i settori del commercio e del turismo; è chiaro che dal punto di vista dello sviluppo della montagna, il turismo, in particolare, è da rivedere come fattore produttivo e cioè come industria che è capace di espandere le occasioni di reddito a favore della popolazione della montagna. In tal senso le verifiche legislative sono proposte non solo per migliorare un servizio, che è anche a vantaggio diretto dei residenti, ma ancor più per migliorare gli aspetti produttivi.
In altri settori quali, a esempio, quello socio-sanitario, quello scolastico e delle attrezzature pubbliche, non si pongono particolari esigenze di verifiche della legislazione vigente; è piuttosto necessario riaffermare la specificità delle questioni anche per questi settori e la conseguente esigenza di soluzioni coerenti.
a) commercio
Le possibili verifiche legislative riguardano i meccanismi della L.R. n. 77 del 1979 per finanziare attività commerciali e ricettive (commercio fisso, ambulanze, pubblici esercizi); ciò comporta più che una sostanziale modifica della legge, una diversa impostazione, che comprenda anche specifiche finalizzazioni per la montagna, in ordine alle tipologie che più si adattano alla situazione economica e insediativa della montagna e del piano di riparto annuale; anche per tale settore si rende necessario un incremento della dotazione finanziaria.
Un secondo tipo di intervento riguarda l'emanazione di direttive specifiche per le zone montane per la formazione e la revisione dei piani commerciali comunali, riprendendo del resto le articolazioni per le zone montane già contenute nei “Criteri regionali di programmazione attinenti alle grandi strutture di vendita”.
b) turismo
La normativa riguardante il turismo risulta di notevole ampiezza e interessa i vari aspetti organizzativi e promozionali di tale settore: anche per questo settore un'esigenza ricorrente è quella di poter contare su più consistenti finanziamenti da riservare in particolare per le aree di montagna.
Al fine di rendere più efficace l'azione pubblica la Regione è impegnata ad attuare entro tempi brevi la riorganizzazione istituzionale e funzionale delle strutture operanti nel settore.
Tale riorganizzazione dovrà basarsi sull'istituzione di agenzie turistiche che, a superamento degli enti provinciali per il turismo e delle aziende autonome di cura e soggiorno, opereranno, anche in forma decentrata, per bacini turistici omogenei ed eserciteranno le funzioni unitamente ai comuni, nell'ambito delle rispettive competenze.
È inoltre prevista l'istituzione di una struttura per la promozione e la commercializzazione del turismo con il compito di curare tale attività e il coordinamento delle iniziative promozionali delle agenzie nonché l'attivazione dei piani pluriennali e dei programmi annuali dell'attività turistica.
Pertanto la revisione legislativa dovrà essere coerente e conseguente al nuovo assetto organizzativo nel settore.
Secondo momento fondamentale di modifica della nostra legislazione riguarda la legge n. 28 del 1979 e successivi rifinanziamenti per la riqualificazione e il potenziamento ricettivo e turistico con interventi prioritari per le zone depresse.
Anche nell'ambito della L. n. 93 del 1979 sul turismo sociale sono da apportare quelle innovazioni che riguardano l'incentivazione, soprattutto nella montagna, del turismo della cosiddetta terza età e che possono anche favorire il turismo giovanile.
Per dare poi certezza e punti di riferimento omogenei e moderni agli operatori turistici, è importante definire le leggi di classificazione che regolano l'attività alberghiera, l'attività extralberghiera e l'attività in complessi ricettivi all'aperto ora disciplinata dalla L.R. n. 56 del 1979.
Il decentramento in settori locali dei controlli previsti dalla L. n. 60 del 1979 e la conseguente accelerazione delle procedure consentirà migliore promozione delle attività sportive e ricreative.
Altro aspetto importante per lo sviluppo del turismo in montagna riguarda l'organizzazione del soccorso alpino e la conoscenza del patrimonio alpinistico. In proposito devono essere migliorate rispettivamente la legge n. 62 del 1979 e la legge n. 31 del 1981 al fine di incentivare la propaganda alpinistico-naturalistica e la prevenzione degli infortuni in montagna.
Infine nella L. n. 99 del 1979 circa la disciplina e l'organizzazione dell'insegnamento dello sci e delle scuole di sci nella Regione, in stretta relazione con lo sviluppo degli sport invernali (cap. 3.4) va inserita l'istituzione di corsi di formazione professionale per
maestri di sci a beneficio di tutte le aree sciabili.

4.4. Le leggi nei settori produttivi

Il capitolo riguarda essenzialmente le leggi inerenti la materia dell'artigianato, dell'agricoltura e delle foreste.
Per quest'ultimo settore, che da sempre agisce direttamente per i territori montani, si hanno consolidate forme normative e di intervento coerente agli obiettivi di sviluppo e tutela della montagna.
a) artigianato
Per quanto concerne il credito agevolato, operano la L.R. 15 dicembre 1981, n. 70 , sul credito di esercizio e la L.R. 29 dicembre 1981, n. 80 , sugli investimenti produttivi a medio termine.
Relativamente al credito di esercizio, la L.R. n. 70 del 1981 disciplina tre direttrici di intervento: il consolidamento mediante il rinnovo dello statuto e l'accorpamento delle cooperative artigiane di garanzia in organismi di livello e operatività provinciale; il finanziamento delle stesse cooperative attraverso interventi contributivi; la concessione di concorsi sugli interessi alle imprese artigiane nella misura del 3 per cento per prestiti di importo massimo fino a 5 milioni di lire in linea capitale elevati al 5 per cento e per un importo di 10 milioni di lire, per le imprese artigiane operanti nelle aree definite marginali e di transizione dal programma regionale di sviluppo.
In merito al credito a medio termine, la L.R. n. 80 del 1981 istituisce tre tipi di concorso finanziario: per i mutui erogati dall'Artigiancassa, per operazioni di locazione finanziaria effettuate da società di “leasing”, per crediti a medio termine garantiti dalle cooperative artigiane di garanzia fino a 20 milioni di lire per una durata non superiore ai 36 mesi. La legge inoltre introduce la differenziazione dei tassi nel territorio con una aliquota preferenziale per le imprese localizzate nelle aree definite marginali dal P.R.S. o nei settori in grave crisi occupazionale.
Inoltre viene istituita una priorità, recentemente precisata con provvedimento della Giunta regionale, a favore delle aree marginali e di transizione con l'assegnazione dell'80 per cento dei contributi a valere su tutte le operazioni di credito dell'Artigiancassa e delle cooperative artigiane di garanzia e sulle operazioni di “leasing”.
Infine, in materia di insediamenti produttivi, è ormai operativa la L.R. 24 novembre 1981, n. 63 , per la contribuzione ai fini della formazione di aree attrezzate per l'artigianato.
In base a tale legge sono stabilite delle particolari priorità e delle incentivazioni finanziarie maggiorate per l'attuazione di interventi nelle aree marginali e di transizione. In base agli elementi disponibili, risulta che la richiesta e il conseguente attingimento di comuni e consorzi operanti nelle aree marginali sarà particolarmente elevato e che pertanto la normativa avrà un notevole risultato agli effetti dell'equilibrio anche delle aree montane.
b) agricoltura e zootecnia
Le direttive date alle Comunità montane sugli interventi da programmare e attuare in agricoltura costituiscono anche un impegno della Regione ad adeguare la propria legislazione alle esigenze che ivi sono state espresse e che la prima applicazione della L. n. 88 del 1980 e del suo stralcio, L. n. 36 del 1980, hanno messo in evidenza.
Le modifiche da apportare riguardano sia l'aspetto normativo che finanziario. Le modifiche finanziarie dovranno tener conto anche
del fatto che l'agricoltura di montagna non partecipa alla maggior parte delle provvidenze a sostegno delle produzioni vegetali.
L'art. 7 della L. n. 88 del 1980 prevede che soltanto dopo l'approvazione dei piani zonali la concessione dei benefici previsti dalla legge potrà essere deliberata dai consigli delle Comunità montane territorialmente competenti; occorre modificare tale normativa per abilitare le Comunità montane alla concessione dei benefici fin dal momento dell'approvazione del “Piano generale di sviluppo”.
Si ricorda, poi, che le Comunità montane (art. 16) potranno avvalersi per l'espletamento delle funzioni a esse attribuite degli uffici periferici della Regione per l'istruttoria e il controllo tecno-amministrativo degli interventi previsti dal piano.
Altra modifica riguarda le caratteristiche dei beneficiari degli interventi (articolo 4), che nelle zone montane dovranno essere meno vincolanti per le ragioni che sono state espresse nel paragrafo delle direttive. La modifica dovrà consentire di poter adire ai benefici prescindendo dal requisito di imprenditore a titolo principale, estendendoli a tutti coloro che, con qualsiasi titolo legittimo, esercitano attività agricola in zona montana. Resta fermo l'obbligo della compilazione del piano di sviluppo aziendale e interaziendale previsto dall'art. 3. Tale piano è indispensabile anche per poter graduare secondo le difficoltà ambientali e strutturali il livello degli interventi.
L'applicazione, prima della L. n. 36 del 1980 e ora della L. n. 88 del 1980, ha dimostrato che l'urgenza e la gravità dei problemi della montagna richiede una entità degli interventi regionali superiore a quella prevista da queste leggi.
Per quanto riguarda i contributi in conto interessi è necessario, perciò, modificare l'articolo 65 della L. n. 88 del 1980, il quale prevede un contributo prestabilito a carico della Regione con un massimo pari al 9% nelle zone di pianura e del 12% nei territori classificati montani e un tasso a carico del beneficiario pari alla differenza con quello di riferimento e in ogni caso mai inferiore rispettivamente al 6% e al 4%.
La modifica da apportare dovrà consentire che nelle zone montane il contributo in conto interessi a carico della Regione sia variabile in relazione al mutare del tasso di riferimento, così da garantire un tasso a carico del beneficiario e sganciato dalla dinamica dei tassi di mercato.
Per quanto riguarda i contributi in conto capitale essi dovranno essere aumentati procedendo a una revisione articolo per articolo, tenendo conto della maggiore urgenza e convenienza economica dei diversi tipi di intervento. In ogni caso dovrà essere preso in considerazione un opportuno dosaggio fra le contribuzioni dirette in conto capitale e gli interventi di credito agevolato; inoltre, i contributi in conto capitale non potranno mai ragguagliarsi al totale costo degli investimenti, salvo che non si tratti di opere pubbliche.
Al fine di graduare il livello degli interventi alle effettive difficoltà ambientali e strutturali essi potranno essere differenziati in relazione alla altitudine e alla pendenza media dei terreni delle aziende richiedenti, dati che potranno essere rilevati dai piani di sviluppo aziendale.
Poiché nelle zone montane sono frequenti rapporti di conduzione a titolo precario, quando la richiesta riguardi la formazione e l'ampliamento di imprese coltivatrici dirette economicamente valide a norma delle L. n. 85 del 1979, potrà essere previsto, oltre che la riduzione degli interessi a carico del beneficiario come visto sopra, anche la concessione di garanzia fideiussoria da parte dell'E.S.A.V.
Altre modifiche che riguardano articoli della L. n. 88 del 1980, che interessano interventi specifici per l'agricoltura montana sono i seguenti:
- modifica dell'articolo 29, estendendo i benefici di tale articolo anche alla realizzazione di “Centri di svezzamento”, parificandoli a tutti gli effetti alle strutture per la valorizzazione e la difesa delle produzioni agricole e zootecniche;
- modifica dell'ordine e del tipo di priorità previsto dall'articolo 32, ponendo al primo posto nelle aree montane l'ammodernamento e il potenziamento delle strutture zootecniche e inserendo al secondo posto la costruzione, l'ampliamento e il radicale riattamento dei fabbricati rurali destinati ad abitazione di coltivatori diretti, anche quando gli altri membri della famiglia non esplichino prevalentemente attività agricole;
- un'altra modifica da apportare a questo articolo riguarda l'estensione dei benefici anche alla realizzazione di piccoli impianti aziendali per la produzione di energia elettrica. Per tali impianti potrà essere prevista in alternativa la concessione di contributi in conto capitale fino al 50% della spesa ritenuta ammissibile;
- modifica dell'articolo 35, prevedendo sussidi per la produzione di manze gravide pari alla differenza, da determinarsi annualmente
da parte degli ispettorati dell'agricoltura operanti in province montane, tra il costo di allevamento e il prezzo di mercato;
- modifica dell'articolo 47, prevedendo tra le iniziative da finanziare per lo sviluppo dell'agricoltura anche l'allestimento di piccole aree attrezzate aziendali destinate al campeggio con “roulotte” e tende per un limitato numero di posti, purché gestite direttamente dal titolare dell'azienda.
Data l'importanza dell'assistenza tecnica in generale e in particolare per queste aree e data la difficoltà che è stata riscontrata di costituire gruppi di imprenditori e co-imprenditori pur nel numero ridotto di 15 previsto per le aree montane dall'articolo 23, tale numero sarà ulteriormente abbassato. Altro impegno che si assume la Regione in questo settore è quello di stabilire modalità che garantiscano un collegamento tra l'istruzione professionale e l'assistenza tecnica. Ciò richiederà una revisione generale della legislazione oggi in vigore, la cui esigenza è sentita particolarmente in montagna data la specificità degli ordinamenti colturali e dell'ambiente.
Altra revisione generale che dovrà essere attuata è quella che interessa la L. n. 58 del 1978 che disciplina la “Edificabilità e la tutela delle zone rurali”. Di tale revisione che è richiesta da più parti nelle campagne e soprattutto nelle zone montane, dove i vincoli orografici già limitano notevolmente la edificabilità dei suoli, si sono già date le direttive al precedente capitolo 4.2.
Un apporto ulteriore all'economia dell'agricoltura montana, a dimostrazione dell'urgenza con cui la Regione intende affrontare i suoi problemi, sarà, poi, l'aumento dell'indennità compensativa, limitatamente alle aree montane, come previsto da un disegno di legge
nazionale ancora in itinere.


Capitolo 5 Le direttive per i piani di sviluppo.

5.1. Gli antefatti legislativi

Il piano generale di sviluppo delle Comunità montane, in quanto espressioni e di esigenze e di scelte determinate a livello locale, costituisce lo strumento fondamentale per l'organizzazione del futuro della montagna, in coerenza con il principio assunto che il governo di queste aree non può che essere affidato agli stessi montanari.
Il piano di sviluppo, secondo la vigente normativa, partendo da un esame conoscitivo della realtà della zona, tenuto conto anche degli strumenti urbanistici esistenti a livello comunale o intercomunale e dell'eventuale piano generale di bonifica montana, prevede le concrete possibilità di sviluppo nei vari settori economici, produttivi, sociali e dei servizi. A tale scopo deve indicare il tipo, la localizzazione e il presumibile costo degli investimenti atti a valorizzare le risorse attuali e potenziali della zona e la misura degli incentivi a favore degli operatori pubblici e privati in relazione alle disponibilità finanziarie previste da leggi regionali e nazionali.
Per quanto riguarda l'attuazione del piano occorre ricordare che la comunità montana può realizzare in proprio i programmi ovvero può delegare ad altri enti, di volta in volta, le realizzazioni attinenti alle specifiche funzioni nell'ambito della rispettiva competenza territoriale.
Le opere previste nei piani generali di sviluppo sono dichiarate di pubblica utilità, urgenti e indifferibili a tutti gli effetti di legge; in pendenza dell'approvazione del piano, l'urgenza e l'indifferibilità di tali opere viene riconosciuta con l'atto di approvazione dei progetti esecutivi delle opere stesse.

5.2. Il meccanismo finanziario

Con il presente “Progetto” viene riaffermata l'esigenza di non prevedere, nella redazione dei piani generali di sviluppo, interventi difficilmente realizzabili, sia perché disancorati dalle effettive condizioni economico-sociali locali e dal complesso delle relazioni economiche, sociali e territoriali intercorrenti con le aree più vaste (regionale, nazionale, ecc.) sia perché formulati facendo astrazione da realistiche e concrete capacità di copertura finanziaria.
Tale esigenza di realismo, lungi da presentarsi come una forma di limitazione dell'autonomia delle Comunità montane, risulta motivata da considerazioni tecnico-politiche: la soluzione ai problemi delle aree di montagna e l'avvio del processo di recupero, valorizzazione e crescita delle risorse locali, richiede innanzitutto garanzie di fattibilità e concreta operatività per i piani di sviluppo.
In tal senso le Comunità montane, nella individuazione delle strategie globali di azione e degli specifici interventi settoriali, dovranno tenere costantemente presente tale fondamentale condizione di operatività dei piani facendo riferimento al quadro delle scelte e delle disponibilità dalla vigente legislazione e programmazione regionale nonché a eventuali disponibilità aggiuntive provenienti dagli enti locali.
In particolare, per quanto concerne le scelte che comportano oneri di natura finanziaria, è indispensabile che le comunità nell'approvazione dei P.G.S. colleghino i singoli interventi alle specifiche leggi di spesa che assicurano il supporto finanziario idoneo a garantire la concreta possibilità di realizzazione delle scelte comunitarie.

5.3. Carattere intersettoriale del piano generale di sviluppo

Le particolari condizioni di fragilità degli equilibri fisico-ambientali e socio-economici nelle zone di montagna comportano che, più che in altre aree, siano qui adottati metodi di pianificazione unitari.
I piani generali di sviluppo, analogamente a quanto assunto per il presente “Progetto”, dovranno quindi determinare gli interventi secondo logiche decisionali intersettoriali e promuovere pertanto il coordinamento delle politiche di intervento tra i differenti settori, sia tra i settori produttivi più determinati per lo sviluppo della montagna, quali la difesa idrogeologica, gli interventi di rimboschimento, l'agricoltura-zootecnica, l'artigianato, il turismo, sia tra i settori complementari allo sviluppo, quali l'ambiente, l'edilizia abitativa, i lavori pubblici, i servizi sociali e civili.
In tal senso le Comunità montane informando i piani generali di sviluppo a un'ottica di natura intersettoriale, direttamente rispondenti alle specifiche situazioni locali, potranno creare le condizioni idonee a indurre un processo di crescita equilibrata, poggiante sulla integrazione delle diverse componenti del sistema economico-sociale locale, e compatibile col vincolo della salvaguardia e della corretta utilizzazione delle risorse economico-ambientali.
Il rapporto di complementarità tra i diversi settori permetterà inoltre di sviluppare forme produttive adatte a esaurire in loco l'intero processo, aumentando il valore aggiunto locale e inducendo occupazione per i residenti. In tale prospettiva si ritiene importante che da parte delle Comunità montane e degli enti locali sia promossa e incentivata la costituzione di cooperative di giovani per la produzione di servizi.

5.4. Pianificazione regionale e pianificazione delle Comunità montane

I documenti di programmazione regionale e quindi anche il presente progetto costituiscono le premesse e il riferimento per la elaborazione o la verifica dei piani generali di sviluppo delle Comunità montane.
Gli obiettivi della programmazione regionale, che consistono essenzialmente nella difesa dell'occupazione e nella politica del riequilibrio territoriale, prevedono per la montagna l'ulteriore finalità del contenimento dell'esodo e del graduale riequilibrio della struttura demografica: a tali obiettivi andranno rapportati quelli dei piani generali di sviluppo.
Rispetto alla programmazione al livello regionale, che è a carattere generale, quella delle Comunità montane costituisce lo strumento per la definizione delle azioni concrete tramite le quali costruire l'ordinato sviluppo della comunità.

5.5 Riferimenti metodologici per la formazione del piano generale di sviluppo

Il presente capitolo offre alle comunità uno schema di riferimento per la redazione o la revisione dei piani generali di sviluppo.
In sintesi, quindi, sotto l'aspetto metodologico, il piano comunitario dovrà realizzarsi attraverso queste fasi:
a) quadro conoscitivo dell'assetto socioeconomico e territoriale dell'area: per la redazione del piano occorre anzitutto una verifica dello stato del territorio, delle risorse fisiche esistenti e delle condizioni di fatto; in secondo luogo è necessaria una verifica nella situazione socio-economica in atto, nei suoi aspetti demografici, delle attività produttive e delle dotazioni esistenti di servizi sociali; infine occorre procedere a una ricognizione dei programmi in atto da parte degli enti che operano nell'area (a esempio piani regolatori, i piani di fabbricazione, i piani di bonifica, piani zonali, agricoli, i programmi delle aziende di turismo ecc.), nonché dei provvedimenti comunque interessanti la vita della comunità (regolamenti comunali, leggi regionali, nazionali);
b) definizione degli obiettivi di sviluppo: è questa la parte più significativa e dove si realizza compiutamente l'autonomia della comunità mediante l'assunzione di un atto squisitamente politico, rispetto al quale l'apporto tecnico non può e non deve che essere subordinato e complementare. Nella definizione degli obiettivi si dovrà tener conto delle relazioni, almeno con il territorio circostante, e quindi la necessità di uno stretto collegamento, in questa fase, con le comunità ovvero con i comprensori confinanti.
Di particolare interesse per questa problematica è il tema dei trasporti, in particolare per quelli a uso collettivo, laddove il problema non sia limitato alle funzioni di raccolta e distribuzione del traffico su brevi distanze, ma quando si abbia ad affrontare il problema stesso in termini di bacino di traffico, così come previsto dagli orientamenti generali programmatici regionali, con il coinvolgimento di aree di ben maggiore dimensione rispetto a quelle delle singole comunità; considerazioni analoghe possono svolgersi sul tema degli impianti di risalita che, ovviamente sul piano generale, non possono essere visti in funzione di una sola comunità. Va infine precisato che, protezione dell'ambiente fisico, difesa idrogeologica, salvaguardia dei valori umani e culturali, privilegio del settore primario e in particolare della zootecnia, in quanto grandi finalità della programmazione regionale nei confronti della montagna, rappresentano, nella fase propositiva del piano comunitario, i limiti entro i quali deve esplicarsi l'autonomia delle comunità;
c) definizione degli strumenti e delle azioni di intervento: verificata la compatibilità tra gli obiettivi di sviluppo con le risorse esistenti e potenziali, vanno individuate le azioni di intervento, con le rispettive priorità, il tutto anche secondo una formulazione per progetti; in questa sede dovrà altresì individuarsi la strumentazione atta al perseguimento di quanto espresso nelle azioni di intervento nonché quella attinente alla gestione del piano stesso. In particolare dovranno essere indicati, con rifermento alla vigente legislazione, i mezzi finanziari necessari alla realizzazione di ciascuna azione e l'eventuale articolazione temporale della spesa.
Gli accennati riferimenti metodologici sono stati mantenuti intenzionalmente in forma sintetica e vogliono avere solo carattere esemplificativo, senza quindi la pretesa di costituire una rigida normativa. In quanto responsabili della redazione dei piani, dovranno infatti essere le singole comunità a dotarsi della strumentazione di piano più rispondente alle specifiche esigenze.
Lo schema indicato costituisce peraltro un punto di riferimento comune, in termini minimali, anche al fine di una visione coordinata, a livello regionale, dei vari piani.
Si vuole tuttavia sottolineare, come direttiva di carattere generale, l'opportunità di non dimostrare la completezza e la profondità del piano con un certo numero di volumi ovvero con una cospicua dotazione cartografica; al riguardo il documento di piano dovrà essere quanto mai agile e, in particolare per la parte conoscitiva, contenere solo una ristretta e schematica sintesi delle ricerche o delle elaborazioni, rinviando ogni dettaglio a eventuali allegati specifici, il tutto per consentire una lettura non dispersiva e una agevole e rapida presa di coscienza dei punti nodali e propositivi del piano. Occorrerà anche che, nello svolgimento dell'attività tecnico-conoscitiva, siano evitate operazioni che comportino oneri finanziari rilevanti, mentre, sempre nell'ottica di una offerta di conoscenza, va ribadita l'utilità per le singole comunità di operare in collaborazione e in parallelo con le strutture tecniche regionali e degli altri enti locali, ai vari livelli, anche per poter avvalersi nella misura più ampia e integrata possibile della documentazione e delle informazioni più aggiornate.
Con il presente “Progetto” viene dato concreto avvio alla formazione del sistema informativo della montagna: allorché tale sistema sarà operante garantirà una costante disponibilità delle informazioni necessarie alla attività di programmazione.
Per quanto concerne il piano territoriale di coordinamento, proprio per la stretta saldatura fra gli aspetti economici e quelli urbanistici, esso deve a sua volta costituire la traduzione in termini territoriali- spaziali del piano di sviluppo economico, consentendo quindi, attraverso le analisi del territorio, una verifica delle scelte della comunità montana.
In attuazione delle direttive precisate al capitolo 4.2, il rapporto fra piano territoriale, allegato al piano generale di sviluppo, e i tre livelli nei quali è articolato il processo di pianificazione nella Regione sarà definito al momento della revisione legislativa che avrà per oggetto la L.R. 27 marzo 1973, n. 11 e la L.R. 2 maggio 1980, n. 40 .

5.6. Programmi stralcio annuali e programmi annuali di spesa

La L.R. 27 marzo 1973, n. 11 , precisa che “sulla base del piano generale di sviluppo, il consiglio della comunità montana adotta ogni anno un programma annuale contenente le opere da eseguirsi e gli interventi, nonché i relativi oneri di spesa”.
Detta norma è in stretta derivazione a quanto indicato dalla legge nazionale n. 1102 del 1971 laddove si dice che “gli organi regionali provvederanno annualmente, sulla base della ripartizione compiuta a norma del precedente articolo 4, a finanziare programmi-stralcio che ciascuna comunità montana dovrà presentare entro il 30 settembre. La comunità montana, ottenuto l'affidamento dello stanziamento annuale, provvederà alla redazione del proprio bilancio preventivo nel rispetto delle forme previste dalla legge”.
La normativa nazionale e regionale prevede quindi degli stralci annuali, legati al bilancio preventivo, del piano generale e non può non rivelarsi il divario tra durata del piano generale e programmi annuali; in effetti il piano generale per gli aspetti urbanistici è sostanzialmente atemporale, mentre per quelli economici lo stesso limite quinquennale solitamente adoperato può apparire inadeguato. In tal senso nel documento di piano generale dovrebbe essere inserita una indicazione di piano stralcio di natura pluriennale, cui far riferimento nella presentazione dei programmi di stralcio annuali previsti dalla legge.
Un cenno infine per i programmi annuali di spesa, di cui all'articolo 19 della L. n. 1102 del 1971 e all'articolo 13 della L.R. n. 11 del 1973, essi non sono da confondere con i precedenti, la cui elaborazione è prevista in attuazione dei piani generali di sviluppo, ma sono un documento alternativo da utilizzare, con analoghi obiettivi di razionale coordinamento degli interventi, fino all'approvazione del P.G.S.

5.7 . I piani di sviluppo già adottati

I piani di sviluppo pervenuti alla Regione costituiscono un utile apporto di conoscenza delle esigenze e volontà espresse a livello locale e in tale senso sono della massima utilità per la stessa definizione del presente progetto.
In ordine alle questioni poste per la loro approvazione, e in particolare alla eccessiva ristrettezza del termine dei 60 giorni entro il quale dovrebbero essere assunte le determinazioni regionali, si specifica quanto segue:
- i piani generali di sviluppo che risultano completi sotto il profilo dei contenuti e delle procedure sono efficaci una volta trascorso il periodo di 60 giorni di cui all'articolo 5 della L. n. 1102 del 1971;
- le Comunità montane dovranno, anche in presenza di piani efficaci, valutare l'esigenza di adeguare i loro piani alle direttive del presente progetto anche al fine di rendere operativi gli interventi previsti a livello regionale;
- le Comunità montane, fin dalla fase di elaborazione del piano generale di sviluppo, dovranno garantire tempestività di informazione degli uffici regionali e provvedere comunque a trasmettere alla Regione copia del piano fin dal momento della prima adozione completando poi l'inoltro dei documenti una volta eseguiti gli ulteriori adempimenti procedurali previsti dalla legge.


Capitolo 6 Gli strumenti strategici per lo sviluppo della montagna

6.1. Conferenza permanente per la programmazione nelle aree montane

Al fine di attuare le necessarie forme di controllo e verifica in ordine del presente “Progetto montagna” la Regione indice la “Conferenza permanente per la programmazione nelle aree di montagna”.
La “Conferenza” è formata dai presidenti delle Comunità montane, dai presidenti delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Verona, dai sindaci di tre comuni montani designati dall'A.N.C.I. ed è presieduta dal Presidente della Giunta regionale o da un assessore regionale da lui delegato.
La prima riunione della “Conferenza” è convocata dal Presidente della Giunta regionale entro tre mesi dalla data di approvazione del presente progetto e avrà luogo presso la sede di una delle Comunità montane. Nella prima seduta la conferenza approva il proprio “regolamento” in base al quale sarà disciplinato il funzionamento della conferenza stessa; mediante il “regolamento” si dovranno stabilire tra l'altro:
- le modalità per la convocazione delle riunioni e per la validità delle stesse;
- le modalità di presentazione e di approvazione dei documenti;
- le modalità per il finanziamento delle attività della conferenza e, in particolare, per quelle relative al “Comitato tecnico-scientifico” di cui al successivo paragrafo;
- la località presso cui avrà sede e si terranno le riunioni; la sede dovrà essere presso una delle Comunità montane e potrà essere variata di anno in anno;
- le modalità per la nomina del segretario della conferenza che sarà scelto tra i funzionari dirigenti della comunità montana sede temporanea delle conferenza.
La proposta di “regolamento” è predisposta dalla Giunta regionale di intesa con le Comunità montane e le province interessate.
La conferenza si riunisce almeno una volta all'anno per l'approvazione del documento sullo “stato di attuazione della programmazione nelle aree di montagna”, come di seguito specificato, si riunisce inoltre nei termini indicati dal regolamento e comunque ogni qualvolta ne facciano richiesta, congiunta e motivata, almeno un terzo dei componenti.
I compiti della “Conferenza” consistono essenzialmente in attività di indirizzo, verifica, controllo e coordinamento dell'attività di programmazione nelle aree della montagna veneta. In particolare la “Conferenza” provvede alla:
- presentazione alla Giunta regionale, per la trasmissione al Consiglio regionale, entro il mese di agosto di ciascun anno, del documento sullo “Stato di attuazione della programmazione nelle aree montane” - Il documento che conterrà anche le indicazioni di previsione è recepito nella relazione sullo stato di attuazione del piano che la Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 59 dello Statuto, presenta ogni anno al Consiglio regionale entro il 15 di settembre;
- approvazione di raccomandazioni alle Comunità montane e alle province interessate in ordine al coordinamento di interventi che interessano più comunità;
- approvazione di raccomandazioni alla Regione in ordine alla programmazione e alle decisioni da assumere per i territori di montagna;
- definizione delle direttive per l'attività del “Centro studi per la cultura e la tecnologia nelle aree montane”;
- progettazione e attuazione del sistema informativo della montagna.
La conferenza definisce inoltre il proprio orientamento in relazione alla politica delle deleghe e dell'assetto istituzionale e approva, in merito, specifiche raccomandazioni al Consiglio regionale.

6.2. Il centro studi per la cultura e la tecnologia delle aree montane

Il processo di disgregazione del tessuto economico-produttivo e sociale nelle aree montane e collinari è stato accelerato, per il settore agricolo-forestale, ma anche per altri settori produttivi e di servizio, dalla mancata disponibilità di una tecnologia idonea e innovativa rispondente alle particolari esigenze e difficoltà di tali aree, essendo per contro tale tecnologia ampiamente disponibile nella pianura.
In pianura, stante l'ampiezza dei mercati disponibili, l'impresa privata, in particolare per il settore agricolo, ha prodotto pacchetti completi di nuove tecnologie tra loro interconnesse e adeguate a migliorare l'efficacia complessiva del singolo settore di intervento.
Per le aree di montagna in via di abbandono, si constata un ritardo nel settore della tecnologia e inoltre quello che è stato fatto è, in genere, limitato come quantità e qualità, per lo scarso interesse delle imprese private a produrre innovazioni per la montagna che si presenta attualmente come un mercato incerto e per lo più di limitate dimensioni in termini quantitativi.
Questa carenza è particolarmente grave nel settore della agricoltura; ne consegue che, volendo fare una politica di recupero e di sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali in montagna, occorrerà promuovere e produrre una tecnologia moderna e adeguata da mettere a disposizione degli operatori agricoli in questi territori.
Altro settore nel quale è constatabile un ritardo di interesse è quello degli studi e delle ricerche in particolare sulle problematiche di natura socio-economica connesse con le questioni dello sviluppo della montagna; tali studi, per la particolare situazione di precario equilibrio strutturale diffuse in quest'area, dovrebbero essere caratterizzate da un elevato grado di approfondimento dei diversi aspetti e da tempestività nella raccolta, elaborazione e messa a disposizione delle informazioni.
Per superare le carenze sopra esposte la Regione istituisce il “Centro studi per la cura e la tecnologia delle aree montane” il cui compito principale consiste nella promozione di ricerche e studi di carattere culturale, sociale ed economico e per la messa a disposizione e utilizzazione delle più recenti tecnologie nei settori produttivi con particolare riferimento a quelli dell'agricoltura, foreste e zootecnia nelle aree montane. Il centro acquisirà anche esperienze e risultati di quanto è stato positivamente attuato nelle aree montane delle regioni alpine contermini, provvedendo in tal senso, tramite la Giunta regionale, ad avviare le necessarie intese e attività con la comunità di lavoro dell'Alpe-Adria.
Il “Centro studi” è formato dal “Comitato tecnico-scientifico”, dal personale regionale del dipartimento piani e programmi e legislativo, messo a disposizione dalla Regione del Veneto e da quello della speciale sezione del “Centro scientifico didattico per l'assistenza tecnica in agricoltura” dell'E.S.A.V. che, istituita a norma dell'articolo 23 della L. n. 88 del 1980, dovrà dedicarsi in maniera specifica allo studio dell'agricoltura e dell'ambiente montano e collinare. Tale gruppo operativo assume la denominazione di “Centro studi per la cultura e le tecnologia delle aree montane”; il suo personale continuerà a dipendere dalla Regione e dall'E.S.A.V.
Il “Comitato tecnico-scientifico” elabora il programma di attività sulla base delle direttive che sono approvate dalla “Conferenza permanente”, di cui al paragrafo precedente, ed è tenuto a riferire sullo stato di avanzamento, mediante rapporti progressivi di lavoro, alla stessa “conferenza permanente” alla quale sono altresì presentati i rapporti conclusivi degli studi e delle ricerche per la loro diffusione.
Il “Comitato tecnico-scientifico” è composto da nove membri, scelti tra docenti universitari e tra esperti del settore di chiara fama, che potranno operare anche riuniti in sezione per materia, ed è nominato dalla Giunta regionale entro tre mesi dalla data della prima riunione della conferenza stessa. Il conferimento degli incarichi avviene sulla base della vigente legislazione regionale in tema di consulenze.
Il “Comitato tecnico-scientifico” è coordinato da uno dei membri scelto dalla conferenza; sono assegnati alla segreteria generale per la programmazione i compiti di coordinamento dell'attività del centro studi.
Il “Centro studi” avrà sede, secondo le determinazioni della “Conferenza permanente” presso una delle Comunità montane.
I principali argomenti che saranno oggetto di studio e ricerche riguardano in prima attuazione:
- progettazione del sistema informativo dell'area montana veneta e realizzazione delle “banca-dati” di natura socio-economica;
- analisi delle strutture insediative produttive e di servizio; analisi delle componenti demografiche e socio-economiche;
- analisi della domanda di formazione professionale e delle sue specifiche caratteristiche; studi specifici su “culture” e tradizioni locali;
- tecniche e attrezzature meccaniche per il miglioramento della superficie a seminativo, a prato e pascolo;
- miglioramento genetico e sperimentazione di sementi e piante idonee alle aree montane; conoscenze sulle tecniche produttive, sulla concimazione, diserbo e difesa delle colture;
- tecniche costruttive per l'edilizia abitativa e strutture produttive agricole;
- attrezzature per la raccolta, essicazione, trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli;
- tecniche e organizzazioni in generale degli allevamenti bovini e degli animali minori;
- organizzazione e attrezzature tecniche per la commercializzazione dei prodotti del bosco.
I temi di studio dovranno essere funzionali, cioè volti a risolvere i problemi concreti che lo sviluppo della montagna richiede. Inoltre saranno coordinati e ordinati in forma sistematica onde offrire alla montagna “pacchetti completi di tecnologia” così come richiede la situazione attuale del territorio.
Il sistema informativo della montagna e la relativa “banca-dati” troveranno supporto nel sistema informativo regionale e, per quanto riguarda il settore agricolo, anche in una sezione speciale di dati per la montagna nell'ambito della più ampia attività attribuita al “Comitato scientifico didattico” dell'E.S.A.V.; la raccolta, catalogazione, memorizzazione ed elaborazione dei dati dovrà essere fatta sulla base di protocolli e standard definiti a livello regionale.

6.3. La formazione professionale come cultura della trasformazione

Le modificazioni che il presente progetto promuove per la montagna veneta e gli effetti sperati, di futuri più adeguati livelli di uguaglianza tra le diverse aree del territorio, comportano, da un lato, una maggiore solidarietà da parte dell'intera collettività regionale e, dall'altra, la massima valorizzazione delle energie più profonde presenti nell'area montana.
Occorre quindi attuare una “cultura della trasformazione” capace di far convergere le diverse forze politiche, sociali e produttive che agiscono nella comunità locale, verso gli obiettivi assunti.
Il settore della formazione professionale può svolgere, in questa prospettiva, un ruolo fondamentale e può costituire un presupposto per far maturare consapevoli atteggiamenti di adesione alle finalità del presente progetto.
La Regione è pertanto impegnata a promuovere nell'area montana veneta una politica della formazione professionale coerente con gli obiettivi del progetto attivando una formazione culturale allargata a opportunità multiple adatta altresì a evitare occasioni di selezione culturale e a recuperare il distacco tra cittadini e istituzioni. Si tratterà, cioè, di sostenere un insieme di opportunità che valorizzino una formazione anche personalizzata, così da dare risposte alle diverse condizioni di vita delle persone come: tra scuola e lavoro, tra lavoro e formazione, tra lavoro e lavoro, tra pensione e lavoro.
Istituzionalmente e organizzativamente si dovranno:
- istituire occasioni di consultazione tra i diversi soggetti pubblici e privati per costruire e sperimentare con gradualità reti di opportunità formative integrate verticalmente e orizzontalmente;
- verificare la mobilità di coinvolgimento dell'utenza su questa rete;
- attivare una politica della sperimentazione per governare anche lo spontaneo, e utilizzare i risultati per le politiche di innovazione;
- preparare e fornire operatori culturali che diano “gambe” ai progetti.
Queste sia pur sintetiche ipotesi di lavoro proprio per il coinvolgimento delle forze politiche, sociali e culturali, consentiranno alla comunità di attrezzarsi ad affrontare i problemi che la montagna pone nel quotidiano e nel medio-lungo termine, costruendo soluzioni che valorizzino tutte le risorse disponibili nel rispetto dell'ambiente e delle esigenze della comunità stessa.
Le riflessioni emerse, portano alla necessità di affrontare in modo unitario tutto il sistema formativo, per farlo uscire dalla “emergenza” e farlo diventare un processo di formazione allargata. La Regione è impegnata, come appare anche negli indirizzi generali per la formazione del programma poliennale di formazione professionale, a costruire un nuovo modo di fare formazioni per arrivare a un sistema di educazione permanente che è “centrale” per ogni politica educatoria, economica e sociale.
L'impegno sarà allora di come, nel medio termine, inserire nuove energie che rispondano ai bisogni di formazione professionale di nuovi soggetti sociali (adulti, anziani, donne, lavoratori-studenti, studenti- lavoratori) in cui si intrecciano nuovi rapporti tra scuola-lavoro-vita sociale e individuale senza rimandare tutto a improbabili trasformazioni complessive e senza ridursi a mere operazioni di razionalizzazione.
In questo contesto, l'agricoltura-zootecnica, il legno, il turismo e, per la montagna bellunese, il settore della occhialeria, rappresentano i nodi centrali su cui puntare per realizzare i cambiamenti voluti dal presente progetto.
La Giunta regionale è quindi impegnata a presentare al Consiglio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del “Progetto montagna”, quattro piani di intervento nel settore della formazione professionale, per i comparti sopraddetti, in cui le componenti di intersettorialità e le risorse presenti nel territorio siano coerentemente orientate agli obiettivi del progetto stesso e più in particolare alle specifiche direttive di coordinamento intersettoriale contenute al capitolo 3.
Per il settore del legno il piano dovrà organizzare i corsi di formazione avendo come riferimento la foresta regionale del Consiglio e la disponibilità di attrezzature in quell'area.
Inoltre, la Giunta è impegnata a elaborare un piano di rilevamento su tutto il territorio montano delle iniziative in atto nel settore della formazione professionale, compresi gli istituti professionali di Stato, al fine di costituire una “mappa” aggiornata delle attività stesse.
Tale lavoro preliminare consentirà, nell'ambito degli indirizzi generali del piano poliennale di formazione professionale e in stretta correlazione con le azioni previste nel progetto montagna, di prefigurare ipotesi di razionalizzazione, di sviluppo e di miglioramento dell'attuale sistema formativo.
Contestualmente saranno predisposti alcuni programmi di intervento, di seguito elencati, che interesseranno i territori della montagna veneta:
a) intervento di formazione professionale nel settore turistico-alberghiero rivolto a personale amministrativo e di direzione;
b) formazione professionale di giovani neo-diplomati e neo-laureati da inserire nei settori dell'industria locale con particolare riferimento all'informatica. L'intervento in questione sarà realizzato con il metodo dell'alternanza scuola-lavoro, per cui saranno coinvolte organizzazioni imprenditoriali locali per la realizzazione degli stages e per l'individuazione delle aziende che al termine dei corsi assumeranno gli allievi;
c) formazione professionale per tecnici e dirigenti delle Comunità montane rivolta a neo-laureati. Le finalità dell'intervento si collocano nell'ambito delle esigenze di nuova occupazione intellettuale e di preparazione in loco di personale con competenze professionali di alto livello in grado di rendere attuabili i programmi elaborati dalle Comunità montane e gli stessi progetti regionali di area;

Comunità
Montana Agordina

Comunità
Montana
Alpago

Comunità
Montana
Sette Comuni

Provincia
di
Belluno

Provincia
di
Treviso

Provincia
di
Vicenza

Provincia
di
Verona


Regione















formano la Conferenza

rende disponibili
i risultati







Conferenza permanente
per la programmazione
nelle aree montane







emana direttive per l'attività

valuta e trasmette
i risultati







Comitato

Coordina

Un membro del

tecnico
e scientifico

l'attività del
Comitato

Comitato nominato
dalla Conferenza
permanente
ESAV centro scientifico

assegnano




didattico
art. 23 L.R. 88/1980

il personale
e ne curano
sovrintende e programma

trasmette i risultati
degli studi e delle



la gestione
l'attività

ricerche



giuridica ed




Regione del Veneto

economica

Centro studi per la cultura

dirige e coord.

La Segreteria generale
dipartimento piani
programmi e legislativo



e la tecnologia
delle aree montane

l'attività del
centro studi

della programmazione


d) formazione professionale di giovani nel settore della forestazione e della difesa idrogeologica. L'intervento si colloca nell'ambito delle specifiche azioni previste dal progetto montagna e tende a offrire nuove opportunità di occupazione per i giovani residenti nei territori montani.
Una azione di formazione professionale, prevista come intervento straordinario, riguarda la formazione dei dirigenti delle Comunità montane, con particolare riferimento ai quadri amministrativi, che sarà svolta con la collaborazione dell'I.S.A.P.R.E.L.

6.4. L'energia come supporto allo sviluppo

Il costo crescente dell'energia costituisce un grave limite per tutte le attività socio-economiche e in particolare per quelle poste nelle aree meno sviluppate e che, per le stesse condizioni ambientali, hanno costi di produzione in generale più elevati.
La disponibilità di energia, possibilmente rinnovabile e a basso costo, costituisce una premessa per garantire l'attuazione delle azioni e delle direttive per lo sviluppo, stabilite dal presente progetto.
La possibilità di ulteriori apporti della montagna nella produzione di energia rappresenta inoltre, sia pure nella limitata ampiezza delle quantità aggiuntive, un contributo alla soluzione della più generale questione energetica.
I due modi per far fronte alla domanda energetica arretrata e aggiuntiva sono costituiti:
- dall'estensione alle aree montane della rete per l'approvvigionamento di metano; nei tempi medio-brevi la risposta sarà possibile per le aree di fondovalle e in particolare per l'area della Val Belluna;
- dalla produzione e utilizzazione in sede locale di energia idroelettrica da piccole derivazioni, data la notevole disponibilità ancora esistente.
L'approvvigionamento di metano è questione strettamente connessa da un lato alla disponibilità della risorsa e dall'altra all'attuazione di programmi di estensione della rete da parte della S.N.A.M. S.p.A.
La Regione assume quindi l'impegno perché nei programmi di approvvigionamento e di estensione della rete della S.N.A.M. S.p.A. siano poste in evidenza le esigenze delle aree montane.
In tal senso una prioritaria attenzione andrà riservata a quelle Comunità montane della fascia delle prealpi per le quali sussistano particolari e più rilevanti problemi di sviluppo derivanti dalla scarsità delle alternative di interventi possibili e dalla più immediata “concorrenza” della limitrofa area centrale veneta.
Per quanto riguarda la produzione e l'utilizzazione in sede locale di energia idroelettrica da piccole derivazioni, constatato che l'energia idraulica è un'energia pulita con scarse controindicazioni ecologiche, rinnovabile e indipendente da situazioni di mercato, la Regione assume l'impegno di procedere, entro tempi brevi, alla elaborazione di uno studio generale delle disponibilità residue in tutta l'area montana Veneta, avendo anche riguardo alla riabilitazione di centrali elettriche dismesse dall'E.N.E.L.
Allo stato attuale viene acquisito nel contesto del presente “Progetto montagna” lo studio preliminare sulle residue possibilità di sfruttamento idroelettrico del bacino del Piave, recentemente approvato dall'assemblea del consorzio dei comuni del bacino imbrifero montano del Piave appartenenti alla provincia di Belluno.
Lo studio ha dimostrato la fattibilità di 11 nuovi impianti idroelettrici di piccola derivazione, con potenza massima efficiente superiore a 500 kw, e di altri 11 nuovi impianti con potenza superiore a 100 kw per i quali già sono state avviate le pratiche di autorizzazione (cfr. documento 3, allegato al “Progetto montagna” capitolo 3.3.).
Nella scelta degli impianti di cui al progetto del B.I.M., e più in generale, anche nello studio che la Regione è impegnata a estendere alla restante parte dell'area montana veneta, la priorità dovrà essere riservata agli impianti che:
- assicurano una più elevata potenza con un più basso costo per kw installato;
- garantiscono scopi multipli: difesa dalle piene del corsi d'acqua, invaso delle acque per usi potabili e irrigui;
- garantiscono la possibilità di uso locale da parte dei soggetti, pubblici e/o privati autoproduttori;
- comportano minori compromissioni ambientali e limitate controindicazioni ecologiche.
Lo sfruttamento idroelettrico delle residue risorse di piccola derivazione, se anche non potrà garantire totalmente la copertura delle crescenti richieste di energia, potrà sicuramente produrre significativi risparmi, particolarmente per le comunità locali, che affronteranno costi tanto più ridotti quanto maggiore potrà essere l'apporto finanziario pubblico nella fase iniziale di attuazione degli impianti.
L'utilizzazione dell'energia prodotta dovrà essere indirizzata a favore, in ordine prioritario, di:
- usi pubblici e sociali (ospedali, case di riposo, uffici pubblici, impianti pubblici per il sollevamento dell'acqua, ecc.);
- usi industriali artigianali e agricoli, per nuove utenze e a consolidamento di quelle esistenti soprattutto nell'ambito delle industrie o degli impianti agro-industriali più dipendenti dall'utilizzazione elettrica al fine di migliorare la competitività del prodotto locale;
- usi turistici (attrezzature alberghiere, impianti di risalita, stadi per il ghiaccio, ecc.).
Il piano di intervento, proposto per la provincia di Belluno, è affidato al consorzio B.I.M., il quale assicura, nei confronti degli utilizzatori, la più efficiente risposta agli aspetti imprenditoriali del problema (progettazione, ricerca dei finanziamenti, costruzione, avviamento, gestione e manutenzione degli impianti) e a quelli di tipo normativo e amministrativo (concessioni, vettoriamento, interscambio). Tale intervento rappresenta anche una prima pratica sperimentazione delle reali possibilità applicative della legge nazionale contenente norme sui consumi energetici e lo sviluppo delle forme alternative di energia.
La Giunta regionale è impegnata perché nella fase di realizzazione degli interventi siano interessate anche le Comunità montane esterne alla provincia di Belluno soprattutto per i consumi di tipo pubblico e in particolare per l'utilizzo dell'energia idroelettrica di supero (energia notturna) per impianti di sollevamento per acquedotti o altri interventi di tipo sociale.


SOMMARIO