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Legge regionale 9 marzo 2007, n. 5 (BUR n. 26/2007)

Programma regionale di sviluppo (PRS)

Legge regionale 9 marzo 2007, n. 5 (BUR n. 26/2007)

PROGRAMMA REGIONALE DI SVILUPPO (PRS)

Art. 1 - Programma regionale di sviluppo.
1. È approvato il Programma regionale di sviluppo (PRS) nel testo allegato che fa parte integrante della presente legge.
2. Il PRS stabilisce indirizzi, direttive, priorità e prescrizioni per l’azione della Giunta regionale nella promozione dell’attività legislativa e nell’esercizio di quella amministrativa, nonché per l’attività degli enti, delle aziende e agenzie della Regione o degli amministratori delle società e organismi cui essa partecipa.
3. Nei confronti degli enti locali territoriali il PRS costituisce termine di riferimento per l’attività di loro competenza.




ALLEGATO OMESSO ( 1)


Note

( 1) Allegato omesso reperibile nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto n. 26 del 13 marzo 2007 (pag. 6).


SOMMARIO
Legge regionale 9 marzo 2007, n. 5 (BUR n. 26/2007) – Testo storico

PROGRAMMA REGIONALE DI SVILUPPO (PRS)

Art. 1 - Programma regionale di sviluppo.
1. È approvato il Programma regionale di sviluppo (PRS) nel testo allegato che fa parte integrante della presente legge.
2. Il PRS stabilisce indirizzi, direttive, priorità e prescrizioni per l’azione della Giunta regionale nella promozione dell’attività legislativa e nell’esercizio di quella amministrativa, nonché per l’attività degli enti, delle aziende e agenzie della Regione o degli amministratori delle società e organismi cui essa partecipa.
3. Nei confronti degli enti locali territoriali il PRS costituisce termine di riferimento per l’attività di loro competenza.

ALLEGATO ALLA LEGGE REGIONALE
PROGRAMMA REGIONALE DI SVILUPPO (PRS)
INDICE
Premessa 10
Prefazione 11
Introduzione 14
1. LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA E DELLA FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ VENETA 31
1.1 LE POLITICHE SOCIALI 32
1.1.1 Il modello di governance della rete dei servizi sociali
• Lo scenario istituzionale
• Le sfide imposte dai cambiamenti strutturali
• Le direttive per la programmazione del settore: prospettive di sviluppo
1.1.2 Il principio delle Pari Opportunità
1.1.3 L'integrazione
• I caratteri del fenomeno immigratorio
• L'integrazione: un obiettivo raggiungibile
• Le risposte strategiche all'immigrazione
• Formare e integrare
1.1.4 La sicurezza urbana e territoriale
• La sicurezza del cittadino veneto
• La promozione della legalità
• La gestione della sicurezza
1.2 LA TUTELA DELLA SALUTE E LE POLITICHE SANITARIE 52
1.2.1 Le problematiche emergenti
• La domanda di servizi sanitari e la spesa sanitaria complessiva
• Il ruolo del settore pubblico
• La spesa sanitaria della Regione Veneto e il deficit del settore
• Il federalismo fiscale ed il finanziamento della sanità
1.2.2 Le caratteristiche del Servizio Sanitario Regionale
• La rete ospedaliera
• L'assistenza distrettuale
1.2.3 Il contesto normativo: vincoli e indicazioni all 'azione regionale
• Il quadro di riferimento europeo e internazionale
• La devoluzione ed il nuovo Piano Sanitario Nazionale
• La legislazione regionale
• L'attività regionale
1.2.4 Verso una nuova programmazione per la Sanità
• Il ruolo della Regione
• Il quadro degli obiettivi
• Il quadro delle politiche
• Le politiche per la gestione dei servizi sanitari
1.3 LA CULTURA E L'ISTRUZIONE 70
1.3.1 Il sistema formativo
• I compiti formativi
• Lo sviluppo della formazione e dell'istruzione ed il federalismo educativo
1.3.2 L'Università
1.3.3 La lingua, il teatro, la musica
1.3.4 Lo sport
1.3.5 La partecipazione alla cultura degli altri
1.4 LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E CULTURALE 79
2. LA RISORSA AMBIENTALE DEL TERRITORIO 83
2.1 LA RICOMPOSIZIONE DEL TERRITORIO 84
2.1.1 L'evoluzione dell'assetto territoriale
2.1.2 Il modello territoriale veneto attuale
2 .1.3 Gli obiettivi della programmazione regionale
2.1.4 Gli indirizzi per un nuovo assetto territoriale
2.1.5 Gli strumenti di attuazione delle strategie territoriali
• La programmazione europea
• La programmazione regionale
2.2 L'AMBIENTE 96
2.2.1 Il Veneto e lo sviluppo sostenibile
2.2.2 La tutela dell'ambiente
• L'atmosfera
• Le industrie a grandi rischi
• I rifiuti e le bonifiche
• Le attività estrattive: le cave e le miniere
• l beni ambientali e il paesaggio
2.2.3 La tutela delle acque e il Servizio idrico integrato
2.2.4 La geologia: difesa del suolo, demanio idrico, gestione idraulica
2.2.5 La protezione civile
2.3 IL SISTEMA INFRASTRUTTURALE PER LA MOBILITÀ 119
2.3.1 Le sfide dei prossimi anni
2.3.2 L'analisi delle infrastrutture di trasporto
• Le infrastrutture a rete
• Le infrastrutture nodali
2.3.3 La domanda di trasporto
• La domanda di trasporto delle persone
• La domanda di trasporto merci e la logistica
2.3.4 Gli obiettivi della programmazione
• Le grandi infrastrutture
• La viabilità regionale
• Il trasporto pubblico
• L'integrazione modale e logistica del trasporto delle merci
2.3.5 Le strategie perlo sviluppo di una nuova politica regionale dei trasporti
• Gestire la domanda di trasporto, ovvero: gestire le emergenze
• Gli interventi nel lungo periodo: progettare il futuro sistema dei trasporti regionali
3. I FATTORI PROPULSIVI DELL'ECONOMIA VENETA 139
3.1 LA STRATEGIA REGIONALE A SOSTEGNO DELL'INNOVAZIONE 140
3.1.1 Elementi di discontinuità nello sviluppo economico del Veneto
3.1.2 I percorsi, le sfide e le strategie per l'innovazione
• Ricerca, sviluppo e innovazione nella grande impresa
• I processi di innovazione nelle reti locali di piccole e medie imprese
• Le sfide dell'innovazione per l'economia del Veneto
• Una strategia regionale per l'innovazione

3.1.3 I nuovi rapporti tra finanza e sviluppo
3.1.4 Internazionalizzazione del sistema produttivo veneto
3.2 LE RELAZIONI INTERNAZIONALI 162
3.2.1 L'identità e le relazioni internazionali
3.2.2 L'autonomia regionale e le relazioni internazionali
3.2.3 Il Veneto, il Nordest e l'Europa
3.2.4 lI Veneto e l'Europa
3.2.5 Il Veneto e la comunità di lavoro Alpe-Adria
3.2.6 Il Veneto ed i Paesi del Centro e dell'Est Europa
3.2.7 I Veneti nel mondo
3.3 IL FATTORE UMANO E IL MERCATO DEL LAVORO 170
3.3.1 Lo scenario veneto
3.3.2 Le politiche della formazione e del lavoro
3.3.3 Gli aspetti critici e le prospettive
3.4 LE POLITICHE DI SETTORE 182
3.4.1 Il settore primario
• Le caratteristiche strutturali dell'agricoltura veneta
• Le innovazioni istituzionali e strategiche
• Per un'agricoltura competitiva, diversificata e multifunzionale
• La pesca e l'acquacoltura
• Il ruolo delle foreste nelle aree montane

3.4.2 Il secondario e il terziario
3.4.3 L'artigianato
3.4.4 L'industria
I distretti produttivi
• Innovazione, ricerca e sviluppo
• L'internazionalizzazione
• Il governo della continuità d'impresa
• La finanza innovativa e la politica del credito
• Gli aiuti alle imprese
3.4.5 Il commercio
• Il quadro evolutivo
• Le prospettive strategiche
3.4.6 Il turismo
• Il quadro storico-evolutivo
• Le prospettive strategiche
3.4.7 L'energia
• Il quadro di riferimento delle politiche
• Le linee guida della politica regionale
• Gli strumenti
3.4.8 I servizi di pubblica utilità a rilevanza industriale
• Il quadro generale
• Gli obiettivi, i fattori critici e le strategie
• Le linee d'azione
4. LE INNOVAZIONI ISTITUZIONALI E ORGANIZZATIVE 214
4.1 LE NUOVE FORME DI GOVERNANCE 215
4.1.1 Il federalismo e la devoluzione nella nuova fase costituente regionale
4.1.2 Il federalismo fiscale per una efficace programmazione regionale
4.1.3 Il decentramento amministrativo e la sussidiarietà
4.1.4 Il trasferimento delle funzioni amministrative e delle risorse
4.2 L'AUMENTO DELLA PARTECIPAZIONE E DELLA CONOSCENZA 223
4.2.1 Il ruolo della concertazione
4.2.2 La diffusione delle informazioni
• La statistica
• L'informazione e la comunicazione
4.3 GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE E I METODI
PER L'ADOZIONE DI PRATICHE MIGLIORI 232
4.3.1 I metodi
• La programmazione regionale: forme e strumenti
• La programmazione negoziata
• Il miglioramento dell'efficienza della macchina regionale
• L'attività di monitoraggio e valutazione
• L'attività di controllo ispettivo
4.3.2 Gli strumenti
• La politica regionale di coesione comunitaria
• La programmazione finanziaria regionale
• Le aree a sostegno mirato
• Venezia: un progetto
• I progetti pilota
TAVOLA DEI RIFERIMENTI NORMATIVI 262
PREMESSA
La formulazione di un Programma Regionale di Sviluppo è una operazione culturale dal grande
significato politico.
Quando la si promuove significa che non si è più contenti degli strumenti dei quali si dispone e
che si è maturata la consapevolezza che ne servono di nuovi ma anche che c'è uguale
consapevolezza sugli obiettivi da conseguire, sulle strategie da attuare, sugli strumenti da
adoperare per dare nuovo impulso ed efficacia all'azione del governo regionale.
In tale processo di rinnovamento e riqualificazione dell'attività, il PRS costituisce il fulcro
dell'azione, avendo a monte la definizione delle nuove regole sulla programmazione, l.r. n. 35 dei
2001, e a valle il processo di attuazione.
Quest'ultimo, formalmente, è costituito da una serie di strumenti e procedure (DPEF, PAS,
monitoraggio e valutazione), ma politicamente si sostanzia in una capillare diffusione dei principi
e delle strategie capaci di informare e condizionare l'azione politica dell'insieme dei soggetti
pubblici e privati della Regione.
Dunque, un processo continuo che coinvolge e rende corresponsabili quanti sono titolari di
"poteri" e "doveri" di governo, siano essi grandi o piccoli.
Un processo che dura nel tempo e che non si esaurisce fino a quando i principi che provengono
dal PRS continuano ad esprimere strategie ed orientamenti riconosciuti come autorevoli e
vincolanti.
Ma proprio perché dura nel tempo ed in una situazione di continui cambiamenti, esso deve
essere caratterizzato da una forte capacità di autoaggiornamento, ottenuta tramite una continua
Attività di analisi e verifica, che si realizza attraverso il monitoraggio interno o "politico"'. A questo
tipo di monitoraggio il PRS aggiunge un monitoraggio di tipo esterno o "economico", costituito
dal benchmarking con nove aree europee di riferimento e mirato su alcune voci dinamiche delta
vita economica e sociale delle comunità.
A supporto di queste attività di controllo, ne segue una di suggerimento e di proposta da parte di
tutti i soggetti, siano essi istituzionali, economici o sociali: la Concertazione.
Il maggior sforzo, in questo quadro, non è dunque formulare il PRS, ma perseguire con costanza
ed impegno la fase della sua attuazione a partire dai nuovi Piani di settore da predisporre o
riqualificare, dalla predisposizione dei PAS, strumento pluriennale da aggiornare annualmente,
dall'attività di monitoraggio e valutazione.
Sarebbe dunque errato pensare al PRS come ai "Libro" nel quale è contenuto tutto quello che si
deve sapere e tutto quello che si deve fare.
Molto meglio pensare ad uno strumento flessibile, dove vengono riversate le migliori conoscenze
e capacità e nel quale però si maturano le più efficaci strategie e politiche.
Dunque questo PRS è un punto di partenza, non un punto di arrivo. È riprendere in una visione
unitaria e complessiva tutta fa politica della Regione, istituzione e territorio.
Nel prendere in considerazione i suoi contenuti, inevitabilmente ampi poiché tali sono i settori di
cui si occupa la Regione, è opportuno focalizzare l'attenzione sulle questioni davvero strategiche.
Sui singoli temi e relativi settori sarà necessario, secondo un ordine di priorità che il Consiglio
regionale sicuramente saprà indicare, lanciare approfondimenti specifici e revisioni puntuali.
Un approccio di globale contemporaneità oltre ad essere troppo complesso non è esauribile nei
tempi di risposta che l'attuale fase politica ed istituzionale richiede. Si pensi solo alle implicazioni
che derivano dal processo di revisione della norma costituzionale.
Ma è anche opportuno prestare attenzione fin da subito ai nuovi modi di attuazione della
programmazione: PAS e attività di monitoraggio e valutazione, perché da essi ne discende, oltre
al livello dell'efficacia dell'azione regionale, anche una diversa ripartizione dei ruoli e dei compiti
della Giunta e del Consiglio.
Nel corso dei lavori sono state raccolte numerose informazioni statistiche e individuati significativi
benchmark di rapporto con Regioni europee in analogo stadio di sviluppo. Di tali materiali viene
dato conto in due specifici allegati.
PREFAZIONE
Il Veneto affronta una fase del tutto originale, durante la quale anche la sostanza e le forme del governo regionale saranno chiamate alla radicale innovazione più che al loro sviluppo rettilineo. Dopo il Veneto dei Pionieri e il Veneto del Benessere sarà: il "Terzo Veneto", tanto della società veneta quanto della Regione istituzionale. Questo "Terzo Veneto" dei Traguardi è figlio naturale e legittimo di entrambi, ma si realizzerà solo nella storica consapevolezza di dover guardare molto avanti: addirittura oltre la stessa poderosa eredità dei padri fondatori produttivi e archiviando definitivamente la stagione dei primi ceti dirigenti dell'istituzione regionale.
Il "Primo Veneto"lascia alle spalle la tabula rasa del 1945.
Emigra ancora, ricostruisce, fiuta il nuovo, investendo sul lavoro che è il suo unico capitale a fronte della sotto-capitalizzazione di ogni altro parametro e partendo da vaste povertà di base. Terra di coltivatori diretti e/o di mezzadri, dispone di un patrimonio umano meno propenso che altrove ai lavoro subordinato mentre l'antica abitudine ai rischi e alle variabili stagionali esercita da sempre la sua tenacia. Trasforma l'agricoltura in industria senza disporre né di piani di sviluppo né di programmazione, e in assenza di modelli sia macro che micro. La sua regola è la de-regolazione spontanea sul territorio. La società frugale del sacrificio si identifica progressivamente nel "fai da te"privato dei Pionieri post-contadini, mentre (Istituzione regionale pubblica resta, in senso dei tutto letterale, un astratto auspicio sulla Carta costituzionale, che troverà finalmente concreta attuazione a ben trenta anni dalla conclusione della guerra.
Il "Primo Veneto" è un fenomeno per lo più carsico, che in buona parte si sottrae alla visibilità: visibile é la trasformazione a trazione anteriore, non io sono ancora i suoi dividendi economici né il bilancio sociale consolidato né il risultato d'assieme. II "Primo Veneto" è comunale, al minimo del localismo: il campanile appunto, il quale precede l'esistenza stessa dell'Ente locale regionale. Tocca al "Secondo Veneto"portare progressivamente alla luce, dagli anni Settanta ai pieni anni Novanta, un Prodotto Interno Lordo epocale. Vale a dire la socializzazione del "benessere", prima ancora del "fatturato" e dei primati dell'export. Suo vanto solidale è il reddito pro-capite.
Il capitalismo dell'uomo qualunque si spalma via via sul territorio finendo per cancellare marginalità secolari, arretratezza competitiva, subalternità di mercato, la nozione stessa di area depressa. Pur tra fratture culturali, conflitti nichilisti, strappi generazionali, prezzi ambientali e urbanistici, è il lavoro come valore personale che si afferma e fa riconoscere l'Impresa come nuova identità collettiva.
Lavoro & Impresa producono ricchezza diffusa, una sorta di welfare privato autogeno che tiene insieme famiglia, capannone, credito locale, consenso sociale, incentivo amministrativo, e che cerca, nella tardiva nascita della Regione a statuto ordinario e nei suo paternalismo pubblico, conforto e sostegno.
Il "Secondo Veneto"è la storia di un successo che genera, non a caso, la popolare, ma spesso ambigua simbologia dei "schèi"e, in parallelo, la cronaca di un'Istituzione regionale in rodaggio che, per risorse e servizi, i veneti scoprono insufficiente nella guida allo sviluppo e nella capacità di rappresentarli convenientemente, soprattutto quando il ritmo dei cambiamenti socio-economici accelera ancora. Il regionalismo colma uno storico vuoto di governo locale e fa la sua parte nel sistema più policentrico d’Italia, inseguendo tuttavia con affanno il Veneto reale che, nel frattempo, chiede di essere accompagnato tempestivamente nella competizione, ormai internazionale, attraverso infrastrutture, snodi, investimenti in servizi, mappe di semplificazione e taglio dei "lacci e lacciuoli".
Il benessere di ultima generazione e la Regione di ultima attuazione patiscono insieme delle stesse urgenze.
In tale fase, tipica degli anni Ottanta e dei primi Novanta, Veneto del Benessere diffuso ed Ente Regione Veneto emergono fianco a fianco entrambi ugualmente a corto di tradizione: di quella industriale il primo; della istituzionale il secondo. Se non che, mentre io sviluppo economico fonda gli exploit sulla flessibilità naturale dei suoi attori, presto tocca proprio all'istituzione regionale scontare in loco e nel momento più cruciale anche il crescente immobilismo del sistema politico italiano in crisi centralista.
All'inizio degli anni Novanta, questo vistoso differenziale viene avvertito nel Veneto leader del
Nordest più che in qualsiasi altra area d'Italia, attestando presso l'opinione pubblica il conflitto
aperto tra modernizzazione e burocratizzazione, tra responsabilità e delega, tra rischio d'impresa
e rischio di inefficienza, tra sfide aperte al mondo e poteri chiusi alle riforme. Un grave squilibrio
questo tra la cultura di una società (ri)formatasi prepotentemente da sé e un'Istituzione
regionale a Costituzione non riformata, di ancora inadeguati poteri e autonomia, beneficiata dallo
Stato solo con trasferimenti di facciata.
Il "Secondo Veneto" è stato anche la profezia matura del "Terzo Veneto" dei Traguardi, oggi
costituenti per la Regione e selettivi per lo sviluppo socio-economico.
Il momento costituente è/sarà la risposta alla ritardata modernizzazione delle Istituzioni rispetto
alla modernizzazione dell'economia veneta.
Il momento selettivo è/sarà la modernizzazione in qualità dello sviluppo Veneto rispetto ai
Pionieri e al Benessere.
Viene un lascito del laboratorio della società veneta, fin dalla metà degli anni Novanta, che
proietta i propri effetti per i prossimi dieci anni sul governo della Regione. Il lascito del
riformismo dal basso, della protesta costruttiva, della diffusa partecipazione, dell'associazionismo
di massa, della cultura dell'autonomia, della domanda tipicamente veneta del "fare" e delle
regole condivise pur nell'ambito di un normalizzato bipolarismo politico.
La Regione Veneto ha assunto su di sé questo lascito costituente popolare che, dallo Statuto
nascente alle riforme costituzionali in atto, dal decentramento a Enti e istanze locali alla
sburocratizzazione degli unici, è impegnata a favorire attraverso un suo originale e liberale
Federalismo Leggero.
È tale perché esige uno Stato leggero. Perché coerente con l'Europa aperta. Perché innova l'idea
stessa di potere regionale.
Realizzando il federalismo leggero con ogni strumento istituzionale a disposizione e nella
corresponsabilità civile, anche l'unità di misura della Regione Veneto sarà qualitativa non
quantitativa.
È debole la Regione auto-referenziale e/o elefantiaca; è autorevole la Regione di riferimento, di
impulso e di servizio territoriale. Al Veneto plurale serve doppiamente una Regione forte perché
autorevole, autorevole perché non si esaurisce nell'operare ordinario.
Il Veneto che sta alle porte avrà bisogno di inventarsi innovazioni istituzionali capaci di elaborare
inediti materiali di governo e di sintesi. Non la tentazione dell'epicentro gestionale, ma nemmeno
l'infinitamente piccolo del frammento localista: chi cavalca quest'ultimo, non depotenzia la
Regione ma il Veneto.
Il "Terzo Veneto" è allo stesso tempo persistente e discontinuo.
È geloso del territorio per non annullarsi nella incalzante globalità.
È curioso del mondo globale per non rinchiudersi senza orizzonte.
È fiero dei Pionieri del "Primo Veneto" eppure accetta di perdere la metà delle aziende nel
cambio generazionale.
È impegnato a proteggere il benessere del "Secondo Veneto" eppure considera oggi vincente
soltanto l'estenuante innovazione proprio dei prodotti che sono stati ieri alla base del successo
imprenditoriale.
Ha un milione di giovani, ma la crescita quasi zero avverte che il minimo indispensabile di
stabilità demografica regionale dipende dagli immigrati.
Ha il senso dell'identità veneta, ma è chiamato a identificarsi ogni giorno di più attorno alla
eterna nozione di cittadinanza del diritto romano.
Conosce il valore dei sudatissimi "schèi" e, dunque, sente il dovere di riconoscere e combattere
le nuove povertà familiari.
Prende coscienza dell'esaurirsi dei suo territorio e, per legittima difesa comunitaria, progetta
nuove strategie e nuovi possibili limiti.
Sa che i parametri del progresso passeranno sempre di più attraverso le gerarchie della sanità,
della scuola, dell'ambiente, della sicurezza, dell'assistenza.
Sa che in una società realmente avanzata tutte le strade della qualità sociale trovano al centro
anche la donna, che sta portando su di sé la bilaterale fatica del lavoro e della famiglia, del
reddito e della maternità, della cura dei figli e dello stress produttivo. Una rivoluzione nella
rivoluzione, che richiederebbe uno speciale welfare femminile.
Il "Terzo Veneto" è/sarà una Regione costituzionalmente nuova, nata una seconda volta. Ieri
nella transizione dal paternalismo ai potere, oggi nell'approdo dalla titolarità del potere ai poteri
effettivi da esercitare sul campo secondo l'autonomo "modello superstrada Pedemontana"
esempio maturo di "fai da te"istituzionale.
È, dopo lo sviluppo, il governo sofisticato della crescita.
Dopo i Pionieri e il Benessere, II Futuro della Sostenibilità.
INTRODUZIONE
Lo sviluppo del Veneto: un percorso originale, radicato nella cultura e nella società regionale che deve ora affrontare la sfida della discontinuità
Lo sviluppo dell'economia diffusa nel Veneto, fatta di piccole imprese, distretti industriali e catene di fornitura distribuite sul territorio, si è rivelato associato in modo organico con caratteristiche specifiche della cultura e della tradizione veneta, rendendo spendibili sul mercato competitivo attuale caratteristiche storiche profondamente radicate nella popolazione. Esso ha assunto la solidità e la compattezza di un fenomeno durevole, dotato di un respiro che va oltre l'orizzonte del breve periodo. Il sistema produttivo ha infatti valorizzato, sul terreno economico, tratti socio-culturali che si sono mutati, col trascorrere del tempo, in fattori di vantaggio competitivo: il valore attribuito al lavoro e alla laboriosità, anche in condizioni faticose o stressanti; l'elevata propensione al risparmio; la forte valenza dei legami familiari e locali; la tendenza al "fai da te", senza ricorrere all'aiuto dello Stato o di strutture già organizzate; l'articolazione del territorio in una fitta trama di circuiti locali, densi di relazioni e di iniziative diverse.
La piccola impresa e il legame sociale che la caratterizza sin dall'inizio (legame verso la famiglia, verso gli interlocutori locali, verso i fornitori e i clienti) hanno costituito un modello riconoscibile, destinato a diventare prevalente nel breve volgere di una o due generazioni. Questo modello ha caratterizzato, tra alti e bassi, l'economia e la società regionale durante tutta la seconda metà del secolo scorso anche se si è imposto all'attenzione generale a partire dagli anni Settanta.
Negli ultimi tempi la crescita economica della Regione, alla pari di quanto è accaduto al resto dell'economia nazionale, ha incontrato problemi e difficoltà di tipo nuovo, che rendono improponibile pensare al futuro in termini di pura e semplice continuità col passato.
Per un verso, la continuità è ostacolata dal cambiamento intervenuto nell'economia internazionale, che propone oggi nuovi terreni di concorrenza, come la globalizzazione e la smaterializzazione della produzione, esercitando una pressione sull'economia veneta in direzione di un profondo cambiamento dei prodotti, dei processi e delle forme organizzative.
Per un altro verso, lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha fatto emergere fenomeni di individualismo e di localismo esasperati che cominciano a rappresentare un limite rilevante per la continuazione della crescita nelle forme che si sono manifestate fino ad ora.
Il Programma Regionale di Sviluppo deve perciò offrire strumenti concettuali e operativi utili ad affrontare una discontinuità che è, ad un tempo, tecnico-economica, ma anche socio-culturale. Si tratta di una discontinuità che impone un esame critico del percorso fatto sin qui, per identificare gli aspetti che continueranno ad essere punti di forza a cui appoggiarsi nel prossimo futuro, distinguendoli da aspetti che - sebbene radicati nelle abitudini o nei comportamenti diffusi - sono invece da cambiare o eliminare. Bisogna insomma preparare il terreno per la discontinuità evolutiva che ci attende, eliminando gli ostacoli e le barriere che frenano le possibilità di sperimentazione e diffusione del nuovo.
Le originalità da conservare
Per l'ulteriore modernizzazione delle strutture produttive, sociali, culturali della Regione non basta inseguire modelli ed esperienze altrui, immaginando un Veneto che non c'è, ma occorre partire dal molto che ereditiamo dal passato, e dalle leve che possono essere utilizzate per gestire passaggi difficili che dovranno anch'essi seguire vie originali.
La prima specificità di cui occorre tenere conto, in un piano che si prefigge di indirizzare e di intervenire, è il carattere in gran parte spontaneo, non preordinato e poco guidato, dello sviluppo sin qui realizzato. Uno sviluppo che ha cambiato in questo modo cosi profondo e irreversibile la nostra Regione, ma che è emerso dalle cose e si è rivelato per quello che è a posteriori. Non è stato però frutto di un accavallarsi anarchico di iniziative e di stimoli. Al contrario sono riconoscibili le forze che gli hanno dato forma e che sono ancora oggi leve importanti da usare per preparare i cambiamenti futuri: l'imprenditorialità diffusa, la disponibilità a lavorare e a sfruttare le occasioni per acquisire saperi senza complessi di inferiorità, e ancora, sul versante sociale, lo spinto di solidarietà, l'associazionismo e le pratiche mutualistiche, i legami familiari e locali. Queste sono le forze che hanno plasmato sin qui l'economia e la società regionale, dandole la sua caratteristica fisionomia e facendone una delle regioni più dinamiche e fiorenti del continente europeo.
Sia pure senza un piano preordinato, gli attori dello sviluppo Veneto sono riusciti a dar luogo ad uno sviluppo non precario e non banale, capace di esplorare nuove possibilità produttive, fornendo al mercato prodotti e processi innovativi, anche se collocati in settori in prevalenza tradizionali. Prodotti e processi che sistemi produttivi più ricchi di preesistenze tecnologiche e organizzative, non avevano convenienza a fornire o che non riuscivano ad offrire a condizioni competitive con i produttori veneti. Questi invece, con risorse assai più limitate e una storia di industrializzazione recente, sono riusciti a mettere a punto, sperimentalmente, forme inedite di organizzazione produttiva e sociale: forme flessibili, duttili, articolate in tante iniziative differenti, che, nel loro insieme, garantiscono però al cliente un servizio personalizzato, progettato a misura sulle sue specifiche esigenze.
Il motore dello sviluppo: capitale sociale e piccola impresa
L'economia regionale compete da tempo, con successo, con concorrenti dotati di una lunga storia industriale, ma anche con Paesi emergenti di industrializzazione recente, utilizzando come vantaggio competitivo la specificità di un sistema basato sulla piccola impresa, sulla produzione a rete, sulle catene di fornitura, sui sistemi territoriali e sui distretti industriali, ma anche su una base ed un retroterra fortemente collaborativo e predisposto all'innovazione pur nell'ambito di un sistema di valori ben radicato nella tradizione. È questa ricca dotazione di capitale sociale a rendere economicamente sostenibile la produzione diffusa, compensando, in qualche misura, i limiti della dispersione territoriale e della ridotta scala aziendale.
Del resto, i fatti parlano da soli: negli ultimi decenni il reddito pro-capite è cresciuto, rimontando una posizione iniziale piuttosto arretrata; le esportazioni sono aumentate in misura straordinaria; e, soprattutto, si è rapidamente raggiunta la piena occupazione, riuscendo con pieno successo a ricollocare nell'industria e nei servizi una quota non irrilevante di occupazione eccedente che era inizialmente allocata nelle attività agricole.
Questi risultati non sono stati conseguiti per caso, ma sono dovuti al modo innovativo, assolutamente non scontato, con cui il Veneto ha saputo coniugare la propria identità storico-culturale con le esigenze della produzione moderna, trasformando in punti di forza aspetti che la visione convenzionale - anche accademica - considerava fattori di debolezza, residui di un passato di arretratezza duro a morire.
Il retroterra familiare e il "capitale sociale" di cui le singole persone possono disporre, proprio grazie ai canali dell'integrazione sociale e culturale sul territorio hanno aiutato a propagare idee imprenditoriali e competenze professionali, a fornire capitale di rischio e di credito per avviare nuove iniziative, ad attribuire senso e importanza al lavoro, a dare alle nuove iniziative una base iniziale indispensabile di fornitori e committenti conosciuti e affidabili. Anche le associazioni e le Istituzioni locali hanno avuto, in questo senso, un'importanza fondamentale nel modellare il contesto in cui hanno preso forma iniziative individuali che non sarebbero decollate senza l'apporto sostanziale delle risorse e dei servizi disponibili nel territorio.
Si è dunque creata una rilevante mobilità sociale, dando luogo ad un sistema che, seguendo la logica della risposta flessibile, non si arrocca in difesa dell'esistente ma è permeabile e recettivo rispetto a nuove possibilità.
Se si deve progettare una discontinuità nel processo evolutivo dello sviluppo, bisogna innanzitutto individuare le innovazioni che hanno fondato il successo precedente e che possono costituire oggi il punto di appoggio per cambiare direzione di marcia.
I fattori chiave del successo imprenditoriale veneto che cioè hanno consentito alle persone di assumere un ruolo attivo, come imprenditori, lavoratori, operatori associati o cittadini, sono stati soprattutto il lavoro in rete, il radicamento nel territorio, il ruolo primario di persone e famiglie nella costituzione e nel funzionamento delle aziende.
Prima di tutto, il Veneto - come sistema regionale - ha compensato lo spiccato individualismo che ha radici nella cultura contadina e nella stessa dispersione degli insediamenti con una elevata, e per certi versi sorprendente, disponibilità di persone e imprese a "lavorare in rete", in rapporti di collegamento in cui ciascuno accetta di dipendere, in una certa misura, da risorse e da comportamenti di altri. Probabilmente si tratta di una scelta necessaria, nata dall'esigenza di superare i limiti della piccola scala e della scarsa dotazione di capitale: ma è comunque una scelta. Una volta divenuta frequente nella pratica sociale, essa ha aperto la porta di ingresso alla modernità. Il lavoro in rete è una soluzione che consente di sviluppare sistemi di produzione moderni, altamente specializzati, in assenza delle concentrazioni di capitale e degli investimenti in conoscenza che caratterizzavano aree di più antica industrializzazione.
Nella nostra Regione, le persone sono potute andare oltre i limiti del capitale, delle competenze e dei rischi di cui disponevano grazie alla divisione del lavoro realizzata con terzisti, fornitori, imprese di servizi, clienti. Piccole e piccolissime imprese hanno rapidamente imparato a lavorare in sistemi locali fortemente interconnessi (distretti industriali, catene di fornitura), in cui la grande scala del sistema compensa la piccola o piccolissima scala delle iniziative individuali. Le risorse di fiducia e di relazione diretta disponibili nei sistemi locali sono state impiegate per realizzare forme di divisione del lavoro in cui il capitale, le competenze, i rischi, i servizi specializzati richiesti sono distribuiti tra un gran numero di imprese e di persone, abbattendo in questo modo le barriere all'ingresso per la neo-imprenditorialità.
L'impresa diffusa ha poi trovato sul territorio le infrastrutture, i servizi, le competenze professionali, le risorse finanziarie e le aree, spesso attrezzate, necessarie per alimentare le iniziative imprenditoriali intraprese. Il sistema associazionistico ha fatto la sua parte nella fornitura di servizi e di canali di relazione che hanno consentito alle imprese minori di rimanere comunque in contatto con l'evoluzione della normativa, della politica economica e industriale, della fiscalità, del credito e dei sistemi di relazione. Lo stesso vale per le Istituzioni locali che hanno fornito un appoggio discreto alle iniziative e agli insediamenti sul territorio.
Ma è soprattutto il ruolo propulsivo delle persone e delle famiglie che caratterizza un sistema produttivo, come quello veneto, in cui le aziende sono costituite e crescono per effetto di iniziative personali e di relazioni dirette, da persona a persona. Anche quando le aziende diventano di dimensione media o medio-grande questo tratto culturale tarda a regredire, perché le aziende venete, nelle loro scelte strategiche, preferiscono quasi sempre seguire vie che mantengono un ruolo importante alle persone e alle famiglie, resistendo a forme di modernizzazione che le vorrebbero trasformare in organizzazioni formalizzate e impersonali.
Anche se il ruolo personale dell'imprenditore e della famiglia imprenditoriale limita, in qualche caso, le possibilità di crescita dell'impresa e rende difficile il passaggio da una generazione all'altra, bisogna però tenere presente i vantaggi competitivi che possono derivare dalla commistione tra vita aziendale e vita personale. Infatti è proprio grazie a questa indistinzione che, nell'esperienza di molte persone, il lavoro acquista un senso che va al di là del suo rendimento utilitaristico e le energie personali vengono profuse nell'attività produttiva ben al di là dell'orario di lavoro e dei ruoli formali.
Nell'insieme, reti locali, territorio e base personale/familiare hanno dato vita ad un sistema economico capace di sfruttare fino in fondo i vantaggi della divisione del lavoro e di utilizzare con una discreta flessibilità le risorse della tradizione. Il sistema molecolare delle piccole e piccolissime unità ha utilizzato, per stare insieme, il collante fornito da un capitale sociale pervasivo e coeso, ricavato dalla tradizione. Su di esso si è sviluppato un circuito di relazioni aperto alla modernità e all'economia internazionale.
Il sistema sta cambiando
Tutto il dispositivo sociale e culturale che ha finora sorretto lo sviluppo sta adeguandosi con una certa fatica alle sfide competitive dei nostri giorni. Le reti aziendali, territoriali, personali continuano ad essere un punto di forza del nostro sistema produttivo; ma esse tendono ad evolvere in forme che rendono meno facile la socializzazione delle idee, delle conoscenze, delle risorse utilizzabili. Le reti aziendali che sono state costruite nei sistemi di fornitura e nei distretti industriali hanno ancora oggi un carattere prevalentemente locale. Esse sono sempre meno compatibili con le strategie di aziende leader che guardano ormai alle minacce e alle opportunità dell'economia globale, ma si rivelano troppo limitate e troppo costose anche per i terzisti, le piccole imprese specializzate, i professionisti e i lavoratori che rimangono ancorati al territorio, ma che avrebbero bisogno di intercettare in modo più efficace il lavoro (a basso costo), le conoscenze, le opportunità di mercato emergenti nell'economia globale.
Le reti territoriali di servizio alle persone e alle imprese cambiano significato. Non è più possibile immaginare un'autarchia territoriale nelle conoscenze e nei servizi da utilizzare per difendere e sviluppare la propria competitività.
Il territorio rimane tuttavia una risorsa competitiva rilevante in due sensi. 0 perché le forze presenti sul territorio si corresponsabilizzano in una strategia consapevole di investimento per formare un sistema localizzato di conoscenze tecniche, di competenze specialistiche, di professionalità e di divisione del lavoro non disponibile altrove. 0 perché il territorio diventa la porta di accesso alle conoscenze, alle relazioni e ai servizi che di volta in volta servono, da reperire o nel bacino regionale o al di fuori, nel grande circuito della globalità.
Le reti personali e familiari, infine, rimangono la base del sistema produttivo veneto, ma possono anche diventare un limite allo sviluppo delle aziende in cui le singole persone che sono in posti di responsabilità si rendono insostituibili, provocando problemi difficilmente risolvibili quando si tratta di avvicendarle (ricambio generazionale, nuovi equilibri familiari), di affiancarle con competenze professionali di alto livello (modernizzazione manageriale), di far posto a nuovi soci (rafforzamento patrimoniale), di costruire alleanze con altre imprese al di fuori degli ambiti locali.
Ora c'è innanzitutto da prendere consapevolezza di una svolta strategica che si profila all'orizzonte del sistema veneto: la crescita quantitativa, che ha segnato la storia sino ai nostri giorni, trova sempre maggiori ostacoli a proseguire ed è diventata, per tutta una serie di ragioni, sempre meno desiderata e desiderabile. Nel Veneto di oggi c'è piuttosto un gran bisogno di crescita qualitativa: qualità della produzione, del lavoro, della vita sociale. Il benessere raggiunto riduce l'importanza assegnata all'aumento dei posti di lavoro e degli insediamenti industriali sul territorio, e ne fa invece vedere le ricadute negative sulla qualità della vita, che non sono poche: congestione dei trasporti, maggiori carichi ambientali, bisogno di immigrazione. La disponibilità di un territorio ben articolato e strutturato ha reso disponibile la grande crescita della Regione nelle seconda metà del novecento. Ora però sono da affrontare alcuni nodi irrisolti, che lo sviluppo, e le forze che lo hanno gestito, si trascinano dietro da anni e che ora stanno venendo al pettine, diventando non solo degli handicap per il sistema produttivo, ma delle vere e proprie jatture per la qualità della vita dei residenti.
È da ricordare il nodo delle infrastrutture: le strozzature logistiche ormai sono divenute un freno rilevante alla mobilità delle persone e delle merci sul territorio. In un sistema che ha una organizzazione territoriale molto dispersa, il blocco della mobilità delle persone e delle cose significa riduzione dello spazio di libertà con cui i lavoratori, i consumatori, gli imprenditori possono muoversi all'interno della struttura distributiva e produttiva attuale.
Bisogna poi intervenire con urgenza sui nodi derivanti dalle risorse, materiali e immateriali, che lo sviluppo ha consumato o logorato in questi anni, anche per effetto del benessere raggiunto.
Queste risorse devono essere rimpiazzate o rigenerate, per evitare che uno dei presupposti dello sviluppo venga meno.
La dispersione localizzativa ha "consumato" pesantemente il territorio con insediamenti poveri di differenziazione e di qualità. Col risultato di rendere sempre più scarsa la disponibilità di aree utilizzabili per insediamenti che non vadano a peggiorare la qualità dell'ambiente, già messa a dura prova dal carattere disperso e spesso caotico delle localizzazioni industriali, commerciali e residenziali.
Dalla campagna urbanizzata dei primi anni, in cui un sistema di vita basato sull'agricoltura, si dotava di attività, stili di vita e forme residenziali di carattere urbano, si sta passando all'esperienza, assai più complessa, della città diffusa, in cui cittadini dotati di uno stile di vita diventato sostanzialmente di tipo urbano chiedono servizi, luoghi di incontro, specializzazioni riconoscibili, collegamenti logistici, standard di qualità dell'aria, dell'acqua e dell'ambiente che rendano fruibile, anche in senso estetico e di "benessere complessivo" un ambito territoriale cresciuto, nel recente passato, senza questo tipo di preoccupazioni.
Il paesaggio e il valore simbolico-comunicativo che è in grado di esprimere - in termini di tradizione, arte, estetica, antropologia - fa parte integrante della qualità della vita e sta anche diventando una risorsa importante per l'economia, non solo come fonte di attrazione turistica, ma anche, sempre più, come forma di differenziazione e di identità da far valere sul mercato globale. L'identità diventa non più un dato scontato, ereditato dal passato, ma si propone come un significato che deve essere consapevolmente proposto e condiviso, rendendolo poi riconoscibile all'esterno tra le molte altre identità che si affollano nella società globale e che fanno sempre più fatica a mantenersi visibili e significative.
La seconda premessa dello sviluppo passato che è ormai venuta meno è la grande disponibilità di lavoro e di lavoratori, che in passato ha alimentato la crescita della manifattura attingendo alla "riserva" di manodopera in uscita dall'agricoltura e dal terziario tradizionale. Esauritasi la riserva di manodopera inoccupata o sotto-occupata, il calo demografico previsto per i prossimi decenni porterà ad una condizione di strutturale scarsità della forza-lavoro disponibile. Una condizione che, anche se in parte corretta dai flussi di immigrazione e da provvedimenti contingenti, altera sostanzialmente uno dei presupposti da cui ha preso le mosse la crescita economica del Veneto.
La scarsità di lavoro, esercitando una spinta sulle retribuzioni, può diventare un problema anche qualitativo se non sarà possibile sostenere i maggiori costi del lavoro attraverso una più elevata produttività. In futuro questa potrà aumentare soltanto aumentando il capitale intellettuale che, ai vari livelli, è investito nel sistema produttivo regionale. Questo è un processo che il sistema attuale tende ad alimentare in misura nettamente insufficiente rispetto alle necessità.
La terza premessa che sta venendo meno è il bacino culturale che ha in passato incubato ed accolto la crescita economica. Il benessere economico, che è stato rapidamente raggiunto da una fascia rilevante di popolazione, ha infatti finito per erodere le radici della cultura tradizionale, alcuni aspetti della quale sono diventati inattuali in una società che non ha più radici nel mondo agricolo e che non fa più esperienza diretta di fenomeni come la povertà, l'emigrazione, il lavoro duro, l'insicurezza del posto di lavoro. Cambiamenti rilevanti del modo di vivere hanno ridotto le capacità di integrazione delle comunità familiari, locali e religiose nei confronti di individui che, in molti casi, si sentono sempre meno identificati nel sistema sociale di origine senza che, nel frattempo, ne abbiamo trovato un altro.
Questi tre cambiamenti - nella disponibilità di territorio, nella disponibilità di lavoro e nella disponibilità culturale ad accogliere lo sviluppo - hanno progressivamente mutato l'atteggiamento con cui si guarda all'ulteriore crescita dei posti di lavoro, degli insediamenti e dei livelli produttivi. Quello che una volta era desiderato e considerato positivo quasi per definizione diventa oggi problematico, discutibile. Lo sviluppo economico non è sempre e comunque il benvenuto: spesso diventa oggi un ospite scomodo, che consuma le scarse risorse territoriali, infrastrutturali e lavorative disponibili.
Le politiche
Se economia e società tendono a dissociarsi, se i costi della crescita economica sembrano alle società locali qualche volta maggiori dei frutti che ne conseguono, è necessario prevenire gli effetti involutivi di questa possibile deriva realizzando, fin da ora, una nuova alleanza tra sviluppo economico e aspirazioni socio-culturali. È fuori dubbio che un'alleanza del genere può essere oggi stipulata solo se si assume fino in fondo e da subito la qualità, invece della quantità, come obiettivo socialmente condiviso. Lo sviluppo, per essere nuovamente il benvenuto nella società veneta dei prossimi anni, deve essere uno sviluppo di tipo nuovo, qualificandosi per le occasioni di apprendimento e di relazione che apporta, invece che per i posti di lavoro o per i metri quadri che consuma.
Lo sviluppo veneto in effetti sta consapevolmente uscendo dalla fase della crescita estensiva, basata sulla riproduzione allargata di modelli collaudati, per avventurarsi lungo la via, assai più difficile e problematica, della crescita intensiva, dove il fattore propulsivo che traina lo sviluppo non è più la maggiore quantità (di prodotti, di lavoratori, di imprese) ma la migliore qualità delle idee su cui investire e delle reti complesse (aziendali, territoriali, dei saperi, istituzionali e personali) che dovrebbero metterle in valore.
In questa prospettiva diventa importante dirigere le capacità di innovazione, imitazione ed emulazione del sistema regionale verso linee di sperimentazione rivolte non soltanto ai settori già noti, ma che battano anche strade nuove.
Bisogna infatti evitare di farsi chiudere nella trappola della "concorrenza di costo" da parte di Paesi che partono o col vantaggio di massicce economie di scala (i produttori massa dei Paesi più avanzati) o col vantaggio di un costo del lavoro incomparabilmente più basso di quello veneto. I segmenti in cui questi due tipi di concorrenti sono presenti o cominciano ad entrare sono quelli meno difendibili, alla lunga, per i nostri produttori. Anche nell'ipotesi che essi rimangano sul mercato accettando una riduzione dei margini di profitto, la rincorsa verso costi sempre più bassi non può durare a lungo, se non altro perché priva le aziende delle disponibilità necessarie per investire e sperimentare in direzioni nuove e più promettenti.
La priorità è dunque quella di passare da una concorrenza basata sul costo ad una concorrenza basata sulla qualità, ossia sulla differenziazione del prodotto o servizio offerto.
In parte, il sistema produttivo veneto è già orientato alla differenziazione qualitativa del prodotto/servizio offerto, ma si tratta oggi di fondare questa differenziazione su basi nuove: ci si deve rivolgere a clienti più lontani e diversi da quelli del circuito locale; si devono dunque interpretare e soddisfare bisogni che nascono in culture molto distanti dalla nostra; si devono proporre ai consumatori finali non tanto nuovi beni (materiali), ma nuovi significati (immateriali), garantendo allo stesso tempo livelli elevati di servizio (in termini di tempi di consegna, forme di pagamento, pezzi di ricambio, garanzia di qualità, assistenza nell'uso etc). La differenziazione del prodotto/servizio, per avere valore in un circuito ampio e tendenzialmente globale, deve essere visibile e riconoscibile; ciò comporta grandi investimenti in pubblicità, marchi, reti distributive, punti di contatto e di intersezione con imprese di servizio distribuite nei circuiti globali.
Tutto questo implica un cambiamento rispetto a quanto le imprese e i sistemi locali della Regione hanno ricevuto in eredità dal passato. Un cambiamento di metodi, di mentalità e soprattutto di investimenti. Le tendenze spontanee già stanno realizzandolo, ma con ritmi e in direzioni che non sono sufficienti rispetto alla sfida da affrontare e sopratutto ai suoi tempi stretti, imminenti. Bisogna che l'azione pubblica faccia la sua parte, intervenendo per accelerare l'evoluzione in corso e per sostenere le tendenze che, in essa, vanno nelle direzioni maggiormente promettenti.
In particolare lo sviluppo delle attività manifatturiere ha lasciato indietro, e spesso in condizioni di arretratezza, i servizi, ai produttori come ai cittadini, che non sono favoriti dalla distribuzione della popolazione, in moltissimi centri urbani di piccola e media scala. Mancano ancora nel Veneto le condizioni di un vero spazio metropolitano che consente ai servizi di qualità di avere un bacino ampio di domanda e di offerta, oggi accessibile ai produttori che sono localizzati
vicino a centri urbani di grande dimensione o di grande capacità di attrazione come Milano,
Bologna, Roma e le grandi metropoli europee e mondiali.
Per intervenire nel cambiamento in corso, cercando di guidarlo verso gli obiettivi sopra
richiamati, occorrono dunque politiche che intervengano sui nodi evolutivi che la crescita
spontanea non è capace di sciogliere da sola.
In particolare, è necessario che le politiche regionali, da sviluppare nei diversi campi, siano
orientate da cinque criteri di priorità:
a) rigenerare l'identità del sistema socio-culturale della Regione, in forme compatibili con le
nuove esigenze e opportunità economiche;
b) rigenerare le risorse produttive (lavoro, territorio, ambiente) consumate dallo sviluppo o
risultate comunque carenti rispetto alle necessità;
e) garantire l'accesso diffuso alle conoscenze, alle risorse e ai mercati esterni, sia attraverso i circuiti materiali della mobilità delle merci e delle persone (infrastrutture, logistica, servizio metropolitano), sia attraverso i circuiti immateriali del trasferimento delle informazioni (banda larga, codici e standard aperti o per lo meno condivisi);
d) consolidare il sistema relazionale tra gli attori, favorendo le strategie di condivisione che
consentono agli attori regionali di adottare progetti comuni, assumere orientamenti
cooperativi, dividersi i costi e i rischi delle politiche di investimento prescelte.
Qualunque strategia deve basarsi sulla consapevolezza che la persistenza dei valori essenziali è condizione per affrontare la sfida che parte dal mutamento e per compiere scelte innovative coerenti con la tradizione intesa come "consenso attraverso il tempo", tra le generazioni e le etnie, con l'individuazione dei valori essenziali plurietnici, secondo le caratteristiche del Veneto contemporaneo;
e) investire in capitale intellettuale, favorendo gli investimenti aziendali e personali in istruzione,
formazione, professionalità, ricerca e servizi innovativi.
Nelle pagine seguenti sono descritte in linea generale tali priorità.
a) Rigenerare l'identità e le premesse culturali dello sviluppo.
L'identità, che lega persone, corpi intermedi, comunità e aziende - ma anche t diversi livelli di rappresentanza istituzionale - al territorio cui si riferiscono, è una risorsa fondamentale nella concorrenza globale dei nostri giorni e, ancora di più, nel prossimo futuro. L'identità consente infatti ad una società di dare un senso condiviso al soddisfacimento dei bisogni propri alla dimensione del sentimento, dell'appartenenza, della condivisione valoriale, al lavorare, al produrre, costruendo, in ciascun territorio, valori e regole che permettano al sistema prestazioni - in termini di immaginazione, rischi, sperimentazione, flessibilità, coesione etc. - che altrove non sono possibili o sono diversamente orientate. Soprattutto, l'identità consente a persone e aziende di far valere la propria differenza nello scenario globale, nella misura in cui questa differenza viene codificata e resa riconoscibile anche dagli altri partecipanti alla rete di comunicazione e di scambi a cui si appartiene.
Una cultura come quella veneta, che conosce tre millenni di ibridazioni, di scambi, di sovrapposizioni e di accettazioni, ha accumulato nel tempo un nucleo di valori non negoziabili, a tutela della persona, e degli stili di vita compatibili con il mutamento sociale accelerato degli ultimi decenni. Guardando alla tipologia del suo sviluppo si riscontra un modello personalista e comunitario, dove il singolo afferma la sua individualità nei confronti del gruppo, e, nel contempo, la collettività lo sostiene nello sforzo di affrontare le responsabilità del mutamento.
La nuova società veneta, mentre partecipa dell'interconnessione mondiale, mantiene un suo radicamento nella cultura tradizionale. Il valore religioso e civile della solidarietà che si manifesta nel diffuso volontariato, i valori della partecipazione e della convivialità presenti nell'associazionismo, il valore del lavoro e l'apprezzamento sociale dell'imprenditorialità, come modi di realizzazione della persona (che ha finito col coinvolgere anche settori dell'immigrazione femminile e maschile), lo spirito di iniziativa e il senso di responsabilità personale, sono altrettanti aspetti d'una identità veneta che si sostiene tuttora a solidi elementi culturali quali la lingua della tradizione, una creatività artigiana marcata, variegate competenze gastronomiche, ritualità festive non neglette.
La straordinaria trasformazione che ha interessato il Veneto a partire dai primi anni Settanta del Novecento ha già dimostrato che un buon rapporto con la tradizione non è di ostacolo allo sviluppo. Valori come la famiglia, la comunità locale, l'intensa relazionalità, l'orientamento religioso, l'apertura al mondo, la disponibilità alle innovazioni tecnologiche, hanno costituito altrettanti capisaldi a sostegno di un mutamento fondato non sull'innovatore solitario, ma su un attore collettivo costituito dalla famiglia-impresa.
Lo sforzo per la modernizzazione degli ultimi decenni ha eroso tutti questi riferimenti, fino a minacciare le strutture antropologiche dell'identità culturale veneta. Per la quale i pericoli incombenti, tuttavia, sono soprattutto di carattere endogeno, come conseguenza della caduta delle nascite, delta diminuzione dei matrimoni, dell'invecchiamento inarrestabile della popolazione. Tutti fenomeni che mettono a rischio la persistenza identitaria, lasciando affiorare paure e insicurezze riguardo alla precarietà dei lavori proposti, alle incertezze della vecchiaia solitaria, ai pericoli della vita urbana ed extra-urbana aggredita da una criminalità sempre più spregiudicata.
Il mito individualista mostra da tempo i suoi limiti, e sempre più si chiede adeguata considerazione socio-politica per l'azienda familiare, e per la famiglia più in generale, come unità produttrice di reddito e soggetto fiscale.
Un'economia invasiva pone l'enfasi sulle strategie di mobilità e di flessibilità, e distorce la delocalizzazione d'impresa, senza preoccuparsi di mettere a rischio le antiche tradizioni di manualità creativa, sapientemente applicate un tempo al lavoro contadino e artigianale, e altrettanto preziose nell'era industriale.
Gli obiettivi politici, anche nella gestione economica delta società, che si vuole prospera, sono costituiti dalle esigenze di stabilità, di sicurezza in ogni ambito della vita sodale, di salvaguardia dei vincoli di parentela, dei rapporti di vicinato e di solidarietà comunitaria e dal rispetto del valore di sussidiarietà, nel quale si esprime l'esigenza dell'autonomia personale e collettiva.
Talune normative recenti, come quelle, per esempio, che mettono a disposizione degli anziani bisognosi le cosiddette "badanti" si muovono in questa direzione. Una strada su cui continuare, per il recupero di antiche forme di solidarietà, ma soprattutto per sfuggire a logiche di mercato che tendono a valutare i rapporti sociali solo in quanto rapporti economici, tralasciando di apprezzare il valore della gratuità, e l'esigenza della persona di sentirsi comunque parte di un gruppo, anche nell'organizzazione produttiva.
Il rispetto per l'autorità e la sostanziale fiducia verso i governanti sono una componente tradizionale dell'identità veneta. Questo patrimonio di consenso, realizzato nell'equilibrio tra le esigenze della persistenza culturale e le ragioni del mutamento sociale, resta il riferimento per la programmazione regionale che vuote mantenere la condivisione di senso esistenziale tra le generazioni e realizzare la pacifica integrazione tra vecchi e nuovi veneti in uno spirito di comprensione fra le culture.
In termini progettuali ciò significa indirizzare fondi adeguati affinchè gli immigrati siano posti nella condizione di raggiungere degli standard di vita non squilibrati rispetto alla modalità ordinaria degli autoctoni. Un indirizzo, peraltro già leggibile in molte iniziative avviate dalla Giunta regionale, che coinvolge differenti aspetti del vivere: dalla politica per la casa, all'accesso scolastico, all'assistenza socio-sanitaria. Accompagnando queste acquisizioni di servizi con processi formativi per adulti e minori, finalizzati alla conoscenza dei valori e dei comportamenti caratterizzanti l'identità veneta: il riferimento costante alla famiglia e l'amore per la casa, il radicato senso di appartenenza alla comunità locale, l'attaccamento al lavoro, la curiosità verso le innovazioni e la disponibilità al rischio di mercato, lo spirito di iniziativa, la volontà partecipativa che si esprime nell'associazionismo e nel volontariato.
La Giunta regionale potrà, a questo fine, attuare iniziative, nei diversi ambiti, per la realizzazione di corsi sulla cultura locale, mettendo a disposizione risorse per il potenziamento del sistema scolastico e del sistema comunicativo regionale, per la diffusione delle conoscenze specifiche relative alla cultura veneta, nei suoi contenuti tradizionali, e per l'acquisizione di quanto è patrimonio d'altre culture presenti in Regione, contribuendo a costruire una società integrata e pluralista. Particolare attenzione sarà data al rafforzamento della rete dei mediatori culturali e degli assistenti sociali, formati all'aiuto delle persone in difficoltà, quali ne sia l'etnia, il genere o la classe sociale di riferimento.
Nella consapevolezza, ormai acquisita, che la provvisorietà dell'immigrazione di lavoro si viene sempre più definendo nella stabilizzazione dell'immigrazione di popolamento. Con la conseguente necessità di prevenire ogni rischio di marginalizzazione, capace di generare conflitti devastanti.
Per proteggere la nuova società veneta non è possibile fidare solo sull'adattamento spontaneo degli sopravvenuti, dato lo choc culturale a cui molte famiglie di immigrati sono sottoposte nei difficile trapianto. Questi processi vanno sostenuti con misure d'intervento la cui filosofia muove dal rifiuto dell'assimilazione imposta. Favorendo invece forme di integrazione che non comportino dolorose rinunce all'identità culturale originaria, mentre a tutti è richiesto di rendersi disponibili al dialogo interculturale, per concorrere attivamente nell'acquisire un concetto di cittadinanza proprio al contesto pluralista. Una sfida etica, mirata a dimostrare l'opportunità, e non solo la possibilità, della convivenza feconda tra culture diverse in uno stesso territorio.
L'educazione interculturale si pone come condizione per affermare la democrazia reale nella società complessa e plurietnica. Nella prospettiva di un'identità europea multipla, dove ciascuna cultura tradizionale sia legittimata e non assimilata.
L'opzione interculturale è anche un problema di comunicazione interpersonale, ma ancora più una questione che investe l'intero contesto istituzionale entro cui si compiono le interazioni. Un lavoro lungo, una progettualità durevole e paziente, per la quale i poteri regionali potranno avvantaggiarsi della nuova normativa scolastica, che consente di elaborare inedite modalità formative in favore delle giovani generazioni che sono nate o che si trovano a realizzare nel Veneto le loro aspettative. A tutti questi cittadini conta fornire un buon livello di conoscenza, perché ciascuno apporti il meglio della sua intelligenza al patrimonio collettivo.
L'identità ereditata dal passato viene indebolita e in parte resa obsoleta dal processo di modernizzazione e di sviluppo economico. Se non si vuole perdere la propria differenza specifica, e con essa la possibilità di rendersi differenti e riconoscibili rispetto ad altri, si deve dar mano ad un disegno di rigenerazione dell'identità regionale, che non si limiti a recuperare il passato, ma ne recuperi gli elementi più rilevanti e più utili al confronto competitivo attuale.
Oggi l'identità di un sistema locale non si definisce in modo auto-referente, come poteva accadere nei sistemi relativamente chiusi del passato, ma si definisce necessariamente in funzione del rapporto locale-globale: è un'identità distintiva che differenzia nel circuito delle relazioni globali e che è riconoscibile agli interlocutori esterni.
Federalismo operante, non soltanto sulla carta, e capacità di iniziativa della Regione nei contesti internazionali di maggior interesse sono passaggi fondamentali per la costruzione di un profilo identitario che non si limiti a ricalcare il Veneto della tradizione, ma che metta in rapporto -nelle condizioni attuali - la dimensione locale con quella globale, prendendo forma nelle relazioni dialogiche tra la nostra Regione e le regioni europee e mondiali con cui possiamo avere maggiore interscambio culturale ed economico. Le imprese e i cittadini del Veneto hanno bisogno di andare all'estero, nei processi esportativi e di delocalizzazione, entro la cornice di relazioni e di convenzioni stabilita dalle Istituzioni locali con le Istituzioni corrispondenti dei Paesi di destinazione. Lo stesso vale per imprese estere che vogliano investire nella nostra Regione: bisogna costruire un quadro istituzionale e un profilo identitario che sia capace di attrarre capitali e progetti maturati a scala internazionale, favorendo investimenti in loco o processi di collaborazione con la realtà produttiva regionale.
II primo elemento da far valere, in questo profilo identitario del Veneto - che sia riconoscibile e riconosciuto nelle relazioni transregionali e transnazionali - è l'attenzione alle varie culture, specialmente nei confronti di Paesi con cui possiamo avere le maggiori possibilità di relazione; "attenzione" significa proiettare reti di collaborazione in altri Paesi, significa atteggiamento dialogante, aperto alle competenze e agli apporti che possono provenire dall'esterno.
La piccola impresa della Regione può allargare la trama delle sue reti di relazione, passando dal circuito locale a quello internazionale e globale, soltanto se, nei Paesi esteri verso cui si rivolge, trova ambienti compatibili con le sue esigenze e con le sue pratiche operative. Da un lato, questo significa che le aree di espansione più probabile del sistema regionale sono quelle in cui già esiste o in cui si può sviluppare un sistema di imprenditorialità diffusa simile al nostro. È abbastanza difficile che le piccole imprese regionali trovino spazi rilevanti in sistemi dominati da imprese multinazionali, da sistemi distributivi o agenzie governative che privilegiano la grande scala e che trovano interesse soltanto per progetti di dimensione consistente, superiori alle capacità di mobilitazione della maggior parte delle imprese venete. Dall'altro lato, non ci si può semplicemente arrendere alla diversità che le imprese venete incontrano nei Paesi con cui cominciano ad entrare in rapporto.
Bisogna che tale diversità sia gestita e rimontata attivamente. Nei confronti delle Istituzioni presenti in altri Paesi, è necessario sviluppare la costruzione di una serie di congruenze istituzionali rispetto alle principali esigenze delle imprese venete che con quelle Istituzioni devono entrare in relazione. Rispetto alle grandi imprese di produzione e distribuzione con cui si stabiliscono relazioni, diventa importante il ruolo aggregante delle aziende venete capofila, che scelgono di agire su scala internazionale come espressione di un vasto retroterra regionale, o l'uso di strutture di mediazione e convergenza (consorzi, reti, banche, associazioni, imprese di servizio) per aumentare il peso specifico con cui ci si presenta all'estero.
Il secondo elemento identitario da mantenere attivo, nei confronti del sistema interno e degli interlocutori esterni è quello della coesione sociale e della capacità di integrazione propria dell'economia diffusa, innervata di servizi sociali che abilitano le persone ad assumere rischi e a contare sulle proprie forze, avendo una rete di sicurezza da utilizzare in caso di esito negativo dei tentativi individuali fatti.
Politiche di sviluppo dei servizi sociali, reti di volontariato, associazionismo, interventi di tutela delle aree marginali e dei ceti deboli sono importanti fattori di coesione che generano identità, proponendo obiettivi comuni e responsabilità condivise. La costruzione dell'identità passa anche per lo sviluppo di un nuovo welfare, che sia non solo sostenibile sotto il profilo economico, ma anche direttamente partecipato e realizzato dagli utenti e dalle strutture del terzo settore.
Sono essenziali, da questo punto di vista, investimenti per ri-qualificare la tradizione come il paesaggio, attraverso interventi non semplicemente di carattere "estetico" oppure emotivamente motivati, ma piuttosto volti a rendere più noto, compreso e condiviso il patrimonio naturale, culturale e architettonico e valorizzarlo all'esterno (anche attraverso gli strumenti offerti da politiche del turismo più mature). Questi interventi devono essere complementari ad altri per la difesa della coesione sociale e la tutela delle aree e fasce sociali deboli.
b) Rigenerare le risorse produttive.
La prevedibile scarsità del lavoro, alle basse e alle alte qualifiche, è il primo dei problemi da affrontare in una politica di rigenerazione delle risorse produttive necessarie allo sviluppo.
Certamente bisogna comunque aumentare di qualche punto il tasso di occupazione della popolazione esistente, con riguardo soprattutto alle aree o settori tradizionalmente deboli (il lavoro femminile ad esempio) agendo anche indirettamente attraverso quegli strumenti che consentono di sviluppare forme di lavoro compatibili - quanto ad orario, contenuti, flessibilità etc. - con le esigenze personali e familiari, e di fornire quei servizi sociali che rendono possibile conciliare il lavoro con gli altri compiti o interessi che oggi coinvolgono i singoli e le famiglie.
Si tratta di un cambiamento molto complesso, che va avviato fin da ora, ma che non potrà dare nel breve termine risultati quantitativi importanti. Bisogna dunque prevedere che una parte del calo demografico atteso sia controbilanciata da due fattori che perderanno il carattere straordinario, che hanno avuto in passato, per diventare fenomeni ordinarl di riequilibrio di un sistema frenato dalla scarsità del lavoro interno:
• la detocalizzazione di una parte delle attività produttive in altre aree fuori Regione,
specialmente nelle aree a basso costo del lavoro;
• l'immigrazione di lavoratori provenienti da quei Paesi per alimentare le attività rimaste in
loco.
I flussi di delocalizzazione e i flussi di immigrazione, sommati insieme, consentono al sistema attuale di avere qualche margine di elasticità nella crescita, senza rimanere impigliato nella scarsità del lavoro disponibile. Si tratta di due soluzioni che comportano rischi e problemi di grande portata, e che vanno dunque prese in considerazione sistematicamente come base per la costruzione della futura economia regionale.
Per quanto riguarda il territorio, la sua rigenerazione passa per un processo di razionalizzazione degli insediamenti attuali che, contrastando il disordine oggi prevalente, consenta di recuperare il senso del vivere e dell'abitare in un contesto territoriale che corrisponde ad un disegno, ad un progetto e ad un significato, invece di essere, come spesso è, frutto di un assemblaggio casuale di scelte e comportamenti.
In questo ambito bisogna considerare innanzitutto le politiche di tutela dell'ambiente naturale, del paesaggio e del patrimonio artistico ed architettonico. Perciò la riorganizzazione degli insediamenti produttivi e residenziali va anche perseguita e guidata per rendere maggiormente sostenibile il rapporto tra produzione e ambiente. Il boom manifatturiero e insediativo ha fortemente alterato gli equilibri degli ecosistemi più direttamente investiti, con la conseguenza non solo di rendere peggiore la qualità dell'aria, dell'acqua e dell'ambiente naturale in generale, ma anche di porre un vincolo sempre più cogente a nuovi sviluppi e insediamenti della produzione. Ridurre il carico ambientale è dunque la condizione per rigenerare l'ambiente, sia a favore della sostenibilità e fruibilità dello sviluppo, sia per aprire nuove risorse e possibilità di crescita, in direzioni diverse.
In particolare nell'organizzazione dello spazio urbano si richiedono interventi che recuperino la fruibilità del territorio per gli abitanti della città diffusa, oggi eccessivamente .dispersa, in modo indifferenziato e scoordinato, sul territorio regionale, che forma ormai un'unica grande conurbazione. Il graduale spostamento degli insediamenti a macchia d'olio verso la campagna e i pochi spazi residui rischia infatti di esaurire del tutto una risorsa che è già divenuta molto scarsa.
Bisogna introdurre, nella fruizione dello spazio, elementi di connessione e di differenziazione che consentano di specializzare le funzioni dei diversi luoghi e, per quanto possibile, risparmiare territorio sia in integrità che in quantità. Innanzitutto, è necessario, a differenza del passato, elaborare la politica territoriale in base alle infrastrutture esistenti o pianificate. Inoltre, occorre promuovere una organizzazione razionale delle zone industriali che riduca il numero di opere infrastrutturali da costruire e consenta il recupero di aree industriali dismesse. Infine, è opportuno prevedere per le aree prossime ai nodi infrastrutturali una elevata densità insediativa a livello di centri direzionali e del terziario da realizzarsi anche attraverso uno sviluppo delle funzioni in verticale in modo da favorire un risparmio della risorsa suolo e un migliore accesso a tali aree.
La connessione rimanda certamente al problema della mobilità delle persone e delle merci e dunque alla questione irrisolta delle infrastrutture. Ma non si limita certamente a questa. In realtà l'obiettivo strategico degli interventi sul sistema infrastrutturale del Veneto deve essere la creazione di uno spazio metropolitano regionale, che consenta ai 4,6 milioni di abitanti della Regione di agire all'interno di un unico bacino di domanda e di offerta di quei servizi di qualità, che oggi connotano un territorio (dal punto di vista competitivo per le imprese e residenziale per le persone) e, per rendere accessibili questi servizi, non basta rafforzare l'armatura infrastrutturale del territorio, ma occorre fare molte altre cose, integrando offerta e domanda a scala regionale o di grandi sistemi infraregionali. Bisogna che il territorio regionale sia connesso da un sistema unitario e condiviso di comunicazione, su codici uniformi o compatibili tra le diverse reti, su standard logistici, di qualità e di garanzia che siano generalmente noti e accettati, sull'accesso universale e non discriminatorio alla pubblica amministrazione e ai servizi pubblici presenti nella nostra Regione.
La differenziazione funzionale passa anche per una diversa impostazione delle normative che regolano l'uso del territorio. In questo campo, bisogna soprattutto contrastare l'uso dissipativo e indifferenziato delle aree che sono ancora disponibili, favorendo invece le tendenze - che pure esistono - per una valorizzazione differenziata delle aree e per il recupero intelligente delle preesistenze attualmente non più utilizzate o sottoutilizzate. In questa prospettiva, anche lo sviluppo di un'edificazione in verticale può essere vista come un passaggio che consente di addensare gli insediamenti in certi punti e di economizzare lo spazio impiegato, introducendo anche elementi di varietà nella gerarchia urbana attuale.
c) Garantire l'accesso diffuso alle conoscenze, ai servizi, ai mercati.
In passato persone e imprese erano immerse in un territorio che forniva loro gran parte di
quanto necessario per produrre e che era destinatario di gran parte delle prestazioni produttive
locali. Oggi non è più cosi: il territorio, inserito in reti transnazionali o globali, è soprattutto una
piattaforma di accesso, alle conoscenze, ai mercati e ai servizi disponibili in uno spazio vasto,
che va oltre la dimensione locale.
In un sistema urbano ed imprenditoriale diffuso che vuole mantenere questa caratteristica
pervasiva e orizzontale, bisogna che anche gli accessi siano diffusi, non gerarchizzati al punto di
discriminare alcuni luoghi che sono poco serviti o troppo congestionati.
L'accesso deve essere fisico, ossia realizzato attraverso la mobilità delle persone e delle merci;
ma deve essere allo stesso tempo virtuale, implicando invece la possibilità di interagire
efficacemente a distanza, riducendo al minimo la barriera della distanza fisica tra chi domanda e
chi offre un bene, una conoscenza, un servizio.
Oggi è più facile immaginare un rapido sviluppo dell'accesso virtuale, piuttosto di un
potenziamento a tempi brevi delle infrastrutture che sostengono la mobilità fisica delle merci e
delle persone. Questo potenziamento, tuttavia, è assolutamente necessario, se si vuole che
imprese e persone possano guardare al sistema regionale come un sistema di offerta integrato,
e se si vuole, con un salto di scala, favorire l'eccellenza e la specializzazione dei diversi centri di
offerta che oggi servono soprattutto bacini locali di domanda, di scala nettamente insufficiente
rispetto alle esigenze di innovazione.
L'accesso diffuso va dunque garantito a persone e imprese sia nei confronti dello spazio
metropolitano che dello spazio globale.
Il sistema veneto è basato invece su attività che gestiscono la complessità a scala globale e che
si rivolgono all'esterno (ad esempio con le esportazioni) solo per vendere, dando luogo a un
contatto non troppo impegnativo con lo spazio globale. Il frazionamento degli insediamenti
regionali e la distribuzione della popolazione urbana in molti centri di media dimensione - di
scala pressoché equivalente - ha fatto mancare al sistema regionale un livello metropolitano
forte. Oggi la gerarchia dei livelli territoriali sta cambiando, e il Veneto deve guidare questo
cambiamento - che per adesso ha una forma soprattutto spontanea - in modo da rafforzare i
livelli metropolitano e globale, che sono carenti, legando a questi livelli anche le attività che
continueranno a svolgersi su scala locale.
Non si tratta tanto di organizzare nuove autorità amministrative, su scala metropolitana o
globale, che si affianchino ai livelli già esistenti, anche se un riordinamento dei livelli istituzionali
è parte di un disegno federalista che riesca ad affermarsi e ad incidere nel governo dei
problemi, ai diversi livelli a cui questi si pongono. In realtà, quello che veramente conta nel
breve termine per consolidare bacini di servizio su scala metropolitana e globale è il sistema
degli accessi, ossia le risorse di comunicazione-interazione (virtuale) e di mobilità logistica (fisica) di cui possono disporre le persone e le imprese situate nei diversi punti del sistema
regionale.
Il sistema degli accessi è oggi sbilanciato, nel Veneto, sulla scala locale, perché questa fornisce
a produttori e utilizzatori di servizi metodi semplici per comunicare (il contatto diretto) e per
fruire fisicamente del servizio (la contiguità spaziale, una logistica locale ancora efficiente, anche
se sempre più congestionata). Se dalla scala locale si passa alla scala metropolitana, la
comunicazione diventa difficile, in tutti i casi in cui non basta il telefono, e la fruizione del
servizio richiede lunghi e faticosi spostamenti, che, con la loro scarsa frequenza, finiscono per
rendere non utile o non di qualità il servizio ricevuto o offerto.
Perché i servizi di scala metropolitana possano svilupparsi in Regione, in modo commisurato alle
capacità esistenti e alla domanda, bisogna dunque integrare il bacino regionale della domanda e
dell'offerta del servizio.
È solo in questo modo che diventano sostenibili i grandi investimenti che devono essere fatti per
produrre servizi di qualità e sviluppare competenze rare, favorendo la specializzazione
dell'offerta ed aumentando i rendimenti degli investimenti fatti in ciascun campo di
specializzazione.
Integrazione significa, prima di tutto, rendere possibile un'efficiente interazione a distanza tra
chi produce il servizio e chi lo utilizza. Non si tratta soltanto di costruire una rete virtuale di
collegamento, ma di garantire alle parti del rapporto canali di accesso efficienti a distanza: una
prestazione ospedaliere o consulenziale deve potersi sviluppare attraverso comunicazioni,
interazioni, scambio di dati ed esperienze a distanza, in modo da rendere il rapporto a distanza
ricco quasi come un rapporto diretto, faccia a faccia. E questo riguarda non solo gli standard
impiegati, ma anche le regole che disciplinano l'interazione: deve essere possibile per un utente
esterno entrare in contatto con le persone o con le informazioni desiderate nella struttura che
produce il servizio, senza dover affrontare ambiguità, attese, resistenze e opacità da parte della
struttura con cui interagisce a distanza.
Bisogna, in altre parole, "mettere in rete" - sia dal punto di vista virtuale che da quello logistico -
la domanda e l'offerta dei servizi regionali. Si tratta di disegnare un programma di lungo periodo
mirato a riaggregare quello che lo sviluppo ha disperso e a ridare unitarietà ad un sistema oggi
frammentato da troppi localismi.
Lo stesso vale per l'accesso al bacino dei servizi globali. In questo caso le soluzioni che contano
sono quelle delle reti virtuali e della logistica a lunga distanza: aeroporti, porti, linee ferroviarie
ad alta velocità e capacità, centri intermodali, imprenditorialità logistica diffusa sono la chiave
per essere presenti nel mondo senza perdere le connotazioni e i caratteri della residenza e del
lavoro in un luogo preciso, dotato della sua identità.
In questo disegno la Regione ha un ruolo importante non solo nel promuovere gli investimenti
infrastrutturali che oggi risultano carenti, e talvolta drammaticamente assenti, ma anche nel
guidare la formazione di un sistema virtuale dotato di standard condivisi, di regole e chiavi di
accesso comuni, di condizioni di dialogo con la Pubblica Amministrazione chiare e garantite.
di Consolidare il sistema relazionale.
Il Veneto soffre di un eccesso di frammentazione: individualismo e localismo sono nati dalla
dispersione degli insediamenti, ma anche a volte dall'insufficiente spirito cooperativo tra
persone, tra enti e tra aziende che si percepiscono più come potenziali concorrenti che come
parti complementari di un sistema unitario.
La difficoltà a sommare gli sforzi e a coordinare i comportamenti è freno per tutte le iniziative
che richiedono una massa critica di una certa entità, o che devono nascere dalla con divisione di
un progetto comune.
La politica regionale deve dunque incentivare le differenti categorie e i differenti sistemi locali ad
unirsi, coordinandosi in un disegno condiviso di sviluppo. Non si tratta soltanto di favorire
questo o quel contenuto della politica regionale; si tratta anche di favorire un metodo, un modo
di porsi rispetto ai problemi e nella ricerca delle soluzioni. La condivisione, in un sistema
eccessivamente frammentato ed eccessivamente localistico, è una metodologia che è un valore in sé, che fa riconoscere come validi e utili anche interessi di cui non si è direttamente portatori. Forme di convergenza tra pubblico e privato possono utilmente aggregare le forze e creare convergenze verso le esigenze prioritarie del territorio. Un maggior coordinamento tra gli enti pubblici che operano nella Regione e una regia del pubblico che coinvolge anche interessi privati può essere un fattore propulsivo per il buon esito di progetti di interesse comune: la Regione si propone di dare priorità, nelle proprie vantazioni, ai progetti che nascono da questi processi di convergenza, a partire dai problemi che sono più importanti per il territorio. Ad esempio la ricerca di un rapporto più diretto e coinvolgente con i distretti produttivi e con le forze che essi esprimono fa parte di questo quadro: bisogna riconoscere e favorire le forme di incentivazione, aderendo alle loro forme di addensamento sul territorio, ma considerando interlocutori validi soprattutto gli operatori che presentano progetti condivisi, nati da esigenze specifiche e da processi di cooperazione. È a questo principio che deve ispirarsi la politica industriale regionale.
In questa logica anche la programmazione negoziata può essere considerata una metodologia valida per creare convergenze, coordinare forze altrimenti disperse; favorire lo sviluppo di servizi e di attività poste al servizio del territorio o comunque di una larga fascia di fruitori.
e) Investire in capitale intellettuale.
Il banco di prova di questa politica di condivisione delle priorità e delle soluzioni, è l'intervento che la Regione si propone di fare sulle risorse umane, ossia sulle competenze professionali delle persone e sul capitale intellettuale di cui possono disporre le imprese.
Nel Veneto il saper fare emerso dal basso ha trovato spazi di crescita e di affermazione competitiva nella tecnologia delle macchine, nell'organizzazione dei processi produttivi, nelle forme organizzative delle imprese, nella proliferazione di idee imprenditoriali, fino a divenire uno stile di gestione e di sperimentazione. Non servivano titoli di studio in partenza, o costosi laboratori di ricerca: bastava avere la possibilità di fare esperienza, di "imparare facendo" in qualche fabbrica o in qualche ufficio del sistema locale. È cosi che migliaia di lavoratori dipendenti hanno potuto mettersi in proprio.
Il sapere empirico e sperimentale derivante da questa matrice caratterizza, nel bene e nel male, il capitale intellettuale di cui dispone, ancora oggi, il sistema produttivo della Regione, anche se, come è ovvio, la crescita del reddito ha portato i tassi di scolarizzazione dei giovani a livelli comparabili a quelli delle altre regioni.
Si tratta di un capitale intellettuale che ha avuto - e ha tuttora - indubbi vantaggi. Ha infatti rotto la gerarchia sociale classica, basata sui percorsi lunghi di scolarizzazione, favorendo l'accesso di una vastissima base sociale alla produzione moderna e, in essa, all'assunzione di posizioni di rischio e di responsabilità.
I vantaggi del sapere pratico e diffuso sono stati largamente sfruttati: la logica della specializzazione in certi settori, invece che in altri, è strettamente legata alla disponibilità di questo tipo di capitale intellettuale. Oggi tuttavia bisogna essere consapevoli del fatto che ulteriori spazi per espandere le attività appoggiate al sapere pratico e diffuso esistono, ma sono esigui (anche perché in molti Paesi emergenti si sta seguendo una strada simile a quella veneta) e che l'estensione dei circuiti di fornitura e di vendita implica la capacità di padroneggiare i linguaggi formali della scienza, dell'ingegneria, del management, dell'informatica, dell'estetica, della trans-culturalità etc. Il possesso di queste capacità concettuali e linguistiche diventa la pre-condizione per comunicare ed interagire nel mercato globale.
Una barriera intellettuale si sta dunque di nuovo formando: il Veneto ha tuttavia i mezzi e la possibilità realistica di superarla senza rinunciare alle sue caratteristiche distintive - sapere pratico e accesso diffuso alla sperimentazione professionale e imprenditoriale - se si investirà, nei prossimi anni, nella formazione di capitale intellettuale, in misura adeguata a dare diffusione di massa ai linguaggi formali che diventano necessari per gestire in modo innovativo le relazioni a lungo raggio.
Da questo punto di vista, le difficoltà da superare sono soprattutto due.
Prima di tutto, bisogna rimontare una condizione di estraneità, divenuta in certi casi di reciproca diffidenza, che ha creato una barriera culturale tra ambiente produttivo diffuso e circuiti intellettuali della Regione, concentrati nelle Università, nei centri di ricerca e nelle strutture, anche diffuse sul territorio, che sono impegnate in investimenti di tipo intellettuale e culturale. La storia passata ha creato una divaricazione, separando le prospettive di crescita di questi due poli. Oggi, occorre non solo riavvicinarle, ma integrarle in un rapporto di tipo nuovo, che sia utile ad entrambi.
La seconda difficoltà strutturale nasce invece dal frazionamento e dalla dimensione delle imprese, che rende difficile la realizzazione di piani di investimento a lungo termine.
La formazione di capitale intellettuale di tipo nuovo, non immediatamente applicabile ai problemi aziendali, è un tipico processo a lungo termine. In parte esso può essere portato a carico delle famiglie, aumentando la durata media del periodo di scolarizzazione in età pre-lavorativa, ma in parte richiede interventi formativi e di apprendimento che devono necessariamente svolgersi durante la vita lavorativa, sia perché molte nuove competenze si possono apprendere solo sul campo, sia perché bisogna considerare normale il fatto che, nel corso della vita lavorativa, una persona cambi diverse volte mansioni, azienda e qualche volta settore di attività, rispondendo con questo a esigenze e opportunità di apprendimento che emergono dopo il termine della carriera scolastica. Queste esigenze ed opportunità, che oggi sono scoraggiate, possono invece risultare preziose per rinnovare il bagaglio professionale nel corso della vita lavorativa di ciascuno. Un sistema coordinato e diffuso di formazione continua è uno dei modi più adatti a canalizzare queste disponibilità ad apprendere e a rinnovarsi.
Se le imprese trovano difficoltà ad investire nella formazione del capitale intellettuale sia per la preminenza della pratica nell'approccio culturale, sia per la ridotta dimensione unitaria, la soluzione maggiormente coerente con il modello veneto è quella di un ricorso crescente a strutture di servizio (commerciali, tecnologiche, di consulenza etc), che possono specializzarsi in vari campi di competenza e offrire le loro prestazioni ad una platea vasta di utilizzatori.
La politica regionale si propone perciò di accrescere la quantità e la qualità del "terziario avanzato" presente nella Regione, in risposta al bisogno di capitale intellettuale delle imprese che ne fruiscono.
La Regione Veneto dovrà cooperare in modo continuativo e sistematico con tutti gli operatori -pubblici e privati - che operano nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, dell'istruzione superiore e della formazione perché le risorse disponibili, comprese quelle di provenienza europea, vengano utilizzate completamente e nel modo migliore, secondo criteri e priorità condivisi. Si tratta, infatti, non di rispondere alla domanda di professionalità che spontaneamente si manifesta sul mercato, ma di formulare e condividere un disegno strategico che anticipa il fabbisogno futuro, mettendo al centro dell'attenzione l'idea della discontinuità anche per quanto riguarda le professionalità da formare.
Guidare l'evoluzione, preparare le risorse per la discontinuità
II ruolo della Regione, in questo Programma Regionale di Sviluppo, è quello di guidare un'evoluzione che già ha imboccato, per forza spontanea, un percorso di severo, e non sempre positivo, adattamento alle nuove condizioni della concorrenza esterna e delle dinamiche interne al sistema.
Un processo collettivo si può tuttavia guidare soltanto se gli obiettivi e i metodi emergono da una condivisione estesa e convinta. Soprattutto se si tratta di indicare traguardi e proporre soluzioni a cittadini, imprese e sistemi locali che sentono la pressione della concorrenza e che vivono, con qualche ansia, le minacce di un futuro che non si presenta né facile, né rassicurante.
C'è il rischio che le tensioni che agiscono sui diversi interessi e luoghi del sistema regionale si traducano in atteggiamenti difensivi, di chiusura alla comprensione degli interessi collettivi che sono coinvolti in questa evoluzione.
Compito del Programma Regionale di Sviluppo è dunque, innanzitutto, quello di delineare una possibile convergenza del sistema regionale verso obiettivi che possono diventare comuni alle diverse categorie, rappresentanze e sistemi locali, proponendo soluzioni capaci di integrare e portare a sintesi istanze di un sistema oggi troppo frammentato e disperso per avere un'identità forte e riconoscibile.
La discontinuità, che rompe la routine e le incrostazioni inerziali del passato, è una sfida ma anche una grande opportunità: essa crea uno spazio di libertà che il sistema veneto deve essere capace di riempire di progetti e di processi forti, per riequilibrare il meccanismo di sviluppo ereditato dal passato, oggi in affanno, ma anche per ridisegnare un modo condiviso, non convenzionale, l'identità veneta da affermare nell'economia e nella società del prossimo futuro. A questi obbiettivi si aggiunge ora quello di una rinascita istituzionale dell'Ente Regione e dell'intero sistema delle autonomie locali del Veneto. Oltre alle innovazioni di servizio, di comunicazione, di informazione, di rete che oggi definiscono la qualità di un governo regionale, emerge primaria la necessità di una tecnologia istituzionale volta alla modernizzazione dello spirito originario delle regioni, che gli stessi "padri costituenti" vollero di "impulso". Come non ricordare che allora, negli anni Settanta, l'avvio delle regioni a statuto ordinario rappresentò anche il tentativo di dare risposta ad una società italiana che mostrava crescente insofferenza verso un sistema istituzionale statico e incapace di sostenere la domanda diffusa di democrazia e di "vicinanza decisionale"!
Allo spirito di impulso che derivava dalla Carta costituzionale, si accompagnava allora - come oggi - l'urgenza forte di modernizzazione.
In un quadro culturale e normativo profondamente in evoluzione, l'ordinamento regionale è ora chiamato a portare a compimento tutte le vecchie e nuove potenzialità, dando anima e corpo all'autogoverno.
Questa è dunque la prima, vera, fase evolutiva, statuale e neo-costituente della Regione Veneto a fronte di fenomeni di massa mai prima sperimentati, quali l'economia globale, la net-società dell'informazione, l'immigrazione strutturale, il lavoro individuale, la formazione continua, l'invecchiamento della popolazione, il radicamento di nuove forme di sovranità e poteri. Storicamente, si passa dalla fase dei progetto a quella del cantiere, dal momento della transizione di processo a quello della transizione di scopo.
Se nel 1970 la Regione nacque formalmente e sostanzialmente dall'alto, oggi essa deve rifondarsi a seguito del trasferimento di funzioni amministrative iniziato con la legge "Bassanini" e soprattutto a seguito della riscrittura del "titolo V" della Costituzione operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, ma certamente anche "per comune sentire". Secondo i parametri popolari del consenso e della rappresentanza essa deve ristrutturarsi consapevolmente dal basso.
L'occasione è importante ma di non facile soluzione, in quanto i possibili percorsi sono molto numerosi. La molteplicità dei percorsi da affrontare si manifesta di fronte all'urgenza ed alla complessità di coordinare leggi costituzionali, tempi di attuazione, leggi statali di principio e Statuto regionale, programmazione e gestione corrente.
In questo quadro di apparente incertezza deve restare fermo il principio di garantire l'innovazione istituzionale come valore permanente della Regione Veneto e come settore strategico dei suoi programmi di governo.
La finalità è di mobilitare ogni risorsa riformista alto scopo di fare della Regione la casa comune della società veneta e di mettere al centro identitario della politica regionale la vicinanza tra cittadini ed Istituzioni. Sarà questa la sfida della "sussidiarietà" secondo la genetica vocazione orizzontale del Veneto: sussidiarietà che responsabilizza il cittadino, quale primo titolare dell'autonomia, assieme ad ogni suo reticolo sociale, e che attua fino in fondo ogni possibile decentramento amministrativo verificandone laicamente l'efficacia e l'efficienza sulla base dei principi di "differenziazione" e di "adeguatezza" introdotti ora all'articolo 118 della Costituzione.
Le Istituzioni venete sono dunque chiamate ad un surplus di responsabilità e di lungimiranza, che esalti ogni potenzialità del territorio veneto, che è ancora rete di centri (il vecchio "policentrismo"), senza un centro preponderante definito (oltre al riferimento storico ineludibile e sentito alla città serenissima), senza periferie che non abbiano propri valori e potenzialità, rete che aspira ad essere al centro di reti più vaste, un patrimonio dunque da utilizzare al massimo proprio nel momento in cui i sistemi rovesciano la gerarchia di governo: dall'unità della diversità, alle diversità nell'unità, dove è la diversità a farsi prima pietra della costruzione istituzionale (di un Veneto uno e multiplo).
FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ VENETA
1.1 Le politiche sociali
IL MODELLO DI GOVERNANCE DELLA RETE DEI SERVIZI SOCIALI NELLA REGIONE DEL VENETO
La Regione si propone di apportare sviluppi e completamenti alle politiche di intervento sociale
finora intraprese per affrontare le nuove esigenze che emergono dal complesso tessuto sociale del
territorio e operare per una maggiore efficienza ed organicità della rete dei servizi sociali e
sociosanitari.
L'insieme delle linee d'azione e delle strategie attivate nelle diverse aree d'intervento delle Politiche
Sociali nella nostra Regione, hanno come scopo ultimo la tutela e la valorizzazione di ogni individuo
che necessita di un aiuto per realizzare compiutamente il suo essere "persona", in tutti gli ambiti in
cui essa è chiamata a vivere e ad esprimere le sue capacità.
Crescono dunque nell'ambito dei programmi regionali la sensibilità e l'attenzione ad una politica
sociale attenta alla quotidianità, che considera le peculiarità e le complessità di ogni fase della vita,
che promuove e sostiene le potenzialità dei singoli, delle famiglie e delle diverse comunità.
La Regione del Veneto, allo scopo di dare concretezza agli obiettivi sopra evidenziati, utilizza i due
fondamentali strumenti che l'ordinamento costituzionale ha previsto per dare piena attuazione ai
principi di federalismo e sussidiarietà: l'emanazione di una disciplina normativa, che riorganizzi
complessivamente il sistema esistente e che formuli orientamenti per il Muro e la gestione
programmata delle risorse finanziarie proprie e assegnate dallo Stato.
PERSONA, FAMIGLIA E COMUNITÀ LOCALI
Le rilevazioni statistiche prospettano un andamento demografico caratterizzato sempre più dalla
diminuzione delta natalità, dall'invecchiamento della popolazione e da un saldo positivo legato
soprattutto all'apporto dell'immigrazione. Con le attuali linee di sviluppo demografico, la quota
della popolazione di origine non veneta tra ventanni sarà superiore al 30%.
Il maggior impegno della donna al di fuori dalle mura domestiche fa crescere la domanda di servizi
per l'infanzia e di assistenza per l'anziano.
Ne consegue che per la Regione diventa strategicamente importante sviluppare tutte quelle
politiche che garantiscono servizi a sostegno della famiglia, soprattutto a favore delle nuove
generazioni.
La famiglia di oggi fa sempre più fatica ad affrontare le situazioni legate alla disabilita ed è
fondamentale passare dal principio dell'adattabilità al principio dell'integrazione rendendo possibile
la piena partecipazione dei disabili ai processi economici e sociali.
Rispetto al quadro delineato, la Regione intende sviluppare le seguenti priorità:
interventi a favore della natalità;
sostegno alla maternità, servizi all'infanzia e alla famiglia;
sviluppo di servizi sociali a favore della terza età;
misure a favore delle donne lavoratrici;
tutela dei minori e dei giovani;
prevenzione e recupero per i tossicodipendenti;
accesso alle abitazioni a favore delle giovani coppie;
sostegno all'introduzione di innovazioni.
L'ampiezza e la complessità dei settori e delle competenze che sono implicate in una azione di sostegno alla famiglia giustificherebbero una azione politica e amministrativa organica e unificata.
PARI OPPORTUNITÀ
La promozione delle parità tra uomini e donne è fondamentale per uno sviluppo economia),
culturale e sociale equilibrato.
Gli obiettivi che la Regione intende realizzare sono:
favorire l'accesso al lavoro femminile e migliorare le condizioni di lavoro, di vita e di
reddito delle donne;
consentire lo sviluppo professionale e di carriera delle donne;
conciliare la vita professionale con la vita familiare.
INTEGRAZIONE
Negli ultimi anni la presenza degli stranieri nel territorio regionale è in forte aumento; crescono le
presenze femminili e dei minori, indicatori di una tendenza al radicamento e alla stabilizzazione
territoriale.
La Regione si propone di:
sviluppare una prospettiva istituzionale non congiunturale dell'immigrazione;
promuovere interventi per prevenire il disagio e l'emarginazione;
predisporre una nuova normativa regionale;
creare strumenti per quantificare e soddisfare il fabbisogno abitativo degli immigrati anche
rivitalizzando e ripopolando spazi territoriali in abbandono;
sostenere e diffondere la formazione favorendo In particolare l'apprendimento della lingua
italiana, delle regole civiche, degli aspetti socio-culturali della comunità locale.
SICUREZZA URBANA E TERRITORIALE
Negli ultimi anni vi è in Italia e nel Veneto una crescente attenzione a un complesso di situazioni e
fenomeni che caratterizzano principalmente le città e le periferie con degrado sociale,
danneggiamento della cosa pubblica e diffusa micro criminalità, ma che molto spesso tocca anche
il territorio dei piccoli centri e dell'urbanizzazione diffusa.
È pertanto necessario un alto livello di intervento sulla sicurezza fatto di conoscenza,
programmazione e realizzazione di interventi a largo spettro, comprensivi di iniziative in comune
con le Forze dell'Ordine.
A tal fine gli obiettivi che la Regione si propone di raggiungere sono:
definire l'ordinamento della Polizia locale;
Incentivare il coinvolgimento delle categorie produttive nei processi di sicurezza;
attivare politiche per aiutare concretamente le vittime dei reati urbani;
sviluppare un sistema di rilevazione e di elaborazione di dati sui fenomeni con il
coinvolgimento dei cittadini;
promuovere una cultura della progettualità nel campo della sicurezza urbana e territoriale
che privilegi l'integrazione degli interventi;
sviluppare strumenti pattizi con lo Stato e gli Enti locali, implementando il Protocollo di
Intesa tra Ministero dell'Interno e Regione del Veneto in materia di sicurezza urbana e
territoriale.
Grande attenzione dovrà essere posta ai fenomeni migratori e alla distinzione tra il fenomeno e gli aspetti criminali correlati, favorendo le azioni preventive, anche presso i Paesi d'origine. Assume importanza strategica perciò la collaborazione europea e la necessità di sviluppare forme di coordinamento tra polizie locali e nazionali dei diversi Paesi.
1.1.1 II modello di governance della rete dei servizi sociali
Lo scenario istituzionale
Le modifiche intervenute al Titolo V della Costituzione, espressione del procedimento di mutamento istituzionale dello Stato, iniziato con le leggi Bassanini e con il d.lgs. 112/98, per opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, hanno notevolmente potenziato il ruolo della Regione nella programmazione e nella disciplina delle politiche sociali e socio-sanitarie, assegnando ad essa la competenza esclusiva legislativa in questa materia. Al legislatore nazionale è stato lasciato il potere normativo relativamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale (vedi art. 117, comma 2 lett. m).
Ad ogni modo la Regione del Veneto ha perseguito per molto tempo un progetto di riforma complessiva del proprio sistema dei servizi sociali. Tuttavia si dispone di un organico quadro di riferimento solo dalla fine degli anni '90, con il Piano Socio-Sanitario Regionale (1996-1998).
Il progetto di riforma è stato sviluppato negli anni successivi con ulteriori interventi. Fra questi assume particolare importanza la legge regionale 13 aprile del 2001, n. 11 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle Autonomie Locali in attuazione del Decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112", che detta i principi della programmazione dei servizi sociali, individuando nel territorio di ciascuna ULSS la dimensione territoriale ottimale per l'esercizio dei servizi ed il "piano di zona" come strumento primario di attuazione della rete dei servizi sociali e dell'integrazione sociosanitaria. Quest'ultimo in particolare, costituisce un importante e dinamico strumento di programmazione che mira a conseguire la regolamentazione concertata tra il soggetto pubblico e privato, di servizi e di iniziative all'interno di una medesima zona, in modo da garantire una maggiore offerta e qualità di assistenza e di servizi sociali.
In questo contesto gli obiettivi generali della politica regionale per i servizi sociali appaiono già ben delineati, e riconducigli a:
• promuovere, valorizzare, formare, ed educare alla socialità tutti i cittadini, sia come singoli
sia nelle diverse aggregazioni sociali;
• prevenire i fattori del disagio sociale;
• reinserire nel nucleo familiare, e nel normale ambiente di vita, quelle persone che, per
qualsiasi causa, fossero state escluse od emarginate;
• soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, i bisogni di salute della persona.
La legge regionale 11/2001 ha, inoltre, istituito un nuovo strumento finanziario, il "Fondo regionale per le politiche sociali", in cui confluiscono le risorse destinate dallo Stato alla Regione in materia di servizi sociali per l'esercizio delle nuove funzioni trasferite, attribuite o delegate, nonché le risorse regionali destinate al conseguimento degli obiettivi della programmazione regionale.
La riforma dei servizi sociali richiede di essere perfezionata con l'approvazione della legge sul "Testo organico per le Politiche Sociali della Regione Veneto", recependo, da una parte le indicazioni e i vincoli imposti dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato degli interventi e servizi sociali, I. 328/2000, e da un'altra le numerose istanze che costituiscono la specificità del modello Veneto nell'ambito dei servizi sociali.
La volontà della Regione è quella di promuovere un sistema di servizi sociali che coinvolga pienamente tutti gli attori delle politiche sociali, non solo istituzionali, come Regione, Province e Comuni, ma anche gli altri soggetti pubblici e privati, come le ULSS e i soggetti del terzo settore, in uno sforzo unitario che sia rispettoso dei seguenti principi:
• uguaglianza, libera partecipazione, solidarietà;
• omogeneità, efficienza, economicità ed efficacia degli interventi;
• responsabilità ed adeguatezza dei soggetti attori;
• copertura economica, finanziaria e patrimoniale dei servizi.
Con tale Progetto di legge la Regione intende riconfermare il ruolo fondamentale della famiglia nella formazione e cura della persona, nella promozione del benessere, nei compiti svolti nelle situazioni di disagio e nella non autosufficienza. Ma la famiglia è vista anche quale riferimento essenziale nell'erogazione di titoli per l'acquisto di servizi sociali e altri interventi economici, per le politiche di conciliazione tra tempo di cura e di lavoro, per i servizi formativi ed informativi per la genitorialità, per l'aiuto al sostegno domiciliare, per i servizi di "sollievo" e per l'affido familiare.
Per realizzare il sistema integrato dei servizi sociali è stato necessario inoltre apportare un generale riassetto dell'impianto istituzionale attraverso l'approvazione di un Piano socio-sanitario regionale finalizzato al sostegno e all'integrazione socio-sanitaria, e che sia orientato alla Persona e alla Comunità, privilegiando i destinatari e gli attori delle politiche di welfare.
L'asse di gravità si sposta dagli organismi produttori dei servizi a tutti gli attori dei sistemi locali di welfare, creando le condizioni affinchè questi diventino soggetti attivi di politiche di
promozione sociale, assumendo tutte le conseguenze che questo obiettivo comporta, anche in termini di nuove sperimentazioni istituzionali e gestionali.
Le sfide imposte dai cambiamenti strutturali
Le profonde trasformazioni socio-economiche che caratterizzano le società più avanzate, e fra queste la società veneta, impongono una revisione complessiva delle politiche per i servizi sociali. I fattori che mettono a rischio la tenuta dei servizi sociali, non sono solo le nuove dinamiche demografiche, come la diminuzione della natalità, l'aumento del numero di anziani e la progressiva crescita della componente immigrata, ma anche i cambiamenti strutturali nelle condizioni di vita e di lavoro, l'evoluzione del sistema dei valori, e i diversi scenari di sviluppo economico. Tali mutamenti richiedono la revisione e la ri-concertazione del sistema dei diritti e delle garanzie sociali e quindi nuove politiche e strumenti di governo.
La situazione è caratterizzata da un forte grado di complessità: da un lato, la ricchezza diffusa presente sul territorio definisce nuovi bisogni e moltiplica le istanze; dall'altro, permangono però sacche di disagio e si manifestano "nuove povertà".
La forte e diversificata domanda di servizi rivolta alle Istituzioni e, più in generale, a tutti i soggetti che gestiscono ed erogano servizi pubblici e privati costituisce una sfida da giocare su più fronti: ragionare sulle potenzialità e le opportunità della società veneta dal punto di vista dell'Ente regolatore significa allargare l'orizzonte dagli obiettivi prettamente economici all'ambito dei diritti sociali, in un'ottica strettamente basata sulla necessità di garantire un servizio ottimale in termini di capacità di offerta ed efficienza; significa assumere come paradigma culturale, strategico e operativo la Persona e il suo ambiente di vita complessivamente inteso.
È da queste grandi trasformazioni che provengono le nuove sfide al weifare-mix che caratterizza la Regione del Veneto, e che tanta parte ha avuto nel processo di coesione sociale del territorio, un sistema integrato di servizi sociali basato su una vasta rete di solidarietà organizzata e, più in generale, su un'intera comunità solidale. Una rete che vede la compresenza di soggetti istituzionali, quali la stessa Regione, le Province, i Comuni, le ULSS, ma anche l'azione degli altri soggetti sociali presenti nella Regione, tra i quali le cooperative sociali, le fondazioni e le associazioni riconosciute, le associazioni di volontariato, oltre, evidentemente, alla stessa famiglia.
L'evoluzione demografica: l'anziano nel Veneto
In tutti i Paesi avanzati, e anche nel Veneto, sono in corso significativi mutamenti demografici, il più importante dei quali, per la particolare rilevanza con cui si manifesta a livello locale, e per le pesanti conseguenze sociali ed economiche che ne discendono, è senza dubbio il progressivo invecchiamento della popolazione. All'aumentare dell'età media della popolazione aumentano le condizioni generali di disagio delle persone e, specificatamente, le situazioni di inabilità, le pluripatologie e le invalidità. Nel recente passato il nucleo familiare, di ampie dimensioni e fortemente integrato, consentiva di fronteggiare queste situazioni, oggi, e sempre di più nel futuro, l'assetto della famiglia, caratterizzata da un numero ridotto di componenti e dall'elevata partecipazione delle donne al mercato del lavoro, pone ulteriori problemi di assistenza. Questa emergenza viene oggi affrontata favorendo l'assistenza presso la propria dimora (cd. domiciliarità) mediante l'aiuto delle assistenti familiari (badanti).
L'aumento del numero degli anziani è un fenomeno particolarmente rilevante nel Veneto. La popolazione con più di 65 anni ha raggiunto, nel 2002, quasi 850 mila unità, pari al 18,5% del totale della popolazione residente con punte di invecchiamento più elevate (pari o superiore al 20%) in alcuni tenitori montani.
Il processo di invecchiamento della popolazione non sembra doversi arrestare a breve termine. Secondo le previsioni demografiche dell'Istat, nel 2012 la popolazione ultrasessantacinquenne della Regione del Veneto aumenterà di circa 180.000 unità rispetto al 2002, a fronte di una lieve diminuzione dei giovanissimi (i giovanissimi, tra i 0 e 14 anni, nel 2012 saranno pari a 621.584,
-2.421 unità rispetto al 2002) e una diminuzione di oltre 46.000 unità della popolazione in età attiva (nel 2012 la popolazione, tra i 15 e i 64 anni, sarà pari a 3.060.115, -46.281 unità rispetto al 2002).
Sul piano quantitativo il problema anziani rappresenterà probabilmente la maggiore sfida che dovrà affrontare la Regione del Veneto. L'emergenza anziani dovrà comunque essere affrontata dalla programmazione regionale secondo tre linee d'azione:
• sviluppando i "servizi di domiciliarità", intesi come l'insieme delle iniziative, economiche,
strutturali e tecnologiche (telesoccorso e telecontrollo), volte a favorire la permanenza
dell'anziano nel proprio ambito familiare, anche attraverso il ricorso alle assistenti familiari
(badanti);
• riorganizzando e potenziando la rete dei servizi residenziali, che, pur essendo fra i più
sviluppati del Paese, in funzione dei fabbisogni prospettici della popolazione presentano
ancora qualche squilibrio sul piano territoriale;
• erogando contributi economici a favore dei soggetti non autosufficienti e delle loro famiglie,
e soprattutto a favore di quanti sono affetti da demenza, con particolare riferimento al
morbo di Alzheimer.
Di fronte a questo fenomeno la Regione intende inoltre promuovere una radicale trasformazione della prospettiva con cui viene oggi affrontato il problema, promovendo, la figura dell'anziano, nel caso in cui sia autosufficiente, come una risorsa da valorizzare per il suo patrimonio di conoscenze, relazioni e affetti.
La famiglia, l'infanzia e l'adolescenza
Le trasformazioni demografiche e l'intenso sviluppo economico-sociale che hanno caratterizzato la Regione del Veneto sono alla base della crescente domanda di servizi per (Infanzia. Il tasso di occupazione femminile nel 2003 ha raggiunto il 39,5%, e si presume possa satire entro la fine del decennio al 60% come previsto dal Consiglio di Lisbona del 2000. Il maggior impegno lavorativo della donna fuori delle mura domestiche, ma anche un'organizzazione famigliare fortemente rivolta al di fuori del contesto domestico, sono i principali fattori che rendono necessario un crescente intervento a favore dell'infanzia, intervento che viene ulteriormente accentuato da "nuovi" fenomeni sociali, come il crescente tasso di rottura dei rapporti matrimoniali (tasso di separazione e tasso di divorziante) e la tendenza generale verso la deistituzionalizzazione della vita familiare (aumento delle convivenze e formazione delle cosiddette famiglie di fatto) che risultano in aumento (nel 2001 in Veneto ci sono stati 12,7 divorzi per 100 matrimoni e 25,4 separazioni per 100 matrimoni; in Italia 15 divorzi per 100 matrimoni e 29 separazioni per 100 matrimoni).
La recente ripresa del tasso di natalità non è sufficiente a modificare la struttura della società considerando che il numero medio di componenti per famiglia tende a diminuire: si passa da 2,9, componenti per famiglia, nel 1991, a 2,6 nell'ultimo censimento del 2001.
Il considerevole aumento della domanda di servizi a sostegno delle famiglie comporta che ancora oggi solo un numero esiguo di esse riesca a soddisfare il bisogno di assistenza.
Lo sviluppo di questa tipologia di servizi è determinata non solo dal crescente numero di famiglie che hanno bisogno di essere aiutate, ma anche e soprattutto da una evoluzione culturale che ha riconosciuto più che un ruolo sostitutivo, un ruolo attivo e propositivo ai servizi per la prima infanzia.
La Regione del Veneto intende porre al centro della politica socio-assistenziale la famiglia quale unità sociale primaria dove emergono i bisogni e insieme alla quale va progettata la risposta del sistema dei servizi sociali. La famiglia può diventare soggetto attivo nell'erogazione delle prestazioni sociali e contribuire a sviluppare la natura preventiva degli interventi. Il sostegno alla famiglia si giustifica per i compiti e le funzioni che essa può essere in grado di assolvere, non solo di tipo sociale, ma anche relativamente alla formazione della persona, alla coesione sociale
e alla solidarietà generazionale. Per attuare questo grande processo di rinnovamento ne) ruolo della famiglia, essa sarà tutelata e aiutata con interventi:
• a sostegno della maternità;
• in materia di abitazione, (vedi la concessione di finanziamenti a tasso zero per l'acquisto
della prima casa) per favorire la costituzione di nuove famiglie e agevolare quelle numerose;
• nel mondo del lavoro, per favorire la partecipazione alla vita familiare, soprattutto da parte
delle donne;
• a favore della solidarietà tra famiglie e di momenti di aggregazione e di svago per quelle
economicamente e socialmente penalizzate.
Per quanto riguarda il settore dell'infanzia e dell'adolescenza, l'intensa attività, finanziaria e normativa, svolta dalla Regione negli ultimi anni ha prodotto una svolta radicale nella logica d'intervento, passando da un approccio volto ad affrontare le soie situazioni d'emergenza e patologiche, ad un approccio preventivo, che accompagni la famiglia ad assumere pienamente il proprio ruolo nella vita di ogni giorno. Questo processo di trasformazione va sostenuto mediante l'approvazione:
• di interventi regionali diretti a favorire l'applicazione della legislazione nazionale ed
internazionale che disciplina l'adozione;
• di servizi educativi alla prima infanzia, volti ad un aumento quantitativo dell'offerta, a
promuovere la qualità del servizio, e ad una sua maggiore razionalizzazione sul piano
territoriale anche con la creazione di nuove tipologie di servizio (nidi aziendali);
• di progetti di sostegno e di tutela dei minori, finalizzati ad un maggior coinvolgimento della
famiglia, alla razionalizzazione dei servizi residenziali e semiresidenziali, alla definizione e
diffusione di una cultura di tutela dei minori, anche per prevenire e contrastare il fenomeno
del maltrattamento e dell'abuso dei bambini degli adolescenti (programma iniziato nel
2004);
• di iniziative di promozione e prevenzione, volte a sostenere fa partecipazione degli
adolescenti alla vita sociale, a prevenire l'uso delle droghe, a creare sinergie con il mondo
della scuola, a realizzare spazi per il gioco, la socializzazione e l'ascolto;
• di sviluppo di nuovi strumenti modificativi della normativa vigente, per la definizione in
tempi brevi dei problemi conseguenti al grave fenomeno dei "minori stranieri non
accompagnati".
Le disabilità
La crescente attenzione al problema della disabilità, nelle molteplici forme - fisica, sensoriale, mentale e intellettuale - è legata alla nuova prospettiva con cui ci si rapporta alle persone disabili nelle moderne società. Come è stato raccomandato dalla Commissione delle Comunità Europee nel 1996, si vuole passare dal principio dell'adattabilità a quello dell'integrazione, rendendo possibile la partecipazione e il coinvolgimento dei disabili nei processi economici e sociali.
I disabili che hanno raggiunto un miglioramento funzionale e che richiedono quindi solamente interventi di mantenimento sono i potenziali utenti dei CEOD (Centri Educativi Occupazionali Diurni). Questi servizi non solo danno la possibilità di attivare la riabilitazione e di permettere il mantenimento delle abilità acquisite da parte dei disabili giovani/adulti, ma rappresentano altresì un servizio di appoggio alla cura assistenziale prestata dalle famiglie.
Si ricorda che la Commissione europea e il Forum europeo sulla disabilità hanno dichiarato il 2003 l'anno europeo delle persone con disabilità. Anche per dar seguito pienamente a questo importante appuntamento, si è reso necessario sensibilizzare l'opinione pubblica sui diritti delle persone disabili, sul loro contributo alla società e sulle discriminazioni di cui soffrono. In tale ambito sono da perseguire in particolare le seguenti linee di azione:
• migliorare la conoscenza del fenomeno disabilità nel Veneto, creando anche una mappa dei
bisogni e dei servizi;
• sostenere la famiglia, il cui ruolo è fondamentale nei molteplici aspetti della vita di una
persona disabile;
• favorire le condizioni individuali di salute e di autonomia;
• rimuovere gli ostacoli che impediscono la massima espressione dell'autonomia, anche
finanziando opportuni strumenti tecnologici;
• valorizzare appieno il contributo di tutti i soggetti che operano nel sociale favorendo la
massima integrazione;
• favorire l'inserimento dei disabili nella scuola e nel mondo del lavoro;
• eliminare (e barriere architettoniche che possono limitare la libera circolazione dei disabili;
• potenziare l'offerta dei servizi residenziali a favore dei disabili e realizzare una rete di servizi
territoriali rispondente alle esigenze espresse nei vari ambiti territoriali.
Le Dipendenze
II fenomeno delle tossicodipendenze è un fenomeno tutt'altro che in declino. L'utenza a carico
dei SerT, Servizi per le Tossicodipendenze, del Veneto continua a crescere costantemente ed ha
ormai superato le 13.000 unità. Rispetto al 1993 i soggetti seguiti dal servizio regionale sono
aumentati di circa il 44%.
L'aspetto più rilevante da affrontare è il fenomeno delle nuove droghe connesso al cambiamento
delle caratteristiche socio-culturali dell'utilizzatore. Pertanto, risulta più difficile individuare le
persone tossicodipendenti ed offrire dei servizi, pubblici o privati, adeguati.
Attualmente il problema creato dall'uso di vecchie e nuove sostanze coinvolge in misura
crescente fasce d'età sempre più giovani. Si è riscontrato, inoltre, un aumento dei minori con
problematiche psichiatriche che fanno uso di droghe (doppia diagnosi).
L'utenza alcologica è nel Veneto molto rilevante, superando ampiamente le 7.000 unità, e
rappresentando quindi più del 50% degli utenti totali. Si tratta prevalentemente di utenti di
sesso maschile di età compresa tra i 30 e i 60 anni, con un'elevata concentrazione territoriale
nella provincia di Belluno.
La dipendenza dall'alcool e l'elevato consumo di alcolici, hanno sempre rappresentato un
fenomeno particolarmente marcato nel Veneto, con gravi ripercussioni di tipo economico e
sociale. Occorre dunque avviare una serie di interventi attraverso:
• una campagna di prevenzione primaria, promovendo attività informative ed iniziative
permanenti contro l'uso di sostanze che creano dipendenza, e favorendo stili di vita che
contrastino l'uso delle sostanze stupefacenti;
• una politica di prevenzione secondaria, volta rendere sempre più tempestivo l'intervento di
recupero del tossicodipendente, a evitare il pericolo di infezioni, morti per overdose e lo
sviluppo di attività criminose;
• azioni volte al sostegno e al recupero, fisico e sociale, anche in termini lavorativi, delle
persone affette da dipendenza.
Carcere e Marginalità sociale
Con riferimento all'area d'intervento in ambito penitenziario, la Regione del Veneto si pone l'obiettivo di dare attuazione completa al protocollo d'intesa siglato con il Ministero della Giustizia, che disciplina la realizzazione di programmi di intervento a favore dei detenuti. Tali programmi sono rivolti alla territorializzazione della pena, edilizia penitenziaria, tutela, promozione e educazione alla salute dei ristretti negli Istituti Penitenziari del Veneto, assistenza sanitaria e socio-riabilitativa dei detenuti tossicodipendenti e alcoldipendenti. Per l'area penale minorile e per l'area immigrazione sono previsti programmi di istruzione, di formazione professionale e di reinserimento lavorativo e sociale; nonché iniziative culturali, sportive e ricreative. Per l'area penale esterna sono previste attività dirette alla riparazione del danno e alla
mediazione culturale ed iniziative congiunte di formazione per il personale del Ministero della Giustizia, della Regione, degli Enti Locali, del Volontariato e del Terzo Settore. In questo ambito si inserisce l'attività di completa attivazione dell'Osservatorio regionale sulle problematiche della popolazione carceraria con compiti essenzialmente informativi, di interpretazione dei fenomeni e dei loro mutamenti e di analisi delle principali linee di evoluzione. Per quanto invece riguarda gli interventi a favore delle persone che versano in situazione di grave disagio sociale, sanitario ed economico, la Regione si propone di dar seguito alle iniziative già da tempo intraprese, come la concessione di contributi ai Comuni per interventi straordinari ed eccezionali da destinare a situazioni di bisogno di singoli o famiglie (I. r 11 Marzo 1986, n. 8) e il monitoraggio e la prosecuzione di interventi per contrastare il fenomeno della prostituzione (l.r. 16 dicembre 1997, n. 41 ).
Infine, si richiamano gli stanziamenti regionali tesi a fornire ai Comuni, capoluoghi di Provincia, il finanziamento di progetti a favore delle persone che versano in stato di povertà estrema e senza fissa dimora (I. 8 novembre 2000 n. 328, art. 28).
Terzo settore
II Terzo Settore è il settore che, accanto ai due ambiti tradizionali dell'economia del libero mercato e della partecipazione pubblica, tenta di realizzare i principi di solidarietà sociale e di lotta alle varie forme di esclusione sociale, non perseguendo scopi di lucro, ma dell'utilità e del benessere collettivo.
Le realtà che compongono questo vasto universo sono: organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, altri soggetti che erogano e producono servizi di pubblica utilità senza scopo di lucro. Si tratta pertanto di quell'insieme di soggetti organizzativi privati caratterizzati da finalità sociali, volti alla produzione e all'allocazione di beni e servizi a valenza pubblica o collettiva.
Il volontariato organizzato si distingue per la pregnanza della motivazione pro-sociale, ovvero per la centralità dell'orientamento, dell'altruismo e della gratuità; la tipologia di intervento distintiva è la relazione d'aiuto nella quale si offre soprattutto "relazionalità". Per quanto riguarda l'associazionismo il suo spazio specifico è quello di favorire azioni di reciprocità; in questa forma di solidarietà è preponderante l'aspetto della condivisione degli ideali e degli interessi che portano all'adesione alla vita associativa, prevale insomma l'essere socius.
L'area del Terzo Settore comprende anche l'azione concernente le politiche giovanili, la quale ha di mira il raggiungimento delta piena partecipazione alla vita sociale dei giovani, inserendoli a pieno titolo nei processi decisionali e valorizzando il loro contributo allo sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio di appartenenza. A tal fine è necessario promuovere politiche destinate:
• ad accrescere la conoscenza del mondo giovanile;
• ad attuare nuove norme regionali in materia, promovendo istituti ed organismi di
rappresentanza capaci di interpretare l'evoluzione e le esigenze che attraversano il mondo
giovanile;
• a sperimentare nuove forme di partecipazione nell'esercizio del diritto di cittadinanza ed
incrementare quelle già avviate;
• a favorire l'attività di volontariato e forme di aggregazione e socializzazione che sviluppino
ed incentivino tendenze e progetti solidaristici, culturali e del tempo libero;
• a favorire la promozione di stili di vita volti a promuovere il loro benessere psico-fisico ed a
contrastare i processi di emarginazione;
• a sviluppare le progettualità nell'ambito del servizio civile, promovendo tra i giovani il valore
formativo, sociale e culturale di tale esperienza.
Afferenti all'area del Terzo Settore vi sono anche le politiche di consolidamento dell'attività delle associazioni di volontariato e di promozione sociale e quelle a beneficio della cooperazione sociale.
Con riferimento alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, la Regione del Veneto mira all'incremento delle iscrizioni ai relativi Registri regionali, alla valorizzazione sul territorio di queste importantissime realtà, promovendo specifici progetti destinati allo sviluppo della loro attività ed incentivandone il coordinamento e la collaborazione con gli Enti pubblici e gli altri soggetti del Terzo Settore.
La Conferenza regionale del Volontariato, istituita allo scopo di favorire la partecipazione democratica, l'informazione e la crescita culturale del mondo del volontariato liberamente riunito in spazi istituzionali, opera in stretto rapporto con gli Uffici regionali in quanto la Regione si è impegnata ad incoraggiarne l'attività, promovendone le iniziative e facendone un interlocutore privilegiato su tutte le tematiche inerenti il mondo del volontariato.
Un ulteriore ausilio a questo mondo viene fornito dal Comitato di gestione e dai Centri di Servizio per il volontariato che istituzionalmente sono preposti ad offrire un'ampia serie di prestazioni che vanno dall'assistenza alla consulenza, dall'informazione alla formazione ed aggiornamento degli aderenti alle associazioni. Le iniziative e le attività di questi soggetti sono poste in essere in stretta collaborazione con la Regione che ne promuove il ruolo e la visibilità sul territorio.
Relativamente alla Cooperazione sociale, la Regione è impegnata nella promozione dell'attività cooperativistica svolta sul proprio territorio sia dalle cooperative socio-assistenziali ed educative, sia da quelle miranti all'inserimento di soggetti svantaggiati. Attenzione tutta particolare è rivolta ai compiti di coordinamento e supporto esercitati dai consorzi di cooperative sociali nei confronti delle cooperative assistite.
Attività in ambito nazionale ed europeo
Alla Regione del Veneto è stato assegnato, per iniziativa della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, la titolarità del coordinamento tecnico e politico delle Regioni nell'area delle Politiche Sociali. L'attività di coordinamento mira in concreto a comporre le diverse istanze regionali allo scopo di formulare proposte condivise, volte ad attualizzare i propri rispettivi ordinamenti, alla luce della recente riforma dell'ordinamento costituzionale. Essa, inoltre, tende a sostenere un costante dialogo e confronto con il governo nazionale per favorire l'emanazione di provvedimenti statali sostenuti da adeguati finanziamenti. Tra gli argomenti attualmente oggetto di confronto merita menzionare il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali. Un impegno particolare è rivolto all'attività istituzionale in ambito europeo ed internazionale, attraverso la partecipazione a numerose opportunità progettuali e di collaborazione (network) che l'apertura all'Europa è in grado di offrire. Tra le molteplici opportunità offerte da questa attività internazionale, può essere ricordato il confronto tra le Regioni europee, sulle modalità di approccio e soluzioni alle problematiche sociali, con un'attenzione particolare a quell'insieme di "buone prassi" che caratterizzano i diversi modelli di intervento, e su quelle di comparazione e tendenziale armonizzazione del sistema normativo e organizzativo del welfare dei paesi che aderiscono alle diverse reti.
La rete integrata degli Osservatori
La Regione, per poter dar corso ed applicare le linee programmatiche e d'intervento definite nell'ambito delle Politiche Sociali, appena sopra richiamate, necessità di una attività di informazione che permetta la costante ricognizione e il monitoraggio dei dati riguardanti i bisogni dei propri cittadini e delle realtà presenti nel proprio territorio. Questo anche per poter
sviluppare un sistema di verifica e di riscontro dei risultati ottenuti attraverso la rete dei servizi posti in essere.
Con d.g.r. n. 2946 del 3 ottobre 2003 la Giunta regionale ha approvato la riorganizzazione della rete integrata degli Osservatori sociali, prevedendo la nomina, tra l'altro, di un unico Comitato regionale coordinato dal Dirigente della Direzione regionale per i Servizi Sociali per raccordare e programmare unitariamente le aree di competenza e di attività di tutti gli Osservatori regionali, secondo gli indirizzi forniti dalla Giunta regionale, anche mediante l'attribuzione agli stessi Osservatori di ulteriori attività trasversali alle funzioni e ai compiti dell'intero sistema. A detto Comitato regionale spetta l'approvazione dei Piani annuali/triennali di intervento dei rispettivi Osservatori regionali.
In attuazione di detto provvedimento la rete integrata degli Osservatori sociali presso le aziende ULSS ad oggi risulta cosi composta:
a) Osservatorio permanente sulla condizione giovanile, approvato con d.g.r. n. 4183 del
22.12.2000 e affidato all'Azienda ULSS n, 2 - Feltre. (assegnato, per competenza al
Servizio Terzo Settore, Direzione regionale per i Servizi Sociali);
b) Osservatorio regionale per l'Infanzia e l'Adolescenza, approvato con d.g.r. n. 2935 del
4.8.1998 e affidato all'Azienda ULSS n. 3 di Bassano del Grappa (assegnato, per
competenza al Servizio Famiglia, Direzione regionale per i Servizi Sociali);
c) Osservatorio regionale sulla Popolazione anziana, approvato con d.g.r. n. 5021 del 28.12.1999 e affidato all'Azienda ULSS n. 12 di Mestre - Venezia (assegnato, per competenza al Servizio Anziani, Direzione regionale per i Servizi Sociali);
d) Osservatorio regionale per la tutela e promozione della persona, approvato con d.g.r. n.
5210 del 29.12.1998 e affidato all'Azienda ULSS n. 16 di Padova, (assegnato, per
competenza al Servizio Prevenzione delle Devianze, Direzione regionale per i Servizi
Sociali);
e) Osservatorio regionale Handicap, approvato con d.g.r. n. 4303 del 30.11.1999 e con d.g.r.
n. 876 del 10.3.2000, affidato all'Azienda ULSS n. 17 di Este (assegnato, per competenza
al Servizio Disabili, Direzione regionale per i Servizi Sociali);
f) Osservatorio regionale per il Volontariato (assegnato, per competenza al Servizio Terzo
Settore, Direzione regionale per i Servizi Sociali);
g) Osservatorio regionale sulla popolazione carceraria detenuta e in esecuzione penale
esterna, approvato con d.g.r. n. 4026 del 30.12.2002 e affidato all'Azienda ULSS n. 16 di
Padova (assegnato, per competenza al Servizio Prevenzione delle Devianze, Direzione
regionale per i Servizi Sociali);
h) Osservatorio regionale sulle Dipendenze, approvato con d.g.r. 4019 del 30.12.2002, assegnato all'Azienda ULSS n. 20 di Verona (assegnato, per competenza al Servizio Prevenzione delle Devianze, Direzione regionale per i Servizi Sociali).
Le direttive per la programmazione del settore: prospettive di sviluppo
La Regione del Veneto ha sempre dimostrato un grande interesse ed impegno per i servizi sociali, sviluppando nel corso degli anni un modello di Welfare caratteristico, un vero e proprio "modello Veneto", fondato su una forte integrazione degli interventi a carattere sociale con quelli propri dell'attività sanitaria, per offrire ai cittadini un sistema di servizi sempre più completo ed adeguato ai loro bisogni. Con particolare riferimento all'area sociale, ciò comporta il progressivo aumento delle responsabilità e delle risorse di tutti gli attori coinvolti con una grande attenzione al ruolo della famiglia e della solidarietà organizzata, e attraverso il consolidamento di una rete territoriale di offerta dei servizi sociali assai articolata. Un patrimonio culturale, sociale e istituzionale, che non deve essere disperso.
Potenziare e migliorare il sistema dei servizi sociali è un obiettivo permanente della Regione del Veneto, e ciò è tanto più possibile ed auspicabile alla luce dei nuovi scenari istituzionali: dal federalismo alla riforma del Titolo V della Costituzione emergono nuove opportunità per la
programmazione regionale, chiamata a svolgere un maggior ruolo di indirizzo e di
omogeneizzazione dei servizi sociali nel proprio territorio.
Generale è l'accoglimento del principio di cittadinanza sociale, inteso come diritto universale
delle persone ad una piena tutela e valorizzazione delle loro capacità e creatività.
Molteplici sono però i fattori che contribuiscono ad accrescere il rischio di emarginazione sociale
fra la popolazione veneta, non solo di tipo demografico, ma anche economico, sociale e, non
ultimo, l'indebolimento del sistema dei valori etici.
In questo quadro di riferimento generale, gli elementi fondanti della futura politica sociale del
Veneto devono riguardare:
• la necessità di prevenire i rischi di emarginazione sociale e favorire l'integrazione sociale di
tutte le persone coinvolgendo tutti i settori dell'azione regionale, da quella sul mercato del
lavoro a quella dell'istruzione, dalla sanità alla politica abitativa e di conseguenza
armonizzare gli atti di indirizzo e di programmazione regionale alle diverse realtà socio-
economico e culturali del territorio veneto anche in attuazione di orientamenti nazionali ed
internazionali in materia;
• la volontà di aiutare soprattutto le fasce più deboli della popolazione;
• l'impegno a mobilitare tutte le risorse disponibili nel territorio in un quadro di completa
unitarietà degli interventi;
• la necessità di coordinarsi sempre più strettamente con l'Unione Europea, per definire
politiche sociali sempre più moderne e sempre più attente alle migliori pratiche sperimentate
negli altri Paesi europei, adattandole alla concreta realtà socio-economica della Regione, al
suo vissuto storico, al patrimonio umano e strutturate disponibile nel territorio.
Ed è proprio per valorizzare le specificità del territorio che va mantenuta al centro delle politiche sociali la famiglia, in quanto unità sociale primaria, luogo di sintesi dei bisogni sociali, oggetto di riferimento per gli interventi pubblici e privati e "soggetto" erogatore fondamentale di servizi. La famiglia ha sempre avuto una parte importante nella storia e nella cultura della Regione del Veneto, ed è ora riconosciuta, seppur in un'accezione diversa dal passato, come elemento fondante delle politiche di coesione ed integrazione sociale.
Altrettanto importante è il terzo settore per la capacità di combinare la logica dell'azione pubblica con l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione privata, producendo beni e servizi secondo i principi di solidarietà, utilità collettiva, democrazia interna e attenzione alle varie forme di esclusione sociale. Il terzo settore è in grado di proporre paradigmi accettabili sia in termini di crescita economica che di benessere sociale, adattandosi rapidamente ai continui mutamenti della domanda di servizi.
La dimensione locale risulta quindi elemento imprescindibile per cogliere i bisogni e per dare risposte più flessibili, coerenti e fra loro integrate. Lo sviluppo dei servizi alle persone e alle comunità richiede nuova capacità programmatoria e tecnica, nel valutare la domanda sociale, correlando la natura dei bisogni e le risposte necessarie, in modo che siano coerenti con la complessità sociale.
In un contesto cosi complesso e articolato, alcune priorità d'intervento possono essere portate all'attenzione della programmazione regionale che sarà sviluppata nei prossimi anni:
rendere disponibili e organizzare efficientemente le risorse necessarie per affrontare i
sempre più numerosi e complessi bisogni di servizi sociali. Da sempre in questo settore le
risorse pubbliche appaiono inadeguate rispetto ai crescenti bisogni della popolazione e ciò
appare con maggiore evidenza nell'attuale fase congiunturale. La Regione intende agire
lungo le seguenti direttrici:
- sviluppare i Fondi integrativi e creare un Fondo per la non autosufficienza. Difficilmente il solo settore pubblico riuscirà a soddisfare completamente i bisogni socio-assistenziali delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie, per questo motivo è necessario attivare gli strumenti più opportuni per gestire e utilizzare le consistenti risorse private già mobilitate in questo settore. Sul piano operativo saranno istituiti e sviluppati, anche con opportune misure fiscali, Fondi integrativi affinchè vengano erogate prestazioni
socio-sanitarie aggiuntive rispetto a quelle offerte dai servizi pubblici e contemplate dai livelli uniformi ed essenziali di assistenza. Un campo dove è particolarmente rilevante l'impegno economico delle famiglie è quello dell'assistenza alle persone non autosufficienti: in questo caso è prevista l'attivazione di uno specifico Fondo mediante lo sviluppo di un meccanismo di mutualità integrativa;
- definire l'allocazione delle risorse. L'efficiente ed efficace allocazione delle risorse finanziarie è una condizione imprescindibile per la corretta erogazione dei servizi sociali nel territorio. Essa è funzionale allo sviluppo dell'integrazione socio-sanitaria, concorrendo alla definizione dei fondi da assegnare ai budget delle ULSS e dei Distretti;
- favorire l'equità degli interventi sulla base dell'Indicatore delta Situazione Economica
Equivalente (ISEE). Pur concentrando prioritariamente gli interventi sulle fasce deboli
della popolazione, gli interventi nel campo dei servizi sociali non possono trascurare
quelle fasce della popolazione, che per avere un reddito familiare intermedio, non hanno
la piena possibilità né di accedere al mercato privato dei servizi né di godere dei servizi
pubblici. Al fine di consentire anche a questa fascia della popolazione, forse la più
numerosa, di accedere ai servizi sociali pubblici è opportuno prevedere che essa
concorra alla spesa con un contributo economico proporzionale alla sua possibilità, e che
potrà essere modulato dando piena applicazione alliSEE;
creare un sistema integrato di servizi sociali capace di interpretare i bisogni emergenti e
formulare strategie condivise. In questo ambito la Regione del Veneto intende:
- favorire una nuova programmazione locale e soluzioni gestionaii innovative. La Regione
supporta la dimensione locale della programmazione (in attuazione del principio di
sussidiarietà) per favorire la nascita di sistemi locali di servizi sociali fra loro integrati. Al
fine di garantire unitarietà alla programmazione si procederà ad un coordinamento
generale dei nuovi strumenti di programmazione locale previsti dalla legislazione, i Piani
di Zona, che devono essere resi rispettosi della programmazione regionale. Devono
inoltre essere sperimentati nuovi modelli gestionali e organizzativi che sappiano
coinvolgere maggiormente le comunità locali nelle attività regionali di programmazione,
di governo e di finanziamento dei servizi sociali (dando cosi applicazione alla legge
regionale 11/2001, art. 132);
- garantire l'unitarietà e la continuità dell'assistenza. Nell'ottica della realizzazione di un
sistema integrato di servizi sociali si deve garantire che l'analisi della domanda, Ja
valutazione del bisogno, la predisposizione dei progetti personalizzati, la presa in carico
dei problemi siano gestite in modo unitario, al fine di garantire la continuità assistenziale
per il paziente, I percorsi multiprofessionali e organizzativi possono essere ricondotti a
unitarietà grazie anche all'istituzione di un "case manager" che accompagni la persona
durante tutta la fase di assistenza;
favorire l'innovazione. Dare una risposta ai bisogni sociali complessi e in continua evoluzione
è un compito che richiede di modificare continuamente l'assetto del sistema dei servizi
socio-assistenziali. È quindi necessario introdurre nel sistema sperimentazioni gestionali
secondo le seguenti linee d'azione:
- dare applicazione ai Livelli Essenziali di Assistenza. Al fine di garantire la concreta applicazione dei LEA, dovranno essere definite, non solo a livello regionale, ma anche a livello territoriale, le modalità ed entità di finanziamento, la quantità di erogazione dei servizi e le modalità di valutazione dell'efficacia dei risultati;
- promuovere una valutazione integrata del bisogno. L'approccio consiste nello spostare l'attenzione dal singolo utente al contesto delle relazioni in cui si trova, essenzialmente quelle familiari, per una valutazione più precisa e completa del bisogno dell'utente al fine di predisporre un progetto personalizzato di intervento. L'offerta dei servizi diventa cosi complementare al sostegno familiare. Lo sviluppo dei servizi alla persona, alla famiglia e alla comunità richiede quindi una nuova capacità programmatoria e tecnica, nel valutare la domanda sociale, correlando la natura dei bisogni e le risposte necessarie in modo
che siano coerenti con la complessità sociale;
- introdurre i "Bonus". È oramai condivisa la necessità di realizzare un sistema in cui l'utente sia libero di scegliere, fra quelli accreditati, l'erogatore del servizio che ritiene più consono alle sue esigenze. Lo scopo è quello di promuovere la massima rispondenza dell'offerta dei servizi alle specifiche esigenze dell'utente. Questa libertà di scelta non solo è funzionale ad una maggiore efficacia dell'intervento sociale, ma anche alla sua efficienza, poiché promuove una crescente concorrenza fra i soggetti accreditati. La Regione del Veneto condivide pienamente questa impostazione e promuove l'adozione del Bonus come strumento per modernizzare, potenziare e qualificare il sistema dei servizi sociali. Particolare attenzione dovrà essere comunque prestata, in coordinamento con gli Enti locali, a tutte le azioni volte a garantire la qualità dei soggetti erogatori e dei servizi, il loro monitoraggio e controllo, nonché a facilitare la libera scelta degli utenti;
- adottare un sistema informativo e la carta dei servizi sociali. Il nuovo ruolo dell'utente nella programmazione regionale passa attraverso il riconoscimento di un suo pieno diritto ad un'informazione completa sul sistema dei servizi sociali. Primo passo per l'esercizio di questo diritto è l'attivazione di un sistema informativo volto alla compiuta conoscenza dei bisogni sociali e dei servizi disponibili. Questo sistema è poi funzionale alla corretta programmazione regionale e alla realizzazione del processo d'integrazione fra tutte le attività regionali;
- completare, nell'ambito della completa applicazione del sistema integrato, l'istituto dell'accreditamento dei servizi sociali e socio-sanitari, allo scopo di garantire una sempre maggiore e uniforme qualità dei servizi erogati. Il sistema è sostanzialmente basato sull'autorizzazione al funzionamento di cui deve dotarsi ogni soggetto erogatore e dall'autorizzazione accreditati va propria di ogni unità di offerta. Tale sistema che vedrà coinvolti la Direzione per i Servizi Sociali della Regione e le aziende ULSS e i Comuni, sarà completato con la definizione degli organi di valutazione che dovranno controllare il rispetto dei nuovi standard regionali propri di ogni servizio erogato.
1.1.2 II principio delle Pari Opportunità
II principio delle parità tra donne e uomini è sostenuto dall'Unione Europea e sottolineato nel trattato di Amsterdam in cui si attribuisce ii compito alla Comunità di eliminare le ineguaglianze, attraverso la promozione delle parità tra uomini e donne, in tutte le attività comunitarie.
L'uguaglianza tra l'uomo e la donna è ribadita anche dalla legislazione nazionale che vieta qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione di carriera in tutti i settori e rami delle attività economiche.
In realtà una parte importante del lavoro femminile si concentra in attività secondarie, quanto a gratificazione professionale, e ancora molte escono dal mercato del lavoro alla prima maternità per le difficoltà di conciliare il lavoro fuori casa con la cura della famiglia in una situazione caratterizzata da mancanza di servizi e da una organizzazione del lavoro che prescinde dall'occupazione femminile.
La considerazione di tali aspetti diventa cruciale in quanto l'affermazione delle potenzialità femminili sono fondamentali per uno sviluppo economico, culturale e sociale equilibrato. In tale concetto si ricomprende l'assunzione dei costi attuali sociali, per evitare di posticipare in un prossimo futuro problemi, la cui soluzione richiederà oneri ben più elevati.
La Commissione regionale pari opportunità tra uomo e donna e i relativi Comitati aziendali, composti da donne rappresentative delle forze politiche, del sindacato, dell'imprenditoria e delle associazioni, operano in tal senso e assumono come obiettivi:
• favorire l'accesso al lavoro femminile e migliorare le condizioni di lavoro, di vita e di reddito
delle donne;
• consentire lo sviluppo professionale e di carriera delle donne;
• conciliare la vita professionale con la vita familiare.
Le azioni adottate sono mirate a diffondere le opportunità di lavoro, promuovere la
rappresentanza e individuare opportune politiche di conciliazione.
Comunicazione - La Commissione, al fine di rendersi visibile e di diffondere al massimo i
progetti e le iniziative sul territorio, sta cercando di realizzare una comunicazione più efficace,
attraverso l'ufficio stampa, il sito internet e la banca dati.
Ha realizzato un primo percorso di rete con le commissioni territoriali e intende proseguire per
creare una vera rete di relazioni sia verso l'interno (commissioni locali) sia verso l'esterno
(commissioni europee ed internazionali) creando sinergie nuove su obiettivi comuni.
Già a partire dal 2003 è stata promossa la partecipazione ai principali eventi di interesse
regionale, nazionale, internazionale che promuovono il principio delle pari opportunità.
Ai lavori dei Comitati di Sorveglianza dei Programmi Comunitari, cui la Commissione è chiamata
a partecipare quale componente, permette di presentare proposte di variazione dei processi di
attuazione degli interventi e verificare che il principio trasversale sia rispettato.
Sono, inoltre, previste iniziative nelle scuole, per sensibilizzare le classi di età più giovani al
rispetto delle uguaglianze tra uomini e donne e negli Enti locali.
Rappresentanza - L'Italia è l'ultima in Europa quanto a presenza nei luoghi decisionali e di
rappresentanza con appena l'8% di donne in Parlamento, nei Consigli regionali, nelle Province e
nei Comuni.
In tale contesto la modifica dell'articolo 51 della Costituzione è un traguardo importante che
apre la strada all'eguaglianza sostanziale tra uomini e donne che, nelle cariche elettive, ancora
non si è concretizzata. La finalità della modifica dell'articolo 51 è proprio di avviare nel Paese,
attraverso "appositi provvedimenti", un processo di rimozione di quegli ostacoli che
condizionano la realizzazione delle pari opportunità.
I provvedimenti dovranno essere differenziati in quanto la carenza di rappresentanza riguarda
l'assetto sociale e culturale del nostro Paese ed il ruolo delle donne, le opportunità che vengono
loro offerte per essere protagoniste del pubblico e non solo del privato familiare o lavorativo. È
un principio che riguarda in primo luogo la politica ed i partiti, ma anche tutte le organizzazioni
intermedie nelle quali si forma e cresce la classe dirigente dei domani. Un principio che impegna
tutti ad adottare politiche di pari opportunità più incisive, perché è anche da una società più
equilibrata in tutti i suoi aspetti che scaturisce una più equilibrata rappresentanza politica.
Si propone, infine, di promuovere, sostenere, monitorare e incentivare le politiche di
conciliazione poiché l'armonizzazione tra vita familiare e vita professionale è una delle questioni
non risolte che interferisce pesantemente nella qualità della vita e non solo. Questo problema
tenderà ad accentuarsi se si considera che l'Unione Europea ha come obiettivo il raggiungimento
del tasso di occupazione femminile al 60% entro il 2010.
Per questo dovranno essere messi in atto sistemi di conciliazione tali da permettere alle donne
di entrare e occuparsi stabilmente nel mercato del lavoro.
La Commissione regionale con la ricerca "Strategie di conciliazione di lavoro e cura: le
esperienze venete", e con il Progetto Europeo "Padri attivi" intende lanciare il dibattito sulle
nuove strategie di flessibilità e di occupabilità e sui cambiamenti di ruolo per permettere agli
uomini di vivere una paternità attiva, incoraggiandoli ad utilizzare anche i congedi parentali.
È intenzione del Comitato regionale delle pari opportunità promuovere un progetto pilota
relativo all'istituzione di un asilo nido. Tale esperienza, che si ispira alle azioni positive previste
anche dalla legislazione nazionale e dalla normativa contrattuale, potrà essere trasferita ad altri
contesti in cui la partecipazione del lavoro femminile assume connotati importanti.
1.1.3 L'integrazione
I caratteri del fenomeno immigratorio
II Veneto, già terra di emigrazione, è divenuta seconda Regione italiana, e prima nel
Nord-Est, per consistenza del fenomeno immigratorio. Si assiste negli anni ad un forte
aumento della presenza degli stranieri; crescono le presenze femminili e dei minori,
indicatori di una tendenza al radicamento e alla stabilizzazione territoriale.
La contabilizzazione dei permessi di soggiorno e delle iscrizioni extracomunitarie alle
anagrafi comunali, numerando i dati e i fattori di incremento dei flussi immigratori,
certifica un processo che, per la rapidità del suo evolversi, la crescente visibilità
territoriale e irruzione nella quotidianità, è seguito con attenzione dai cittadini veneti.
Il Veneto internazionalizzato di oggi, in linea con la sua storia e tradizione di apertura
civile, non chiude porte, offre lavoro e solidarietà ma vuole rispetto dei propri valori e
della legalità.
Il Veneto è stato negli anni 90' polo di attrazione per i migranti dell'Est europeo,
dell'Africa, dell'Asia, richiamati dall'apertura del mercato del lavoro, sofferente di
mancanza di manodopera per corto circuito tra ciclo demografico e fabbisogni
occupazionali.
Aumenta in particolare anche l'occupazione extracomunitaria presso le famiglie venete
nei servizi alla persona, nell'assistenza agli anziani e nel lavoro domestico, alimentata da
catene migratone etniche e parentali.
Ne consegue un'immigrazione diffusa: non si concentra nelle città capoluogo, insiste su
periferie e piccoli centri urbani seguendo sul territorio la localizzazione delle piccole e
medie imprese e delle famiglie e si struttura progressivamente come componente stabile
della popolazione.
Gli Enti locali, il sistema scolastico, sociale e sanitario devono dunque confrontarsi con
l'eterogeneità delle nazionalità e con nuove domande di servizi.
E' un processo che è stato accompagnato negli anni dalla rete di accoglienza del
solidarismo cattolico e dell'associazionismo Veneto e che si proietta stabilmente nel
futuro richiedendo anche misure di intervento più strutturate.
E' un processo che comprende anche una nuova tipologia di immigrazione: l'emigrazione
di ritorno degli italiani da Paesi non comunitari dove sono venute a mancare le garanzie
del lavoro e della qualità della vita.
L'integrazione: un obiettivo complesso.
Nel contesto del complesso fenomeno immigrato rio veneto, un nodo cruciale è rappresentato dall'esigenza di un più puntuale monitoraggio da parte dello Stato e delle Regioni del fabbisogno lavorativo immigrato, espresso dai sistema economico-produttivo. Un maggior ruoto nella definizione delle quote territoriali, già sollecitato dall'assemblea regionale durante l'iter di approvazione della legge 189/2002, va recuperato e rilanciato in un'ottica di funzionalità del sistema veneto e di sostenibilità sociale dell'immigrazione. Si tratta di un obiettivo che va sostenuto da una attenta ponderazione, anche sui diversi tavoli locali di concertazione, alla luce dell'interesse generale della collettività, componendo dunque le diverse istanze tra fabbisogno occupazionale, processi di delocalizzazione, innovazione delle imprese e capacità dei contesti locali e del sistema
dei servizi di assorbire quote di immigrazione, garantendo l'inserimento dignitoso dei singoli lavoratori, ed eventuale Coniuge e figli a carico.
La necessità di costruire una convivenza civile tra Veneti ed immigrati, va rafforzata con programmi di accompagnamento all'integrazione che permettano allo straniero la conoscenza e la comprensione del nostro modello socioculturale.
Si deve raggiungere un equilibrio anche utilizzando le potenzialità della cooperazione nella promozione di azioni formative nei Paesi di origine dei flussi migratori e nel sostegno al rientro degli emigranti nel Veneto.
La regolarità e la legalità dell'immigrazione, fonte di diritti e di dignità della persona immigrata, è evidente pre-condizione di efficacia dell'intervento pubblico di inclusione e integrazione nei contesti locali.
La lotta all'immigrazione clandestina, riservata dall'ordinamento alla competenza esclusiva della sfera statale, va accompagnata nel Veneto dall'impegno congiunto e coerente delle Istituzioni territoriali e delle parti sociali per il regolare inserimento, degli stranieri regolarmente soggiornanti, in parità di diritti e di doveri, contrastando le zone d'ombra del fenomeno immigratorio: il sommerso, il lavoro nero della manodopera immigrata, te occupazioni abusive, gli alloggi inidonei, le operazioni speculative del mercato degli affitti, lo sfruttamento lavorativo in seno alle stesse comunità immigrate.
L'obiettivo di equità e qualità sociale si rafforza con politiche mirate di integrazione e con interventi sul piano legislativo regionale per l'adeguamento all'evoluzione immigratoria.
Il rapporto tra manodopera straniera e manodopera locale si colloca attualmente in un quadro di criticità. Si tratta comunque di un "rapporto ancora in fase fortemente evolutiva e che non si è mai dovuto confrontare, sino all'inizio degli anni 2000, con una situazione congiunturale negativa, dove ben altre possono essere le frizioni, anche in virtù del fatto che i settori che maggiormente impiegano manodopera extracomunitaria coincidono con quelli che più sono esposti agli andamenti del ciclo economico".
La crescente presenza di migranti comporta, nella fase attuale del fenomeno, un impegno straordinario da parte delle Istituzioni locali che si trovano a gestire a valle il fenomeno immigratorio e a governarne l'impatto sui contesti locali.
Le risposte strategiche all'immigrazione
Lo sviluppo di una prospettiva istituzionale non congiunturale dell'immigrazione, tanto sul
piano degli ingressi quanto sul piano dell'inserimento, costituisce l'asse del percorso
regionale di immigrazione governata.
Il salto di qualità - necessario - sta nell'assunzione del fenomeno migratorio quale
processo strutturale e nello sviluppo di politiche di sistema proiettate sul futuro del
Veneto e della comunità regionale.
Sotto questo profilo, la stima pluriennale del fabbisogno lavorativo nel Veneto di
immigrazione, in termini di qualità e di specializzazione, oltreché di quantità, rappresenta
il passaggio obbligato per la valutazione della sostenibilità a medio termine dei costi
sociali del fenomeno immigratorio.
Tale dato, da definire, darebbe spazio e supporto all'iniziativa regionale di negoziazione
con lo Stato sul cruciale nodo delle quote ed in relazione all'introduzione, nel quadro
legislativo nazionale, di flussi riservati ai lavoratori di origine italiana provenienti da Paesi
non comunitari e di titoli di prelazione per l'ingresso in Italia di lavoratori stranieri già
partecipanti ad attività di istruzione e formazione nei Paesi di origine.
Serve una rinnovata normativa regionale, capace di tradursi e sostanziarsi non nel mero
recepimento dell'evento immigratorio ma in un ruolo istituzionale di iniziativa e nel
consolidamento e affinamento di un sistema di raccordo e di concertazione territoriale,
già avviato, nei fatti, per via amministrativa.
Va da sé che l'ampia trasversalità del fenomeno immigratorio dovrà trovare sponda in
una altrettanto ampia cooperazione infraregionale tra quei livelli dell'Amministrazione le
cui competenze si intrecciano in vario modo alle questioni immigratone, perseguendo
uno stile di coerenza istituzionale di indirizzo e di azione.
La parola d'ordine "sinergia" vale anche per l'articolato repertorio di attività per
l'inserimento e l'integrazione degli stranieri promosso sul territorio dai diversi soggetti
pubblici e privati.
Se tale ricchezza di iniziativa costituisce un importante fattore culturale, di conoscenze e
di esperienze da valorizzare, va però evitato il rischio della polverizzazione delle risorse
su iniziative diverse non abbastanza coordinate, anche mediante linee di orientamento o
riorientamento dei servizi e degli interventi, calibrate su un disegno complessivo
regionale limitato alla reale capacità di accoglienza ed assorbimento lavorativo dei flussi
migratori.
Andranno esclusi interventi potenzialmente fonte di conflitti tra popolazione veneta e
componente immigrata, andranno viceversa privilegiate azioni attente alla qualità degli
spazi urbani, di quartiere e ai rapporti sociali.
Alla complessa partita dell'accesso alla casa degli stranieri saranno utili indirizzi generali,
anche in relazione all'offerta abitativa temporanea e di primo inserimento, che portino ad
una più fattiva assunzione di responsabilità delle associazioni datoriali nonché ad
innovative soluzioni di riqualificazione, rivitalizzazione e ripopolamento di spazi territoriali
in abbandono.
Altrettanto decisivi saranno il sostegno, la promozione e la diffusione della formazione
propedeutica all'inserimento per l'apprendimento della lingua italiana, delle regole
civiche, degli aspetti socio-culturali della comunità ospitante, dell'organizzazione del
lavoro e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché della formazione degli operatori che
gestiscono il rapporto con l'immigrato.
Il valore aggiunto della interconnessione degli interventi di integrazione in un sistema di
rete e della individuazione di indicatori di risultato concorrerà alla costruzione di una
mappa territoriale coerente, efficiente ed organizzata di servizi, o segmenti di servizi, e di
operatori dedicati alla popolazione immigrata.
Formare e integrare
Governare l'orientamento, l'informazione e la formazione dei lavoratori già nei Paesi di origine e organizzare anche qui, nelle nostre regioni, l'accesso effettivo ai diritti. Non si tratta di "diritti speciali" ma di diritti e doveri uguali per tutti, italiani e stranieri.
Sul punto cruciale della determinazione delle quote immigratone venete saranno utilizzati e valorizzati tutti gli spazi di confronto e gli strumenti previsti dalla legge nazionale in materia di immigrazione ed asilo, promovendo ulteriori strumenti di intesa Regione-Stato.
Per la definizione della compatibilità fabbisogno-inserimento saranno potenziati il collegamento e il raccordo tra banche dati e osservatori regionali in materia di lavoro e di immigrazione.
II sistema della concertazione territoriale con gli Enti locali e le Parti Sociali per la
definizione degli obiettivi e delle priorità di inserimento e di integrazione va incardinato
nella legislazione regionale.
Gli strumenti programmatici pluriennali e annuali determineranno gli indirizzi generali, le
aree di intervento, la tipologia delle azioni e dei soggetti referenti dell'azione regionale.
Per l'attuazione degli interventi saranno privilegiate forme di partnerariato mediante
convenzioni e accordi territoriali.
In particolare nel campo formativo è necessario affiancare alle politiche esistenti ulteriori
interventi e misure organiche quali:
• una formazione professionale nel paese di origine più breve, più efficace e mirata, che
comprenda l'insegnamento di base dell'italiano come lingua seconda e la normativa sulla
tutela della salute e dell'integrità fisica, come anche l'acquisizione di quelle competenze
tecniche che consentano un'agevole collocabilità e quelle cognizioni di base civiche e
giuridiche che facilitino l'inserimento ed il rispetto del nostro contesto sociale e lavorativo;
• l'implementazione di linee di formazione continua per i lavoratori in genere, siano essi
italiani o immigrati già presenti in Italia, per i quali si pongono esigenze di riqualificazioni
professionali;
• sistemi diffusi d'informazione della domanda e dell'offerta di lavoro, degli atti necessari,
per finalmente raccordare contesti territoriali ad alta disoccupazione ed altri con penuria
di mano d'opera;
• moduli formativi brevi, specifici e intensivi, che consentano l'ottenimento delle
qualifiche.
1.1.4 La sicurezza urbana e territoriale La sicurezza del cittadino veneto
Negli ultimi anni vi è in Italia una crescente attenzione a un complesso di situazioni e fenomeni
che caratterizzano principalmente città e periferie comprendenti il degrado sociale, l'inciviltà
diffusa, il danneggiamelo della cosa pubblica, la diffusa microcriminalità che ora tocca anche il
territorio dei piccoli centri e della campagna veneta.
Si tratta di aspetti che toccano da vicino la sfera della civile convivenza e della libertà di
movimento dei cittadini, aspetti che in parte si ricollegano ad una serie di episodi di particolare
clamore, in parte si riferiscono ad una continuità di eventi, anche in sé non eclatanti, ma che
incidono sulla percezione personale di sicurezza creando un clima di forte preoccupazione
sociale.
Da tate percezione di insicurezza soggettiva ha preso le mosse quel processo di riconoscimento
politico della necessità di azioni sulla sicurezza, distinto da quelle di ordine pubblico in senso
stretto, anche con una serie di sperimentazioni da parte dei governi locali che si sono
progressivamente arricchite di esempi positivi in diversi Comuni, Province e Regioni.
E ormai acquisito che la percezione di sicurezza non discende solo e necessariamente dalle
caratteristiche della criminalità reale, né dal rischio oggettivo di rimanere vittima di un reato,
essa rimanda piuttosto, in maniera più complessa, alla diversa vulnerabilità dei soggetti e alla
qualità delle relazioni sociali. Non esistono, se si vogliono ottenere risultati permanenti, risposte
univoche o semplici.
II Veneto non sfugge a queste dinamiche, anzi, alcuni aspetti (caratteristiche territoriali, rapida e rilevante crescita economica, la nota collocazione geografica) ne fanno un ambito in cui tali fenomeni si sono manifestati con maggior ampiezza, cogliendo le comunità venete in buona parte impreparate, tanto da far balzare la preoccupazione per la sicurezza al primo posto tra quelle dei Veneti.
Il tasso di criminalità reale in Veneto, rilevato dai dati forniti dal Ministero dell'Interno, presenta un andamento in crescita per certi tipi di reato, quali ad esempio le violenze sessuali, stazionario o in calo per altri, ma resta comunque una variabile da considerare relativamente indipendente dalla percezione della sicurezza dei cittadini, su cui intervengono altri e più complessi fattori. Le politiche per la sicurezza urbana e territoriale comprendono infatti svariate azioni che implicano il contrasto ma anche la prevenzione e i primi protagonisti di queste politiche sono gli Enti locali, per la reale vicinanza alle problematiche, diverse da luogo a luogo, e ciò è tanto più evidente in un Veneto dal carattere policentrico e dalla forte caratterizzazione locale.
La promozione della legalità
In questo contesto, e seguendo la strada già intrapresa, risulta prioritario avviare politiche per
ridurre la tradizionale separazione fra Amministrazioni locali, Istituzioni dello Stato e responsabili
della sicurezza, rivedendone le stesse modalità operative a livello locale.
La Regione può e deve svolgere un ruolo chiave in tale processo in quanto livello ottimale per il
coordinamento tra organi dello Stato da un lato ed Enti locali dall'altro. Serve una progettualità
sulla sicurezza fatta di conoscenza, programmazione e realizzazione di interventi a largo spettro,
comprensivi di iniziative in comune con le Forze dell'Ordine. In questi casi c'è una maggiore
capacità di gestione delle emergenze e la loro stessa "gestione" diventa motivo di rilancio della
progettualità nel medio periodo, diventa occasione di rafforzamento della coesione e della
collaborazione con le Forze di Polizia.
Dovrà trovare piena definizione l'ordinamento della Polizia locale, quale componente essenziale
del sistema di sicurezza sul territorio in quanto forza più capillarmente diffusa e più prossima al
cittadino e dunque in grado di assicurare il primo visibile segnale della presenza delle Istituzioni
sul territorio.
La Polizia locale, costituita dall'insieme delle Polizie Municipali e Provinciali presenti nel Veneto,
dovrà disporre di una organizzazione per corpi articolati su adeguati bacini di utenza, formazione
omogenea e supporti tecnico operativi tecnologicamente avanzati.
Va anche ricercato il contributo attivo dei cittadini finalizzato esplicitamente alla sicurezza. Va
sostenuto il ruolo delle associazioni che contribuiscono, d'intesa con gli Enti locali, a forme
d'intervento quali la sorveglianza delle aree pubbliche, dei parchi, delle scuole. È pure da
considerare il ruolo delle agenzie private di vigilanza nell'ambito di un sistema allargato di
sicurezza. È da sviluppare il coinvolgimento delle categorie produttive nei processi di sicurezza,
per le tematiche di salvaguardia dei beni non solo materiali ma anche immateriali che
costituiscono aspetto strategico delle imprese nei mutati scenari organizzativi e tecnologici.
In un quadro di modernizzazione del welfare, si dovranno attivare politiche per aiutare
concretamente e nelle forme più opportune le vittime dei reati urbani.
Nella fase di avvio di queste nuove iniziative, costituiscono punti di forza la consapevolezza
diffusa dei problemi da affrontare ed alcune iniziative positivamente avviate. Vi sono inoltre
esempi di collaborazione tra le polizie locali e le polizie nazionali che fanno intravedere il modello
cooperativo come il più idoneo ed efficace.
Occorre tener conto di una fase normativa in transizione nazionale e regionale il cui sviluppo
dovrebbe portare a forme di collaborazione istituzionalizzate e ad una più precisa definizione
delle competenze.
Per una reale efficacia delle politiche sulla sicurezza urbana serve in particolare un sistema di
rilevazione e di elaborazione di dati e conoscenze sui fenomeni, attualmente carente, e una
attenta e costante opera di verifica e rielaborazione che consenta di adeguare tempestivamente
le risposte all'evolvere dei fenomeni ed identificare le migliori pratiche.
Per ottenere tali risultati devono essere superati gli attuali limiti nell'interscambio di informazioni tra gli Enti e tra le Forze di Polizia, anche con l'ausilio di tecnologie aggiornate e condivise. Deve trovare sviluppo una cultura della progettualità nel campo della sicurezza urbana e territoriale che privilegi l'integrazione degli interventi e sia supportata da una costante verifica sui risultati. La Regione, in cooperazione con gli Enti locali, dovrà dunque sviluppare analisi sulle condizioni di sicurezza ed una progettualità pluriennale e a tutto campo: qualificazione urbana, animazione, mediazione dei conflitti, riduzione del danno, ridefinizione delle attività della Polizia municipale, intensificazione della presenza sul territorio e della collaborazione con le agenzie di sicurezza dello Stato.
La gestione della sicurezza
II ruolo che la Regione viene ad assumere nel sistema di sicurezza quale interfaccia privilegiata degli Organi statali da un lato e degli Enti locali dall'altro definisce le conseguenti strategie operative di medio periodo.
Primo elemento evidenziatosi in questo percorso è la necessità di giungere a ridefinire l'ordinamento della Polizia locale quale organo determinante nell'attuazione delle politiche di sicurezza urbana, che deve trovare coordinamento con le attività delle polizie nazionali. Questi sono i due piani, i due livelli, in cui si articola, di fatto se non ancora di diritto, la funzione di polizia nel nostro Paese.
Si tratta poi di sviluppare strumenti pattizi con lo Stato e gli Enti locali, in modo da dispiegare la forza del coordinamento e dell'efficienza, a fronte della crescita dei fenomeni di criminalità diffusa e disordine urbano. Già con il Protocollo di Intesa sulla sicurezza urbana e territoriale siglato nel dicembre 2002 dal Ministro dell'Interno e dal Presidente della Regione del Veneto, si è giunti ad una prima collaborazione tra Stato, Regione e Comuni, diretta a perfezionare la collaborazione e le sinergie tra Istituzioni dello Stato, responsabili dell'ordine e della sicurezza pubblica, Regione ed Enti locali, ciascuno nell'ambito di attribuzione che gli è proprio.
Grande rilievo assumono le strategie di scambio e raccolta dell'informazione e quelle di comunicazione e coinvolgimento dei cittadini in senso generale e per specifiche categorie.
Grande attenzione dovrà essere posta ai fenomeni migratori e alla netta distinzione tra il fenomeno in sé e gli aspetti criminali o di disordine urbano che vi sono correlati, favorendo al massimo le azioni preventive, anche presso i Paesi d'origine.
Assume importanza strategica perciò la collaborazione europea, specie con riferimento all'allargamento ad est, e la necessità di sviluppare forme di coordinamento tra polizie locali e nazionali dei diversi Paesi, sul piano degli interscambi informativi, della formazione congiunta e inoltre la cooperazione tra Enti territoriali di diversi Paesi per le politiche di sicurezza urbana. Azioni che la Regione può stimolare e promuovere nell'ambito dell'U.E. anche per l'identificazione di programmi comunitari specifici, come pure nel contesto della comunità di lavoro Alpe - Adria.
Ulteriore sviluppo della trasversalità ed integrazione delle politiche di sicurezza è dato dall'opportunità di identificare nel medio periodo forme di collaborazione stretta tra diversi settori: sicurezza stradale; protezione civile; sicurezza sul lavoro; etc. identificando aree di intersezione e ottimizzando indirizzi ed interventi.
1.2 La tutela della salute e le politiche sanitarie
II quadro di riferimento entro il quale si sviluppa l'attività regionale dei sistema socio-sanitario
Veneto è caratterizzato dall'incremento delle aspettative dei cittadini, dall'invecchiamento della
popolazione, dalle connesse patologie cronico degenerative, dal crescente andamento dei costi,
aggravato dalla relativa riduzione delle risorse conseguente ai patti di stabilità,
II sistema socio-sanitario veneto deve quindi necessariamente modernizzarsi, in modo da
conseguire nuovi livelli di efficienza nell'utilizzazione delle risorse, anche attraverso la
sollecitazione di tradizionali e nuove forme di collaborazione dei soggetti che erogano i servizi
del welfare, fondata sulla centralità del servizio pubblico, sulla presenza dei produttori
accreditati nonché valorizzando la ricca esperienza solidale del privato sociale, in grado di
contrastare sacche di inefficienza e ottimizzare il rapporto tra domanda e offerta di prestazioni,
in un quadro di forte governo regionale dei volumi di attività e dei tetti di spesa.
La Regione dovrà mantenere un ruolo di coordinamento e indirizzo valorizzando le soluzioni
applicative più efficienti e innovative adottate dalle singole aziende sanitarie.
Dovranno essere approvate, la legge di riordino dei sistema organizzativo ed il nuovo Piano
Socio-Sanitario.
La Programmazione Socio Sanitaria può considerarsi, infatti, il metodo scelto dalla Regione
Veneto per definire e assicurare il bene "salute" a risorse compatibili: non sarà più possibile la
somministrazione di trattamenti di efficacia non provata, ma si dovrà sempre più propendere
verso la scelta di trattamenti meno costosi, a parità di efficacia e di profilo di effetti collaterali.
La definizione dei livelli essenziali di assistenza costituisce uno dei momenti più significativi del
processo di razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
L'azione regionale si muoverà pertanto lungo diversi ambiti, tra i quali:
la promozione di iniziative di carattere generale e sistemico di tutela della salute e il
rafforzamento dell'area della prevenzione collettiva;
la definizione regionale dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e la riduzione delle liste
di attesa;
Il potenziamento della rete Integrata di servizi sanitari e sociali per l'assistenza ai malati
cronici, agli anziani, ai disabili;
la promozione della farmacovigilanza;
la valorizzazione della partecipazione e la responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti
alla realizzazione delle finalità del Servizio Sanitario;
la riorganizzazione dei macro sistemi erogativi e il potenziamento dei servizi di urgenza
ed emergenza;
• Il monitoraggio del sistema come garanzia di qualità;
la promozione della formazione e della ricerca;
l'evoluzione del sistema informatico socio-sanitario sulla base dei principi di accesso,
integrazione, ampliamento dei dati disponibili e produzione di conoscenze;
• Il riadeguamento economico-finanziario;
l'adozione di politiche di partecipazione alle iniziative delI’UE e alle iniziative in ambito
internazionale.
Per quanto riguarda invece le politiche per la gestione dei servizi sanitari, s'intende realizzare:
la modifica dell'attuale organizzazione delle aziende ULSS e ospedaliere;
la ridefinizione delle attività inerenti il Dipartimento di prevenzione;
la valorizzazione dei servizi per la disabilita;
la definizione dell'attività dei presidi ospedalieri;
l'introduzione di innovazioni organizzative in relazione agli IRCCS;
l'adozione di politiche di investimenti.
1.2.1 Le problematiche emergenti
Una delle sfide più rilevanti che dovrà affrontare il Servizio Sanitario Regionale nei prossimi anni sarà quella di coniugare la tutela e la promozione della salute dei cittadini con la limitata disponibilità di risorse finanziarie. L'origine di questa sfida, che concorre a rendere sempre più delicata la programmazione Socio Sanitaria della Regione, è relativamente recente e va imputata all'affermarsi di due importanti fenomeni:
• la rapida espansione della domanda di servizi sanitari e della spesa sanitaria;
• i crescenti vincoli all'espansione della spesa pubblica e al finanziamento pubblico della
Sanità.
La domanda di servizi sanitari e la spesa sanitaria complessiva
La crescente domanda di servizi sanitari riflette la forte attenzione che i singoli cittadini e la società nel suo insieme, intesa anche come complesso di regole e valori, pongono alla questione salute. In quasi tutti i principali Paesi industrializzati la spesa sanitaria totale, pubblica e privata, è cresciuta sensibilmente, non solo in termini assoluti, ma anche in percentuale del PIL, durante l'ultimo decennio. In Italia tale fenomeno è imputabile anche alla quasi totale gratuità delle prestazioni sanitarie pubbliche. La mancanza di adeguati segnali di prezzo ed, in particolare, l'assenza di ticket sui farmaci e sulle prestazioni, ha indotto nel passato un consumo di servizi sanitari molto elevato, in molti casi inappropriato rispetto agli effettivi bisogni.
La domanda di servizi sanitari e la spesa sanitaria complessiva sono destinate ad aumentare ulteriormente nel futuro. Ad agire verso un aumento della spesa reale prò capite contribuiscono i seguenti fattori:
• le maggiori aspettative dei cittadini in termini di qualità del servizio, di informazione e di
libertà di scelta;
• l'ampliamento delle possibilità curative e riabilitative offerte dal progresso tecnico e
scientifico;
• il fatto che i servizi sanitari rappresentano un "bene di lusso" e quindi a più elevati livelli di
reddito corrisponde una domanda proporzionalmente ancora più elevata di servizi sanitari;
• l'invecchiamento della popolazione e il correlato incremento relativo della -patologia cronico-
degenerativa.
Oltre a ciò, va sottolineato il fatto che la spesa sanitaria complessiva tende ad aumentare anche in termini monetarl a causa del forte aumento dei prezzi di questi servizi, i quali sono spinti verso l'alto dal lievitare dei costi medi di produzione, ed in particolare da quello del personale.
Il ruolo del settore pubblico
La risposta del settore pubblico alla crescente domanda di salute individuale e collettiva è stata
diversa nei vari Paesi e nel corso del tempo. Mentre in quasi tutti i Paesi avanzati si nota una
sostanziale stabilità della quota della spesa sanitaria pubblica sulla spesa sanitaria totale, nel
nostro Paese si è registrata nei primi anni '90, una forte caduta della spesa sanitaria pubblica in
rapporto al PIL, e ciò ha collocato l'Italia agli ultimi posti fra i Paesi UÈ come quota della spesa
sanitaria pubblica sulla spesa totale.
La spesa sanitaria pubblica della Regione del Veneto ha seguito dinamiche simili a quella
nazionale, essendo stata in gran parte condizionata dalle decisioni prese a livello centrale, ma
alcune differenze permangono.
La spesa sanitaria corrente pro-capite del Veneto era pari, nel 2004, a 1.330 euro, livello questo
lievemente inferiore alla media nazionale (1.356 euro) e sostanzialmente inferiore a quello di
altre Regioni del Nord Italia.
In rapporto al PIL la spesa sanitaria corrente risulta nel Veneto ancora più bassa rispetto alle
altre Regioni, soprattutto quelle meridionali, e risulta di quasi un punto percentuale inferiore alla
media nazionale (il 5,1% in Veneto contro il 6,1% in Italia nel 2004). Questi dati testimoniano una situazione regionale che, in una prospettiva federalista, potrà avere dei margini per potenziare la sanità pubblica.
Il divario regionale nella spesa sanitaria pubblica pro-capite é riconducibile sia a fattori demografici, sia a fattori socio-economici, quali la disoccupazione e la struttura settoriale e dimensionale delle attività economiche. Inoltre, i differenziali regionali nella spesa sanitaria sono imputabili anche alla mobilità interregionale dei pazienti, che generano normalmente un aggravio di costi per le Regioni, come il Veneto, dove si registra un afflusso netto di pazienti dal resto del Paese.
La spesa sanitaria della Regione del Veneto e il deficit del settore
II peso complessivo della spesa sanitaria nel bilancio della Regione (pari al 70,1% di tutta la spesa regionale nel bilancio 2005) richiede di focalizzare l'attenzione sull'elevato tasso di crescita che ha caratterizzato la spesa sanitaria durante gli ultimi anni. Negli ultimi quattro anni la spesa stanziata in bilancio a sostegno della sanità è cresciuta del 13,7%, passando dai 5.607 milioni di euro del 2001 ai 6.376 milioni del 2005. La dinamica della spesa regionale in questo settore dipende essenzialmente dall'andamento delle spese correnti che rappresentano la quasi totalità, il 97,5%, della spesa totale. Le ragioni di questa forte espansione della spesa vanno ricercate al di fuori della sfera di azione regionale, ed in particolare, nel rinnovo del contratto dei medici, che ha determinato un forte aumento dei loro compensi, e nell'abolizione dei ticket su molti farmaci, che ha rilanciato la spesa farmaceutica e il conseguente onere a carico del Servizio Sanitario.
Negli ultimi anni la dinamica dei finanziamenti regionali alla Sanità risulta ben superiore alla dinamica del PIL nominale, con il risultato che l'incidenza di tale spesa sul PIL è salita dal 4,57% del 1999, al 5,07% del 2004. Questo valore è importante poiché evidenzia come l'intervento finanziario della Regione del Veneto nel settore, pur essendosi ampliato negli ultimi anni, sia in linea con le indicazioni programmatiche definite a livello nazionale, che stabiliscono un obiettivo tendenziale del 6% nel rapporto fra la spesa regionale e il PIL.
La centralità della sanità nel dibattito sociale e politico deriva anche dal fatto che essa rappresenta la parte preponderante di tutta la spesa regionale. Cosi, variazioni percentuali anche modeste della spesa regionale nella sanità si riflettono pesantemente sulle disponibilità finanziarie degli altri settori, in particolare quelli più strettamente coinvolti nel processo di sviluppo economico. Forti sono quindi le spinte verso una riduzione, o perlomeno verso il contenimento, della spesa sanitaria.
I dati degli ultimi anni evidenziano un fabbisogno finanziario sostanzialmente stabilizzato. Infatti, per l'esercizio 2001, la perdita consolidata dei bilanci presentati dalle Aziende Sanitarie ammonta a circa 264 milioni di euro (d.g.r. 1928 dei 16 luglio 2002); per l'esercizio 2002 risulta pari a circa 245 milioni di euro (d.g.r. 2665 del 12 settembre 2003); per l'esercizio 2003 risulta pari a circa 262 milioni di euro (d.g.r. 2307 del 30 luglio 2004); per l'esercizio 2004 risulta pari a circa 250,5 milioni di euro (d.g.r. 2696 del 20 settembre 2005).
Al di là dei miglioramenti già intervenuti nell'assetto finanziario del sistema sanitario regionale, è certo che esistono ulteriori margini di manovra per contenere la spesa sanitaria. Dal lato della domanda, la riduzione della spesa è stata attuata nel Veneto mediante una crescente compartecipazione alla spesa sanitaria, nella forma di ticket sui farmaci, sulle ricette e, recentemente, sulle cure termali. Dal lato dell'offerta, sono stati recentemente proposti nuovi standard di posti letto, ed è stato ulteriormente intensificato il processo di aziendalizzazione delle Aziende Sanitarie. Ma, le politiche di controllo della spesa sanitaria perseguibili concretamente, sulla linea dell'esperienza internazionale, sono ancora molte e si ricollegano tutte ad un disegno strategico che vede l'introduzione sempre più massiccia delle regole dei mercato nella tradizionale rigida struttura del sistema sanitario.
II federalismo fiscale ed il finanziamento della sanità
Negli ultimi anni si è concretizzato, in ambito sanitario, il processo di devoluzione dei poteri alle regioni, processo che è stato accompagnato e rafforzato dall'avvento di un federalismo fiscale che ha inciso profondamente anche sulle modalità di finanziamento della sanità da parte dello Stato. In effetti, come sancito dal d.lgs. 56/2000, appaiono ora cambiati i paradigmi tradizionali del finanziamento della Sanità, che graverà sempre più sulla fiscalità generale delle Regioni. Fra i principali elementi di novità va citata l'abolizione dei trasferimenti dal Fondo sanitario, che sono stati sostituiti da un aumento dell'aliquota addizionale regionale IRPEF, da un aumento della compartecipazione all'accisa sulla benzina, e, infine, da una quota della compartecipazione al gettito IVA.
Se a tutto ciò aggiungiamo che sono stati aboliti i vincoli di destinazione dell'IRAP alla sanità e la scarsa possibilità di manovra sui tributi regionali, si presenta uno scenario radicalmente diverso per la sanità regionale. Il sistema sanitario, da settore "protetto", diventa sempre più un settore in concorrenza con gli altri settori in cui opera la Regione per aggiudicarsi le scarse risorse finanziarie disponibili, e dovrà sempre più soggiacere ad una valutazione sociale dei benefici che comporta la spesa in questo settore rispetto a quella in altri settori.
Anche se nel breve termine il principio della solidarietà fra Regioni viene tutelato con la realizzazione di un Fondo perequativo nazionale, alimentato proprio dal gettito della compartecipazione IVA, nel medio-lungo l'autonomia finanziaria della Regione diventa massima e ciò impone scelte importanti in rapporto all'ammontare e alla tipologia di spese da finanziare. Fra i più recenti passi verso la regionalizzazione del sistema sanitario vi è l'accordo dell'8 agosto 2001 tra Stato e Regioni, che ha completato il processo di trasferimento alle Regioni delle competenze in materia sanitaria. Con tale accordo è stata attribuita ad esse la potestà autorizzatoria in materia di sperimentazioni gestionali, la piena potestà di riconoscimento ai presidi ospedalieri dello status di Azienda ospedaliere, e l'autonomia in materia di contrattualistica per il personale. Più in generale, il Governo si impegna ad attribuire alle Regioni completa autonomia nel settore dell'organizzazione della sanità.
Sempre con l'accordo dell'8 agosto 2001 le Regioni si sono impegnate ad adottare tutte le iniziative possibili per la corretta ed efficiente gestione del servizio sanitario, al fine di contenere le spese nell'ambito delle risorse disponibili. In particolare, l'impegno è quello di far tendere l'incidenza del finanziamento pubblico della sanità ad un livello pari al 6% del PIL e di risanare il deficit sanitario. Inoltre, le Regioni si sono impegnate a mantenere l'erogazione delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali di assistenza (LEA - definiti a livello nazionale con il d.p.cm. 29 novembre 2001).
La legge n. 405 del 2001 è poi intervenuta nel campo del contenimento della spesa sanitaria ribadendo l'obbligo delle Regioni, e quindi delle Aziende sanitarie ed ospedaliere, ad aderire alle convenzioni già concordate per l'acquisto di beni e servizi.
Sono poi da ricordare, la legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004) e la recente Intesa Stato Regioni siglata il 23 marzo 2005. Infatti, la I. 311/2004, dall'art. 1, comma 164, all'art. 1 comma 187, detta una serie di disposizioni normative inerenti il SSN. In particolar modo, il comma 180 stabilisce che la regione interessata e che si trovi in situazione di non equilibrio economico, "nelle ipotesi indicate ai commi 174 e 176, anche avvalendosi del supporto tecnico dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, procede ad una ricognizione delle cause ed elabora un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I Ministri della salute e dell'economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui all'Intesa prevista dal comma 173. La sottoscrizione dell'accordo è condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento anche in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma".
Lo scenario complessivo che ne risulta è un compromesso fra la logica dell'interesse nazionale, volta a garantire delle prestazioni sanitarie minimali e quindi a garantire la validità del patto di cittadinanza che conferisce a tutti uguali diritti, e la logica dell'autogoverno delle Regioni, che vedono progressivamente aumentare il loro grado di autonomia, anche per quanto concerne il finanziamento della spesa.
1.2.2 Le caratteristiche del Servizio Sanitario Regionale
La rete ospedaliera
II Servizio Sanitario Regionale è un sistema complesso che si fonda su 21 Aziende ULSS, aventi un bacino d'utenza medio di 216.000 abitanti circa, e due importanti Aziende ospedaliere, quelle di Padova e di Verona. Nel 2001 risultavano occupati in questo settore 57.000 persone circa, pari al 3,4% di tutti gli addetti della Regione, di cui approssimativamente il 13% medici e il 45% infermieri.
L'obiettivo storico di consentire un facile accesso ospedaliero a tutta la popolazione, ha prodotto nel corso del tempo una struttura ospedaliera caratterizzata da un'elevata diffusione territoriale, ma assai despecializzata. Nel 2002 nella Regione sono presenti ben 90 presidi ospedalieri, la maggior parte dei quali, 63, strutture pubbliche, mentre meno numerose sono le strutture private, che contano 26 presidi ospedalieri, di cui 7 ospedali classificati, 15 case di cura accreditate e 3 non accreditate.
Questo sistema ospedaliero risponde largamente alle esigenze espresse dalla popolazione residente. Le più recenti statistiche sul grado di soddisfazione dei cittadini rispetto al sistema ospedaliero evidenziano come, nella Regione del Veneto, la percentuale della popolazione molto soddisfatta dei servizi offerti sia sempre superiore alla media nazionale e comunque fra le più elevate d'Italia. Il sistema sanitario regionale riesce oltretutto a soddisfare la domanda espressa da abitanti di altre regioni d'Italia, presentando un saldo migratorio positivo che può essere valutato, per il 1999, in circa 5 persone ogni 100 dimessi.
Tuttavia questo tipo di struttura ospedaliera appare obsoleta e sempre meno rispondente agli obiettivi di qualità che sono propri delle moderne società. La necessità di una profonda revisione della struttura ospedaliera, va inquadrata tenendo conto di una serie di fattori:
• le grandi trasformazioni tecnologiche che hanno favorito un aumento nella velocità nei
trasferimenti delle informazioni, con la telematica, e delle persone, con l'elisoccorso;
• l'aumentata richiesta di un servizio assistenziale di elevata qualità, non sempre reperibile
nelle strutture di piccola dimensione e territorialmente marginali;
• i crescenti costi relativi agli investimenti in macchinari e attrezzature diagnostiche e
terapeutiche;
• la più elevata specializzazione delle funzioni mediche;
• lo sviluppo di patologie croniche, rispetto a quelle acute;
• la scarsa efficienza economica che complessivamente caratterizza un presidio ospedaliero
despecializzato di piccole dimensioni.
Il superamento dell'attuale modello di offerta ospedaliera rappresenta quindi un passo ineludibile nel percorso verso una migliore assistenza sanitaria, che richiede innanzitutto una marcata differenziazione funzionale dei presidi ospedalieri, con la valorizzazione delle vocazioni specialistiche di ogni presidio. L'efficacia e l'efficienza di questo nuovo sistema ospedaliero potrà essere garantita dalla messa in rete di tutti i presidi, soprattutto quelli di minore dimensione. La ristrutturazione del sistema ospedaliero è anche funzionale ad una maggiore efficienza economica. Il funzionamento del sistema assorbe infatti la maggior parte della spesa sanitaria regionale (circa il 56% della spesa sanitaria totale nel 1999). Cosi, qualsiasi politica di razionalizzazione della spesa sanitaria non può prescindere da una politica di contenimento della spesa ospedaliera.
La dotazione di posti letto, in rapporto alla popolazione residente, continua il suo trend decrescente (4,8 contro i 4,4 posti letto a livello nazionale per 1000 abitanti nel 2002). I posti letto disponibili nelle strutture ospedaliere ammontano a circa 22.000, di cui oltre 18.500 in strutture pubbliche.
La domanda di assistenza ospedaliera ha un costo notevole per il Servizio Sanitario Regionale. Nella maggioranza dei casi essa appare motivata dall'obiettivo di garantire la salute della popolazione, ma in altri appare il frutto di pratiche mediche e specialistiche che potrebbero essere evitate, i cosiddetti ricoveri "impropri". Il trend discendente nell'uso dell'ospedale va quindi ulteriormente incentivato, favorendo non solo la riduzione dei ricoveri "impropri", ma anche il day hospital medico e chirurgico. Lo scopo non è solo quello di contenere la spesa sanitaria, ma anche quello di ridurre i disagi dei pazienti che nella gran parte dei casi preferiscono il day hospital o il servizio ambulatoriale ad un ricovero ospedaliero, seppur della durata di pochi giorni.
L'assistenza distrettuale
Un ruolo strategico nell'ambito della politica sanitaria regionale è assegnato al Distretto socio-sanitario. Il territorio regionale si articola in 55 Distretti, con un numero medio di residenti per distretto che supera di poco il livello minimo stabilito. Un gran numero di Distretti Socio-Sanitari (9) del Veneto risulta però "fuori norma" avendo una dimensione inferiore a quella minimale.
La piccola dimensione rappresenta un indubbio fattore di penalizzazione nell'ambito della ricerca di una più elevata efficienza nell'offerta dei servizi sanitaria Piccole dimensioni implicano duplicazioni nei servizi e maggiori costi fissi, soprattutto in aree funzionali, come quella amministrativa o della prevenzione, che possono avvantaggiarsi notevolmente dall'avvento dell'informatica e della telematica. Un allargamento degli ambiti territoriali di pertinenza dei distretti sanitari, e delle stesse Aziende ULSS, è quindi un passaggio obbligato nella via di un risanamento finanziario del SSR e di una maggiore qualità dei servizi offerti.
La dotazione di medici generici, pediatrici e in servizio presso punti di guardia medica è pressoché invariata rispetto alla media degli anni precedenti.
Anche considerando le esperienze internazionali, la dotazione appare soddisfacente e un ulteriore miglioramento nel servizio di assistenza non può che passare, volendo dare sempre più centralità alle effettive esigenze del paziente, attraverso una rivalutazione del ruolo del medico di base, svincolandolo dalle sempre più opprimenti funzioni burocratiche. Esso deve sapersi interfacciare adeguatamente con la rete ospedaliera e accompagnare il paziente nel tortuoso percorso che va dalla diagnosi precoce alla riabilitazione.
Un importante strumento di innovazione, può essere quello che consente di garantire sul territorio un'assistenza alla popolazione nell'arco delle 24 ore. Da questo punto di vista, le UTAP (Unità Territoriali di Assistenza Primaria), in qualità di presidi integrati per le cure primarie consistenti in un'associazione di più medici convenzionati (MMG, PLS, MCA, Specialisti convenzionati) che operino in una sede unica garantendo un elevato livello di integrazione tra la medicina di base e la specialistica e, quindi, il soddisfacimento della più comune domanda specialistica di elezione, appaiono essere gli strumenti con il maggior grado di capacità di innovazione. Esse possono fungere, poi, da elementi catalizzatori di un processo di integrazione di diversi attori coinvolti nell'assistenza territoriale secondo caratteristiche di gradualità: da modelli caratterizzati dalla collaborazione ed integrazione professionale di Medici di Famiglia, Medici di Continuità Assistenziale, Pediatri di Base, a modelli con partecipazione aggiuntiva rispetto a quella di base, di specialisti di varie specialità, di medici della dirigenza medica territoriale e di personale dell'assistenza sanitaria infermieristica, fino a modelli socio-sanitari, che contemplino la presenza anche di operatori sociali e che strutturano l'intervento complesso delle ASL con gli Enti locali per la risposta integrata al bisogno sociale a elevata rilevanza sanitaria. La popolazione servita costituisce l'elemento di riferimento per la costituzione delle
UTAP. Va considerato in modo diverso il numero di assistiti in presenza di zone ad alta o bassa densità di popolazione.
Per quanto riguarda le prescrizioni farmaceutiche, a seguito dell'abolizione dei ticket sanitari nazionali, e nonostante la successiva introduzione del ticket regionale, si è verificato un forte aumento delle stesse. L'impatto finanziario di questo fenomeno è stato rilevante. La spesa farmaceutica a carico del SSR, ha raggiunto un'incidenza de) 13,5% sulla spesa sanitaria complessiva. Il contenimento della spesa farmaceutica, minacciato anche dal progresso farmacologico, impone di rendere i consumatori compartecipi alla spesa, ma deve essere fatto salvo il principio dell'equità sociale.
L'erogazione di prestazioni specialistiche ambulatoriali è stata lievemente potenziata. Ciò risulta funzionale all'obiettivo di ridurre i tempi di attesa e aumentare la tempestività dell'erogazione della prestazione di assistenza specialistica ambulatoriale. La riduzione delle liste di attesa rappresenta infatti un obiettivo prioritario per un sistema sanitario avanzato. La Regione ha da tempo attivato iniziative volte a garantire degli "standard regionali di attesa", che sono mediamente fissati in 30 giorni, ma nonostante ciò, e le conseguenti riduzioni nei tempi medi di risposta, sono ancora frequenti le situazioni in cui i tempi di attesa superano di molto gli standard fissati. L'attivazione dei Centri Unificati di Prenotazione ha favorito il processo di contenimento dei tempi di attesa, ma devono essere trovati anche nuovi strumenti per fronteggiare questo grave punto di debolezza del sistema.
1.2.3 II contesto normativo: vincoli e indicazioni all'azione regionale
II quadro di riferimento europeo ed internazionale
La "salute" rappresenta una delle principali priorità per l'Unione Europea. Dal punto di vista
programmatico, merita particolare attenzione la decisione del Parlamento europeo e del
Consiglio di adottare un Programma d'azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2001-
2006).
In termini specifici, il citato Programma comunitario ha i seguenti obiettivi generali:
• migliorare l'informazione e le conoscenze per lo sviluppo della sanità pubblica e il
rafforzamento e il mantenimento di interventi sanitari efficaci e di sistemi sanitari efficienti,
sviluppando e attuando un sistema ben strutturato e completo per la raccolta, l'analisi, la
valutazione e la diffusione di informazioni e conoscenze in materia di sanità alle autorità
competenti, agli operatori sanitari e al pubblico, nonché mediante vantazioni e relazioni
sulla situazione della salute e sulle politiche, i sistemi e le misure in materia di sanità;
• accrescere la capacità di reagire rapidamente e in modo coordinato alle minacce che
incombono sulla salute mediante lo sviluppo, il rafforzamento e l'assistenza in relazione alla
capacità, al funzionamento e all'interconnessione dei meccanismi di sorveglianza, di diagnosi
precoce e di reazione rapida riguardanti i rischi sanitari;
• affrontare i determinanti sanitari mediante misure di promozione della salute e di
prevenzione delle malattie, mediante il sostegno e lo sviluppo di ampie attività di
promozione della salute e di azioni di prevenzione delle malattie, nonché di strumenti
specifici per la riduzione e l'eliminazione del rischio.
Importanti indicazioni per un moderno assetto del sistema sanitario vengono anche dall'Ocse che pone soprattutto l'accento sui meccanismi di mercato quali strumenti per favorire la concorrenza fra i produttori di servizi sanitari e raggiungere cosi una maggiore efficienza del sistema. Viene peraltro ribadita la necessità di non compromettere l'integrità dei sistemi sanitari, che rappresentano elementi di solidarietà e di stabilità sociale.
In generale, l'Ocse auspica che le riforme sanitarie debbono ispirarsi ai seguenti obiettivi:
• rafforzare la capacità decisionale dei pazienti;
• potenziare il ruolo del medico di base;
• elevare la qualità del servizio;
• introdurre più severi sistemi di valutazone dei risultati;
• potenziare la prevenzione e favorire una politica intersettoriale di tutela della salute;
• favorire l'aziendalizzazione delle strutture sanitarie e la responsabilizzazione dei decisori.
La devoluzione ed il nuovo Piano Sanitario Nazionale
L'aspetto che più ha caratterizzato il settore sanitario a livello nazionale, è stato l'intenso processo di decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni, che ha trovato nella recente riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione l'espressione più elevata. La devoluzione in campo sanitario, oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, consente alle Regioni una potestà legislativa molto ampia, ancorché non ancora ben definita, che va dalla decisione in merito ai modelli organizzativi, alla forma giuridica dei soggetti che erogano prestazioni sanitarie, mentre rimane allo Stato l'emanazione di norme di principio e, in generale, la definizione dei livelli minimi di assistenza.
L'evoluzione del quadro di riferimento normativo nazionale si completa con il Piano Sanitario Nazionale (2003-2005). L'effettiva valenza del nuovo piano dipende strettamente dal processo di devoluzione dei poteri in materia sanitaria. La Conferenza Stato-Regioni ha evidenziato la necessità di distinguere due livelli di programmazione all'interno del PSN: uno che attiene alla programmazione di governo in un contesto di federalismo sanitario, e nel quale vengono individuati i principi fondamentali condivisi da tutte le regioni; un altro che tratta dei temi di interesse interregionale e che può essere discrezionalmente adottato dalle singole Regioni in una logica "pattizia".
Gli obiettivi strategici enunciati dal PSN sono articolati in 10 progetti obiettivo fra cui ricordiamo, quello relativo all'attuazione dell'Accordo sui Livelli Essenziali ed Appropriati di Assistenza e quello volto a ridisegnare la rete ospedali era ed i nuovi ruoli per i Centri di Eccellenza e per gli altri Ospedali.
La legislazione regionale
A livello regionale, il quadro di riferimento normativo appare assai articolato e in continua evoluzione. La politica socio sanitaria del Veneto è stata delineata fin dai primi anni Novanta con la l.r. 39/1993 di riorganizzazione ospedaliera, e precisata poi con le leggi di riordino del Servizio Sanitario Regionale nn. 55 e 56 del 1994. La programmazione del settore ha trovato il suo apice nel Piano Socio-Sanitario Regionale 1996/1998 (l.r. 5/1996) che, per la sua portata e per i suoi contenuti innovativi, ha influenzato la politica sanitaria regionale ben oltre l'orizzonte temporale inizialmente previsto.
Il quadro istituzionale del Servizio Sanitario Regionale è stato innovato con la l.r. 11/2001 con l'istituzione della "Conferenza regionale permanente per la programmazione sanitaria e socio sanitaria", la Conferenza dei Sindaci, il Comitato dei Sindaci di Distretto, volti a consentire la partecipazione degli Enti locali alla programmazione.
Recentemente si è completato il processo di aziendalizzazione delle ULSS, mantenendo alla Regione un ruolo di coordinamento e di indirizzo valorizzando le soluzioni applicative più efficaci ed innovative adottate dalle singole aziende sanitarie.
È stato, quindi, incentivato un sistema di erogazione delle prestazioni ospedaliere adeguato al cambiamento ed alla diversificazione del fabbisogno di salute, al miglioramento delle conoscenze e degli strumenti tecnici ed organizzativi nonché alle necessità di rispetto dei vincoli finanziari. A fronte di una minore ospedalizzazione per acuti, sono stati incrementati sia i servizi residenziali extra - ospedalieri a regime estensivo ed intensivo, sia l'assistenza domiciliare. Con la
valorizzazione dell'assistenza territoriale, la Giunta regionale ha fornito gli indirizzi sull'assetto dei distretti socio-sanitari con riferimento alla dimensione, al modello, all'attività, al sistema organizzativo, agli strumenti di governo, ai rapporti interni all'azienda ULSS ed ai rapporti tra Distretto e Comuni.
Tutta la programmazione della struttura ospedaliera del Veneto è stata oggetto di profonda rivisitazione, mediante la definizione di nuove schede di dotazione ospedaliera (pari a 5 posti letto per 1000 abitanti). Ma la riorganizzazione del sistema ospedaliera va oltre la mera riduzione dei posti letto e la soppressione di alcuni presidi ospedalieri, prevedendo un completo rinnovamento funzionale del sistema. Viene infatti promosso un sistema ospedaliero a rete, che vede al centro le due Aziende ospedaliere di Padova e Verona, come presidi a valenza regionale, quindi gli ospedali dei capoluoghi di provincia, e poi gli ospedali di rete e quelli integrativi.
Attraverso l'elaborazione, in ambiti territoriali corrispondenti a quelli delle aziende ULSS, dei "piani di zona dei servizi sociali" quale principale strumento d'integrazione delle attività sanitarie e sociali svolte nel territorio dai molteplici soggetti pubblici e privati, è stato confermato il sostegno all'integrazione tra il settore sanitario e quello sociale. Il Distretto socio-sanitario si qualifica sede elettiva per l'effettivo coinvolgimento e coordinamento delle professionalità al fine di recuperare un approccio olistico alla persona.
Sono state promosse iniziative di carattere generale e sistemico di promozione della salute e rafforzate le aree della prevenzione collettiva e della prevenzione rivolta alla persona. Al fine di ridurre la spesa per beni e servizi e garantire il rispetto del patto di stabilità interno, secondo quanto previsto dalla legge n. 405 del 2001, si è pure dato avvio ad una serie di iniziative tra le quali la costituzione di un gruppo di lavoro regionale per valutare e promuovere la gestione centralizzata degli acquisti e l'Osservatorio regionale dei Prezzi.
La Regione del Veneto ha perseguito infine l'obiettivo di rafforzare il proprio ruolo di cabina di regia del sistema socio-sanitario. Questo obiettivo è stato perseguito sia acquisendo specifiche capacità tecnico-professionali sia procedendo all'istituzione dell'Agenzia regionale socio-sanitaria con l.r. 32/2001. Quest'ultima si qualifica come una struttura tecnica che dovrà svolgere una funzione di supporto alle attività che richiedono caratteristiche di terzietà quali ad esempio l'accreditamento, la certificazione di qualità, una struttura dedicata all'analisi ed al monitoraggio delle aziende sanitarie ai fini del controllo di gestione nonché una struttura che dovrà procedere a monitorare il processo di sviluppo del Servizio sanitario, dando avvio ad una riflessione circa le possibili dinamiche evolutive.
L'attività regionale
II quadro di riferimento entro il quale si sviluppa l'attività regionale de) sistema socio-sanitario veneto è caratterizzato, come ricordato, da un insieme di fattori di criticità. Il patto di stabilità che lega l'Unione Europea richiede, infatti, la riduzione della spesa pubblica e, conseguentemente un radicale ripensamento del welfare, il quale deve soddisfare domande diverse gravando sempre meno sui conti pubblici. Nel delicato ambito della sanità e del sociale, si richiede il contemperamento del diritto all'equità d'accesso alle cure, con il diritto alla libertà di scelta e con te limitate risorse disponibili a fronte di bisogni in continua espansione.
Il sistema socio sanitario veneto nasce e si sviluppa sulla base di una forte integrazione tra i vari aspetti dell'assistenza sanitaria e tra l'insieme di questi ed il comparto dei servizi sociali. Tale integrazione ha mostrato, nel corso degli ultimi decenni, di corrispondere alle più complessive esigenze di sviluppo economico sociale della Regione, assicurando un articolato e flessibile supporto per rispondere ai nuovi bisogni che si andavano manifestando in relazione a tale sviluppo, soprattutto in riferimento al ruolo della famiglia. Tale conferma va però accompagnata da una modernizzazione del sistema stesso, in grado di conseguire nuovi livelli di efficienza nell'utilizzazione delle risorse, anche grazie alla sollecitazione di tradizionali e nuove forme di "pluralismo erogativi" in grado di contrastare forme e sacche di inefficienza ed ottimizzando il
rapporto tra domanda ed offerta di prestazioni, in un quadro di forte governo regionale dei volumi di attività e dei tetti di spesa.
Ad integrazione del quadro normativo precedentemente delineato, si è proceduto al completamento del processo di aziendalizzazione delle ULSS, superando la pregressa impostazione della legge 833 del 1978 e sviluppando l'attuale impostazione prevista del d.lgs. 502/1992 e successive modificazioni, in base alla quale le aziende sanitarie non sono caratterizzate da una funzione generica di promozione della salute, bensi dalla missione loro affidata di assicurare concretamente una serie di servizi, prestazioni, interventi e programmi ricompresi nei livelli essenziali di assistenza, secondo principi di efficacia, efficienza e qualità. Da questo punto di vista l'avvenuta approvazione da parte della Regione, delle linee guida per la redazione dell'atto aziendale, ha aperto una fase nuova e di grandi potenzialità.
1.2.4 Verso una nuova programmazione per la Sanità
II ruolo della Regione
La Regione dovrà mantenere un ruolo di coordinamento e di indirizzo valorizzando le soluzioni
applicative più efficaci ed innovative adottate dalle singole aziende sanitarie.
La programmazione sanitaria deve svolgere la funzione di indirizzo del settore, perseguendo,
attraverso la gestione dei Servizi, obiettivi di equità, universalità dell'accesso, riequilibrio
solidale, nonché efficacia ed efficienza, attraverso la ricerca continua della qualità del Sistema.
Gli obiettivi strategici si devono basare su considerazioni demografiche, eptdemiologiche,
economiche, manageriali, politiche ed etiche. Le priorità vengono individuate partendo
dall'identificazione dei maggiori problemi di salute della popolazione del Veneto e delle strategie
di prevenzione primaria e secondaria che assicurino i migliori risultati in termini di costo per
anno di vita, senza disabilità, guadagnato.
Il ruolo della Programmazione Socio Sanitaria è quello di garantire il diritto di cittadinanza
rispetto a risultati fondamentali di salute. Questo comporta la costruzione di un meccanismo di
regolazione delle risorse per assicurare a tutti la disponibilità dei medesimi beni primari, tenuto
conto di svantaggi naturali o di capacità produttive insufficienti.
Nell'attuale quadro di scarsità di risorse, non sarà più possibile la somministrazione di
trattamenti di efficacia non provata, ma si dovrà sempre più propendere verso la scelta di
trattamenti meno costosi, sempre a parità di efficacia e di profilo di effetti collaterali. Pertanto la
valutazione dei costi diviene parte integrante del processo valutativo delle cure, associandosi
alla vantazione di appropriatezza e di efficacia.
La definizione dei livelli essenziali di assistenza costituisce uno dei momenti più significativi del
processo di razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
Essi, con i relativi finanziamenti, rappresentano le garanzie che il sistema si impegna ad
assicurare all'intera collettività, in condizione di uniformità su tutto il territorio nazionale.
L'impegno di assicurare i livelli di assistenza, gli obblighi derivanti dall'Accordo dell'8 agosto
2001 sulla spesa sanitaria, le conseguenti sanzioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi
del Patto di stabilità e gli altri adempimenti previsti, la necessità, in definitiva, di garantire
condizioni di equilibrio finanziario nella prospettiva del federalismo fiscale, impongono che tutti
gli obiettivi della pianificazione, le politiche, i progetti, le azioni, siano compatibili con il quadro
delle risorse disponibili per la loro realizzazione.
Appare evidente la necessità di scelte strategicamente rivolte a prevenire e controllare ogni
fenomeno di dispersione e di improprio utilizzo delle risorse, sia con la revisione del sistema di
organizzazione dell'offerta - che abbisogna di correttivi per un giusto dimensionamento della
capacità produttiva - sia con una più efficiente allocazione della domanda, nel senso di un
utilizzo più appropriato della gamma dei servizi offerti.
Ancora una volta, lo snodo della Programmazione regionale è essenziale, recuperando il ruolo
partecipativo di tutti gli attori.
Le Autonomie locali, in particolare - quali rappresentanti delle Comunità di riferimento - devono
essere consapevoli, con la Regione e con le Aziende, che la sostenibilità del sistema, ossia la sua
capacità di garantire i diritti, si raggiunge attraverso uno sforzo comune, per un corretto
dimensionamento e un adeguato utilizzo delle risorse.
La Regione, dal canto suo, deve rafforzare il principio della unitarietà e globalità degli interventi,
anche attraverso la precisazione degli apporti dei Comuni in tema di politiche sociali,
urbanistiche e del territorio, nonché attraverso la definizione del contenuto e delle modalità di
esercizio di eventuali deleghe dei Comuni alle Aziende ULSS
La convergenza della programmazione si realizza sia a livello regionale - con il potenziamento
del ruolo della Conferenza regionale per la Programmazione socio sanitaria - sia a livello locale -
con l'integrazione della programmazione di zona con quella dell'ULSS - al fine di evitare
sfasature, vuoti e sovrapposizioni.
Si conferma l'esigenza del coinvolgimento degli Enti pubblici e degli Enti privati operanti nel
sistema, e della valorizzazione dell'apporto delle entità organizzate di solidarietà sociale,
espressione delle comunità locali, nella programmazione dei servizi e non solo nella gestione.
Il coinvolgimento nella programmazione di tutti gli attori porta ad una loro maggiore
responsabilizzazione, per assicurare il successo di azioni strutturali particolarmente incisive e
culturalmente onerose.
Per una elevata efficacia del risultato da ottenersi, il miglioramento organizzativo ed economico
deve essere inserito in programmi di miglioramento assistenziale. Cosi facendo si realizza
l'approccio più corretto per la reingenierizzazione del sistema.
Sono confermate pertanto le linee di sviluppo dell'azione di governo regionale nel settore socio
sanitario, che dovrà articolarsi secondo otto direttrici fondamentali:
• il completamento del processo di regionalizzazione;
• il completamento del processo di aziendalizzazione;
• il completamento del riassetto strutturale;
• il rilancio delle politiche di prevenzione;
• il riadeguamento finanziario;
• il rilancio dell'integrazione socio sanitaria;
• il rilancio del ruolo regionale nel settore dei servizi sociali;
• il potenziamento della struttura regionale di governo.
Il rinnovamento del sistema, nel suo complesso, è teso quindi all'integrazione gestionale tra le strutture coinvolte nell'erogazione dei servizi alle persone (sanitari e socio-sanitari), alla ricerca continua della riduzione delle inefficienze, all'integrazione delle prestazioni ed alla continuità assistenziale nei confronti dei cittadini utenti, come pure alla continuità di servizio del lavoro degli operatori nonché alta loro motivazione, per la realizzazione del governo gestionale e clinico del sistema. Gli assi del suo rinnovamento sono pertanto:
• individuazione di ambiti territoriali sovrazonali in cui collocare la gestione dei servizi
suscettibili di significative economie "di scala" al fine di raggiungere le dimensioni necessarie
per completare correttamente il processo di aziendalizzazione. Con d.g.r. 3456 del 2004
sono state definite linee guida per la realizzazione di un modello organizzativo che,
promovendo la collaborazione e la condivisione di processi gestionali tra aziende limitrofe
facenti capo ad una stessa area, definibile fin d'ora come "area vasta", non solo per quanto
attiene ai processi amministrativi, ma anche per alcune funzioni organizzative e sanitarie (ad
esempio: dipartimenti di prevenzione, alcune funzioni di alta spedalità) riduca il consumo di
risorse e ottimizzi l'efficienza, l'efficacia e l'appropriatezza delle stesse pur continuando ad
assicurare una risposta adeguata alla crescente domanda di bisogni sanitari mediante la
garanzia dei LEA;
• ristrutturazione del sistema con un modello di accreditamento che confermi il ruolo dei
servizi pubblici come produttori di prestazioni in un rapporto di collaborazione con i servizi
privati (agevolata dall'attuazione della normativa sull'accreditamento);
• riorganizzazione della funzione ospedaliera all'interno delle Aziende (ULSS) al fine di
consentirne l'effettiva responsabilizzazione ed il governo.
La Segreteria regionale e l'Agenzia socio-sanitaria regionale avranno il compito rispettivamente di reindirizzare e monitorare costantemente lo sviluppo del processo di rinnovamento del SSR lungo questi tre assi e di dare l'avvio altresì ad una riflessione ragionata circa eventuali possibili evoluzioni del modello di sistema.
I punti più qualificanti della programmazione saranno quindi i seguenti:
• il potenziamento delle attività di prevenzione collettiva e di promozione della salute in
sintonia con le indicazioni dell'OMS;
• la definizione dei Livelli di assistenza per la Regione del Veneto;
• il completamento della riqualificazione della rete ospedaliera agendo non solo sui posti letto,
ma soprattutto con efficacia sull'articolazione funzionale della rete regionale e sugli aspetti
organizzativi;
• lo sviluppo della programmazione per la riqualificazione delta rete assistenziale territoriale
distrettuale;
• la conferma della scelta di attuare una più decisa politica verso il personale dipendente e
convenzionato per la realizzazione di nuove forme di rapporto con i cittadini utenti, più
coordinate fra di loro per recuperare la visione e la pratica unitaria verso la persona;
• il rilancio del ruolo trainante che la Regione deve assumere attraverso la formazione e la
gestione della conoscenza;
• il miglioramento delle previsioni relative ai consumi sanitari appropriati da parte della
popolazione del Veneto, soprattutto anziana.
Il quadro degli obiettivi
Nell'ambito del modello sopra indicato, la Regione esprime il proprio disegno e la propria volontà rispetto al governo del Sistema Sanitario Regionale facendo propri i seguenti obiettivi:
• implementare iniziative di carattere generale e sistemico di promozione della salute,
promuovendo politiche intersettoriali che pongano il fattore salute al centro dello sviluppo
economico sociale della Regione del Veneto. I valori e i principi su cui si fonda la politica di
salute pubblica regionale sono: equità e giustizia, efficacia, integrazione, flessibilità,
informazione, coesione e capitale sociale e creazione di strutture organizzative per la Sanità
Pubblica;
• rafforzare l'area della prevenzione collettiva e della prevenzione rivolta alla persona;
• attuare l'accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa,
definendo i livelli di assistenza per la Regione del Veneto, con la conseguente
razionalizzazione del profilo delle prestazioni; tale razionalizzazione costituisce la base per
assicurare e verificare la coerenza con il fabbisogno annualmente garantito a livello
nazionale e per "delimitare" l'area erogativa a carico del SSN, rispetto a quella a carico del
bilancio regionale ed a quella di possibile intervento dei Fondi integrativi;
• valutare la creazione di un fondo per la non autosufficienza, dopo un attento e approfondito
confronto, in armonia con quello nazionale, anche destinando in forma aggiuntiva risorse
diverse da quelle provenienti dai fondi sanitario e sociale;
• potenziare la rete integrata di servizi sanitari e sociali per l'assistenza ai malati cronici, agli
anziani e ai disabili;
• promuovere un corretto impiego dei farmaci e la farmacovigilanza, ottimizzando, per
esempio, la rete distributiva oltre a correlare politiche di educazione sanitaria appropriate;
• valorizzare la partecipazione, attraverso un maggiore radicamento e consenso degli
interventi a livello locale e la responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti alla realizzazione
delle finalità del Servizio Sanitario Regionale, considerato che la tutela della salute deve essere un valore condiviso da tutti;
• ridisegnare i macrosistemi erogativi, completare la programmazione e l'integrazione dei
seguenti sistemi:
- sistema delle cure ospedaliere, attraverso l'articolazione funzionale della rete regionale, con l'obiettivo della destinazione funzionale di ogni singolo ospedale;
- sistema delle cure residenziali extraospedaliere, sviluppando la riqualificazione programmata della rete assistenziale territoriale. La riqualificazione programmata di tale rete residenziale territoriale dovrà prevedere lo sviluppo di una nuova fattispecie, l'ospedale di comunità, attivo, attualmente, solo in poche ULSS come sperimentazione organizzativa che in futuro dovrà vedere il proprio modello esteso a tutto il territorio regionale. "L'ospedale di comunità" è una struttura in grado di ospitare pazienti dimessi da reparti per acuti e post acuti dell'ospedale per i quali sia necessario consolidare le condizioni fisiche o continuare il processo di recupero in ambito non ospedaliero, ovvero pazienti per i quali il MMG possa richiedere un ambiente protetto (non ospedaliere) per attuare o proseguire le terapie domiciliari. Obiettivi di questa struttura sono il consolidamento dello stato clinico generale dei risultati terapeutici ottenuti nel reparto ospedaliero per acuti o post acuti, la prevenzione delle complicanze e il recupero dell'autonomia, in un'ottica di rientro a domicilio o di ricorso a forme assistenziali territoriali. Non secondario è anche l'obiettivo di evitare ingressi a carattere definitivo in strutture residenziali per l'insorgenza di difficoltà familiari e sociali ad affrontare tempestivamente le mutate condizioni fisiche e funzionali, in particolare dell'anziano, dopo un'evenienza acuta. L'ospedale di comunità rappresenta, quindi, nel quadro del processo di razionalizzazione e riadeguamento delle risorse ospedaliere secondo principi di appropriatezza, un'alternativa efficace e adeguata al ricovero ospedaliero;
- sistema delle cure domiciliari, prevedendo l'integrazione con il sistema delle cure ospedaliere e con quello delle cure residenziali;
- sistema delle cure ambulatoriali, rafforzando la programmazione strutturale dell'offerta;
- sistema dei servizi distrettuali, realizzando un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi che erogano le prestazioni socio-sanitarie e tra questi e i servizi socio-assistenziali, nonché tra i soggetti coinvolti;
• garantire e monitorare la qualità di sistema, dell'assistenza sanitaria e socio sanitaria nonché
dell'impiego delle tecnologie biomediche, migliorando la qualità del rapporto tra cittadini e
organizzazione, individuando i livelli di qualità che le strutture sanitarie devono garantire,
definendo i criteri di accreditamento di tutti gli erogatori ed i relativi servizi pubblici e privati,
in un processo di omogeneità organizzativo - funzionale per la tutela dei diritti del cittadino
alla scelta del luogo, alla continuità assistenziale e alla scelta della modalità delle cure;
• potenziare i fattori di sviluppo della conoscenza degli operatori in sanità e realizzare una
formazione permanente di alto livello in medicina e sanità, assicurando la realizzazione degli
interventi in grado di promuovere sviluppo e qualificazione delle risorse umane e
professionali (anche attraverso le attività di Educazione Continua in Medicina), di
miglioramento delle relazioni interne e dei modelli organizzativi, delle strutture e delle
tecnologie impiegate attraverso un sistema in grado di assicurare la continuità degli
interventi formativi;
• promuovere la ricerca biomedica, biotecnologica e quella sulla riorganizzazione
reingenierizzazione e valutazione dei servizi sanitari, esercitando le nuove competenze
regionali in materia di ricerca, partecipando alle iniziative del Piano Nazionale per la Ricerca,
promovendo specifiche iniziative e linee regionali, nonché favorendo il modello di
integrazioni tra poli di eccellenza e rete assistenziale;
• potenziare i servizi di urgenza ed emergenza già esistenti, completando il modello a rete,
definendo l'organizzazione del sistema, gli interventi strutturali e i progetti attuativi e
rafforzando il raccordo e l'integrazione tra gli interventi a livello territoriale e ospedaliero
nelle varie fasi. Garantire, inoltre, uno sviluppo omogeneo del sistema per offrire gli stessi livelli di assistenza su tutto il territorio regionale;
• implementare l'integrazione dei sistemi informativi aziendali per favorire la comunicazione
tra sistemi diversi al fine di realizzare servizi comuni, attraverso l'accesso, l'integrazione,
l'ampliamento dei dati disponibili e la produzione diffusa di conoscenze. Implementare,
inoltre, l'integrazione orizzontale e verticale dei sistemi aziendali, cosi da permettere
l'aggregazione attorno al cittadino dei complesso delle informazioni derivanti dai molteplici
accessi ai servizi, con lo scopo di assicurare la continuità assistenziale nell'erogazione delle
prestazioni e rendere visibile la gamma complessiva di offerta del Sistema Sanitario
Regionale. Assicurare il monitoraggio delle prestazioni erogate per potenziare il sistema dei
controlli, evidenziando eventuali fenomeni di improprio assorbimento delle risorse;
• assicurare il riadeguamento economico-finanziario, raggiungendo l'equilibrio economico
finanziario, anche al fine di rispettare gli obiettivi di finanza pubblica di cui al "patto di
stabilità" e agendo sui sistemi di finanziamento degli erogatori, per indurre la riduzione delle
prestazioni a più basso valore terapeutico e, in generale, per il controllo dei volumi delle
prestazioni, nonché anche mediante meccanismi di corresponsabilizzazione e partecipazione
della spesa sanitaria. Migliorare, inoltre, l'efficienza allocativa nell'impiego delle risorse;
• potenziare le attività internazionali in ambito socio-sanitario e le relazioni internazionali,
radicare in Veneto le politiche di salute dell'OMS e sviluppare rispetto ai due obiettivi di cui
sopra le alleanze con le Agenzie specializzate dell'ONU ed ogni altro Organismo riconosciuto
dalla comunità internazionale anche favorendo la partecipazione del personale socio
sanitario del SSR alle attività ed ai programmi internazionali.
Il quadro dette politiche
II raggiungimento degli obiettivi strategici sopra descritti richiede il perseguimento di politiche mirate e forti, che si sviluppano nei seguenti ambiti:
la definizione e il perseguimento di specifici obiettivi di salute. Oltre ad affrontare le
patologie che già rappresentano importanti cause di morte, sono da ridurre quei fattori di
rischio, i cui effetti, non sono ancora manifesti e, a causa della latenza nello sviluppo delle
patologie cronico-degenerative, potranno essere visibili solo a distanza. Sono prioritari gli
interventi:
- per la dissuasione dall'uso di tabacco, attraverso la prevenzione tra i giovani, attraverso strategie di promozione della salute nelle scuole e la protezione dal fumo passivo, enfatizzando il ruolo dei medici di medicina generale;
- per la sicurezza alimentare, attraverso l'analisi e la gestione del rischio che implicano la predisposizione di azioni per la prevenzione, il controllo e la promozione di corrette pratiche in tutte le fasi della filiera produttiva;
- nell'ambito dell'epidemiologia ambientale, con la definizione di un protocollo degli eventi
sanitari ambiente-correlati a livello locale, e potenziando la collaborazione tra le strutture
del SSR e dell'ARPAV a livello regionale e locale;
- rispetto ai traumi stradali, dovrà essere promosso l'uso dei sistemi di sicurezza individuali attraverso II marketing sociale e la collaborazione con le forze di sicurezza, ma anche portando la cultura, i principi ed i metodi di sanità pubblica nell'ambito della pianificazione territoriale ed in particolare nella programmazione e gestione della rete stradale;
- per la salute nel lavoro, sviluppando il coordinamento delle diverse unità operative della Pubblica Amministrazione, in materia di sicurezza del lavoro e di contrasto del lavoro irregolare e sommerso, e coinvolgendo le parti sociali nei progetti di intervento e nella verifica dei risultati;
- per la sicurezza nei posti di lavoro, promovendo l'uniformità delle normative e dei
regolamenti applicativi, sostenendo l'impegno delle imprese e favorendo una cultura
della salute nei luoghi di lavoro fra gli imprenditori e fra i lavoratori;
la definizione regionale dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). I principi generali sono gli
stessi che hanno ispirato ti Governo per la definizione dei LEA: dignità della persona,
bisogno di salute, accesso all'assistenza, qualità delle cure e loro appropriatezza riguardo
alle specifiche esigenze ed economicità nell'impiego delle risorse. La pianificazione sanitaria
regionale dovrà anche disciplinare le modalità di adozione di LEA aggiuntivi regionali,
proponendo sperimentazioni sulle forme integrative di assistenza e rimuovendo
progressivamente i servizi non inclusi nei LEA, a partire da quelli che hanno un peso
maggiore nella spesa e la cui efficacia non è sostenuta da una solida evidenza scientifica;
compartecipazione alla spesa. Il coinvolgimento dei cittadini e delle famiglie alla spesa
sociale e sanitaria appare uno dei temi fondamentali in cui si tratta di delineare, anche
tramite un confronto con le parti sociali, un intervento organico, capace di coniugare
l'universalità dei diritti con la selettività/equità dell'accesso alle prestazioni e la sostenibilità
finanziaria del sistema definendo l'eventuale compartecipazione alla spesa in base alle
effettive risorse delle famiglie e dei cittadini attraverso l'ISEE (Indicatore della Situazione
Economica Equivalente);
l'utilizzo delle risorse economiche. comporta diverse problematiche: la capacità di
individuare e realizzare le attività più rilevanti rispetto al miglioramento delle condizioni di
salute della popolazione; l'efficienza della spesa e la dimensione delle risorse disponibili (e
quindi il loro grado di scarsità). La Regione deve dunque identificare in modo analitico le
attività di assistenza socio-sanitaria erogabili alla popolazione, accogliendo fra quelle
possibili le attività giudicate prioritarie e necessarie e stimare la quantità di risorse
finanziarie necessarie per la realizzazione di ciascuna attività necessaria assegnando alle
aziende LJLSS l'ammontare di risorse finanziarie esattamente richiesto per la produzione e
l'erogazione delle prestazioni identificate. Tra le attività finalizzate alla riprogettazione dei
processi e destinate al contenimento dei costi si possono considerare:
- l'outsourcing, inteso come il ricorso a fonti esterne per attività e servizi che non fanno
parte del "core business" e che di norma sono prodotti con risorse aziendali;
- la centralizzazione, sia a livello di raggruppamenti di aziende sanitarie che a livello
regionale, in aree che richiedono dimensioni e massa critica appropriate;
- l'integrazione dei sistemi informativi delle aziende sanitarie, al fine di offrire agli utenti
servizi qualitativamente superiori, dando concretezza ai principi della continuità
assistenziale e della libertà di scelta;
- il controllo di gestione, semplice, tempestivo omogeneo nei contenuti e nei metodi di
rilevazione, ed in grado di verificare la presenza di eventuali scostamenti rispetto agli
obiettivi, misurarne l'entità ed individuare e mettere a punto le azioni correttive;
il ruolo dei privati e ambiti di sperimentazioni qestionali. Il sistema sanitario richiede un
significativo cambiamento delle logiche operative. È necessario realizzare una rete di servizi
integrata, fondata sulla collaborazione e la complementarietà dei soggetti erogatori pubblici
e privati. La possibilità degli operatori sia profit che non di operare assieme nella
complessiva gestione del SSR, ha favorito la nascita di diverse modalità di collaborazioni,
quali: l'acquisto di servizi e di beni, l'acquisto di prestazioni sanitarie da) privato,
l'outsourcing, il project financing, j progetti collaborativi di ricerca nei settori biomedici ed
anche organizzativi. L'accreditamento è un sistema che, con un proprio processo di
valutazione/misurazione, purché dinamico e non autoreferenziale, ricopre una fondamentale
importanza in un sistema misto. Con la programmazione sanitaria si dovrà assicurare
particolare attenzione alle sperimentazioni gestionali quale strumento di sviluppo della
capacità di cambiamento delle aziende sanitarie e quali fattori di innovazione e
miglioramento del Servizio Sanitario Regionale;
la gestione e la formazione del personale. È necessario un programma di sviluppo delle
risorse umane (che riguardi sia quello dipendente che quello convenzionato) rivolto a:
valorizzare l'autonomia professionale e promuovere le responsabilità, anche attraverso
forme di partecipazione degli operatori;
- differenziare l'assunzione di effettive responsabilità gestionali dall'esercizio di
competenze professionali e tecniche;
- allineare il sistema delle responsabilità alla ridefinizione dei processi organizzativi delle
aziende;
- avviare un programma di formazione per il personale a tutti i livelli di responsabilità;
- garantire le condizioni per una fattiva eguaglianza delle opportunità per il personale
femminile;
- valorizzare la professione infermieristica e le altre professioni sanitarie, per le quali si
impone la nascita di una nuova cultura della professione;
- creare ambienti di lavoro sicuri e confortevoli;
l'evoluzione del sistema informativo socio-sanitario, sulla base dei principi di accesso,
integrazione, ampliamento dei dati disponibili e produzione di conoscenze;
il Sistema di sorveglianza epidemiologica va potenziato dedicando maggiori risorse alla
sorveglianza epidemiologica degli anziani e delle malattie e traumi professionali;
l'educazione e la promozione della salute. Il SSR del Veneto deve orientare le attività di
promozione della salute verso quei fattori di rischio che sono modificabili e che denotano ora
una larga percentuale di decessi precoci e disabilita (fumo di tabacco, abuso di alcol,
alimentazione scorretta, insufficiente esercizio fisico, etc.) soprattutto nei confronti della
popolazione più vulnerabile (adolescenti, persone con basso livello di istruzione, etc);
la promozione della qualità. L'attenzione deve essere rivolta al sistema, ai suoi processi
organizzativi, a quelli diagnostici, curativi e assistenziali, a quelli di supporto tecnico ed
amministrativo identificati ai vari livelli di responsabilità e condivisi;
i Rapporti con l'Università. Nel quadro delineato dal d.p.c.m. 24 maggio 2001 recante:
"Linee-Guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra Regioni e Università per lo
svolgimento delle attività assistenziali delle Università nel quadro della programmazione
nazionale e regionale", le Università possono svolgere un ruolo importante nella
programmazione sanitaria regionale, in particolare:
- nell'elaborazione dei piani sanitari regionali, nella definizione degli indirizzi di politica
sanitaria e di ricerca e nella predisposizione dei modelli organizzativi delle strutture e
delle attività suddette;
- nel disciplinare forme e modalità di concertazione per individuare le strutture del servizio
sanitario regionale, che, insieme a quelle universitarie, costituiscono la rete didattico-
formativa degli specializzandi, del personale sanitario, nonché l'accesso ai ruoli
dirigenziali;
la ricerca applicata socio-sanitaria;
il monitoraggio della politica del farmaco;
l'abbattimento delle liste di attesa è terreno prioritario di impegno del sistema regionale
veneto. In coerenza con l'adesione espressa dalla Regione ai documenti nazionali in materia,
è necessario:
- partecipare all'individuazione di percorsi comuni con le altre Regioni;
- individuare i criteri per stabilire delle priorità d'accesso;
- attivare un sistema di monitoraggio adeguato dei tempi e dei procedimenti;
- individuare modalità per la corretta gestione delle liste di prenotazione;
- inserire come elemento di valutazione dei direttori generali l'inosservanza dei tempi di attesa stabiliti;
- utilizzare la libera professione nei confronti dell'azienda per diminuire le liste di attesa delle prestazioni critiche;
le politiche di partecipazione alle iniziative dell'Unione Europea e alle iniziative di carattere
umanitario in ambito internazionale. La Regione del Veneto deve considerare le relative
opportunità di partecipazione:
- sotto il profilo della collaborazione e del confronto con altri sistemi sanitari, sia come
strumento di benchmarking sia come strumento di internazionalizzazione del sistema
socio-sanitario locale;
- come soggetto che partecipa al processo di attuazione della normativa comunitaria;
- come soggetto che accede alle misure comunitarie di incentivazione.
In particolare è da rafforzare la presenza ed il peso internazionale della Regione all'interno delle iniziative socio sanitarie per gli interventi di cooperazione decentrata e di emergenza umanitaria.
Le politiche per la gestione dei servizi sanitari
La necessità di riorganizzare/re-ingegnerizzare l'intero sistema sanitario regionale, impone la definizione di specifiche politiche per i servizi sanitari. In particolare:
definire una nuova organizzazione delle aziende ULSS e ospedaliere e i loro nuovi ambiti
territoriali. In particolare, potrà giocare un ruolo di rilievo la modifica dell'attuale
organizzazione delle direzioni delle aziende ULSS;
ridefinire le attività afferenti al Dipartimento di prevenzione, per tener conto delle recenti
disposizioni normative che riconducono la tradizionale operatività del Dipartimento al livello
di assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro;
riorganizzare il polo di attività afferenti al Distretto Socio Sanitario. Elemento di snodo della
programmazione e della gestione dovrà essere il Distretto Socio Sanitario (DSS). La sua
riorganizzazione dovrà avvenire secondo la configurazione delineata dalla normativa
regionale vigente, e secondo ulteriori opportuni approfondimenti ed interventi regolamentari
che ne precisino i meccanismi operativi. In tale ambito, una particolare attenzione sarà
rivolta alla sistemazione, in un'ottica di efficacia ed efficienza del servizio, dei seguenti punti:
- la medicina convenzionata;
- l'assistenza farmaceutica territoriale;
- le residenze sanitarie extraospedaliere;
- l'assistenza domiciliare;
- gli ospedali di comunità;
- strumenti di governo del Distretto Socio Sanitario saranno il PAT (Programma delle
Attività Territoriali) e i percorsi assistenziali;
valorizzare i servizi per la disabilità. La prevenzione delle disabilità, intesa come riduzione
dell'incidenza degli eventi che la causano, rappresenta un primo momento importante
nell'ambito della programmazione regionale, che dovrà poi contemplare la riabilitazione,
intesa come processo di soluzione dei problemi e di educazione;
definire il polo di attività afferente ai presidi ospedalieri;
• la strategia di riordino della rete ospedaliera perseguita dalla Regione è incentrata su due
linee principali:
- la riduzione delle dotazioni ospedaliere focalizzata sui posti letto, in adeguamento agli standard nazionali, come modalità per elevare l'efficienza del sistema e il recupero dell'equilibrio economico;
- l'individuazione dei profili funzionali dei singoli ospedali, per ridefinire la rete ospedaliera
in modo da conferirle maggiore razionalità strutturale ed una più elevata integrazione, al
fine di perseguire più efficienza nell'impiego delle risorse e un migliore servizio
all'utenza.
La riduzione dei posti letto rientra in un processo di riorganizzazione che vede alla sua base:
- una corretta valutazione dei bisogni dell'utente e la vantazione epidemiologica della domanda;
- un utilizzo appropriato dell'ospedale, e la conseguente riduzione dei ricoveri e delta durata di degenza.
La politica di contenimento dei ricoveri dipenderà dalle specificità di ogni ULSS, e sarà
perseguita per mezzo di azioni basate su:
- il rilancio delle politiche di prevenzione;
- l'implementazione del sistema di assistenza domiciliare;
- la ridefinizione della rete delle residenze sanitarie extraospedaliere;
- l'assetto strutturale dei Distretti;
- la ridefinizione della rete ospedaliera regionale;
introdurre innovazioni organizzative per garantire una sinergia tra attività assistenziale e
ricerca e in riferimento al possibile ruolo degli IRCCS. Il quadro normativo che si è
recentemente delineato evidenzia che l'attività di ricerca degli IRCCS è materia di
competenza regionale. Ciò rende necessario un riordino complessivo della disciplina
legislativa relativa a questi Istituti;
indirizzare la politica degli investimenti. Un più attento approccio agli investimenti in opera si
rende necessario, sia perché la definizione dei LEA configura un modello prestazionale
obbligatorio, sia perché i servizi sanitari devono essere erogati da strutture idonee e
rispondenti agli standard di accreditamento. Per questi motivi è necessario prevedere che
una quota fissa del Fondo Sanitario Regionale sia destinata ai costi di investimento in opera.
1.3 La cultura e l'istruzione
La necessità del dialogo fra le culture, nel rispetto delle differenze, impone in primo luogo la conoscenza della propria cultura, nei suoi fattori e nei suoi elementi materiali e non materiali. Solo chi ha piena consapevolezza della propria appartenenza culturale è potenzialmente disponibile a comprendere il valore delle altre, mentre è in grado di proporre il meglio dei suoi contenuti, rendendo possibile la comparazione e lo scambio profittevole che determinano la crescita della civiltà umana.
Appartiene alla tradizione della cultura veneta una capacità di relazione costante con le altre culture.
Ora, però, il rapporto con le altre culture assume le forme dello sviluppo industriale, dell'immigrazione extracomunitaria e della delocalizzazione d'imprese. La globalizzazione, tuttavia, mentre genera mobilità delle persone, dei beni e dei capitali può produrre fenomeni di "estraneità" nelle comunità. La Regione intende sostenere i progetti finalizzati a un positivo rapporto tra le culture.
SISTEMA FORMATIVO: Per quel che riguarda il settore formativo gli obiettivi regionali sono:
la razionalizzazione della rete scolastica;
la realizzazione di un sistema di formazione continua ed, in particolare, il
potenziamento delle attività di Educazione degli Adulti;
lo sviluppo di progetti riguardanti le forme d'intesa fra scuole, il rapporto con il mondo
del lavoro, la ricerca scientifica e tecnologica e, soprattutto, con l'Università;
il miglioramento dell'offerta formativa anche mediante la promozione della parità di
accesso tra la scuola privata e quella pubblica.
Va esaltato il ruolo dell'autonomia delle singole scuole e se si vorrà attuare il federalismo scolastico, andrà aperto un confronto sulle competenze tra Stato e Regione, tra centralismo e processo autonomistico scolastico.
UNIVERSITÀ: L'autonomia universitaria va intesa come pienezza delle responsabilità nell'uso delle risorse e consapevolezza di un’interrelazione con il mondo esterno per la formulazione e l'aggiornamento dei programmi d’insegnamento. La Regione, consapevole dell'importanza dell'Università come motore di sviluppo nella società e nel mondo economico in generale, sostiene una maggiore integrazione tra Università, società ed economia. In sintesi, favorire questa integrazione significa per la Regione:
riconoscere l'importanza del patrimonio umano;
promuovere il sistema formativo, incentivare la ricerca scientifica e tecnologica;
favorire le sinergie tra conoscenza, tecnologia e competitività;
valorizzare il patrimonio formativo e tecnico scientifico esistente.
LINGUA, TEATRO, MUSICA: la Regione si propone con l'intento di promuovere la realizzazione di una fitta trama di manifestazioni nelle comunità locali, a sostegno dell'identità veneta attraverso forme d'arte popolare, accessibili al più largo pubblico.
SPORT: la Regione sostiene la diffusione della pratica sportiva al fine di favorire nel modo più completo il benessere della persona e della comunità, la prevenzione dalle malattie e dalle cause del disagio. Non sono altresì trascurati gli aspetti dello sport legati al sostegno dello sviluppo economico, e in particolare per le politiche occupazionali e di promozione turistica.
PARTECIPAZIONE ALLA CULTURA DEGLI ALTRI: la Regione intende sostenere progetti finalizzati a un positivo rapporto tra le culture e vuole porre al centro della sua operatività la persona. Intende programmare i propri interventi tenendo conto del fatto che la comunità è una dimensione indispensabile per un equilibrato sviluppo della persona umana.
L'identità di un popolo si definisce nella condivisione di un nucleo di valori centrali e nella
comune appartenenza a un territorio originario, in termini naturali e simbolici. È questo
l'ambiente dove si realizzano i processi di accumulazione della specifica cultura, interconnessa
storicamente con gli eventi, sociali e naturali di cui è partecipe.
Valori e modelli di comportamento vengono trasmessi e proposti a ciascuna persona che risiede
nell'area della comunità di destino.
Qualora singoli e gruppi trapiantino altrove le radici culturali, non per questo rinunciano al
bisogno di vedere riconosciuta, onorata e salvaguardata la loro identità, opponendosi a forzate
assimilazioni.
La storia delle emigrazioni lo conferma. I portatori d'una specifica identità, mantengono nel
tempo sostanziali riferimenti con questa, pure adattandosi alle circostanze, alle consuetudini,
alle caratteristiche del mutamento e delle nuove realtà, dentro alla rete di relazioni significative
estese dal mondo vitale locale alla realtà planetaria.
La necessità del dialogo fra le culture, nel rispetto delle differenze, impone in primo luogo la
conoscenza della propria cultura, nei suoi fattori e nei suoi elementi materiali e non materiali.
Solo chi ha piena consapevolezza delta sua appartenenza culturale è potenzialmente disponibile
a comprendere il valore delle altre, mentre è in grado di proporre il meglio dei suoi contenuti,
rendendo possibile la comparazione e lo scambio profittevole che determinano la crescita della
civiltà umana.
I sopravvenienti, coloro che entrano a far parte di una comunità di cultura, per nascita o per
scelta, hanno bisogno di identificarsi nei riferimenti essenziali dei predecessori, in una
integrazione necessaria, che si compie mediante processi socializzanti e azioni formative
finalizzate a realizzare una società stabile. Da questo punto di vista, le nuove generazioni e gli
immigrati che s'insediano stabilmente nella comunità locale hanno lo stesso bisogno di essere
integrati nella medesima appartenenza, con forme e modi adeguati a un presente pluralista e
proiettato verso l'interculturalità.
Gli immigrati, portatori di culture diverse, mentre chiedono il rispetto delle loro identità, per sé e i successori, come sempre avviene per chi è condotto dalle circostanze esistenziali a trapiantare le sue radici in una comunità straniera, vanno aiutati ad inserirsi positivamente nel nuovo contesto, rendendoli partecipi della crescita collettiva.
II radicamento in una stabile identità culturale, si rivela un'opportunità straordinaria nel
momento in cui è indispensabile confrontarsi con le innovazioni. La stabilità orienta nelle scelte.
Consente di respingere ciò che contrasta con il fondamento di valori essenziali, e di adattare
vantaggiosamente al proprio sistema quanto risulta compatibile.
La convivenza e l'integrazione abbisognano però di sostanziosi investimenti, monetari ma anche ideali, per far conoscere le specificità dell'identità veneta, nei suoi valori e nei suoi stili di vita, all'interno di un'identità italiana ed europea che pongono al centro dei principi fondativi la tutela della persona umana.
1.3.1 II sistema formativo
I compiti formativi
La riforma scolastica in divenire indica la via "dell'autonomia funzionale e del decentramento istituzionale", dove l'amministrazione centrale dello Stato assume compiti di sollecitazione per la realizzazione di progetti pilota disegnati a livello regionale, secondo le esigenze e le specificità dell'area. Attraverso la riforma, la Regione mira alla razionalizzazione della rete scolastica, eliminando disfunzioni e sprechi e ad una maggiore integrazione tra i diversi gradi d'istruzione (dalla scuola materna all'Università) con l'obiettivo di "fare sistema".
Le necessità formative riguardano sia gli studenti che il personale docente, insieme sollecitati a individuare un modello di apprendimento e di insegnamento che valorizzi appieno le personalità
e le culture, nella prospettiva di un contributo effettivo allo sviluppo della comunità
d'appartenenza.
Per rispondere alle tradizionali e alle nuove esigenze formative, la scuola deve liberarsi delle
astrazioni ideologiche che hanno funestato e funestano l'azione educativa, mortificando di fatto
il dialogo tra docenti, tra studenti, e tra le due categorie scolastiche, appiattendo le strategie
pedagogiche e non assicurando la crescita collettiva dell'impegno personale, del rendimento
scolastico, della soddisfazione per il proprio lavoro che dovrebbe caratterizzare una comunità
educante.
La Regione intende favorire la realizzazione di un sistema di formazione continua, che si deve
accompagnare a nuovi criteri di valutazione del lavoro scolastico, a livello centrale e regionale,
avvalendosi dei centri operativi esistenti da tempo e di altri appositamente creati. In particolare,
si ricercheranno delle risposte alla necessità di potenziare le attività di Educazione degli Adulti.
La finalità è quella di pervenire ad una continuità formativa sulle tematiche che interessano tutti
i cittadini come la sanità, l'assistenza o le normative di settore; per le imprese e il lavoro la
formazione potrà riguardare l'apprendistato come le tematiche della gestione, della sicurezza e
del trasporto.
La Regione vuole colla bora re ai progetti riguardanti le forme d'intesa fra scuole, il rapporto con
il mondo del lavoro, la ricerca scientifica e tecnologica, la promozione dell'educazione civica in
materia di pari opportunità, visione europea, diritti civili, interculturalità, storia locale.
Per quanto riguarda l'Università, l'obiettivo è quello di costruire un vero e proprio "Progetto -
Università" per il Veneto.
In questo quadro la Regione favorisce il confronto fra scuola paritaria e scuola pubblica purché
basato sull'efficacia dei metodi e non sui valori. L'obiettivo è quello di migliorare "l'offerta
formativa" perché sul versante dell'istruzione la Regione del Veneto ha di fronte a sé un
problema di qualità più che di quantità. Si dovrà infatti operare al fine di contenere da un lato il
fenomeno dell'abbandono e dall'altro l'innalzamento del livello medio dell'istruzione.
Resta confermata - perché contraddistingue da sempre il modo di porsi della Regione - la
doverosa attenzione alle fasce più deboli.
Lo sviluppo della formazione e dell'istruzione ed il federalismo educativo
Lo sviluppo ottimale della qualità dell'istruzione e del sistema formativo rappresenta elemento
fondante della politica regionale veneta.
La formazione del capitale umano infatti è l'asse centrale su cui l'intero edificio sociale costruisce
sé stesso.
Le importanti novità degli ultimi anni sul piano normativo e nella prassi educativa, non ultima
l'attribuzione della autonomia scolastica ai singoli istituti e la dirigenza ai presidi (realtà tuttavia
ancora in fieri, e quindi non reale, poiché alle scuole manca l'autonomia finanziaria e di gestione
del personale) e l'ipotesi oramai in via di maturazione sul piano normativo di una profonda
revisione delle competenze in materia scolastica, attraverso la devoluzione alle Regioni della
potestà legislativa esclusiva della organizzazione scolastica e della parte curricolare cosiddetta di
interesse regionale, nonché della istruzione e formazione professionale, obbligano a ripensare
profondamente la politica regionale in materia, attraverso l'elaborazione di un vero e proprio
modello veneto dell'istruzione e della formazione, dando cosi corpo a quel principio che
potremmo definire come federalismo educativo.
Per dare concretezza a tutto ciò, il discorso va strettamente correlato al cosiddetto
autofinanziamento regionale o, come universalmente si dice, alla realizzazione del federalismo
fiscale.
Revisione del Titolo V della Costituzione nel campo scolastico e revisione autonomistica della
leva fiscale debbono procedere di pari passo per non cadere nel circolo vizioso delle "mere
dichiarazioni di principio".
Un primo obiettivo deve essere quello di andare oltre e vincere ogni impostazione statalistica (lo
Stato è competente ma non ha l'esclusività dell'educazione) e burocratica oggi ancora diffusa e
che potremmo definire "centralismo razionalizzato" la cui caratteristica è la autoreferenzialità
della amministrazione scolastica nei diversi gradi in cui si esprime, compresi quelli regionali.
In questa direzione va esaltato il ruolo della autonomia delle singole scuole: lo Stato non deve
gestire il processo educativo, ma essere, con intelligente discrezione, il garante della positività
del processo stesso.
Per il Veneto, in definitiva, nel processo di rinnovamento educativo, posto primario deve avere
la singola istituzione scolastica, la quale, nella sua piena autonomia ed in stretto collegamento
con le forze più vive della società civile e con gli Enti locali, deve costruire e vivere
dinamicamente la sua offerta formativa, utilizzando al meglio quel che chiamiamo "lavoro in
rete" o ancor meglio un "Sistema educativo integrato".
Soltanto attraverso un saldo ancoramento alla realtà ambientale in cui sviluppa i propri compiti
ed una autentica rappresentatività di chi la dirige, l'istituzione scolastica risponde positivamente
ai propri compiti che hanno al centro la crescita culturale e umana degli studenti; processo di
crescita che va costruito in piena sintonia con le famiglie.
Vi è la necessità da parte della nostra Regione di tracciare un preciso indirizzo in materia
educativa attraverso la elaborazione di un articolato e realistico Piano dell'Offerta Formativa
Regionale e di proporsi quale referente primario delle singole Istituzioni scolastiche attraverso il
cosiddetto Accreditamento nel sistema formativo regionale (come del resto esiste da funga data
nelle Regioni a Statuto Speciale). In tale contesto la Regione favorirà l'Associazione delle scuole
autonome venete per l'importanza del lavoro in rete e di collaborazione interscolastica.
La Regione stessa deve monitorare i livelli delle competenze acquisite nei vari campi dagli
studenti, discuterli, farne oggetto di studio e di seguito costruire, alla luce di quanto emerso da
questa ricognizione, una proposta funzionale al potenziamento della qualità dello sviluppo
dell'istruzione e della formazione nel Veneto (attraverso la individuazione dei punti di forza e di
debolezza esistenti).
Per quanto concerne gli aspetti relativi alla organizzazione scolastica, il Veneto è tra le prime
regioni nella costituzione di un buon "piano di dimensionamento delle Istituzioni scolastiche".
È importante inoltre rilevare che la collaborazione con gli Enti locali, Province in primis, si
sviluppa attraverso un maggior coinvolgimento degli stessi nei confronti della articolata presenza
di offerte formative sul territorio. Non sempre l'uso del potere autonomo delle scuole va nella
direzione di una risposta puntuale alle esigenze della collettività; la programmazione in tale
direzione spetta agli organi politici locali che non possono sottrarsi dall'indicare quali e quanti
indirizzi dovrebbero essere attivati nelle aree di pertinenza.
Infatti, l'autonomia didattica e gestionale delle scuole deve essere ai massimi livelli ma essa non
deve confliggere con gli interessi della collettività.
Un nodo difficile da sciogliere, ma prioritario, riguarda l'organizzazione e la gestione del
personale. Attualmente nel Veneto, dai dati desunti dall'Ufficio Scolastico Regionale, risulta che
nell'a.s. 2005/2006 il numero degli alunni frequentanti è pari a 547.812, il personale docente,
esclusi i posti a sostegno, ammonta a 49.188, i dipendenti ATA sono 18.464, i presidi sono 733
a cui va aggiunto il personale della Direzione regionale e dei CSA. In definitiva il rapporto allievi
dipendenti scolastici è circa di 1 ogni 8 allievi. Sono cifre notevoli che probabilmente
imporrebbero attraverso una oculata gestione in loco del personale notevoli risparmi da
destinare alle spese di investimento (in Italia oggi le spese per il personale scolastico superano il
97% dell'intero budget destinato alla scuola).
Potrebbe essere studiato il passaggio del personale della scuola e delle risorse dallo Stato agli
Enti locali, allo scopo di attuare una politica gestionale flessibile, avente al centro gli interessi
degli utenti e delle famiglie.
Per concludere: se si vorrà attuare un vero federalismo scolastico, va aperto un confronto sulle
competenze, non generico ed astratto, tra Stato e Regione, tra centralismo e processo
autonomistico scolastico.
Si ritiene che il compito dello Stato, garante del diritto-dovere allo studio, debba esplicarsi nella
definizione delle competenze e delle conoscenze fondamentali dei diversi cicli e indirizzi di
studio. Il resto sarà di pertinenza regionale e delle scuole autonome.
La Regione del Veneto nel ribadire tali concetti, base fondante di una corretta applicazione del principio di sussidiarietà, vuole essere esempio di un autentico, concreto, e realistico processo di federalismo scolastico; esso garantirà un decisivo miglioramento della qualità della formazione e dell'istruzione nella nostra terra.
1.3.2 L'Università
L'Università, come fonte primaria di cultura, scienza e istruzione, deve saper prima di tutto rispondere alla propria vocazione fondamentale: la ricerca teorica, libera da improprie attese di ritorno economico immediato e la formazione intellettuale prima che professionale degli studenti. Università, quindi, come luogo dove i giovani imparano ad apprendere e sede privilegiata delle ricerche scientifiche.
L'avanzamento della civiltà tecnologica, tuttavia, impone la necessità di trasferire e diffondere le conoscenze che a loro volta determinano i processi di crescita a livello planetario. Ne consegue che non è possibile separare l'Università dalla realtà circostante. L'autonomia universitaria va infatti intesa come pienezza delle responsabilità nell'uso delle risorse e consapevolezza di una interrelazione con il mondo esterno per la formulazione e l'aggiornamento dei programmi di insegnamento.
La Regione è pienamente consapevole dell'importanza dell'Università come motore di sviluppo nella società ed auspica una maggiore integrazione tra Università, società ed economia, in particolar modo in questa delicata fase della riforma universitaria che, pur limitata all'ordinamento didattico, avrà conseguenze anche sull'attività di ricerca scientifica.
Ma dello sviluppo del sistema universitario non possono essere interpreti solo gli interlocutori accademici. È compito anche dell'Amministrazione regionale svolgere un ruolo di piena responsabilità verso forme compiute di collaborazione non solo con gli Atenei, ma anche con gli Enti locali, con i soggetti socio-economici del territorio e con quanti, esterni all'Università, siano titolari della rappresentanza di interessi generali, al fine di sfruttare sinergie, valorizzando le competenze distribuite. Nella concessione di mezzi per borse di studio e dottorati di ricerca è opportuna una armonizzazione regionale dei criteri di intervento in modo che la positiva azione dei vari enti finanziatori, come le Camere di commercio, gli Enti locali e le altre Istituzioni pubbliche e private, risulti ispirata ad un modello sistematico di vasi comunicanti.
Risulta dunque prioritario veicolare le esigenze e le aspettative della società e dell'economia nei riguardi del mondo universitario, considerato che l'innovazione promuove la competitività nelle imprese e costituisce un elemento chiave per lo sviluppo economico dei Paesi industrializzati.
La formazione e la ricerca universitaria dovrebbero costituire un tramite culturale per un nuovo modo di affrontare, da parte delle imprese, il rapporto tra ricerca di base e trasferimento tecnologico, accentuando l'interesse per una diretta partecipazione ai processi di ricerca di base.
Questo processo non è facile e dipende dalla collaborazione della comunità scientifica con il mondo produttivo. A tutti è noto che questo rapporto è sempre stato difficile e che le risorse per la ricerca rese disponibili dal settore privato sono state di molto inferiori a quelle pubbliche e in questo il ruolo della Regione diventa cruciale: anche come intermediario del processo di riavvicinamento.
Alcuni segnali positivi sembrano indicare un cambiamento di tendenza in quanto sono sorte nel Veneto alcune iniziative, con finanziamenti pubblici e privati, di ricerca applicata nell'area delle tecnoscienze, con particolare riguardo ai processi ed ai prodotti industriali. Si sta operando anche nel settore dell'Intermediazione culturale con Paesi stranieri a supporto di operatori economici. Anche l'Unione Europea presta una crescente attenzione a questi aspetti come testimoniano i contenuti di specifici programmi di finanziamento che vedono coinvolte in misura sempre maggiore te Piccole e Medie Imprese, tessuto fondamentale dell'economia del nostro Paese,
A livello di azioni va ricordato il progetto: Ricerca e Impresa per l'innovazione, che la Regione intende sviluppare con il contributo dell'Unione Europea, delle Università e del CNR. Questa
iniziativa mirata a creare un forte rapporto Comunità Scientifica - Territorio, rappresenta uno
strumento importante nel piano di sviluppo degli Atenei. Si prevede di creare una struttura di
ricerca e di trasferimento dei risultati nel campo delle nanotecnologie, destinate a rivoluzionare
l'intero comparto industriale del Paese. Tale attività dovrà prevedere un forte legame con le
strutture produttive e sperimentali ad alta tecnologia presenti sul territorio.
Un capitolo significativo di questo progetto dovrà riguardare la diffusione dell'innovazione nelle
aree a declino industriale, in quanto i processi di trasformazione ed innovazione in atto sono
talmente veloci che è forte il rischio di aggravare e/o allargare la fascia delle aree "depresse"
rispetto ad altre anche nel territorio veneto.
Le politiche della ricerca nel nostro Paese sono attualmente orientate alla riduzione di
finanziamenti pubblici e allo sviluppo delle interazioni con le imprese, utilizzando lo strumento
della defiscalizzazione delle risorse messe a disposizione delle Università e di progetti di ricerca
di interesse industriale. Su questa base il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha elaborato una
normativa per favorire l'ingresso di ricercatori in società Hi-Tech, ed alcune Università Italiane si
stanno dotando di nuovi strumenti per raggiungere gli stessi obiettivi.
La Regione, quale pubblica istituzione operante per lo sviluppo socio-economico può favorire,
nell'ambito del Programma Regionale di Sviluppo, questo importante processo.
La domanda di conoscenze che emerge ora dal Paese ed in particolar modo dal Nord-Est è
molto elevata in quanto è iniziata la nuova fase intensiva dello sviluppo basata sulle tecnologie
avanzate.
In sintesi, favorire questo processo significa:
• riconoscere che il patrimonio più importante in assoluto è quello umano;
• assumere come obiettivo prioritario e motore di sviluppo della Regione il sistema formativo e
con esso la ricerca scientifica e tecnologica;
• dar forza alle sinergie tra conoscenza, tecnologia e competitività;
• favorire il cambiamento;
• valorizzare il patrimonio formativo e tecnico-scientifico esistente.
1.3.3 La lingua, il teatro, la musica
Uno dei fenomeni culturali connessi alla globalizzazione è la rinascita delle lingue locali, che si
accompagna all'uso, a vario grado di competenza, di lingue di comunicazione mondiali.
L'inglese standardizzato, lo spagnolo, il giapponese, e per certi aspetti anche l'italiano, sono
praticate e intese in termini funzionali da un numero crescente di persone.
Nel contempo, antiche parlate tradizionali, e il veneto fra queste, mostrano di non cedere
definitivamente all'omologazione da parte delle lingue nazionali, ufficiali. Non si può estrapolare
la difesa detta lingua locale dall'importanza attribuita all'identità culturale.
Le più recenti indagini in materia hanno accertato che proprio il Veneto è la Regione italiana
dove più alta è la percentuale di coloro che si esprimono abitualmente nella lingua locale o, per
meglio dire, impiegano nella loro vita di relazione sia l'italiano che la parlata tradizionale.
Tutti intendono e parlano più o meno bene la lingua ufficiale, ma nel Veneto la maggioranza
delle persone, senza distinzione di ruoli e a prescindere dal grado di istruzione, si esprime
abitualmente in dialetto, specie in famiglia e nelle relazioni tra amici.
"Una sola cosa sono l'essere e il parlare", dicevano i greci, attribuendo alla comunicazione un
valore esistenziale irrinunciabile. Nel mondo contemporaneo, più attento all'informazione che
alla comunicazione, come condivisione di sentimenti e valori essenziali, la difesa della lingua
ancestrale manifesta l'attaccamento alla cultura tradizionale, che partecipa del patrimonio di
conoscenza mondiale.
La Regione intende tutelare fa lingua locale e le varie forme attraverso le quali questo codice
essenziale per definire e trasmettere l'identità continua a proporsi.
La letteratura in lingua, il teatro, la musica, sono ambiti privilegiati della tradizione culturale. Già la Regione del Veneto ha disposto misure concrete per lo studio e la diffusione di testi che esprimono il patrimonio linguistico trasmesso dalle culture popolari e dalla cultura colta (la collana sulle culture popolari venete, realizzata d'intesa con la Fondazione G. Cini, le misure per la salvaguardia delle fonti e degli archivi, i provvedimenti per le raccolte musicali, l'iniziativa per la monumentale Storia di Venezia, le convenzioni con il Centro Interuniversitario di Studi Veneti e l'ADREV, archivio di documentazione e ricerca sull'emigrazione veneta, le norme per la salvaguardia della civiltà veneta in Istria).
Con le leggi regionali 23 ottobre 2003, n. 24 e 19 dicembre 2003, n. 42, la Regione ha assunto e finanziato due importanti iniziative: la stipulazione di accordi di programma con la Fenice di Venezia e con l'Arena di Verona e le città venete interessate per il decentramento della lirica nel territorio e l'avvio di attività da parte di un gruppo tecnico operativo per costituire in Venezia un organismo rappresentativo dell'Unione europea avente come finalità la formazione e l'aggiornamento di docenti dell'est europeo. In particolare, la Regione attiverà la promozione di forme di cooperazione tra le due Fondazioni liriche e con altre istituzioni musicali per favorire economie di scala e migliorare la capacità di comunicazione e promozione dell'offerta lirica nel Veneto.
La Regione sostiene e apprezza la crescente diffusione di compagnie filodrammatiche, corali, gruppi folcloristici e cenacoli letterari che propongono il repertorio veneto, classico e recente, coinvolgendo migliaia di volontari culturali. Realtà preziose, che meritano d'essere seguite con continuità, fornendo loro sia un sostegno monetario sia degli ambiti di riferimento stabili dove trovino posto le strutture di ricerca, le iniziative di formazione, gli spazi per la progettazione, la preparazione e la realizzazione degli eventi. Con un'adeguata circuitazione, non episodica, queste associazioni sarebbero in grado di costruire una fitta trama di manifestazioni nelle comunità locali, a sostegno da un lato dell'identità veneta attraverso forme d'arte popolare accessibili al più largo pubblico e dall'altro dei percorsi scolatici, con il coinvolgimento dei musei etnografici già presenti o in via di costituzione.
1.3.4 Lo sport
La pratica sportiva svolge un'importante funzione sociale promovendo e sostenendo i momenti di crescita e di sviluppo individuale e di aggregazione sociale al fine di favorire il benessere della persona e della comunità, la prevenzione delle malattie e delle cause del disagio. La forte dimensione sociale ed educativa dello sport, date le strette relazioni ed implicazioni con la salute, le politiche per la famiglia, i giovani, le fasce deboli ed il sistema scolastico, può contribuire all'organizzazione di una società fondata sulla solidarietà, sulla cooperazione e sulla centralità dell'uomo.
A ciò si accompagna l'importanza economica dell'attività sportiva, in particolare per le politiche occupazionali e di promozione turistica.
Il settore ha sofferto, peraltro, negli ultimi anni, di una mancata valorizzazione ed evoluzione positiva, da un lato, a causa delle risorse sempre più ridotte, dall'altro, per l'incertezza del quadro legislativo sia nazionale che regionale che ancora non ha raggiunto il definitivo traguardo.
La Regione definisce le proprie priorità per la promozione della pratica sportiva in piani a valenza triennale, l'ultimo dei quali, il Piano Triennale 2004-2006, approvato con d.c.r. 52/2004. In linea con quanto fatto finora la Regione, collaborando con gli Enti locali, intende:
• promuovere le attività sportive e ricreative dei giovani, dei portatori di handicap, degli anziani anche mediante le iniziative e le incentivazioni previste dalle legge regionale 4 aprile 2003, n. 7 che dispone interventi per le persone con disabilità e l'adeguamento delle strutture destinate alla pratica sportiva di tali persone;
• sostenere l'organizzazione delle manifestazioni sportive, sia di natura promozionale che
agonistica;
• favorire la partecipazione ai giochi della gioventù e studenteschi e a quelli organizzati
nell'ambito della comunità Alpe Adria;
• concorrere alla realizzazione, al completamento ed alla sistemazione degli impianti sportivi e
ricreativi;
• realizzare la carta tecnica degli itinerari e delle aree attrezzate per lo sport ed il tempo libero
nonché modelli progettuali per l'impiantistica sportiva;
• sostenere la formazione superiore universitaria;
• favorire la preparazione di atleti nelle apposite scuole, promovendo la qualificazione e
l'aggiornamento degli operatori sportivi (nelle discipline specifiche dello sci e dell'alpinismo);
• sostenere la diffusione della voga veneta;
• realizzare un autodromo in Veneto.
Nel medio-lungo periodo la Regione prevede di:
• completare la transizione del sistema nella nuova dimensione informatizzata, sviluppando la
conoscenza del mondo sportivo ed il fabbisogno attraverso le rilevazioni ed il monitoraggio
sulle strutture e sugli attori, quale principale riferimento per la programmazione di settore
ed un uso razionale delle risorse. Si tratta di predisporre un Libro Bianco dello sport non
agonistico per tutti i praticanti per censire personale, manifestazioni, impianti, finanziamenti,
risorse - anche private- e possibili reti di sviluppo;
• realizzare e rendere visibili elaborazioni concernenti la distribuzione degli spazi sul territorio
veneto, attraverso rappresentazioni e studi comparati in relazione ad altre variabili
significative (ad esempio: popolazione, presenze turistiche, vocazione turistica connessa alle
esigenze sportive delle varie località, uso del suolo, etc), per la valorizzazione delle
specificità locali ed il risparmio di territorio;
• completare il processo di delega delle funzioni amministrative alle Province previsto dalla l.r.
11/2001;
• continuare a sostenere l'impegno degli operatori per la promozione delle attività sportive e
ricreative, per favorire e consentire nella pratica sportiva la valorizzazione dei percorsi
culturali e sociali individuali ed organizzati, la formazione e l'occupazione;
• divulgare la cultura del "no grazie" nei confronti del doping, della violenza e dell'intolleranza
razziale nelle attività sportive ed in parti colar modo negli stadi. Si tratterà, pertanto, di
diffondere i principi etici nella pratica dello sport come sano stile di vita, elaborando e
sviluppando programmi di educazione e di prevenzione tesi alla promozione della pratica
sportiva senza doping e senza violenza e all'affermazione di un'idea di sport dove salute e
sicurezza siano i valori primari;
• dare spazio all'internazionalizzazione, candidando il Veneto a sede di manifestazioni di
grande rilevanza agonistica.
Per la realizzazione di tali obiettivi la Regione intende reperire risorse attingendo a fonti ulteriori ottenibili attraverso progetti integrati, finanziamenti di altri soggetti pubblici e privati. D'altra parte però, ai costi delle attività sportive devono concorrere prioritariamente i cittadini. Alla Regione, come agli Enti locali e all'associazionismo, spetta principalmente il compito di porre in essere strumenti ed incentivi che favoriscano l'iniziativa e l'aggregazione di base e lo sviluppo delle attività.
L'intervento diretto della Regione deve basarsi sulla considerazione che ogni sport è in sé competitivo, ma che lo sport non agonistico è quello da potenziare al massimo perché esso accompagna ogni processo educativo ed è dunque da valorizzare come strumento di sostegno alla famiglia. Ciò in quanto lo sport forma contemporaneamente i giovani alla responsabilità personale e alla condivisione del tempo di vita e dei risultati: è scuola civile di impegno, di accettazione di regole, di rapporti interpersonali. Le attività sportive non agonistiche favoriscono sensibilità culturali e ambientali particolarmente preziose. Esse vanno coordinate con la
medicina preventiva, con la crescente domanda di motivazioni da parte dei ragazzi, con le strutture del tempo libero, del volontariato e della partecipazione.
1.3.5 La partecipazione alla cultura degli altri
Appartiene alla tradizione della cultura veneta una relazionalità, sempre mantenuta, con le altre
culture. A giusto titolo, si può parlare di civiltà veneta, come risultato dell'incontro fra più
culture, considerate secondo le variabili geografiche e sociali. Nell'identità composita sono
confluiti gli apporti di culture latine, slave e greche, balcaniche, mediterranee, di terraferma,
patrizie e popolari, contadine e marinare.
In anni recenti si è data forma istituzionale alla comunità transfrontaliera di Alpe Adria,
realizzando, in anticipo sui tempi della politica mondiale, un'intesa che ha favorito e predisposto
la ricomposizione dell'Europa, quanto meno in quest'ambito territoriale che corre tra centro ed
est europeo.
Ora, il rapporto con le altre culture assume i contorni dello sviluppo industriale,
dell'immigrazione extracomunitaria e della delocalizzazione d'imprese.
La globalizzazione, secondo molti studiosi, mentre genera mobilità umana e merceologica (non
con la stessa libertà), produce anche "estraneità" fra le persone, frantumando vincoli di
appartenenza e legami sociali, mettendo a rischio il bisogno umano di stabilità
nell'appartenenza, suscitando correnti ansiogene riguardo alla sicurezza, all'incolumità fisica, alla
certezza dei riferimenti valoriali. Bisogni che non possono essere soddisfatti individualmente.
Non ci sono soluzioni individuali a contraddizioni sistemiche. Di qui conseguenze gravi per la
persona, che può cercare in qualche modo di ridurre il suo stato ansioso e di aumentare la sua
sicurezza, ma non è in grado di modificare da sola il corso degli eventi.
Per cui l'incertezza, il senso d'instabilità, generano sospetto e aggressività nei confronti
dell'altro, specie se straniero.
La Regione intende sostenere i progetti finalizzati a un positivo rapporto tra le culture, volti a
superare la contraddizione per cui una società come quella veneta che apprezza e promuove
sempre maggiori flussi turistici (dove, tra l'altro, trovano occupazione numerosi immigrati), che
si mostra interessata a una integrazione virtuale nella relazionalità informatica, che fonda la sua
economia, per buona parte, sulla libera circolazione delle merci, e nei suoi principi comprende
l'internazionalizzazione del sapere e della ricerca, si mostri talvolta restia, o comunque non
sufficientemente impegnata con adeguate risorse nell'integrazione concreta delle culture
presenti nel Veneto, nei confronti delle quali si avvertono talora sintomi di repulsione o di
indifferenza.
La progettualità finalizzata all'integrazione fra portatori di culture diverse (comprese le giovani
generazioni che non condividono più la memoria delle più anziane) muove dalla constatazione
che la contemporaneità ha avviato una serie di processi culturali agenti in profondità, capaci di
modificare la stessa natura dei tradizionali legami sociali.
La Regione vuole porre al centro della sua operatività la persona. Pertanto intende
programmare i suoi interventi tenendo conto del fatto che la comunità è una dimensione
indispensabile per dare senso all'esistenza umana. Perché racchiude tutti quegli orientamenti e
valori che vanno oltre l'individuo: la tradizione, la nazione, la continuità della famiglia nei figli.
1.4 La valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale
II patrimonio artistico e monumentale veneto ha potenzialità notevolissime in fatto di
architetture, contesti insediativi, ambiti paesaggistici, opere d'arte, Istituzioni e uomini.
L'importanza della tutela dei beni culturali è universalmente riconosciuta, indipendentemente
dal popolo cui appartengono, ad essi sono riconosciute le potenzialità per lo sviluppo
culturale, anche economico.
Con il trasferimento avviato con i decreti Bassanini di nuove competenze in materia di beni
culturali, alle Regioni oggi sono attribuite più ampie responsabilità e competenze in tema di
valorizzazione e promozione del patrimonio culturale.
La Regione, nella consapevolezza che il bene culturale costituisce un fattore di ricchezza
capace di produrre anche crescita economica diretta, s'impegnerà in particolare a:
salvaguardare i beni attraverso interventi diretti alta conservazione, al restauro e al
ripristino del bene;
stimolare e sollecitare la consapevolezza della responsabilità dei proprietari dei beni,
siano essi pubblici o privati, per coinvolgerli nei progetti di tutela dei beni culturali;
favorire le attività di ricerca scientifica e le attività di catalogazione.
In questi ambiti la Regione intende tutelare anche tutto ciò che può essere correttamente incluso nella definizione di "paesaggio culturale".
In via generale, l'impegno della Regione è diretto al ripensamento dei modelli tradizionali d'investimento e al sostegno di nuove politiche di sviluppo coerenti con la storia e i valori dell'identità veneta.
Nel momento in cui l'Europa si sta consolidando ed espandendo, la cultura assume un valore intrinseco importante per tutti i popoli; in particolare il patrimonio culturale costituisce un elemento essenziale dell'integrazione e favorisce l'affermazione del modello sociale europeo in cui le comunità regionali assumono un ruolo vitale.
Come evidenziato dall'ari 7 della Convenzione UNESCO sul diritto alla diversità del patrimonio culturale, la creatività che ha prodotto nel tempo quel patrimonio "si basa sulle radici della tradizione culturale, ma si sviluppa in contatto con altre culture. Per questo motivo, il patrimonio in tutte le sue forme deve essere conservato, valorizzato e trasmesso alle generazioni future come testimonianza dell'esperienza e delle aspirazioni umane, in modo da incoraggiare la creatività in tutta la sua diversità e da ispirare un dialogo autentico tra culture".
In questo contesto è evidente che la conoscenza e la orgogliosa gestione del patrimonio ereditario di un popolo contribuisce in modo fondamentale alla salvaguardia della sua identità comunitaria.
Convenzioni, raccomandazioni e risoluzioni internazionali esistenti in favore dei beni culturali e naturali dimostrano l'importanza, per tutti i popoli del mondo, della tutela di questi beni unici e insostituibili indipendentemente dal popolo cui appartengono e, al tempo stesso, ne riconoscono le potenzialità per lo sviluppo, anche economico di un territorio. L'Organizzazione Mondiale del Turismo definisce l'insieme di beni culturali che un popolo ha ricevuto dai predecessori, contribuendo alla sua crescita o sciaguratamente trascurandolo, come "le opere dei suoi artisti, architetti, musicisti, scrittori e filosofi, delle sue creazioni anonime, sorte dall'animo popolare, e dell'insieme dei valori che danno un senso alla vita. Cioè le opere materiali e non materiali che esprimono la creatività di quel popolo: la lingua, i riti, le credenze, i luoghi e i monumenti storici, la letteratura, le opere d'arte, gli archivi e le biblioteche".
Il patrimonio artistico e monumentale veneto ha potenzialità notevolissime in fatto di opere d'arte, ambiti paesaggistici, Istituzioni e uomini. Con il Lazio e la Toscana è la Regione che, in Italia (e quindi nel mondo), conserva il maggior numero di opere d'arte, diffuse uniformemente sul territorio con una densità spesso eccezionale e senza soluzione di continuità dall'antichità al
Novecento. Ha espresso artisti di fama assoluta come Tiziano, Canova, Palladio. Nel Veneto
operano Istituzioni culturali internazionali di prima grandezza, musei civici importanti e luoghi di
cultura teatrale, operistica e musicale di livello internazionale. La consapevolezza di tale
patrimonio di eccellenza può diventare uno degli elementi forti di una nuova identità condivisa
del "Terzo Veneto", che affonda le proprie radici in una tradizione che fu protagonista per secoli
della cultura nazionale e internazionale. È un nesso che va ribadito perché il Veneto di oggi può
ritrovare le matrici antiche di quel ruolo di guida culturale, come valore aggiunto di una capacità
produttiva frutto, oggi come allora, di creatività, determinazione e capacità progettuale.
Con il trasferimento alle Regioni di nuove competenze in materia di beni culturali avviato con i
decreti Bassanini, le attività di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale vedono oggi
le Regioni in prima linea per responsabilità e competenze. Si tratta di una grande opportunità ed
una sfida per la Regione, chiamata ad adeguatisi a livello strategico e operativo. In questi
ambiti si inserisce anche la tutela del "paesaggio culturale", attività attraverso la quale la
Regione intende valorizzare la complessità storica e naturale del proprio territorio.
La complessità della materia, unita ad una generale situazione di incertezza organizzativa a
livello nazionale e locale, ma soprattutto all'intrecciarsi di competenze ai diversi livelli, dal
Governo centrale agli Enti locali, impone la necessità di adeguare velocemente le strutture
organizzative e le procedure per rendere efficaci le azioni della Regione. Le politiche regionali,
pertanto, sono volte a tutelare e conservare, con lo Stato, i beni culturali, come definiti nel
nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con d.lgs. n. 42 del 2004, La
Regione, di conseguenza, si trova nella condizione di doversi confrontare con un nuovo scenario
normativo al quale adeguare le proprie leggi.
Certamente il Veneto presenta un deficit organizzativo che va affrontato, tenendo presente
l'opportunità di mantenere un quadro di riferimento omogeneo con le altre regioni italiane, sia
nella definizione di ruoli ai diversi livelli di amministrazione presenti nel territorio regionale, sia
promuovendo intese progettuali tra Enti locali e tra i responsabili politici dei diversi settori di
attività.
Dal punto di vista delle politiche, la Regione, in tema di valorizzazione, deve rafforzare il proprio
ruolo di coordinamento strategico di progetti sulle eccellenze del Veneto nel campo dei Beni
Culturali, da affidare operativamente alle Istituzioni culturali esistenti nel Veneto (musei civici,
istituti e fondazioni culturali). Tale ruolo di regia valorizza la capacità della Regione di fare
sistema nella rete delle Istituzioni locali, e consente economie di scala sia nel campo dell'offerta
culturale, sia nel campo della comunicazione, altrimenti irraggiungibili dalla singola istituzione in
termini di efficacia strategica e di visibilità.
Per svolgere questo ruolo di baricentro culturale, sono necessarie tre azioni.
Innanzitutto l'individuazione e l'allestimento, nel capoluogo regionale, di uno spazio fisico che
diventi il luogo privilegiato della comunicazione, alla stampa e al pubblico, degli eventi coordinati
dalla Regione e un accesso, anche telematico, al calendario completo delle iniziative in corso nel
Veneto alla data.
In secondo luogo, la messa in rete dei "nodi del patrimonio": la costituzione di una sorta di
INTRANET regionale che colleghi musei, edifici monumentali di particolare importanza, luoghi
della cultura, perché la debolezza del sistema policentrico è la mancanza di una informazione
tempistica su eventi e modalità di fruizione degli stessi.
In terzo luogo un contributo specifico della Regione nell'elaborazione teorica, scientifica e
formativa legata al campo dei Beni Culturali.
Esistono nel Veneto dei centri di eccellenza nel campo dei beni culturali, legati al territorio e con
forti legami con la Regione: musei e istituti culturali dove si fa ricerca ad alto livello e si curano
stabili rapporti con le corrispondenti Istituzioni europee. Intorno ad essi e alle Università, la
Regione mira a costruire un "Centro di formazione di eccellenza" legato ai beni culturali, dove
mettere a sistema le più tradizionali professionalità bibliotecarie/archivistiche e l'imprenditoria
giovanile vocata, per favorire la nascita e creare nuovi soggetti privati, promuovere lo sviluppo e
l'applicazione delle nuove tecnologie, incentivare l'editoria, che in Veneto ha una tradizione di
eccellenza risalente alla Venezia di Aldo Manuzio.
Una riflessione sulle politiche relative al patrimonio deve partire dalla considerazione base che una specificità veneta è la distribuzione omogenea su tutto il territorio regionale di beni culturali. Non si tratta semplicemente del policentrismo delle città d'arte, ma di un continuum diffuso simboleggiato dalle 3.477 ville venete, con una media regionale che vede il 91% di Comuni con almeno una villa nel proprio territorio. Tali opere d'arte risultano inserite in cornici paesaggistiche e ambientati la cui compromissione o non salvaguardia si tradurrebbe in una sicura e definitiva perdita di valore, Appare quindi opportuno definire nell'ambito delle politiche regionali idonee azioni di incentivo finalizzate alla conservazione di tali contesti paesaggistici di riguardo.
Appare necessario e opportuno definire nell'ambito della politica culturale della Regione idonee azioni di incentivo per favorire la conservazione di tali contesti paesaggistici di riguardo.
Le concentrazioni di beni culturali del Veneto comportano la necessità di definire la programmazione regionale che integri le esigenze di salvaguardia e di valorizzazione del bene culturale non più come categoria separata dalle potenzialità economiche che essa può esprimere ma come parte integrante del sistema economico. Questo significa da un lato cogliere le crescenti opportunità di investimenti e lavoro nel terzo settore, dall'altro tarare ogni progetto economico, industriale, viabilistico, residenziale, commerciale di vasta portata sulla irrinunciabile salvaguardia del patrimonio ereditario che si è accumulato entro specifici scenari di natura e di cultura. Nel Veneto questo obiettivo strategico assume poi una rilevanza primaria se rapportato all'economia turistica e al peso che il turismo ha nel sistema economico regionale.
Proprio l'Organizzazione Mondiale del Turismo, in un suo convegno ad Osaka nel 1994 ha ribadito come sia "necessario che i Governi siano innanzitutto coscienti del ruolo fondamentale del turismo quando formulano le loro politiche, e definiscano una politica mettendo l'accento sul turismo".
Questo tipo di approccio richiede l'accettazione di una idea di sviluppo del turismo sostenibile, da realizzare nella cooperazione operativa e nella condivisione profonda dei principi tra Regioni, tra Province e tra Comuni.
Gli interventi regionali si muoveranno in due direzioni. Da un lato l'azione sarà finalizzata alla salvaguardia dei beni e operativamente si tradurrà in interventi diretti alla conoscenza del bene e del suo stato di conservazione e in interventi di restauro e ripristino del bene sia per renderlo immediatamente fruibile sia per trasferirne il valore alle generazioni future. La Regione s'impegnerà a:
• stimolare e sollecitare la consapevolezza della responsabilità dei proprietari dei beni, siano
essi pubblici o privati, per coinvolgerli nei progetti di tutela dei beni culturali;
• favorire le attività di ricerca scientifica e le attività di catalogazione;
• coordinare e sostenere, anche finanziariamente, le attività di ripristino e di restauro;
• avviare relazioni culturali con paesi esteri come supporto alle relazioni economiche anche
sviluppando gli antichi rapporti di quei paesi con Venezia, come nel caso della Cina e della
"Via della seta";
• promuovere accordi di collaborazione con Istituzioni culturali (Musei, Biblioteche,
Mediateche, Cineteche...) dei Balcani e dell'area del Mediterraneo orientale per progetti di
cooperazione per la valorizzazione del patrimonio culturale presente nell'area;
• promuovere forme di cooperazione tra organizzazioni venete operanti nel settore dell'arte
contemporanea per favorire relazioni e collaborazioni internazionali.
Fra le iniziative da mettere allo studio vi sono invece:
• tour culturali nel Veneto in occasione della Mostra del Cinema in materie varie;
• un Centro di produzione Veneto, come progetto imprenditoriale, legato alle attività di
produzione cinematografica ed audiovisiva, di rilancio di aree dismesse;
• mecenatismo culturale, associazione di un'impresa ad un evento culturale.
È fondamentale la consapevolezza di tutti che i costi di questi interventi rappresentano una forma di investimento di cui riceve beneficio non il singolo ma l'intera comunità, nonché il sistema economico generale in quanto migliorano l'offerta turistica speciaiizzata del Veneto.
Dall'altro lato, l'azione regionale mira a valorizzare il bene culturale come fattore di ricchezza, capace cioè di produrre crescita economica diretta, con l'utilizzo ottimale del suo valore in forme di gestione che vedano musei, siti archeologici, chiese e abbazie, ville e palazzi, biblioteche e archivi, attività culturali e spettacolo, e quant'altro assumere il ruolo di imprese culturali, capaci di rapportarsi e sostenersi tra loro in sistemi articolati di offerta dei servizi culturali.
L'impegno della Regione è diretto al ripensamento dei modelli tradizionali d'investimento e al sostegno di nuove politiche di sviluppo coerenti con la storia e i valori dell'identità veneta.
2 LA RISORSA AMBIENTALE E TERRITORIALE
2.1 La ricomposizione del territorio
A partire dalla fine degli anni Sessanta una trasformazione continua del tessuto economico e
sociale regionale ha condotto ad un aumento costante della pressione esercitata sul territorio. I
limiti strutturali che caratterizzano il territorio regionale sono superabili solo se si riconsiderano a
fondo le strategie territoriali da adottare per il Veneto nel suo complesso.
È necessario elaborare una politica territoriale basata su un uso razionale ed efficiente delle
infrastrutture esistenti e di quelle programmate: i grandi assi della mobilità infra e interregionali
presenti o previsti devono costituire gli assi ordinatori, la struttura attorno alla quale sviluppare
l'assetto insediativo, invertendo l'ordine di priorità di intervento che vedeva le opere
infrastrutturali seguire gli insediamenti.
È necessario inoltre promuovere una organizzazione razionale delle zone industriali che consenta
la creazione di economie di scala, la riduzione dei costi di costruzione di una rete di
infrastrutture e di servizi terziari alle imprese e una gestione efficiente del traffico merci con
conseguente riduzione dell'impatto ambientale. A tal proposito va favorito il recupero delle
numerose e vaste aree industriali sottoutilizzate o in via di dismissione presenti sul territorio
regionale.
È opportuno localizzare nelle aree prossime ai nodi infrastrutturali i centri direzionali e le più
rilevanti funzioni terziarie prevedendo una elevata densità insediativa da realizzarsi anche
attraverso uno sviluppo in verticale delle strutture, modalità questa da favorire più in generale,
ove conveniente, come elemento di razionalizzazione delle aree esistenti, ciò porterebbe ad un
risparmio del suolo e ad una razionalizzazione dell'accesso a tali aree.
La perdita di competitivita e l'abbassamento della qualità dei centri storici e delle aree urbane
rendono necessario il rilancio delle funzioni residenziali e commerciali degli stessi da attuarsi con
un aumento della qualità della vita in termini di sicurezza personale, con una maggior dotazione
di servizi alla persona, di aree verdi e di spazi pedonali, innanzitutto migliorando la capacità di
accesso alle persone e sostenendo la trasformazione del commercio singolo al dettaglio in
sistemi moderni di distribuzione integrata.
Occorre, infine, impegnarsi nella tutela del territorio agricolo e del suo paesaggio, definendo
principi e strumenti di pianificazione del territorio orientati all'obiettivo del suo minor consumo,
della conservazione della sua integrità e, ove possibile, del suo ripristino.
Una corretta gestione del territorio costituisce un elemento fondamentale nelle politiche regionali per garantire uno sviluppo economico e sociale equilibrato, compatibile con la valorizzazione e salvaguardia delle risorse disponibili.
L'Unione Europea pone la pianificazione e la gestione del territorio come uno degli aspetti su cui intervenire per conseguire la coesione economica e sociale, uno sviluppo sostenibile e una competitivita equilibrata tra aree differenti. Nella definizione degli obiettivi di sviluppo del territorio e, conseguentemente, delle politiche, tre sono gli ordini principali di considerazioni da tenere presente:
• il territorio è primariamente una risorsa "sociale", in quanto variabile interna di una funzione
di "qualità della vita" degli individui. Una corretta gestione del territorio deve pertanto
garantire un livello accettabile di qualità della vita a tutti i soggetti che lo abitano;
• il territorio è una risorsa "economica" ed in quanto tale concorre a definire la funzione di
produttività di tutti gli attori economici che agiscono in un determinato contesto (imprese ed
individui);
• il territorio è una risorsa "ambientale", che deve essere tutelata nel pieno rispetto dei
principio della sostenibilità ambientale dello sviluppo.
Che il territorio sia una risorsa nella accezione economica del termine - ovvero un "bene scarso" - è un dato assodato, soprattutto in un contesto a forte urbanizzazione quale quello del Veneto. Parimenti, a fronte dell'accentuarsi di situazioni di crisi dovute a fenomeni di congestione, è
ormai diffusa la consapevolezza che si debba ricorrere a forme innovative di gestione dello stesso.
Nella sua storia recente il Veneto ha conosciuto fenomeni evolutivi del quadro sociale, economico e territoriale estremamente dinamici e tali da restituire uno scenario radicalmente mutato rispetto alla situazione di partenza. In un quadro complessivo che ha visto la crescita dell'intera Regione, sono stati soprattutto la popolazione agricola e lo spazio rurale i protagonisti e il teatro di un processo di sviluppo industriale e terziario impetuoso che ha conquistato, in pochi anni, ogni parte del territorio regionale. Sono emersi tuttavia alcuni rilevanti limiti strutturali che riducono drasticamente le possibilità di una crescita ulteriore con i ritmi e nelle forme fin qui conosciuti. Molti di questi riguardano l'efficienza della macchina territoriale. Su questo versante l'indicatore allarmante è costituito dalla congestione della rete stradale e dalla sua pericolosità: queste offrono la misura di una enorme domanda di trasporto che ha origine interna, ma nella quale vi è anche una larga componente nazionale e internazionale. Si tratta di un indicatore dello sviluppo raggiunto e, per il Veneto nel suo insieme, la certificazione della sua localizzazione strategica nell'Europa politica ed economica. In realtà la crisi non è affatto addebitatale soltanto al ritardo accumulato in ordine all'adeguamento infrastrutturale della Regione, ma piuttosto come l'esito complessivo di un modello insediativo che inesorabilmente ha consumato la rete esistente in tutte le sue dimensioni e possibilità e, con essa, ha intaccato ed eroso molte delle risorse territoriali della Regione.
L'urbanizzazione "con continuità" è il risultato di una domanda crescente di spazio connaturata ad un incremento di attività e fabbisogni per i diversi soggetti (le imprese e le famiglie). Domanda e offerta di territorio (intesa quest'ultima soprattutto in termini di previsioni urbanistiche) in molti casi tendono a non incontrarsi provocando distorsioni che non possono che essere attribuite ad una limitata capacità di recepire e orientare le richieste di suolo necessarie alla vitalità produttiva del sistema economico. Le aree metropolitane stesse, che appaiono oggi meno soggette ad una espansione incontrollata, hanno in parte semplicemente trasferito all'esterno i loro processi di crescita.
Il modello diffuso, che caratterizza il sistema insediativo dell'area centrale veneta, ha pertanto generato situazioni complesse e avanzate di consumo di suolo, di illogica sottrazione di aree all'attività agricola e ambientale e di disordine insediativo, determinando in definitiva un'usura eccessiva delle risorse naturalistiche non riproducibili che, oltre a provocare come conseguenza uno scadimento del livello generale della vita ne) territorio regionale, hanno messo in crisi l'efficacia stessa e la continuità del modello produttivo esistente.
La dimensione assunta da questi processi impone, oggi in modo inderogabile, di considerare il territorio una risorsa non riproducibile a cui vanno applicati i canoni di razionalità economica propri di queste condizioni. Il perseguire ancora processi di "spontaneismo" insediativo porterebbe, invece, in breve tempo, ad uno stato di congestione endemica e conflittualità permanente fra usi diversi con costi notevoli per il sistema economico e sociale.
Preso atto delle difficoltà nella gestione di un territorio cosi destrutturato, le linee guida per il governo futuro promuovono un processo di revisione sostanziale della disciplina urbanistica, ispirata ad una nuova coscienza delle risorse territoriali, ad una maggiore partecipazione dei cittadini al governo del territorio, alla necessità di una più efficace cooperazione tra i diversi livelli e soggetti istituzionali e ad una concreta programmazione degli interventi.
2.1.1 L'evoluzione dell'assetto territoriale
II Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) descrive l'assetto territoriale e urbano della Regione come una struttura "reticolare", in cui si distinguono:
• il sistema metropolitano centrale che comprende, in quella interprefazione, 5 città (Venezia,
Mestre, Treviso, Padova e Vicenza) e i territori di influenza;
• il sistema veronese, che mantiene una sua specifica identità e configurazione e costituisce la
cerniera nei confronti delle direttrici ovest e nord;
• l'area pedemontana, che si costituisce a sua volta come sistema reticolare, sia pure con
gradi di complessità, rango e autonomia minori.
Il territorio Veneto è caratterizzato da un duplice processo di distribuzione della popolazione: da una parte si riscontra un fenomeno di attrazione della popolazione verso l'area centrale e il sistema metropolitano, proveniente dai tenitori montani e dalla fascia meridionale; dall'altra la popolazione delle province centrali assume una distribuzione sempre più diffusa, dalle aree maggiormente popolate ad aree a minor densità insediativa.
Il Veneto e l'intero nord-est costituiscono un caso europeo per la specifica dinamica assunta dallo sviluppo industriale che ha investito tutto il territorio e tutta la popolazione e che si riassume nel termine "città diffusa". Il riferimento è all'intensa attività edilizia che ha costruito le periferie attorno alle città e ai paesi, le ininterrotte sequenze edificate che si distendono lungo i percorsi territoriali principali, le residenze disperse nelle campagne venete, che si alternano a strutture produttive, agricole, a servizi, etc. Lo sviluppo delle attività manifatturiere ha gradatamente ceduto il passo all'emergere delle attività terziarie. Il commercio e il comparto dei servizi hanno determinato la nascita improvvisa dei grandi poli esterni alle città; i supermercati, le multisale, i grandi alberghi, etc, tendono a collocarsi nei pressi dei caselli autostradali, ponendosi come i nuovi fulcri della polarizzazione extraurbana.
L'attuale assetto territoriale è l'esito di due principali movimenti distinti:
• da un lato la città produce decentramento di tutte quelle funzioni che trovano conveniente
"scambiare centralità con spazio”, è il caso dell'intero comparto industriale, delle attività
commerciali che hanno cambiato logistica e rapporto con l'utenza, delle strutture di
intrattenimento di massa. Si spostano anche funzioni terziarie che non sono più in grado di
mantenere la localizzazione entro la città compatta. Anche una parte di opzioni residenziali si
orienta su localizzazioni esterne alla città;
• dall'altro i processi di costruzione diffusi, caratterizzati da una differente componente sociale
ed economica. Protagonista di questo fenomeno è una classe imprenditoriale di origine
contadina, che agisce nello spazio entro un proprio sistema di valori, secondo propri e
specifici modelli comportamentali.
La ricchezza prodotta nei decenni di forte crescita è stata in buona parte indirizzata alla costruzione di abitazioni. La capacità economica acquisita, inoltre, ha spinto in alto altre esigenze e sono esplosi i consumi individuali e familiari.
In questo quadro di riferimento l'organizzazione dello spazio si muove per addizioni incrementali di edifici destinati alle diverse funzioni, senza schemi spaziali di riferimento: edifici che si addensano lungo le antiche strade, attorno ai centri rurali o si dispongono in pianura o in collina negli spazi aperti.
2.1.2 II modello territoriale veneto attuale
II modello spaziale del Veneto, che ha costituito per decenni un punto di forza del sistema socio-economico regionale, presenta una serie di diseconomie e costi esterni. L'aspetto immediatamente più visibile è costituito dalla congestione dovuta all'uso estensivo e non sempre razionale della risorsa "territorio" e al sistema delle infrastrutture regionali.
Oggi tale modello rischia di implodere in sé stesso a causa delle carenze infrastrutturali che lo penalizzano. A queste difficoltà di relazione ha contribuito non poco anche la stessa organizzazione produttiva e distributiva spazialmente diffusa sul territorio regionale a servizio di centri piccoli e medi, talvolta caratterizzati da più iniziative produttive, commerciali o direzionali scarsamente coordinate fra di loro, ancorché insistenti sullo stesso territorio comunale.
I costi imputabili alla congestione sono riscontrabili anche in ambito urbano, ambito che si è progressivamente deteriorato con "l'invasione" dell'automobile, modalità di trasporto in sostanziale conflitto con la morfologia della città antica e con la maggior parte della rete urbana.
Anche in questo caso la risposta è stata parziale e relegata a misure di attenzione per gli impatti negativi (la sosta, l'inquinamento, la pericolosità, etc.) trascurando il contenimento delle cause. Il processo di sostituzione dell'uso di parte delle aree urbane da residenziale ad attività di terziario, contemporaneamente alta diffusione della grande distribuzione, si traduce in un costante spopolamento e diminuzione delle attività di servizio alla residenza, con conseguente diminuzione della qualità della vita urbana.
La tendenza a "scambiare centralità con spazio” che ha caratterizzato te attività produttive del Veneto negli ultimi 20 anni pone la questione del recupero delle aree produttive non più utilizzate. Si tratta di ampie aree poste in genere a margine dei centri urbani maggiori, localizzate nei pressi di nodi infrastrutturali importanti (soprattutto ferroviari). Il recupero di questi siti, potenzialmente di alto valore per attività differenti da quella produttiva, risente della scarsa qualità urbanistica e molto spesso dell'elevato grado di inquinamento dovuto alle attività precedentemente svolte.
In sintesi, si può affermare che una organizzazione territoriale inefficiente riversa a cascata sul sistema economico - sociale tutta una serie di costi principalmente imputabili a:
• eccessiva dispersione nel territorio degli insediamenti produttivi con conseguente difficoltà di
creare economie di scala, in particolare nella organizzazione di infrastrutture e nella
erogazione di servizi ed aumento nel traffico per il trasporto delle merci;
• difficoltà di reperire aree organizzate per lo sviluppo di insediamenti produttivi;
• eccessiva dispersione nel territorio delle attività del settore terziario, generalmente ubicate
nei centri storici - e quindi lontane dai principali fruitori (le imprese) - con conseguente
incremento del traffico urbano e determinazione di fenomeni di "rendita edilizia";
• impoverimento e spopolamento dei centri storici urbani, a causa, da un lato, delta costante
contrazione delle attività commerciali e di servizi alla persona e, dall'altro, del progressivo
innalzamento dei costi delle abitazioni e degli affitti;
• riduzione progressiva delle aree a destinazione agricola a favore di insediamenti di carattere
industriale con conseguente impoverimento di tale risorsa produttiva e aggravio dei costi
diretti e indiretti per lo svolgimento e lo sviluppo delle attività agricole;
• riduzione delle aree "verdi" sia all'interno delle città sia nelle aree limitrofe a discapito di
altre destinazioni d'uso.
2.1.3 Gli obiettivi della programmazione regionale
L'attività di pianificazione del territorio è finalizzata a consentire uno sviluppo socio-economico (aumentare la competitività del territorio) compatibile con il rispetto e la valorizzazione delle risorse disponibili. Tale obiettivo generale deve necessariamente essere conseguito attraverso azioni finalizzate a:
• razionalizzare l'utilizzo della risorsa "suolo", eliminando i fenomeni di diffusione insediativa e
crescita spontanea;
• ridurre la congestione stradale che caratterizza gran parte del territorio regionale;
• aumentare l'accessibilità delle diverse aree del territorio regionale;
• impedire una ulteriore erosione del paesaggio storico e delle risorse naturalistiche;
• valorizzare il patrimonio architettonico e paesaggistico presente. Opera in questa direzione
la l.r. 16 giugno 2003, n. 15 con un programma di azioni per la valorizzazione delle città
murate;
• valorizzare l'uso agroambientate del suolo e fare in modo che la ruralità e i prodotti locali, la
qualità della vita, il tempo libero, il turismo e lo sport possano formare gli elementi di un
nuovo rapporto tra cittadini e agricoltura nella pianificazione e nell'uso del territorio. In tale
ambito, l'agriturismo rappresenta un esempio "simbolo" di queste valenze.
2.1.4 Gli indirizzi per un nuovo assetto territoriale
I limiti strutturali che caratterizzano il territorio regionale sono superabili solo se si riconsiderano
a fondo le strategie territoriali da adottare per il Veneto nel suo complesso; occorre puntare cioè
ad una ricomposizione dei ruoli assegnati alle diverse parti del territorio e prima fra tutte alla
rete di città ed a ciascun nodo della rete, operando con estrema determinazione e adeguati
livelli di investimento per riconnettere fra loro, in modo del tutto chiaro e programmatico, i
processi che insistono sullo spazio territoriale aperto e sulle città stesse. Il territorio Veneto va
quindi concepito come uno spazio metropolitano dotato di una gerarchia interna, nel quale i
principali centri urbani ricoprono un ruolo di "nodi di eccellenza", dove trovano posto servizi di
interesse regionale e sovra-regionale.
Lo spazio agricolo, nel quale i centri urbani sono immersi, rappresenta un tessuto connettivo, in cui sicurezza e qualità del profilo ambientale si traducono di fatto nella qualità della vita immediatamente percepita dagli abitanti dei centri stessi.
Proprio le novità apportate dall'approccio al mercato globale hanno riconosciuto significati nuovi al settore primario, investendolo come componente essenziale del livello di sicurezza e di qualità dell'ambiente e della vita.
II territorio agricolo, cioè utilizzato e gestito dalle imprese agricole, inteso come la matrice
connettiva dell'ambiente attuale, va attentamente salvaguardato e seguito nella sua evoluzione
con idonee politiche che innanzitutto esaltino e mantengano il presidio territoriale e la sicurezza
idrogeologica, idraulica e ambientale sviluppata dalle attività agricole.
Nel dettaglio, le strategie per una corretta pianificazione del territorio dovranno tener conto dei seguenti aspetti:
• pianificazione del territorio e pianificazione dei trasporti: il rapporto stretto fra geometria
delle reti di trasporto, uso del suolo e geografia urbana è uno dei fondamenti
dell'organizzazione della città contemporanea. Tra gli elementi di freno vi sono le crescenti
difficoltà nel garantire adeguate condizioni di relazione fra i diversi centri di sviluppo
regionali e la limitatezza della risorsa territorio. È principalmente nei confronti di questi due
fattori limitanti che va ridefinita una politica di riequilibrio fra infrastrutture e territorio o più
in generale va reinterpretata l'interazione "territorio - trasporti". In chiave di ridisegno
territoriale e di efficienza del sistema un'occasione rara ed irripetibile è data dalla
realizzazione dei nuovi grandi tracciati stradali programmati per dare soluzione al nodo di
Mestre e per liberare il sistema pedemontano dalla congestione. I nuovi tracciati
costituiscono una radicale innovazione della rete dei trasporti e non possono essere relegati
entro una logica meramente trasportistica. Debbono certamente risolvere al meglio le
questioni da cui traggono necessità ed urgenza, ma vanno correttamente intesi come uno
dei principali elementi innovativi e strutturanti del sistema metropolitano veneto, essendo
innegabile che costruiscono una geografia delle opportunità insediative del tutto nuova. Per
queste ragioni il disegno dei tracciati, l'organizzazione dei punti di contatto con le reti
ferroviarie (cioè con SFMR), il raccordo con la rete preesistente sulla quale si è fino ad ora
strutturate tutta l'organizzazione degli insediamenti e del territorio, l'impatto con i sistemi
naturalistici sono questioni di rilievo cruciale su cui si misura l'effettiva e multifunzionale
qualità delle opere. E per altro verso si deve pensare a queste nuove opere con la
consapevolezza che, disegnando i tracciati e le soluzioni tecniche, si costruiscono "nuovi
paesaggi", i paesaggi della contemporaneità, con tutte le sfide e le implicazioni culturali che
ciò comporta; sfide che è necessario raccogliere;
• localizzazione degli insediamenti: il territorio regionale, non va più pensato indifferenziato
rispetto ai grandi assi della mobilità infra ed interregionale, ma va organizzato, nelle sue
stesse funzioni primarie - abitativa, produttiva, distributiva, terziaria - attorno ad essi,
qualificando gli spazi per specifiche funzioni e contenendo al contempo l'occupazione di
nuove aree. Ne consegue la necessità di assumere a riferimento nell'organizzazione
territoriale la rete infrastrutturale principale esistente e quella ormai programmata e
progettata, assegnando ad essa il ruolo di armatura del territorio cui riferire le destinazioni d'uso delle aree. Solo una sempre più stretta relazione fra politiche dei trasporti e programmazione territoriale potrà esaltare le funzioni dei nodi intermodali veneti, fra i più efficienti dell'intero Paese nel settore dello smistamento e distribuzione delle merci;
razionalizzazione delle aree nei pressi dei nodi infrastrutturali: è opportuno concepire per le aree più prossime ai nodi infrastrutturali (svincoli, caselli autostradali, stazioni e fermate ferroviarie, porti, aeroporti, interporti e centri merci) destinazioni d'uso caratterizzate da una elevata generazione di traffico (funzioni di produzione, attività di serivizi del terziario avanzato, centri direzionali), eventualmente prevedendo una elevata densità insediativa (per esempio attraverso uno sviluppo delle funzioni in verticale), almeno per quelle attività per le quali ciò risulta economicamente e funzionalmente compatibile (per esempio i centri direzionali). Un simile assetto da una parte consentirebbe un "risparmio" nell'utilizzo delta risorsa "territorio", in particolare in punti di rilevanza strategica, dall'altra permetterebbe una razionalizzazione dell'intero sistema della mobilità in accesso a tali aree. La prossimità ai nodi infrastrutturali infatti consente un accesso attraverso i sistemi di trasporto pubblico, mentre la concentrazione di funzioni su uno stesso luogo, e quindi di utenza, rende economicamente sostenibile l'investimento per modalità di trasporto efficienti e sostenibili. Una immediata conseguenza di tale impostazione è la diversità di valore delle aree che viene a determinarsi e che richiede necessariamente un contestuale intervento di natura urbanistico - normativa;
una tale riorganizzazione territoriale assume particolare significato nel breve - medio periodo nell'area centrate veneta ed in generale in tutte le aree "forti" della Regione. Proiettandosi nel medio - lungo periodo, peraltro, quanto detto vale analogamente per le aree oggi ancora con potenzialità di sviluppo solo parzialmente espresse, quali ad esempio il basso padovano, veneziano e veronese, l'intero Polesine, ovvero parte del bellunese ed il Veneto Orientale. Verso queste aree si sta assistendo ad una sempre maggiore attenzione da parte del sistema economico Veneto e la presenza di spazi liberi, diversamente da quanto accade nell'area centrale più forte, costituisce elemento di attrazione per nuove iniziative imprenditoriali. In questi casi la politica territoriale può giungere in tempo per organizzare al meglio il rapporto fra infrastrutture di trasporto e l'assegnazione delle destinazioni urbanistiche sui territori interessati, sfruttando anche le esperienze e gli eventuali errori che hanno caratterizzato l'analogo fenomeno che ha recentemente interessato il veneto centrale e la fascia pedemontana;
razionalizzazione delle aree produttive: tra i costi esterni che un assetto inefficiente del territorio riversa sul sistema economico e sociale, una quota rilevante viene attribuita ad uno sviluppo eccessivamente disperso sul territorio delle attività produttive. Si pone quindi la necessità di promuovere una organizzazione razionale delle zone industriali, tate da favorire la creazione di economie di scala, da ridurre i costi di costruzione di una rete di infrastrutture e di servizi terziari alle imprese, da consentire una gestione efficiente del traffico merci con conseguente riduzione dell'impatto ambientale. Risulta fondamentale assumere provvedimenti di contenimento di nuove zone produttive, favorendo il recupero delle numerose e vaste aree industriali sottoutilizzate o in via di dismissione presenti sul territorio regionale. Si tratta di aree che godono in genere di una alta dotazione infrastrutturale, che quindi possono garantire elevati standard di accessibilità. Il tema va affrontato non solo applicando norme ad efficacia indiretta, ma soprattutto politiche dirette e operative volte a utilizzare nella migliore misura possibile gli edifici e le aree già realizzati in ogni angolo del Veneto; si può pensare a una disposizione dei cicli produttivi che sappia utilizzare più intensivamente gli investimenti già fatti, ma anche all'adozione di programmi di gestione del patrimonio che prevedano trasparenza fra le occasioni di riuso e i bisogni delle imprese;
recupero delle funzioni commerciali e residenziali dei centri storici e delle aree urbane: lo sviluppo territoriale diffuso è contemporaneamente causa ed effetto di una perdita di
competitività e abbassamento della qualità dei centri urbani. È necessario recuperare le originarie funzioni residenziali e commerciali dei centri, agendo contemporaneamente sulla riqualificazione urbana e aumentando l'accessibilità. Per quanto riguarda il primo aspetto, vanno da una parte aumentati gli standard di qualità della vita in termini di sicurezza personale e disponibilità di servizi alla persona, dall'altra va innalzata la qualità degli spazi urbani (strade, piazze, etc.) attraverso operazioni di recupero del patrimonio architettonico, aumento della disponibilità di aree verdi e di spazi pedonali, riduzione e gestione sostenibile del traffico urbano. Va inoltre aumentata l'accettabilità delle strategie di intervento in ambito urbano attraverso interventi concertati, rendendo i cittadini attori del processo di riqualificazione della loro città. L'accessibilità ai centri urbani va aumentata governando la domanda di mobilità privata fornendo servizi adeguati (ad es. parcheggi) ed indirizzandola verso modalità sostenibili. Il progetto del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale, i cui nodi principali sono situati all'interno delle aree urbane, rappresenta da questo punto di vista una occasione strategica;
• tutela del territorio agricolo: la trasformazione del paesaggio veneto da agricolo a sistema
diffuso e disordinato di insediamenti produttivi e commerciali è legata al differenziale di
redditività esistente tra un uso agricolo ed un diverso uso produttivo del suolo. La tutela del
paesaggio agricolo del Veneto, oltre a richiedere una evoluzione dell'apparato normativo dal
mero vincolo e tutela, deve consentire un maggior rendimento del suolo destinato ad attività
agricole. A tal fine è quindi necessario intervenire in due direzioni. La prima per incentivare
produzioni agricole specializzate e tipiche che consentano una redditività maggiore,
favorendo altresì le integrazioni con le altre attività economiche compatibili. La seconda per
cogliere e orientare con appositi strumenti incentivi e contrattualistici le esternalità positive
(in termini di sicurezza e salvaguardia ambientale, di elementi di tipicità territoriale) che le
attività agricole generano nel territorio, come già considerate nel d.lgs. 228/2001. A tale
riguardo, ad esempio, una particolare attenzione potrà essere rivolta all'allevamento in
montagna sostenibile e compatibile con la fragilità specifica dell'ambito territoriale.
L'uso agricolo del suolo deve costituire un elemento fondamentale della pianificazione regionale ed entrare a tutti gli effetti nel nuovo PTRC, tenendo conto della diversificazione.
Gli orientamenti per il governo del territorio possono essere cosi riassunti:
• elaborare la politica territoriale in base alle infrastrutture esistenti e a quelle programmate;
• promuovere una organizzazione razionale delle zone industriali;
• localizzare i centri direzionali e del terziario all'esterno dei centri storici urbani, in prossimità
dei grandi nodi di comunicazione, eventualmente prevedendo uno sviluppo ad alta densità
insediativa;
• rilanciare e sostenere le funzioni commerciali e residenziali dei centri storici e delle aree
urbane;
• tutelare il territorio agricolo e favorire la specializzazione delle produzioni.
2.1.5 Gli strumenti di attuazione delle strategie territoriali La programmazione europea
Gli indirizzi delineati dall'Unione Europea in merito alla pianificazione del territorio sono contenuti nello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE). Il documento, approvato definitivamente nel 1999, ruota intorno a tre principi generali, ovvero la coesione economica e sociale, lo sviluppo sostenibile e una competitività equilibrata per il territorio europeo. Data la complessità e la molteplicità di tematiche che caratterizzano l'assetto del territorio, lo SSSE può essere interpretato secondo differenti chiavi di lettura.
Tra i livelli interpretativi possibili si può affermare che l'SSSE rappresenta:
• un momento di sintesi sulla formulazione di strategie comuni con l'intento di promuovere
adeguate azioni di intervento e strumenti di pianificazione strutturati a vari livelli (centrale,
regionale e locale) finalizzati allo sviluppo di un sistema policentrico ed equilibrato del
territorio;
• lo strumento di riferimento per uno sviluppo sostenbile del territorio, particolarmente
attento alle politiche di insediamento ed agli aspetti sociali collegati ed alla preservazione del
patrimonio culturale, storico e naturale;
• il quadro di riferimento per le politiche spaziali e per il coordinamento delle politiche
settoriali coinvolte a tutti i livelli. Le trasformazioni in atto inducono alla prevenzione di
fenomeni incontrollati di urbanizzazione, congestione e segregazione sociale. Si rendono
necessarie nuove forme e strumenti di gestione, di pianificazione urbana e di interventi
innovativi di politica territoriale.
Una particolare accentuazione viene riservata alla varietà culturale del territorio europeo che costituisce il tratto tipico e potenzialmente più significativo tra i fattori di sviluppo per TUE. Pertanto le politiche di sviluppo territoriale non devono standardizzare le identità locali e regionali presenti in seno all'UE, che contribuiscono ad arricchire la qualità della vita dei suoi abitanti.
Tra gli strumenti programmatori europei è opportuno ricordare inoltre la "Carta delle Città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile" (Carta di Aalborg, 1994) e la " Dichiarazione d'intento di Oporto sulla pianificazione e lo sviluppo territoriali a cura delle Regioni e delle Aree Metropolitane d'Europa" (Magna Carta di Oporto). In questi documenti vengono ripresi gli obiettivi e i principi formulati nello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo.
La programmazione regionale
La programmazione del territorio nel Veneto prende avvio a seguito dell'azione della Regione sul piano legislativo e su quello della pianificazione con l'approvazione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), dei piani di area nonché di alcuni piani di settore.
L'attività normativa
L'attività legislativa nel Veneto in materia di Urbanistica ha inizio nel 1978, all'indomani del d.p.r.
616/1977.
Le prime due leggi "urbanistiche" che la Regione del Veneto ha varato riguardano la disciplina
nell'uso del suolo delle zone agricole e la questione degli insediamenti produttivi in zona
impropria. Per mezzo di questi provvedimenti l'attenzione del legislatore si è rivolta, prima che
alla predisposizione di una legge urbanistica organica, alla risoluzione delle questioni particolari
delle zone rurali e degli impianti produttivi. In realtà si trattava allora, come adesso, di
regolamentare temi del tutto peculiari del territorio regionale, che la vecchia legge urbanistica
nazionale non poteva e non aveva adeguatamente apprezzato.
La prima legge urbanistica regionale organica risale al 1980, per lungo tempo il principale
strumento normativo è stato costituito dalla l.r. 61/1985 "Norme per l'assetto e l'uso del
territorio". In data 23.04.2004 è stata approvata la nuova legge urbanistica regionale (l.r.
11/2004) "Norme per il governo del territorio", che si compone di 51 articoli.
Il quadro di riferimento regionale si somma ed integra la legislazione nazionale che in alcuni casi
mantiene la propria efficacia (cfr. I. 167/1962) anche a distanza di anni, mentre in altri inserisce
nuovi elementi (cfr. I. 179/1992 per i programmi integrati, la I. 662/1996 per il rilascio delle
concessioni, etc).
A ciò si aggiunga che tutte le leggi che si riferiscono al territorio hanno risvolti urbanistici:
foreste, alberghi, cave, discariche, linee elettriche etc, ognuno di questi argomenti viene
disciplinato con legge e queste leggi recano delle precise disposizioni urbanistiche.
Un importante strumento normativo è costituito dalla l.r. 2/2001, attraverso la quale la Regione interviene finanziariamente per favorire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale esistente nei comuni con popolazione inferiore a 3.500 abitanti. Le iniziative previste sono suddivise in tre classi di intervento, ovvero il recupero del patrimonio edilizio pubblico, il recupero del patrimonio edilizio privato, infine il recupero degli spazi urbani collegati.
Attualmente il principale strumento normativo, in attesa della completa entrata in vigore di tutta la normativa l.r. 11/2004, è costituito dunque dalla l.r. 61/1985, "Norme per l'Assetto e l'uso del Territorio", che riprende dalla legge urbanistica nazionale lo schema di gerarchizzazione dei piani a diversa scala territoriale. La pianificazione urbanistica si attua attraverso il livello regionale, che comprende: il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), i piani di settore e i piani di area di livello regionale, il Piano Territoriale Provinciale (PTP) relativo al territorio di ogni Provincia o parte di esso e i piani di settore di livello provinciale, relativi a materie di competenza della Provincia; il livello comunale o intercomunale, che comprende: il Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune o del Consorzio di Comuni e i piani urbanistici attuativi.
Negli ultimi anni si è registrato un processo di revisione sostanziale delle leggi urbanistiche in diverse regioni italiane, informato ad una nuova coscienza delle risorse territoriali, ad una maggiore partecipazione dei cittadini al governo del territorio, alla necessità di una più efficace cooperazione tra i diversi livelli e soggetti istituzionali e ad una concreta programmazione degli interventi. Anche la Regione del Veneto ha provveduto alla revisione della propria normativa in materia urbanistica con l'approvazione della suddetta l.r. 11 del 2004.
In particolare il processo di revisione ha interessato la struttura ed i contenuti del Piano Regolatore Generale, che nella nuova normativa è ridefinito Piano Regolatore Comunale (PRC), come previsti dalla legge n. 1150 del 1942, diversificando tra loro l'apparato normativo strutturale, rappresentato dalle invariabili territoriali (vincoli e tutele) destinate a condizionare le modalità delle politiche territoriali di medio e lungo termine, dalla disciplina operativa riguardante le scelte, gli obiettivi e i contenuti operativi attuabili a breve termine.
In questo quadro di riferimento si inserisce la nuova legge urbanistica regionale del Veneto, i cui principi informatori non hanno potuto non tener conto sia che il territorio Veneto dispone di pianificazione urbanistica compiuta, sia dell'evoluzione delle dinamiche socio-economiche e territoriali. Le dinamiche sociali infatti, sono il prodotto di trasformazioni rapide, in cui lo strumento di governo del territorio diviene un "prodotto economico e sociale". In questo quadro l'iter procedurale attuale, che implica lunghi tempi di approvazione, ed è legato a meccanismi strutturali scarsamente flessibili, risulta obsoleto.
Le novità, rispetto alla l.r. 61/1985 possono essere sintetizzate nel riconoscimento di una specificità alla realtà veneta, nella consapevolezza del mutamento dei bisogni collettivi, delle emergenze ambientali e della tutela delle risorse, infine nella coscienza della velocità delle dinamiche evolutive. La nuova legge inoltre affronta le questioni relative al coordinamento delle scelte dei diversi attori coinvolti nel processo pianificatorio, della necessità di semplicità e rapidità nei processi decisionali e di gestione amministrativa, allineandosi alla tendenza del governo centrale della Repubblica che incentiva le forme di decentramento dei procedimenti e delle competenze.
La nuova legge comprende le materie e le tematiche riguardanti le zone agricole, gli insediamenti in zona impropria, le competenze in materia già delegate ai Comuni, la programmazione concertata etc. Viene rinviata all'adeguamento della legge quadro statale la materia riguardante l'edilizia.
Le finalità e i contenuti della nuova legge sul governo del territorio si possono riassumere nei seguenti punti:
• semplificazione della legge: attraverso il rinvio a circolari e ad atti di indirizzo, si mira ad ottenere un testo più facilmente modificabile ed adeguabile alle reali esigenze che si dovessero presentare, Una legge che vuote prevedere e norma re tutta la materia, è di per
sé un atto che per le procedure complesse di modifica, è destinato a rincorrere la realtà e la domanda emergente;
• pianificazione su più livelli: analogamente allo strumento vigente, si riconoscono tre livelli di
governo del territorio: il livello regionale, il livello provinciale e il livello comunale. L'attuale
sistema di pianificazione fondato sul Piano Regolatore Generale comunale, che
nell'ordinamento veneto è particolarmente dettagliato, viene sostituito da due strumenti, che
formano il Piano Regolatore Comunale e precisamente il Piano di Assetto del Territorio (PAT)
e il Piano degli Interzanti (PI), l'uno di inquadramento e sviluppo delle tematiche a grande
scala, l'altro più prettamente operativo delegato alle scelte di interesse locale;
• disciplina della concertazione nel processo di pianificazione del territorio come delineato
dalle recenti leggi statali;
• introduzione nella normativa (Titolo IV) di particolari principi: il principio di perequazione,
consentendo cosi la realizzazione delle aree a standard senza il pericolo della decadenza dei
vincoli. Il principio del credito edilizio, finalizzato alla riqualificazione ambientale: "la
demolizione delle opere incongrue, l'eliminazione degli elementi di degrado, o la
realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica,
architettonica e ambientale [..] determinano un credito edilizio", determinato dal Comune e
da utilizzare nelle aree edificabili. Il principio di compensazione, permette ai proprietari di
aree ed edifici oggetto di vincolo preordinato all'esproprio di recuperare adeguata capacità
edificatoria previa cessione all'amministrazione dell'area oggetto di vincolo. Viene
disciplinata inoltre la materia dei programmi complessi;
• trattazione unitaria di temi che in passato erano affrontati da leggi diverse: centri storici,
zone agricole, edilizia residenziale pubblica, standard.
Per disciplinare in modo organico la riforma urbanistica, è stata avviata e completata una fase di sperimentazione sul campo finalizzata alla verifica della applicabilità del modello teorico alla realtà veneta, che per complessità territoriale e per dinamiche socio-economiche non è assimilabile alle altre realtà regionali. La sperimentazione consiste nella redazione, attraverso l'intervento coordinato della Regione e dei Comuni interessati, di alcuni piani di assetto del territorio.
L'attività di pianificazione del territorio
II Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) costituisce il "supporto territoriale" delle
scelte e degli strumenti regionali di programmazione economica e sociale.
Il PTRC attualmente in vigore ha svolto sicuramente in questi anni di vita il ruolo di "quadro di
riferimento territoriale regionale", costituendo il supporto e l'indirizzo per la pianificazione
territoriale e urbanistica degli Enti locali e territoriali.
La Regione del Veneto ha avviato l'iter di aggiornamento del Piano Territoriale Regionale di
Coordinamento.
La fase del contenimento di uno sviluppo economico "senza regole e senza progetto", tipico
degli anni '80, è oggi sostituita dalla necessità di dare "ordine al già formato" raccordando i
"pieni e i vuoti", di organizzare le reti di città per dare a queste maggiore competitività, ma
anche per meglio valorizzare i rapporti di cooperazione e competizione tra le aree e i sistemi
territoriali confinanti.
In questa logica il Piano Territoriale deve essere strumento che aiuta a "fare rete" tra istituzioni
e società civile e che indica le azioni più opportune per un disegno territoriale capace di fornire
elevati e durevoli livelli di qualità per "l'abitare" e "il produrre", evitando i costi di sottrazione alla
risorsa non riproducibile ambiente-territorio.
Il "secondo PTRC" è perciò da ritenersi non una variante al primo Piano Territoriale Regionale di
Coordinamento, ma uno strumento innovativo di governo del territorio regionale di raccordo e
coordinamento per l'organizzazione di politiche integrate di sviluppo territoriale, secondo una
prospettiva fondata su orientamenti e priorità di livello oltre che regionale, nazionale e
comunitario.
Le nuove strategie di pianificazione del territorio tendono a superare l'impostazione "dirigistica",
di un piano come strumento di vincolo, che ha caratterizzato l'azione del fare urbanistica nel
passato. Si tende quindi a superare una visione regolamentare di "imposizione e controllo", per
assumere un "carattere contrattuale", capace di vincolare e orientare le componenti sociali verso
una visione comune.
Il modello che sottende al nuovo PTRC è uno spazio di sviluppo e sperimentazione nel quale
convergono alcune sostanziali novità, quali il coinvolgimento attivo delle parti sociali nel
processo di costruzione del piano, con la conseguente possibilità di arrivare in tempi
relativamente rapidi ad una visione condivisa, e l'integrazione nel processo di pianificazione di
nuovi linguaggi operativi (strumenti di promozione, tecniche di simulazione) e nuove tecnologie
di comunicazione e rappresentazione.
In questa logica il Piano Territoriale Regionale deve essere interpretato "oltre l'ordinario", ossia
come una struttura finalizzata a supportare il processo di decisione. Le garanzie per una corretta
pianificazione non stanno più nel percorso di redazione e successiva approvazione del piano, ma
nella partecipazione e gestione di questo.
Il piano si rivela immagine di una politica che, favorendo la connessione della realtà veneta con
Lo Spazio di Sviluppo Europeo, innova e sviluppa le grandi aree urbane in una logica di
competitività ed efficienza senza per questo penalizzare i fattori storici e ambientali presenti
sullo scenario e pur sempre in un quadro di coesione sociale.
È evidente che con questo orientamento il piano, attraverso il processo di pianificazione, svolge
IlIIl ruolo della concertazione istituzionale riconosciuta e condivisa e, anche sulla base delle recenti
esperienze acquisite con la pianificazione di area vasta, viene re-interpretato come strumento
per certificare le vocazioni territoriali, coinvolgendo in un rapporto propositivo pubblico e
privato, al fine di fissare nuovi target di sviluppo territoriale e definire azioni di buona prassi.
Le nuove aree tematiche da affrontare attraverso il PTRC riguardano la distribuzione territoriale dei distretti produttivi e il sistema dei grandi centri commerciali, la rete delle infrastrutture innovative (isole telematiche, l'SFMR, etc), la dimensione logistica dei "portali regionali" (Quadrante Europa, porto di Venezia, ZIP di Padova, aeroporti di Venezia e Verona, etc), il ridisegno del sistema universitario, della ricerca e dei poli tecnologici e della cultura, la rete delle attrezzature a servizio della persona. Deve inoltre essere valutata una nuova zonizzazione per la salvaguardia del territorio e per l'agricoltura che superi i localismi e i limiti attualmente esistenti prendendo in considerazione l'individuazione delle aree della qualità rifacendosi, se del caso, alla zonizzazione a suo tempo elaborata nelle fasi di studio del Piano di Sviluppo Rurale e successivamente non utilizzata.
Accanto al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, l'attività di pianificazione ad area vasta della Regione è rivolta alla redazione dei piani d'area. Si tratta di strumenti di articolazione del PTRC, che hanno assunto il carattere di "approfondimenti progettuali" di aree o problemi rilevanti per il territorio regionale. Anche nella redazione di questi strumenti si è passati, nel corso degli anni, da un atteggiamento "dirigistico" del piano rispetto a strumenti a scala minore (ad esempio il PALAV), ad un atteggiamento di "copianificazione" e concertazione con tutti gli attori presenti nel territorio in cui si interviene.
Nell'ambito della Regione del Veneto, spesso come risposta alla difficoltà di utilizzare la strumentazione urbanistica tradizionale per dare attuazione alle scelte strategiche contenute nei PRG, si è assistito ad un utilizzo diffuso dei programmi complessi (Programmi di Recupero, di Riqualificazione Urbana, Prusst).
L'esperienza dei programmi complessi evidenzia il superamento del semplice approccio interdisciplinare dell'urbanistica, coinvolgendo la dimensione territoriale, economica ed ambientale; tutto questo sostenuto da nuove procedure amministrative. Ciò consente l'individuazione, all'interno del "parco progetti" delle Amministrazioni (spesso giacente da molti anni), degli interventi che sono in grado di creare nuovo valore e che risultano trainanti per lo
sviluppo urbano, oltre che la ricerca di percorsi di sostenibilità in primo luogo ambientale, ma anche economica e sociale.
Attualmente la Regione del Veneto è soggetto promotore del PRUSST PRASTAVO, che riguarda i comuni de) Veneto Orientale.
Edilizia Residenziale Pubblica
Le linee di intervento in cui si articola l'azione della Regione nel settore dell'Edilizia Residenziale Pubblica sono principalmente la programmazione di interventi costruttivi di edilizia sovvenzionata ed agevolata prevista ai sensi della l.r, 11/2001 e l'intervento a sostegno del reddito delle famiglie meno abbienti per favorirne l'accesso al mercato delle locazioni. In particolare la programmazione di interventi costruttivi ha avuto traduzione nel Programma regionale per l'Edilizia Residenziale Pubblica per il triennio 2001 - 2003.
Tale strumento, oltre a prevedere un cofinanziamento regionale per la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari, conteneva:
• una quota delle risorse disponibili destinata ad interventi di edilizia sovvenzionata realizzati
dalle A.T.E.R;
• una quota per l'acquisto o la costruzione della prima casa ovvero per il recupero
dell'abitazione principale da parte di nuclei familiari in possesso dei requisiti soggettivi
previsti dal richiamato provvedimento consiliare;
• la restante quota per interventi di edilizia agevolata realizzati da imprese di costruzione e da
cooperative di produzione e lavoro e di abitazione.
2.2 L'ambiente
Obiettivo generale della politica ambientale della Regione del Veneto è quello di definire strategie e strumenti per il raggiungimento di uno sviluppo regionale sostenibile.
TUTELA DELL'AMBIENTE:
Atmosfera
Con riferimento alla qualità dell'aria è necessario attuare interventi specifici finalizzati alla mobilità sostenibile, alla prevenzione e riduzione delle immissioni nelle città, ai controllo delle emissioni dei veicoli circolanti e all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; occorre risanare le aree industriali soggette a particolari interventi di tutela individuate dalla Regione del Veneto ai sensi dell'art. 4 del d.p.r. 203/1988. In materia di inquinamento acustico sono da adottare azioni finalizzate alla prevenzione, tutela e risanamento dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno. Per l'inquinamento elettromagnetico bisogna procedere ad un controllo finalizzato a garantire che l'impatto ambientale delle sorgenti sia compatibile con quanto previsto dalla normativa ed a verificare io "stato" dell'ambiente. Riguardo l'inquinamento luminoso sono prioritarie la prevenzione e riduzione sul territorio regionale dell'inquinamento luminoso e dei consumi energetici da esso derivanti al fine di tutelare l'ambiente.
Industrie a grandi rischi
La Regione dei Veneto intende perseguire l'obiettivo di costruire un sistema in grado di rendere accettabili sul territorio questo tipo di aziende, aumentandone il grado di affidabilità e minimizzando gli effetti negativi sul territorio nel caso di un evento incidentale attraverso una gestione corretta ed efficace delle eventuali situazioni di emergenza.
Rifiuti
Le strategie previste consistono nel miglioramento e protezione dell'attuale livello di tutela dell'ambiente mediante un'efficace attività di controlli preventivi e abilitativi tesi a perseguire e ad incentivare determinate attività finalizzate a ridurre e recuperare i rifiuti lasciando lo smaltimento esclusivamente come fase residuale della gestione degli stessi.
Attività estrattive: le cave e le miniere
Per il settore estrattivo vanno sviluppate la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali in coerenza con gli scopi della programmazione economica e della pianificazione territoriale. Le esigenze di salvaguardia del territorio e dell'ambiente e te necessità di tutela del lavoro e delle imprese troveranno compatibilità nei piani regionali e provinciali dell'attività di cava.
Beni ambientali e paesaggio
La Regione intende tutelare e valorizzare le ricchezze paesaggistiche ed ambientali presenti nel territorio regionale, attraverso strumenti di pianificazione mirati al superamento dell'attuale sistema vincolistico ed alla semplificazione delle procedure. Si dovranno inoltre attuare azioni di tutela e conservazione dei siti della Rete "Natura 2000" interessati da interventi di trasformazione del territorio.
TUTELA DELLE ACQUE E SERVIZIO IDRICO INTEGRATO: la Regione dovrà mirare a prevenire e ridurre l'inquinamento, attuare il risanamento dei corpi idrici, proteggere le acque destinate ad usi particolari e favorire il riutilizzo delle acque. Si dovrà realizzare il nuovo assetto strutturale e gestionale del "Servizio idrico integrato" relativo all'ambito idropotabile e fognario-depurativo.
Progetti speciali: "Piano Direttore 2000"per la Laguna di Venezia e Piano Direttore Fratta-Gorzone
Gli obiettivi del "Piano Direttore 2000" prevedono di abbattere i carichi di nutrienti sversati in laguna, ridurre le concentrazioni e attuare controlli attraverso il monitoraggio dei microinquinanti nell'acqua e garantire che la qualità dell'acqua del Bacino scolante sia compatibile con l'uso irriguo e con la vita dei pesci.
Obiettivo del Piano Direttore Fratta-Gorzone è quello di tracciare una strategia unitaria finalizzata al disinquinamento e al risanamento ambientale dell'area interessata con particolare riferimento alla gestione delle acque e dei fanghi di depurazione nonché al miglioramento della qualità dell'aria.
LA GEOLOGIA: DIFESA DEL SUOLO, DEMANIO IDRICO E GESTIONE IDRAULICA: la
difesa del suolo, in senso propriamente geologico, rappresenta uno dei punti maggiormente da sviluppare anche in sintonia con le altre Regioni che sono geograficamente in rapporto con la Regione del Veneto. Va incrementata la collaborazione con le Province per quanto riguarda gli aspetti legati alla difesa idrogeologica, con i Consorzi di Bonifica e le Regioni contigue per quanto riguarda gli aspetti della difesa idraulica.
Le azioni prioritarie riguarderanno: sicurezza idrogeologica; sicurezza idraulica; difesa delle coste; sicurezza dai rischi di valanghe; disciplina delle attività estrattive nei corsi d'acqua; tutela quantitativa e qualitativa delta risorsa idrica e relativa gestione e tutela delle zone umide.
Sarà possibile perseguire gli obiettivi rendendo attuative le azioni suddette predisponendo i seguenti strumenti, allo scopo di aumentare le conoscenze geologiche sul territorio per i piani urbanistici, per la progettazione, per le indagini sul territorio e per la pianificazione:
specifici piani regionali di settore;
programmi di intervento in relazione alle specifiche fonti di finanziamento che di volta in
volta si rendono disponibili;
predisposizione ed emanazione di una legge regionale in materia di difesa del suolo e
gestione del demanio idrico diretta a fornire un'organica disciplina che tenga conto del
nuovo assetto organizzativo, in termini di funzioni e competenze, conseguente ai
decentramento amministrativo attuato con il d.lgs. 112/1998, nonché delle innovazioni
derivanti dalla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione di cui alla legge
costituzionale 3/2001;
approvazione di un Testo Unico, avente carattere sia conoscitivo che innovativo, con
abrogazione di norme in contrasto o semplicemente obsolete rispetto alle attuali esigenze di
regolamentazione del comparto;
riordino delle strutture regionali competenti in materia, razionalizzazione e ridistribuzione
delle varie funzioni amministrative fra le stesse e fra i diversi soggetti che operano sul
territorio;
definizione dei corsi d'acqua afferenti alla rete idrografica minore ai Consorzi di Bonifica che
provvederanno alla relativa gestione e manutenzione al fine di rendere più capillare sul
territorio la presenza dell'amministrazione, di migliorare il servizio al cittadino e di
combattere il fenomeno dell'abusivismo;
adozione di misure urgenti in tema di rischio idraulico e idrogeologico previste dalla legge
267/1998, cosiddetta "legge Sarno";
specifici piani e programmi di intervento;
riordino in un Testo Unico della normativa di settore;
ridefinizione dell'assetto organizzativo;
incremento dell'attività di studio e vigilanza nel settore geologico e sviluppo di banche dati
geologiche.
PROTEZIONE CIVILE: in questo settore l'attività deve essere rivolta alla previsione e prevenzione dei rischi, al soccorso alle popolazioni sinistrate e ad ogni altra attività diretta a superare l'emergenza connessa ai danni dovuti ad eventi calamitosi di origine naturale ed antropica.
Le azioni dovranno essere articolate in:
messa a punto di un efficiente "Sistema Regionale di Protezione Civile";
predisposizione di piani urgenti di emergenza per fronteggiare il rischio idraulico ed
idrogeologico;
individuazione delle modalità per la strutturazione e l'utilizzo delle organizzazioni e dei
gruppi di volontariato di protezione civile;
formazione di specifiche figure professionali per la gestione di situazioni di crisi e per il
coordinamento dell'attività di soccorso, nonché di responsabili e capigruppo appartenenti al
volontariato di protezione civile;
integrazione delle funzioni svolte rispettivamente dal Centro di Coordinamento Regionale in
Emergenza (Co.R.Em) e dal Centro Operativo Regionale (COR), nonché alla suddivisione del
territorio in distretti di protezione civile e antincendio boschivo, precisandone la struttura
organizzativa e funzionale, sentite le province, le comunità montane ed i comuni interessati.
Strumenti indispensabili dovranno essere:
studi e piani di settore inerenti la prevenzione e la riduzione dei rischi;
linee guida per la redazione da parte degli Enti locali dei rispettivi strumenti di pianificazione
di protezione civile;
I Programmi regionali di previsione e prevenzione relativi alle varie ipotesi di rischio
curandone l'aggiornamento con cadenza triennale;
Il Piano regionale di emergenza, ai sensi della lr. 58/1984, contenente le procedure e le
modalità organizzative ed operative finalizzate ad affrontare situazioni di emergenza,
nonché gli indirizzi per la redazione dei Piani provinciali di emergenza.
2.2.1 II Veneto e lo sviluppo sostenibile
La trattazione dei problemi relativi alla gestione ambientale non può prescindere da una
puntuale preliminare definizione del termine "ambiente" inteso nella sua accezione più vasta a
partire dall'osservazione seguente: non si può tutelare l'ambiente se non si salvaguardano le
culture che lo hanno antropizzato.
Il concetto di ambiente come fattore culturale è strettamente correlato a quelli di territorio e di
paesaggio. L'ambiente, inteso come sistema di condizioni fisiche, chimiche, biologiche e di
valenze simboliche che gli vengono attribuite dalle generazioni in cui una collettività di persone
e di organismi animali e vegetati organizza la propria vita, è un fattore essenziale per tutti i
processi vitali e per gli equilibri dinamici che si instaurano in un determinato ecosistema, o
meglio, in un sistema di ecosistemi. Nel paesaggio vengono considerati i rapporti di
interrelazione, interdipendenza ed evoluzione temporale di un sistema di ecosistemi.
Il territorio è lo spazio fisico in cui interagiscono vari sistemi di ecosistemi: è infatti coperto da
un mosaico di paesaggi. Il territorio veneto appare oggi fortemente antropizzato a causa del
modello diffuso che non ha risparmiato l'uso del suolo e di altre risorse naturali e che,
sviluppando massimamente produzioni industriali di base, ha determinato i noti problemi
ambientali.
Il ruolo della pubblica amministrazione nel campo della tutela ambientale si dispiega
trasversalmente nei vari campi di attività: è necessario promuovere il massimo coordinamento
fra tutti i settori d'intervento suscettibili di incidere sull'assetto territoriale ed ambientale che
possono essere a loro volta influenzati dallo stato dell'ambiente. Risulta pertanto fondamentale il
ruolo della Regione nel garantire un'adeguata programmazione di tutti i settori coinvolti che
possa garantire il giusto equilibrio tra le esigenze dell'ambiente e quelle dello sviluppo sociale ed
economico.
Una corretta politica ambientale non potrà quindi prescindere da un approccio sistemico per il
raggiungimento dell'obiettivo fondamentale del trattato dell'Unione Europea di sostenibilità per
lo sviluppo ovvero di "una crescita sociale ed economica che non comprometta l'integrità degli
ecosistemi e la loro capacità di soddisfare i bisogni delle generazioni future e che sia basata su
uno sfruttamento razionale delle risorse naturali, soprattutto di quelle non rinnovabili".
Sono di riferimento il documento "Sesto programma comunitario di azione in materia di
ambiente", adottato con Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del
22 luglio 2002 e quello relativo alla "Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in
Italia", approvato dal CIPE il 2 agosto 2002.
Per quanto attiene al controllo ambientale ed alla riduzione dell'inquinamento, non si potrà
prescindere dall'utilizzo di indicatori e delle procedure di controllo. Gli andamenti forniti dagli
indicatori consentiranno di orientare le scelte dei decisori e le priorità di intervento.
La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è una procedura di controllo fondamentale:
rappresenta il punto di sintesi di una concezione globale della politica ambientale e,
conseguentemente, della pianificazione territoriale. Essa analizza progetti di una certa rilevanza
con riferimento alla loro incidenza sul contesto regionale e, in alcuni casi, interregionale o
transnazionale.
La Regione del Veneto, con l.r. 10/1999, si è dotata di una propria completa ed organica
procedura per la valutazione dell'impatto ambientale in conformità alle disposizioni comunitarie
e nazionali. Tale procedura permette di assumere decisioni amministrative su basi scientifiche e
interdisciplinari che assicurano il perseguimento di adeguati obiettivi di tutela della salute, di
miglioramento della qualità della vita umana e di conservazione della varietà delle specie, di
conservazione dell'equilibrio dell'ecosistema e della sua capacità di riproduzione ed infine di
garanzia della pluralità dell'uso delle risorse e della biodiversità.
La Regione intende incentivare l'attività decisionale e di controllo attraverso l'applicazione della
legislazione nazionale e regionale sulla VIA che favorisca l'individuazione e la minimizzazione
delle possibili interferenze negative sull'ambiente.
Relativamente alla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) di cui alla Direttiva Europea n.
42/2001, che prevede di introdurre una valutazione dei possibili effetti sul territorio e
sull'ambiente naturale durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente
alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura approvativa, la Regione del Veneto intende
mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per
conformarsi alle disposizioni della suddetta Direttiva Europea.
La Regione del Veneto è chiamata a perseguire la finalità dello sviluppo sostenibile, peraltro.
indicata e ribadita nel "Programma di Governo dell’VIII Legislatura 2005-2010 della Regione del
Veneto". Tra le priorità strategiche del Programma di Governo, la risorsa "ambiente" ricopre un
ruolo primario.
La Regione, nell'ottica dello sviluppo sostenibile, ha già operato sostanziali modifiche nella
propria normativa e nella pianificazione, avviando azioni infrastrutturali ed organizzative per il
recupero di situazioni ambientali negative e per la modifica dei comportamenti e della gestione
delle risorse ambientali.
È stata rivista ed aggiornata tutta la materia dei lavori pubblici di interesse regionale e per le
costruzioni in zone classificate sismiche con la legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 che ha
ridefinito i principi generali della programmazione e della realizzazione delle opere a partire dalle
procedure di progettazione fino alle modalità di approvazione ed esecuzione, collaudo e
finanziamento.
Obiettivi
La programmazione regionale individua obiettivi che, alla luce del principio di sostenibilità
ambientale, favoriscano il perseguimento del "miglioramento dello stato dell'ambiente e della
tutela e conservazione dei beni e delle risorse".
Tali obiettivi sono:
• la definizione di strategie e strumenti per il raggiungimento di uno sviluppo regionale
sostenibile con il superamento di ogni concezione settoriale del tema "ambiente";
• il miglioramento degli standard ambientali;
• il controllo ambientale continuo e fa diffusione della certificazione ambientale quale
strumento di prevenzione;
• la riduzione del livello di inquinamento e la tutela delle risorse idriche, dell'atmosfera e del
suolo e il potenziamento delle azioni già intraprese finalizzate alla prevenzione
dell'inquinamento e al disinquinamento, al recupero del territorio di aree industriali dismesse
tramite il risanamento e la bonifica dei siti contaminati;
• la riduzione del consumo di energie non rinnovabili, l'incentivazione di quelle rinnovabili e lo
sviluppo dell'innovazione basata su tecnologie in grado di produrre valore aggiunto tramite
l'adozione di processi produttivi puliti, attività immateriali e tecnologie a basso impatto
ambientale;
• la promozione e lo sviluppo dell'informazione e della formazione ambientale.
Politiche regionali per l'ambiente
Se il futuro del Veneto dipenderà dalla realizzazione di una significativa innovazione pervasiva delle attività produttive sia materiali che immateriali, la gestione dell'ambiente non potrà essere estranea a questo nuovo processo, ma dovrà rientrarvi con tutto il peso derivante dalla centralità dell'uomo e del suo habitat.
Se i processi e le tecnologie di depurazione sono stati fino ad ora gli unici strumenti per il controllo ambientale, la diffusione dei processi puliti nel territorio rappresenta nel futuro il più efficace metodo di innovazione al fine di ridurre l'impatto ambientale.
I nuovi processi hi-tech sono meno inquinanti e quindi presentano il vantaggio di migliorare la
competitività delle imprese grazie al valore aggiunto dei prodotti e di essere ecocompatibili
grazie ad un minor consumo di energia e di materia.
La qualità dell'ambiente potrà essere sicuramente migliorata puntando su politiche di sviluppo ecocompatibili, cioè su tecnologie hi-tech, la cui domanda emerge ora dal Nord-Est in maniera evidente come nei Paesi avanzati e riguarda non solo i processi puliti ma anche altre tecnologie altamente innovative come le bio-nano-info-tecnologie.
Attenzione va posta al ruolo positivo che le attività agricole possono sviluppare sul livello di qualità ambientale. Esperienze realizzate a livello regionale nell'ultimo decennio anche su larga scala, hanno dimostrato la possibilità di conseguire sensibili risultati di prevenzione dell'inquinamento, miglioramento dei livelli di tutela delle acque da nitrati e fosfati, dell'inquinamento acustico, dell'erosione e del dissesto idrogeologico, mediante l'attuazione di pratiche agricole e di interventi agroambientali da parte di imprese agricole, in particolare in ambiti sensibili.
Nella programmazione regionale l'ambiente è considerato come sistema e conseguentemente sono previsti interventi concertati da realizzare nello stesso contesto spazio-temporale. Essi riguardano l'innovazione sia sul piano delle tecnologie che su quello delle metodologie di controllo ambientale. L'introduzione della certificazione ambientale e dell'educazione ambientale come azioni di prevenzione è altresì fondamentale.
Dovranno essere considerati l’ecolabel (regolamento sulla certificazione ambientale dei prodotti), le norme ISO di riferimento per la certificazione di prodotto (serie 14040, serie 14020), il sistema di ecogestione ed audit (regolamento EMAS per la certificazione delle performance ambientali di un sito produttivo, compresa la gestione dei rifiuti) e la norma UNI EN ISO 14001.
II capitolo del controllo ambientale richiede molta attenzione sia per quanto riguarda la
legislazione che per quanto riguarda il monitoraggio. Il primo aspetto deve considerare la
revisione dei testi considerando le nuove fonti di inquinamento ed i nuovi inquinanti
recentemente messi in luce, alleggerendo peraltro il controllo di quelli storici.
Nel processo di revisione della legge Speciale per Venezia va riconsiderato il Decreto Ronchi-Costa, che attualmente non consente un efficace controllo della qualità ambientale, sia per
quanto riguarda i limiti, sia per quanto riguarda gli obiettivi di qualità, riferendosi non soltanto alla concentrazione ma anche alla biodisponibilità, alla luce delle nuove conoscenze acquisite intorno ai processi di contaminazione ambientale.
La continua evoluzione delle conoscenze in campo ambientale richiede una seria politica di aggiornamento professionale nell'ambito delle scienze ambientali in generale e delle metodologie di controllo in particolare. L'adeguamento dei laboratori di controllo alle esigenze di sofisticate analisi e valutazione dei microinquinanti nelle matrici ambientali è indispensabile per la salvaguardia e la protezione non solo dell'ambiente naturale, ma anche della salute dell'uomo. La disponibilità di dati affidabili è fondamentale per definire politiche di sostenibilità e consentirà di attuare il Rapporto annuale sullo stato dell'ambiente nel Veneto. Questa valutazione sarà utile per monitorare le ricadute dell'innovazione tecnologica e per verificare il percorso verso l'attuazione dello sviluppo sostenibile.
2.2.2 La tutela dell'ambiente L'atmosfera
L'attività regionale è rivolta alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico ed al monitoraggio della qualità dell'aria sul territorio; le azioni già intraprese, che verranno sviluppate nel prossimo futuro, riguardano la riduzione della produzione di gas serra attraverso l'incentivazione dei mezzi di produzione di energia da fonte rinnovabile nonché interventi integrati, volti alla riduzione del traffico e delle emissioni autoveicolari attraverso l'incentivazione dell'utilizzo di automobili a trazione mista: carburante-energia elettrica. I gas serra possono essere riportati ad un nuovo equilibrio in agricoltura mediante la gestione di un pompa ecologica assorbente il CO2, riducendo i costi energetici delle aziende agricole per la funzione depurante e apportando una integrazione di reddito. Accanto alle suddette attività, l'attenzione è rivolta altresì all'inquinamento acustico, luminoso ed elettromagnetico.
In riferimento alla qualità dell'aria è importante evidenziare che il rapido sviluppo della Regione del Veneto ha comportato un aumento della produzione di immissioni inquinanti in atmosfera, dovute alle specifiche attività produttive, ai trasporti, alla produzione di energia termica ed elettrica, al trattamento e smaltimento dei rifiuti e ad altre attività di servizio.
Per quanto concerne le emissioni dagli impianti industriali, con l'entrata in vigore del d.p.r. 203/1988 e dei decreti attuativi, è iniziata, intorno agli anni '90, la messa in atto di una serie di misure di controllo attraverso l'utilizzo di materie prime combustibili meno inquinanti, tecniche di produzione e combustione più pulite e l'adozione di sistemi di abbattimento. Restano aperte zone del territorio o settori che necessitano di interventi più incisivi ed un'accelerazione delle azioni di mitigazione. Queste aree, i centri urbani e le aree industriali devono essere sottoposte a monitoraggio costante per raccogliere serie storiche di dati affidabili al fine di consentire la valutazione della qualità dell'aria.
Nell'ultimo decennio si è passati da un inquinamento dell'atmosfera originato soprattutto dalle attività industriali ad un inquinamento originato in larga prevalenza dai veicoli a motore. Al di là dei provvedimenti amministrativi (ad es. restrizioni alla circolazione), le linee di intervento più importanti sono il miglioramento della tecnologia di combustione, della manutenzione e della qualità dei carburanti.
Il d.lgs. 351/1999 "Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente assegna alla Regione il compito di valutare la qualità dell'aria secondo un criterio di continuità rispetto all'elaborazione del piano di risanamento e tutela della qualità dell'aria, al fine di individuare le zone del territorio regionale a diverso grado di criticità in relazione ai valori limite previsti dalla normativa in vigore per i diversi inquinanti atmosferici.
Il risanamento e la tutela della qualità dell'aria può essere raggiunto attraverso:
• azioni di prevenzione e interventi specifici finalizzati alla mobilità sostenibile, alla
prevenzione e riduzione delle immissioni nelle città ed al controllo delle emissioni dei veicoli circolanti anche attraverso l'incentivazione dell'uso di automobili a trazione mista: carburante-energia elettrica;
• risanamento delle aree industriali soggette a particolari interventi di tutela individuate dalla
Regione del Veneto ai sensi dell'art. 4 del d.p.r. 203/1988. In dette aree, al fine di prevenire
episodi acuti ed alti livelli di inquinamento di base si dovrà adottare un Piano che garantisca
il rispetto dei valori limite;
• azioni specifiche in settori d'intervento prioritari nell'ambito del trattamento e smaltimento
dei rifiuti e della depurazione delle acque reflue ovvero: recupero e termodistruzione dei
fluidi frigoriferi e isolanti da apparecchiature dismesse, biogas dalle discariche dei rifiuti,
impianti di incenerimento di rifiuti, impianti di depurazione delle acque reflue urbane.
A livello attuativo è fondamentale il "Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell'Atmosfera"
approvato con d.c.r. 57 dell' 11 novembre 2004, a seguito dell'emanazione dei d.lgs. 351/1999 e
d.m. 60/2002. Il piano consente ('adeguamento alla normativa statale che ha profondamente
modificato le metodologie di approccio ai problemi di inquinamento atmosferico, i criteri di
vantazione dell'inquinamento ed i parametri da monitorare. Il perseguimento dell'obiettivo della
riduzione delle emissioni inquinanti passa anche attraverso una combinata azione in vari settori:
trasporti, energia, industria ed edilizia.
Per quanto riguarda l'inquinamento acustico si ricorda che la legge quadro n. 447 dei 1995
stabilisce i principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente
abitativo dall'inquinamento acustico, definendo le competenze di Stato, Regioni, Province e
Comuni.
La l.r. 21/1999, "Norme in materia di inquinamento acustico" prevede la tutela
dall'inquinamento acustico esterno su tutto il territorio regionale, fatta eccezione per le zone
agricole, a bosco, a pascolo e improduttive, qualora l'inquinamento acustico sia prodotto da
attività agricole e forestali non industriali aventi carattere temporaneo. In tal senso risulta di
basilare importanza raggiungere l'obiettivo di prevenzione, tutela e risanamento dell'ambiente
abitativo o dell'ambiente esterno dall'inquinamento acustico finalizzato a promuovere la
salvaguardia della salute pubblica e la riqualificazione ambientale.
Per il raggiungimento di tale obiettivo dovranno essere intraprese le seguenti azioni:
• predisposizione di linee guida per la pianificazione comunale di tutela e prevenzione
dall'inquinamento acustico;
• controllo di conformità dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel
rispetto delle esigenze di tutela dall'inquinamento acustico.
In ottemperanza all'art. 6 della l.r. 21/1999 la Regione del Veneto deve predisporre la redazione del Piano regionale triennale d'intervento per la bonifica dall'inquinamento acustico previsto dalla legge quadro n. 447 del 1995 come strumento regionale per determinare le priorità degli interventi da finanziare, sulla base dei piani di risanamento approvati dai Comuni e dei finanziamenti ricevuti dallo Stato, nonché la predisposizione degli gli atti tecnici di indirizzo per Comuni e Province per la redazione dei piani di zonizzazione acustica e risanamento.
In riferimento all'inquinamento elettromagnetico si ricorda che il Parlamento Italiano ha emanato nel 1998 una legge che fissa i valori massimi delle emissioni elettromagnetiche.
La l.r. 27/1993 "Prevenzione dei danni alla salute derivante dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti" prescrive che negli strumenti urbanistici generali ed attuativi, e loro varianti, devono venire evidenziati i tracciati degli elettrodotti, a cui vanno attribuite delle fasce di rispetto dai fabbricati adibiti ad abitazione o luoghi di abituale prolungata permanenza. La Giunta regionale ha provveduto ad emanare direttive per l'applicazione della legge regionale, indicando le distanze di rispetto dagli elettrodotti, per differenti valori di tensione e tipologia di linea. Su tutte le linee di trasmissione sono state individuate dall'ARPAV le situazioni critiche per i siti sensibili (scuole, asili, etc).
Esiste la necessità di rendere omogenea la normativa regionale che prevede limiti, sia di campo elettrico, molto più severi di quelli attualmente in vigore sul resto del territorio italiano, sia di quelli che le proposte di nuova normativa nazionale ipotizzano, per evitare penalizzazioni economiche e territoriali rispetto al resto del Paese.
Per quanto riguarda l'inquinamento luminoso si ricorda che quest'ultimo non solo causa danni economici e culturali, ma anche danni ecologici nel senso più tradizionale del termine. La mancanza di pianificazione e controllo sull'illuminazione pubblica e privata esterna può determinare uno spreco rilevante d'energia ed una ridotta efficienza del servizio.
L'inquinamento luminoso danneggia la percezione del cielo notturno e può inoltre nuocere all'ambiente alterando i cicli naturali.
Gli obiettivi della programmazione regionale per la riduzione ed il controllo dell'inquinamento elettromagnetico e luminoso sono:
• il controllo finalizzato a garantire che l'impatto ambientale delle sorgenti sia compatibile con
quanto previsto dalla normativa ed a verificare lo "stato" dell'ambiente rispetto
all'inquinamento elettromagnetico;
• la prevenzione e la riduzione sul territorio regionale dell'inquinamento luminoso e dei
consumi energetici da esso derivanti al fine di tutelare l'ambiente.
Azioni conseguenti che permetteranno il raggiungimento dei suddetti obiettivi dovranno essere:
• per l'inquinamento elettromagnetico, il completamento della raccolta dei dati per la
caratterizzazione delle linee elettriche al fine di individuare le situazioni sul territorio non
rispondenti ai criteri previsti dalla normativa;
• per l'inquinamento luminoso, la razionalizzazione degli impianti, pubblici e privati, finalizzata
al contenimento del consumo energetico nonché alla limitazione dell'impatto ambientale e
protezione del cielo notturno (Piano regionale per la prevenzione dell'inquinamento luminoso
previsto dalla l.r. 22/1997).
Le industrie a grandi rischi
Con il d.p.r. 175/1988 e, soprattutto, con il d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334 "Attuazione della
direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate
sostanze pericolose" sono stati introdotti nella normativa italiana i concetti di grandi rischi e di
incidenti rilevanti, individuando gli adempimenti e le misure che i gestori degli stabilimenti
assoggettati a detta normativa sono tenuti a prendere per prevenire eventi catastrofici ed a
limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente.
Il Prefetto, d'intesa con la Regione e gli Enti locali, interessati predispone il Piano di emergenza
esterno allo stabilimento e ne coordina l'attuazione.
Con legge regionale la competenza per l'istruttoria tecnica è stata delegata al Comitato Tecnico
Interregionale di Prevenzione Incendi mentre gli aspetti amministrativi competono alla Regione
od alla Provincia a seconda che sull'impianto sia applicabile (a VIA regionale o provinciale.
Punti critici dell'intero sistema rimangono i controlli sugli stabilimenti e la gestione
dell'emergenza nel caso di un incidente.
In tale settore la Regione del Veneto intende perseguire i seguenti obiettivi:
• costruire un sistema in grado di rendere accettabili sul territorio questo tipo di aziende,
aumentandone il grado di affidabilità e minimizzando gli effetti negativi sul territorio nel caso
di un evento incidentale;
• attuare una gestione corretta ed efficace delle eventuali situazioni di emergenza,
garantendo il coordinamento dei vari attori, affinchè non si abbiano duplicazioni inutili dei
ruoli e delle competenze.
Le azioni conseguenti saranno:
• il potenziamento delle strutture e del personale destinato alle verifiche;
• il controllo dell'urbanizzazione.
Gli strumenti che la Regione deve predisporre e rendere attuativi sono:
• il progetto SIMAGE, finanziato dalla Regione del Veneto nell'ambito dell'Accordo per la
Chimica a Porto Marghera, predisposto da ARPAV, per il monitoraggio in continuo del
perimetro dell'intera area industriale, destinato a verificare in tempo reale le modifiche della
qualità dell'aria tali da permettere di individuare l'accadimento di un incidente rilevante,
permettendo in tal modo di valutare istante per istante l'evolversi della situazione, fornendo
peraltro utili indicazioni ai decisori per graduare i possibili interventi di mitigazione;
• la predisposizione di atti tecnici di indirizzo per i Comuni per il controllo dell'urbanizzazione,
al fine di individuare, per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante,
requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla
destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le
opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali nel caso di insediamento di nuovi
stabilimenti, di modifiche di stabilimenti esistenti, nuovi insediamenti o infrastrutture attorno
agli stabilimenti esistenti.
I rifiuti e le bonifiche
La Regione del Veneto, in linea con la normativa nazionale ed europea, si muove nel senso dell'attuazione di una netta distinzione tra attività di smaltimento ed attività di recupero, nell'ottica prioritaria di incentivare il recupero dei rifiuti stessi, con tutte le implicazioni positive che ne derivano in termini di miglioramento della salute dell'uomo e dell'ambiente. In tal senso opera proficuamente il Piano per la gestione dei rifiuti adottato dalla Giunta che si caratterizza come uno strumento di pianificazione nel settore ambientale.
II nuovo Piano di gestione dei rifiuti urbani trova fondamento nei contenuti dell'art. 10 della l.r.
3/2000 recante "Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti" e si differenzia dal precedente
del 1988, che è ancora in vigore, sostanzialmente perché non parla esclusivamente di
"smaltimento", ma di "gestione" dei rifiuti ed inoltre perché, invece di procedere direttamente
all'individuazione dei siti puntuali assoggettabili a nuovi interventi impiantistici, affida tale
compito alla pianificazione provinciale limitandosi a dare alcune indicazioni di massima. Il punto
di forza sono la raccolta differenziata ed il recupero. In tale ottica, grande importanza rivestono
le iniziative di sensibilizzazione ed educazione rivolte alle scuole, ai responsabili di attività
produttive ed, in generale, a tutta la popolazione, attraverso campagne informative mirate a
promuovere la raccolta differenziata, il recupero e la riduzione della quantità di rifiuti prodotta.
Lo sviluppo tecnologico raggiunto attualmente dai sistemi di incenerimento con recupero di
energia è tale da garantire un'accettabile qualità delle emissioni, per cui questo sistema offre
una capacità di smaltimento molto funzionale. Il ricorso alla termovalorizzazione si impone in
modo molto serio in quanto all'attuale ritmo di conferimento il volume di discariche disponibile
per lo smaltimento di rifiuto tal quale garantisce un arco di tempo ormai limitato.
La Giunta regionale ha inoltre adottato il Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, anche
pericolosi, redatto in conformità all'art. 11 della l.r. 3/2000. La Regione, attraverso il suddetto
Piano 2000, ha affrontato il problema conoscitivo mediante l'acquisizione dei dati con la stima
della quantità e della qualità dei rifiuti prodotti in base ai cicli produttivi.
Facendo leva sulla sensibilità ambientale dell'opinione pubblica, il Piano propone di condurre il
sistema produttivo a perseguire obiettivi di maggiore tutela dell'ambiente garantendo ritorni sia
economici che di immagine alle aziende in grado di ottimizzare le proprie performances
ambientali.
In tale quadro vanno quindi considerati l’ecolabel, le norme ISO di riferimento per la
certificazione di prodotto, il sistema di ecogestione ed audit (regolamento EMAS) e la norma
UNI EN ISO 14001, Nel contesto di tale pianificazione di settore emergono iniziative dirette a
favorire la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti.
Altro intervento nevralgico è costituito dalla realizzazione e implementazione di un'adeguata rete
informativa, atta a garantire la piena disponibilità dei dati e delle informazioni ed a consentire
un miglior coordinamento delle attività di tutti gli Enti coinvolti nella tutela dell'ambiente
(Regione, ARPAV, Province, Comuni).
Sempre nell'ottica di una migliore sinergia con altre Amministrazioni, e nell'ambito della lotta
contro lo smaltimento illecito dei rifiuti, sono state già poste le basi per una cooperazione con le
autorità investigative destinate senza dubbio ad un ulteriore sviluppo nei prossimi anni.
In riferimento ai siti inquinati, a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. 915/1982, l'attività di
smaltimento dei rifiuti industriali e urbani deve seguire precise norme tecniche per la
progettazione e l'approntamento delle aree di discarica. Impianti realizzati prima di tale decreto
non hanno rispettato tali norme, motivo per cui alcuni di questi siti necessitano di interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai
quali deriva il pericolo di inquinamento.
Un'ulteriore fonte di potenziale rischio ambientale è costituita dalle aree industriali dismesse,
all'interno delle quali possono essere stati smaltiti o abbandonati rifiuti della produzione.
L'intervento di risanamento delle aree industriali dismesse in mancanza del responsabile
dell'inquinamento è problematico dal punto di vista finanziario, ma esso va comunque attuato
nell'interesse generale.
Nell'ambito della riorganizzazione determinata dall'adeguamento alle normative in materia di
rifiuti sono state delegate alle Province tutte le funzioni regionali in materia di bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all'art. 17 del d.lgs. 22/1997 ad esclusione di quelle
connesse con:
• istituzione di appositi fondi al fine di anticipare le somme per gli interventi sostitutivi;
• interventi di bonifica in siti di interesse nazionale;
• predisposizione della lista di priorità regionale dei siti contaminati da bonificare.
La I. 426/1998 "Nuovi interventi in campo ambientale" ha provveduto all'individuazione dei primi interventi di bonifica di interesse nazionale, inserendo nell'elenco, per il Veneto, il sito di Venezia-Porto Marghera. Il d.m. 468/2001 "Regolamento recante Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale" ha incrementato il numero dei siti di interesse nazionale presenti in Veneto inserendo il sito di Mardimago.
La Giunta regionale ha fornito le indicazioni per l'attivazione delle procedure semplificate per la realizzazione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale ai sensi dell'art. 13 del d.m. 471/1999 e ha adottato il Piano per la bonifica delle aree inquinate.
La Regione del Veneto intende raggiungere l'obiettivo prioritario del miglioramento e della protezione dell'attuale livello di tutela dell'ambiente mediante un'efficace attività di controlli preventivi e abilitativi tesi a perseguire e ad incentivare determinate attività finalizzate a ridurre la quantità e pericolosità dei rifiuti favorendone il riciclaggio e il recupero sotto forma di materia o energia, lasciando lo smaltimento esclusivamente come fase residuale della gestione dei rifiuti. Le azioni susseguenti da intraprendere comprendono:
• la promozione dell'informazione e della sensibilizzatone dell'utenza;
• l'uso di tecnologie pulite ed innovative, l'ammodernamento di impianti e l'adozione di nuove
proposte finalizzate alla valorizzazione energetica dei rifiuti in linea con il concetto di rifiuto
inteso come "risorsa", attuabile promuovendo ed incentivando i conferimenti separati e la
raccolta differenziata;
• la reimpostazione della progettazione e commercializzazione della produzione finalizzata alla
riduzione della formazione di rifiuti e dell'impatto ambientale;
• l'individuazione e la definizione di condizioni di appalto orientate all'utilizzo di soluzioni volte
alla prevenzione della formazione di rifiuti, alla riduzione della loro quantità e pericolosità ed
al recupero e riciclaggio delle frazioni recuperabili;
• indispensabile inoltre la definizione:
- dei criteri per l'individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione di nuovi impianti compresi quelli di smaltimento dei rifiuti speciali, nonché per l'individuazione dei luoghi e impianti adatti allo smaltimento;
- delle condizioni e dei criteri tecnici in base ai quali gli impianti per la gestione dei RU e gli impianti per la gestione dei rifiuti speciali, ad esclusione delle discariche, possono essere localizzati in aree destinate ad insediamenti produttivi;
- delle misure atte ad assicurare la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei RU;
- della tipologia e del complesso degli impianti per la gestione dei RU da realizzare nella
Regione in considerazione della gestione da attuarsi negli ATO e dell'offerta di
smaltimento e di recupero da parte del sistema produttivo; la tipologia e la quantità
degli impianti di termovalorizzazione;
- della stima dei costi delle operazioni di recupero e smaltimento;
della stima della quantità/qualità dei rifiuti prodotti in relazione ai settori produttivi e ai principali poli di produzione;
delle misure necessarie ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione, ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo 22/1997, al fine di favorire la riduzione della movimentazione dei rifiuti speciali, tenuto conto degli impianti di recupero e di smaltimento esistenti, nonché della vicinanza e dell'utilizzo di linee ferroviarie.
Fondamentale importanza riveste l'attuazione dei seguenti Piani di settore: Piano di gestione dei rifiuti urbani, Piano per la gestione dei rifiuti speciali e Piano per la bonifica dei siti inquinati.
Le attività estrattive: le cave e le miniere
La l.r. 44/1982 detta le "Norme per la disciplina dell'attività di cava" e demanda la pianificazione
del settore alla Regione ed alla Provincia mediante la redazione del Piano Regionale dell'Attività
di Cava e del Piano provinciale dell'Attività di Cava. La Regione subordina la piena vigenza della
normativa all'approvazione del Piano regionale delle Attività Estrattive, la mancata adozione del
quale ha visto, sino ad oggi, la Regione del Veneto gestire direttamente la disciplina dell'attività
di cava.
Alcuni contenuti della l.r. 44/1982 risultano però oramai obsoleti, pertanto la modificazione del
quadro normativo di riferimento, il mutamento delle esigenze imprenditoriali e, al tempo stesso,
la maturazione piena della sensibilità ambientale richiedono una revisione della legge stessa e la
contestuale predisposizione del Piano regionale delle Attività Estrattive.
La Regione del Veneto ha acquisito, a decorrere dall'1 gennaio 2001, le competenze in materia
mineraria conferite con il d.lgs. 112/1998. In tale materia esercita la potestà legislativa esclusiva
in virtù della legge costituzionale 3/2001.
L'attività di ricerca e coltivazione mineraria è tesa alla valorizzazione del patrimonio demaniale
minerario, ma interferisce con altri settori di primario interesse quali l'ambiente, il territorio, la
sicurezza.
Un fondamentale punto critico può essere individuato nella difficoltà di adeguare la normativa
statale, tuttora vigente, con l'organizzazione e le procedure regionali e nella conseguente
necessità di una ridefinizione normativa e procedurale che prenda in considerazione anche le
problematiche connesse alle attività in essere.
Obiettivi imprescindibili del settore estrattivo sono la tutela e la valorizzazione delle risorse
naturali in coerenza con gli scopi della programmazione economica e della pianificazione
territoriale, con le esigenze di salvaguardia del territorio e dell'ambiente e con le necessità di
tutela del lavoro e delle imprese.
Non minore importanza riveste inoltre l'obiettivo di tutela della salute e della sicurezza. La
funzione, benché sub-delegata alle Province con l'art. 48 della l.r. 11/2001, comporta l'esercizio
dei poteri sostitutivi ai sensi dell'art. 16 della medesima legge e necessita quindi di un'azione di
supervisione e coordinamento e di un'azione di supporto in attuazione degli impegni assunti con
le strutture provinciali competenti della sicurezza.
Relativamente alle azioni da intraprendere per il conseguimento dei suddetti obiettivi si ricorda
l'approvazione del Piano regionale per le Attività Estrattive.
L'esigenza di pervenire in brevissimo tempo ad una pianificazione delle attività di cava nel
territorio regionale si fonda, in misura determinante, sulla distribuzione areale dei materiali
disponibili, ma soprattutto sull'idoneità, per gli usi connessi con l'attività estrattiva, delle unità
geologiche interessate. Per l'elaborazione del piano in questione il riferimento fondamentale è
quello della cartografia regionale con valenza territoriale ed ambientale, nonché geologica, più
aggiornata.
Occorre definire le linee guida per una nuova normativa in materia estrattiva da sviluppare in un
tavolo di concertazione per la redazione di un Testo Unico delle leggi regionali che disciplini l'uso
di tutte le georisorse.
Le finalità sono in sintesi:
• regolamentazione di tutte le attività estrattive e non solo di quelle di cava in senso stretto e
definizione delle georisorse;
• razionalizzazione del settore estrattivo e dei minerali attraverso iniziative rivolte a favorire
rinnovazione produttiva verso un corretto impiego dei materiali estraibili e dei residui;
• ricerca e promozione di materiali sostitutivi di quelli di cava;
• criteri di regolamentazione dell'attività estrattiva a livello regionale;
• criteri di gestione delle cave, con particolare riferimento alla progettazione, alla conduzione
ed al ripristino dei siti, alla razionalizzazione dell'attività estrattiva in corso, anche attraverso
la sistemazione e/o recupero delle cave esistenti, in atto o dimesse.
La programmazione settoriale si svilupperà sulla base di indicatori territoriali ed economici derivanti dall'attività di un Osservatorio regionale permanente dei materiali estrattivi che risponda alle seguenti esigenze:
• potenziare la capacità programmatoria della Regione in materia estrattiva, garantendo un
flusso costante e dettagliato di informazioni per un efficace governo del Territorio;
• offrire all'economia della Regione un quadro certo in merito alle potenzialità produttive e
occupazionali nonché in merito alla ricerca tecnologica.
Nel settore estrattivo le azioni prioritarie possono essere cosi individuate:
• monitoraggio e razionaiizzazione del settore minerario attraverso la verifica critica della
situazione esistente, la realizzazione di un archivio informatizzato cartografico e la
ristrutturazione della banca dati esistente;
• razionaiizzazione e miglioramento della gestione amministrativa attraverso la revisione
normativa;
• individuazione, nell'ambito dei programmi nazionali di ricerca e accesso al credito per le
attività minerarie, di progetti di incentivazione congruenti con la politica mineraria regionale,
tesi a migliorare le condizioni di sicurezza ed ambientali delle attività minerarie e ad
ottimizzare la valorizzazione del giacimento;
• definizione, nell'ambito di un progetto prioritario da attuarsi di concerto con le Province ed in
collaborazione con altri Enti particolarmente qualificati, di un'azione di supervisione,
formazione, aggiornamento, consulenza, supporto tecnico-burocratico e coordinamento delle
strutture provinciali competenti in materia di sicurezza del lavoro e incolumità pubblica nelle
attività estrattive.
I beni ambientali e il paesaggio
II paesaggio, definito nella Convenzione Europea del paesaggio come "una determinata parte di
territorio cosi come è percepita dalle popolazioni il cui carattere deriva dall'azione di fattori
naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni", rappresenta una fondamentale risorsa, una
condizione imprescindibile per costruire uno sviluppo sostenibile per il territorio. Questa risorsa
necessita di protezione, pianificazione e gestione.
Una valorizzazione ed una tutela innovativa del paesaggio potranno assumere un ruolo
fondamentale nello sviluppo sostenibile della Regione.
In linea quindi con le più recenti tendenze in materia, il tema paesaggio dovrà svolgere un ruolo
strategico nelle politiche regionali.
Le azioni di ricognizione del territorio e di pianificazione paesaggistica dovranno avvenire
attraverso la partecipazione e la concertazione per poter cosi realizzare una proficua
collaborazione tra istituzioni pubbliche.
Le nuove normative ed i retativi strumenti attuativi dovranno estendere ed ampliare la linea
teorica che, superando la concezione puramente estetica del paesaggio, considera la
dimensione ecologica congiuntamente alle stratificazioni storiche, insediative e culturali di uso
del territorio.
Allo stato attuale si possono quindi sintetizzare le seguenti criticità:
• la staticità del concetto di vincolo;
• l'approccio settoriale alla pianificazione che penalizza le risorse paesaggistico - ambientali.
Insistono nel territorio veneto numerose aree definite dal PTRC come ambiti di preminente
interesse naturalistico. La legge fondamentale della Regione del Veneto sulla istituzione di
Parchi e Riserve naturali regionali è la l.r. 40/1984.
La Regione del Veneto è impegnata nei confronti dell'Unione Europea per la realizzazione ed il mantenimento della bio-diversità e la tutela dei "siti di interesse comunitario" sia attraverso la revisione della codifica e della perimetrazione dei siti della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS) sta mediante la definizione di orientamenti e di una guida metodologica per la redazione della vantazione d'incidenza qualora interventi di diversa natura possano avere significativa incidenza sui siti stessi o sulle specie prioritarie ivi presenti.
Obiettivi prioritari individuati nella programmazione regionale di settore risultano essere:
• la tutela e la valorizzazione dei valori paesaggistici ed ambientali presenti nel territorio
regionale, il superamento dell'attuale sistema vincolistico, la promozione di una nuova
sensibilità verso le politiche dell'ambiente e del paesaggio che indirizzino la pianificazione
verso criteri paesaggistico-ambientali di rispetto delle vocazioni e potenzialità di tutto il
territorio e non esclusivamente delle aree oggetto di vincolo;
• il pieno recepimento delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di tutela del
paesaggio e dei beni ambientali;
• la formazione di operatori qualificati nel settore pubblico e privato;
• la revisione della pianificazione regionale in materia di aree protette anche avviando progetti
sperimentali che potranno consentire il superamento dell'attuale sistema vincolistico alla luce
di orientamenti che considerino il bene ambientale come "risorsa". Per quanto riguarda i
parchi regionali già istituiti si dovranno completare le opere già in corso e prevedere nuovi
interventi di sistemazione, ricomposizione ambientale e valorizzazione dei siti, da attuare con
fondi regionali e comunitari;
• garantire l'informazione su SIC e ZPS e prevedere azioni di tutela e conservazione dei siti
"Rete Natura 2000" interessati da interventi di trasformazione del territorio e delle risorse
naturali.
Il livello attuativo della programmazione regionale prevede quindi:
• la predisposizione e la redazione, d'intesa con il Ministero per i Beni e le attività culturali e gli
Enti locali interessati, di studi e progetti-pilota finalizzati alla formulazione di linee guida, per
la salvaguardia e la valorizzazione dei valori paesaggistici ed ambientali presenti in ambiti
territoriali regionali di particolare interesse;
• l'adozione, per tutte le aree naturali protette, di opportune misure per evitare il degrado
degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le
zone sono state designate che implichino, se necessario, appropriati piani di gestione od
integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o
contrattuali.
2.2.3 La tutela delle acque e il Servizio idrico integrato
II Veneto è una delle regioni italiane più ricche di acqua: falde freatiche dell'alta pianura e falde confinate della media e bassa pianura, acque correnti, laghi e acque di transizione tra acque dolci e acque salate, mare. Le falde acquifere sotterranee della Regione costituiscono una delle riserve idriche più importanti d'Europa, per potenzialità e qualità.
È possibile delineare le principali criticità secondo il seguente schema:
acque sotterranee, abbassamento delle falde freatiche, depressurizzazione delle falde
profonde, modificazioni dell'idrodinamica delle falde, riduzione della fascia delle risorgive,
inquinamento puntuale e diffuso, vulnerabilità, interconnessione tra falde;
acque superficiali: diminuzione delle portate delle acque correnti, mantenimento del deflusso
minimo vitale: modificazione delle relazioni tra acque superficiali e falde freatiche,
inquinamento diffuso e puntuale, modificazioni della capacità autodepurativa;
sorgenti: diminuzione delle portate, inquinamento diffuso e puntuale, vulnerabilità;
mare: qualità ambientale e qualità delle acque di balneazione, in particolare in
corrispondenza delle aree soggette all'influenza delle foci dei grandi fiumi alpini, quali l'Adige
e il Brenta.
L'attività della Regione nel settore della tutela delle acque è volta alla protezione delle risorse idriche nel loro complesso. La tutela ha quale punto di riferimento lo stato ambientale dei corpi idrici: i Piani Regionali di monitoraggio quali-quantitativi delle acque, finalizzati alla conoscenza di base, al costante controllo ed alla verifica dei risultati delle azioni di risanamento e di contenimento degli impatti antropici sui corpi idrici sono relativi a:
• acque sotterranee;
• acque superficiali;
• acque minerali e termali.
Il Piano Regionale di Risanamento delle Acque (PRRA) è lo strumento di pianificazione della
Regione del Veneto degli interventi di tutela delle acque, di differenziazione e ottimizzazione dei
gradi di protezione del territorio, di prevenzione dei rischi da inquinamento, di individuazione dei
principali schemi fognari e depurativi. Si pone quali obiettivi il miglioramento dell'ecosistema
idrico interno alla Regione e dell'alto Adriatico ed il raggiungimento del massimo grado di
protezione delle risorse idriche, compatibili con lo stato di fatto infrastrutturale e con le
previsioni di sviluppo.
Gli interventi: i programmi di finanziamento predisposti dalla Regione sono finalizzati alla
completa attuazione degli schemi fognari e depurativi previsti nel PRRA e non ancora
completati.
Il PRRA prospetta un bilancio idrico regionale in vista della razionalizzazione dell'uso e degli
approvvigionamenti dell'acqua in rapporto anche alla qualità della stessa.
Per quanto riguarda il settore acquedottistico, la Regione ha avviato la realizzazione dello
Schema del Veneto Centrale contenuto nel Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto che
prevede opere di interconnessione delle strutture acquedottistiche di quattro ambiti territoriali
ottimali, finalizzate a garantire un sistema territoriale affidabile ed efficiente di
approvvigionamento idrico che possa avvalersi di fonti di qualità garantita. Tale sistema
consentirà due fondamentali benefici: un rilevante risparmio energetico nonché un notevole
valore aggiunto ambientale grazie alla razionalizzazione dei prelievi idrici.
Un'elevata percentuale delle reti fognarie e degli impianti pubblici di depurazione deve essere
adeguata a quanto disposto dalle direttive comunitarie in materia, come recepite dal d.lgs. n.
152/1999.
Con l.r. 5/1998, "Disposizioni in materia di risorse idriche, istituzione del servizio idrico integrato
ed individuazione degli ambiti territoriali ottimali, in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n.
36" la Regione del Veneto ha introdotto la disciplina del Ciclo integrato dell'acqua, inteso quale
insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione, distribuzione ed erogazione di acqua ad usi
civili, di fognatura e di depurazione e rigenerazione delle acque reflue.
La legge ha individuato otto ambiti territoriali ottimali all'interno dei quali i servizi idrici dovranno
essere riorganizzati in modo integrato ed unitario, perseguendo l'obiettivo di una gestione
improntata a criteri di efficienza, efficacia ed economicità. La Regione è impegnata nell'attività di
coordinamento e indirizzo dei compiti di programmazione e di pianificazione che la vigente
normativa riserva alle Autorità d'Ambito. Le predette Autorità sono chiamate a predisporre i
piani d'ambito, che definiranno il nuovo assetto strutturale e gestionale del "Servizio idrico
integrato". Nelle more, le Autorità d'Ambito, con il coordinamento ed il supporto della Regione,
hanno predisposto i piani stralcio del piano d'ambito di cui all'articolo 141, comma 4 della legge
n. 388 del 2000, ove sono stati individuati gli interventi urgenti in materia di fognatura e
depurazione al fine dell'adeguamento agli obblighi comunitari in materia.
La Giunta regionale ha attivato la procedura di definizione di una proposta di Intesa Istituzionale
di Programma fra Regione del Veneto e Governo ai sensi della legge n. 662 del 1996. A seguito
dei tavoli di confronto e di discussione, si è addivenuti alla sottoscrizione di un Accordo di
Programma Quadro (APQ n. 2), in materia di Ciclo integrato dell'Acqua.
Sulle acque minerali e termali si ricorda che, per tali acque, l'estrazione è
regolamentata dalla l.r. 40/1989.
La Regione è autorità competente per il rilascio di permessi di ricerca e concessioni, nonché per
il controllo dell'attività mineraria ed inoltre autorizza l'apertura e l'esercizio degli stabilimento
termali e degli stabilimenti di imbottigliamento controllandone il regolare funzionamento.
Il corretto utilizzo delle acque minerali e termali, viste anche le numerose concessioni rilasciate
sul territorio regionale e i numerosi permessi di ricerca in atto, comporta la necessità di una
programmazione regionale, basata su conoscenze approfondite dell'idrogeologia delle falde
profonde mineralizzate.
Nel settore tutela acque e ciclo idrico integrato la Regione del Veneto intende perseguire i seguenti obiettivi:
• prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici;
• conseguire il miglioramento dello stato delle acque e proteggere quelle destinate ad usi
particolari (primo di tutto l'uso potabile);
• favorire il riutilizzo delle acque.
Le azioni che conseguentemente devono essere intraprese sono:
• ampliare il campo d'applicazione delle azioni di protezione a tutte le acque, sia superficiali
che sotterranee, siano esse o meno utilizzate per scopi particolari;
• entro l'anno 2016 raggiungere e mantenere nel tempo la condizione di qualità definita dalla
normativa come "buona";
• attivare e gestire un sistema integrato di controllo e monitoraggio regionale quali-
quantitativo delle acque superficiali e sotterranee;
• pervenire ad una gestione complessiva delle acque basata sulla approfondita conoscenza dei
bacini fluviali e idrogeologici;
• pervenire ad una semplificazione e ad un accorpamento della normativa in materia;
• promuovere e accelerare la riorganizzazione del "Servizio idrico integrato" relativo all'ambito
idropotabile e fognario-depurativo e l'adozione dei piani d'ambito, che consentiranno di
definire una tariffa unica per il "Servizio idrico integrato" idonea a compensare tutti i costi di
gestione e di investimento, con inevitabile allineamento ai costi europei o di altre città
italiane;
• risolvere il problema della fornitura di acqua potabile a quattro ambiti territoriali ottimali
(Bacchiglione, Brenta, Laguna di Venezia e Polesine) mediante l'esecuzione delle opere
previste dallo Schema acquedottistico del Veneto Centrale;
• perseguire il completo adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione, sia per
garantire l'efficienza, efficacia ed economicità della gestione del servizio idrico, sia per assolvere precisi obblighi comunitari.
Gli strumenti che permetteranno il raggiungimento degli obiettivi tramite le relative azioni sono:
• il Piano di Tutela delle Acque, adottato con d.g.r. n. 4453 del 29 dicembre 2004 ed
elaborato sulla base degli strumenti di programmazione regionale in materia di acque, quali:
- il PRRA, in particolare con il "Piano direttore per il disinquinamento della Laguna di Venezia" ed il "Piano direttore per il risanamento della parte a monte del bacino Fratta -Gorzone" (d.g.r. 3734 del 20 dicembre 2002);
- il "Modello Strutturale degli Acquedotti" e la parte del Progetto integrato Fusina relativamente al riutilizzo industriale degli scarichi, che consente di liberalizzare una importante disponibilità di acqua da destinare a usi idropotabili all'interno dello Schema acquedottistico del Veneto Centrale;
• l'adeguamento del PURT- Piano per l'Utilizzazione della Risorsa Termale - in relazione alle
mutate realtà territoriali ed alle innovative tecniche di perforazione ed estrazione della
risorsa mineraria;
• la revisione della l.r. 40/1989 "Disciplina della ricerca, coltivazione ed utilizzo delle acque
minerali e termali", con l'integrazione della disciplina delle acque di sorgente e delle risorse
geotermiche in applicazione del d.igs. 152/1999;
• la revisione della designazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, per quanto
attiene le aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di
risanamento, in attuazione della direttiva nitrati 91/676/CEE, delle zone vulnerabili da
prodotti filosanitarif delle aree di salvaguardia delle risorse idropotabili e delle aree sensibili;
• l'incentivazione della cooperazione con gli altri Paesi comunitari, per gli scambi delle
reciproche conoscenze ed esperienze, anche in funzione del recepimento delle direttive
comunitarie in materia di acque.
I progetti speciali: "Piano Direttore 2000" per la laguna di Venezia
I fondi messi a disposizione dalla legge speciale per Venezia dal 1984 ad oggi costituiscono
un'imponente massa di finanziamenti che hanno consentito di avviare concretamente una
radicale azione di disinquinamento e risanamento della laguna.
La programmazione di settore è oggi costituita dal "Piano per la prevenzione dell'inquinamento e
il risanamento delle acque del bacino idrografico immediatamente sversante nella Laguna di
Venezia", meglio noto come "Piano Direttore 2000".
Gli obiettivi fissati dal Piano Direttore 2000 mirano al raggiungimento dei seguenti risultati
fondamentali:
a) ridurre l'apporto annuo di sostanze nutrienti a livelli tali da evitare il rischio di crisi ambientali
e da garantire uno stato mesotrofico della laguna, il che significa l'abbattimento dei carichi
di nutrienti sversati in laguna;
b) ridurre le concentrazioni e attuare controlli attraverso il monitoraggio dei microinquinanti
nell'acqua e nei sedimenti entro limiti di assoluta sicurezza per il consumo alimentare di
pesci, crostacei e molluschi della Laguna;
c) garantire che la qualità dell'acqua per i corsi d'acqua del Bacino Scolante sia compatibile con l'uso irriguo e con la vita dei pesci, sia attraverso il controllo indiretto delle quantità di nutrienti scaricate, sia attraverso l'adozione delle migliori tecnologie disponibili di disinquinamento.
Tali obiettivi saranno raggiunti attraverso strategie improntate su quattro diversi livelli di azione:
• prevenzione;
• riduzione;
• autodepurazione;
• diversione dalla laguna dei flussi idrici superficiali contenenti carichi inquinanti.
Gli interventi previsti dal Piano Direttore 2000 sono in sinergia, nella zona industriale di Porto Marghera, con quanto previsto dall' "Accordo di Programma per la Chimica di Porto Marghera", sottoscritto nel 1998 e successivamente approvato con d.p.c.m. 12 febbraio 1999. Gli obiettivi che l’Accordo si propone, in linea con le previsioni della "Variante urbanistica per Porto Marghera”, sono:
• risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica o messa in
sicurezza dei siti, di riduzione delle immissioni in atmosfera e delle immissioni in laguna e di
prevenzione dei rischi di incidente rilevante;
• indurre adeguati investimenti industriali, per dotare gli impianti esistenti delle migliori
tecnologie ambientali e di processo e renderli concorrenziali sul piano europeo,
garantendone l'economicità nel tempo;
• operare per il mantenimento, il rilancio e la qualificazione dell'occupazione.
Per il raggiungimento degli obiettivi proposti si prevedono una serie di interventi che riguardano
sia azioni di risanamento e tutela dell'ambiente, sia investimenti di ristrutturazione e
ottimizzazione dei processi produttivi mirando comunque alla salvaguardia deil'occupazione.
Va peraltro evidenziata la priorità assegnata alla riduzione dei rischi, sia di tipo ambientale che
di tipo igienico-sanitario per la popolazione.
A questi obiettivi si affiancherà una seconda fase programmatica di rilancio e di riconversione
dell'intera area produttiva.
Obiettivi di questa seconda fase di programmazione saranno:
• un mantenimento delle produzioni chimiche con un'evoluzione verso prodotti più ricchi e con
l'uso di tecnologie più avanzate e necessariamente più pulite, nella consapevolezza che
Marghera, per i suoi stretti collegamenti con gli altri poli chimici del nord (Ravenna, Ferrara,
Mantova), è essenziale per mantenere nel nostro Paese il settore chimico orientato alla
chimica fine secondaria;
• una crescita della portualità e della logistica con sviluppo del porto commerciale e
passeggeri, da perseguire portando a soluzione alcuni nodi infrastrutturaii come il Passante
di Mestre, la metropolitana leggera di superficie ed il riassetto ferroviario;
• la messa a disposizione di aree pregiate che consentano la localizzazione di aziende da tutto
il Nord-Est - saturo - che potrebbero usare efficacemente le dotazioni infrastrutturali
eccezionali del polo.
Nel dicembre del 2000 è stato siglato l'Accordo Integrativo all'Accordo di Programma per la Chimica di Porto Marghera, che prevede, tra l'altro, l'elaborazione e l'approvazione di un "Master Pian" che individui e cadenzi, con il vincolo delle esigenze di mantenimento e sviluppo delle attività produttive e di tutela ambientale e sanitaria, gli interventi nonché fé priorità ed i tempi delle iniziative da assumere nel sito per attuare le scelte strategiche dell'Accordo medesimo.
Dovranno essere intraprese iniziative volte a garantire un sempre più efficace coordinamento tra tutti i soggetti le cui competenze ricomprendono, a vari livelli, la salvaguardia di Venezia.
È necessaria l'istituzione di un'unica Autorità di Bacino responsabile della gestione di tutte le problematiche ambientali riguardanti la Laguna ed il suo bacino scolante, una vera e propria Autorità di Governo che:
• sia costituita in maniera paritetica tra Amministrazioni statali e Amministrazioni locali
(Regione, Provincia, Comune di Venezia e altri Comuni interessati);
• sia composta da un Comitato Istituzionale (corrispondente all'attuale Comitatone) ed un
Comitato Tecnico di supporto;
• rediga un Piano di Bacino costituito dai seguenti tre capitoli fondamentali:
- salvaguardia fisica (difesa dalle acque alte), di competenza statale;
- salvaguardia ambientale, di competenza regionale;
- rivitalizzazione socio-economica, di competenza dei Comuni interessati;
• effettui il monitoraggio delle attività dei tre soggetti istituzionali (Stato, Regione, Comuni)
competenti per la realizzazione dei rispettivi interventi.
Le attività previste per il futuro riguarderanno, in primo luogo, l'aggiornamento del Piano Direttore 2000 e la prosecuzione dell'azione volta al disinquinamento delle acque.
Dalla pianificazione e dai risultati del monitoraggio proverranno le indicazioni che indirizzeranno sia le attività di analisi critica durante l'esame istruttorio dei progetti, che la predisposizione dei programmi finanziari degli interventi per il disinquinamento. Parallelamente, saranno completate le iniziative educative e di divulgazione sulle tematiche qui considerate, già intraprese.
La Regione del Veneto ha redatto un progetto prioritario denominato "Progetto Integrato Fusina" che prevede la realizzazione di un complesso ed avanzato sistema centralizzato di depurazione degli scarichi idoneo a trattare, oltre agli scarichi di origine civile provenienti dall'area urbana di Venezia e del comprensorio del Mirese, anche gli scarichi provenienti dalla zona industriale di Porto Marghera, intesi sia come scarichi da cicli produttivi, che come acque meteoriche e di drenaggio dai siti interessati da opere di marginamento e bonifica dell'inquinamento pregresso. Nell'Accordo per la Chimica è contenuto l'impegno da parte delle imprese a far confluire tutti gli scarichi di processo e di prima pioggia, già pretrattati, all'impianto di depurazione di Fusina, permettendone cosi il controllo e il finissaggio secondo quanto previsto dal Progetto Integrato Fusina.
Piano Direttore Fratta-Gorzone
La Giunta regionale ha avviato inoltre le attività per la redazione del "Piano direttore inerente il risanamento della parte a monte del bacino idrografico del sistema fluviale denominato Fratta-Gorzone".
Tale zona presenta un'elevata vulnerabilità ambientale dovuta alla forte permeabilità del terreno che funge da grande serbatoio di ricarica per gli acquiferi sotterranei destinati all'utilizzo idropotabile per la popolazione residente nella sottostante pianura e di alimentazione per i numerosi corsi d'acqua nelle province di Padova, Vicenza, Venezia e Verona.
La presenza in questa area, cosi delicata, di un importante polo industriale conciario ha posto numerose problematiche di carattere ambientale riguardanti, in particolare, il sistema idrogeologico ed atmosferico.
Obiettivo del Piano Direttore è quello di tracciare una strategia unitaria finalizzata al disinquinamento ed al risanamento ambientale dell'area interessata, con particolare riferimento alla gestione delle acque e dei fanghi di depurazione nonché al miglioramento della qualità dell'aria.
Il Piano, partendo da un'accurata vantazione dello stato di fatto, inclusi i problemi irrigui dell'agricoltura e la connessa attività del Consorzio irriguo di secondo grado LEB, individuerà le azioni, le modalità di attuazione e i necessari costi di investimento che gli enti interessati dovranno attuare.
2.2.4 La geologia: difesa del suolo, demanio idrico, gestione idraulica
La conoscenza di base del territorio nei vari aspetti che riguardano la sua formazione geologica,
i fenomeni evolutivi, la morfologia del terreno ed i processi in atto e, soprattutto, la "memoria
storica" degli episodi e degli eventi che hanno inciso anche in modo catastrofico sull'assetto
urbano e produttivo e sulle popolazioni, rappresenta un fattore peculiare per poter inserire nel
miglior modo gli interventi antropici dettati dalla necessità di garantire sicurezza, benessere e
lavoro alla popolazione.
La Regione del Veneto esegue e promuove studi per l'approfondimento delle conoscenze
geologiche superficiali e del sottosuolo anche sviluppando progetti di cartografia geologica e
geotematica con l'informatizzazione dei dati.
La difesa del suolo, in senso propriamente geologico, rappresenta uno dei punti maggiormente
da sviluppare anche in sintonia con le altre Regioni che sono geograficamente in rapporto con la
Regione del Veneto. Va incrementata la collaborazione con le Province per quanto riguarda gli aspetti legati alla difesa idrogeologica, con i Consorzi di Bonifica e Irrigazione e le Regioni contigue per quanto riguarda gli aspetti della difesa idraulica.
Punti critici del settore risultano essere la mancanza di una normativa regionale in materia geologica e la sovrapposizione delle competenze tra le diverse strutture regionali nel campo della difesa geologica del territorio. Fondamentale obiettivo nel settore geologico è la tutela del territorio, del suolo e del sottosuolo.
Le azioni prioritarie da intraprendere possono essere cosi individuate:
• sviluppare una collaborazione con le Province nel settore specifico della tutela del territorio;
• incrementare l'attività di studio e vigilanza;
• sviluppare banche dati geologiche e realizzare una nuova cartografia geologica e
geotematica di base;
• promuovere l'aggiornamento delle conoscenze mettendo a disposizione dell'utenza i dati
geologici anche attraverso il sito web regionale;
• concorrere, con tutte i soggetti interessati, alla predisposizione di atti di indirizzo e
disposizioni normative che vadano ad incrementare le conoscenze geologiche sul territorio
per i piani urbanistici, la progettazione, le indagini sul territorio, la pianificazione;
• sviluppare, attraverso la formazione, la sensibilità per le problematiche geologiche e
disciplinare la materia geologica con specifici articoli di legge e con atti di indirizzo per
definire gli approfondimenti degli studi e degli interventi sia nel campo della tutela geologica
del territorio, sia nel settore della pianificazione urbanistica e della progettazione delle opere
pubbliche.
Necessari strumenti attuativi sono:
• la stipula di protocolli d'intesa con le Province per lo scambio di dati geologici e lo sviluppo
delle banche dati;
• le convenzioni con dipartimenti universitari, istituti ed enti di ricerca per incrementare fa
ricerca, favorire la formazione, elevare la professionalità, soprattutto nel settore
dell'informatizzazione dei dati geologici.
Con l'attuazione del d.lgs. 112/1998 l'Amministrazione regionale ha ampliato le proprie
competenze in materia di difesa del suolo subentrando al Magistrato alle Acque nella gestione
dei grandi fiumi, quali Adige, Brenta, Piave, Livenza e Taglia mento, oltre che delle opere
marittime con esclusione della Laguna di Venezia. Ciò ha consentito sia una visione più unitaria
delle problematiche connesse, sia una semplificazione del sistema istituzionale essendosi ridotti i
soggetti interessati.
Questa nuova attribuzione di competenze ha comportato la necessità di una nuova
organizzazione delle strutture regionali che si è concretizzata con l'istituzione dei Distretti
Idrografici e di una specifica sezione del Genio Civile per le opere marittime.
Per quanto attiene la pianificazione delle attività di difesa del suolo la I. 183/1989 ha previsto la
suddivisione di tutto il territorio nazionale in "Bacini idrografici", classificati su tre livelli:
nazionali, interregionali e regionali. Al governo dei bacini idrografici, la stessa I. 183/1989, pone
le Autorità di Bacino, mentre i principali strumenti di pianificazione e programmazione sono i
Piani di Bacino che rappresentano lo strumento operativo, normativo e di vincolo finalizzati a
regolamentare le azioni nel settore della difesa del suolo.
Il Veneto è interessato da ben sette bacini di rilievo nazionale, interregionale, regionale e quindi
da sette Autorità, il che comporta una forte necessità di coordinamento e omogeneizzazione
delle loro attività.
Il Piano di Assetto Idrogeologico, introdotto dalla l. 267/1998, persegue l'obiettivo primario di
garantire al territorio del bacino un livello di sicurezza adeguato rispetto ai fenomeni di dissesto
idraulico e geologico, con la finalità della salvaguardia delle persone, della protezione degli
abitati, delle infrastrutture, dei luoghi e ambienti di pregio paesaggistico, culturale e ambientale
interessati da fenomeni di dissesto, nonché della riqualificazione e tutela delle caratteristiche e
delle risorse del territorio, Esso, in particolare, deve inserirsi in maniera organica e funzionale
nel processo di formazione dei Piani di Bacino, costituendone uno stralcio settoriale.
L'analisi delle condizioni di dissesto idraulico e geologico nel Veneto evidenzia la fragilità del
territorio nel legame tra i suoi caratteri fisici ed i fenomeni di antropizzazione a fronte
dell'aumentata domanda di sicurezza della vita umana come anche dei beni e delle relazioni
sociali che questi consentono.
Per quanto riguarda il rischio idrogeologico e le situazioni di fragilità del territorio che si
manifestano attraverso situazioni di dissesto con movimenti gravitativi, le zone interessate sono
quelle montane e collinari e relativi centri abitati, insediamenti industriali ed infrastrutture viarie.
Le aree maggiormente sensibili sono: la valle del fiume Cordevole, l'Alpago, il Cadore e
l'Ampezzano, la Val Fiorentina.
Situazioni analoghe di rischio interessano altresì la rimanente parte del territorio provinciale di
Belluno, oltre alle aree montane e collinari delle province di Vicenza e di Verona e, in provincia
di Padova, i colli Euganei.
Per quanto attiene agli aspetti idraulici i Piani di Assetto Idrogeologico evidenziano varie zone
potenzialmente interessate da allagamenti più o meno gravi, oltre alla possibilità che i grandi
fiumi siano incapaci di contenere le piene maggiori. In tal senso molta attenzione si deve
prestare al Piave e al sistema idraulico che interessa l'area metropolitana di Vicenza, nonché i
potenziali pericoli connessi al Po e all'Adige.
Un'ulteriore condizione di fragilità del territorio è dovuta allo sfruttamento della risorsa idrica
effettuata in maniera indiscriminata che porta ad un progressivo abbassamento delle falde in
maniera più sensibile nell'acquifero dell'alta pianura. Il continuo prelievo determina anche la
riduzione delle portate fluenti nei fiumi nei periodi di magra con conseguenti scompensi per
tutto l'ecosistema fluviale. Particolarmente delicata da questo punto di vista è l'area del bacino
del Piave.
Aspetto fondamentale per una corretta conduzione della rete idraulica è quello della gestione del
Demanio Idrico che, con l'attuazione dei decreti Bassanini, è stata attribuita alle Regioni.
Attraverso un attento controllo e la regolazione delle autorizzazioni e delle concessioni si può
ottenere anche una migliore gestione della rete idraulica nonché un uso razionale della risorsa
idrica con benefici complessivi per tutto il sistema.
Riguardo le coste e le opere marittime il problema della continua erosione cui è soggetta la linea
costiera veneta è rilevante. Una gran parte degli arenili è interessata da importanti fenomeni
erosivi. Tutto il litorale presenta una spiccata vulnerabilità ed un'assoluta e prioritaria necessità
di intervento.
Principali problematiche risultano essere:
• eccessivo utilizzo della risorsa suolo;
• rischio idraulico dovuto alla crescente snaturalizzazione ed irrigidimento dei corsi d'acqua,
alle conseguenze della realizzazione di opere di difesa, regimazioni, derivazioni e
infrastrutture di attraversamento;
• aree geologicamente instabili generate dal progressivo abbandono dei bacini montani e dalle
conseguenti carenze gestionali;
• eccessivo sfruttamento della risorsa idrica;
• erosione costiera determinata da fenomeni morfologici diversi, dall'attività dinamica del
mare e dei corsi d'acqua e dalle attività antropiche;
• zone montane interessate da fenomeni valanghivi determinati dalla intensificazione degli
eventi meteorici critici.
Obiettivi prioritari, che potranno essere raggiunti anche attraverso attività propedeudiche quali la raccolta, gestione e diffusione dei dati, lo studio degli elementi dell'ambiente fisico e delle
condizioni di rischio, la realizzazione di cartografie tematiche, il monitoraggio ambientale, sono i seguenti:
• salvaguardia, conservazione e razionale fruizione del territorio;
• sicurezza idrogeologica;
• sicurezza idraulica;
• difesa delle coste;
• sicurezza dai rischi di valanghe;
• disciplina delle attività estrattive nei corsi d'acqua;
• tutela quantitativa e della risorsa idrica e relativa gestione;
• tutela delle zone umide.
L'azione nel settore della difesa del suolo dovrà avere elasticità e lungimiranza tali da poter fronteggiare te ipotesi di mutamento climatico ed ideologico connesse alle teorie di "global change" attualmente in fase di messa a punto.
Le azioni prioritarie riguarderanno:
• sicurezza idrogeologica: opere di manutenzione per garantire accettabili condizioni di
sicurezza; revisione della disciplina delle attività estrattive che contribuisce alla prevenzione
del dissesto idrogeologico;
• sicurezza idraulica: definizione delle fasce fluviali e relativa regolamentazione dell'uso del
suolo con il fine di conservare e restituire al corso d'acqua il suo spazio originario;
manutenzione delle opere di difesa e degli alvei; definizione di interventi strutturali finalizzati
a garantire accettabili condizioni di vivibilità e ad evitare ricadute sull'economia di tipo
turistico; monitoraggio delle situazioni di dissesto idraulico ed idrogeologico e diffusione dei
dati relativi;
• sicurezza da mantenimento sul territorio delle imprese e delle attività agricole, sviluppo e
regia di un piano di prevenzione dei dissesti da abbandono, mediante l'incentivazione di
attività agroambientali negli ambiti territoriali più sensibili e a rischio;
• difesa delle coste e opere marittime: predisposizione ed attuazione di un progetto integrato
di difesa della costa con manutenzione, adeguamento delle opere esistenti e valorizzazione
delle località turistiche del litorale;
• sicurezza dai rischi di valanghe: aggiornamento e potenziamento, alla luce delle nuove
conoscenze nel campo dell'acquisizione e della elaborazione dei dati, del Centro
sperimentale valanghe e difesa idrogeologica di Arabba e del Centro meteorologico di Teolo;
• salvaguardia degli abitati: protezione degli abitati e delle infrastrutture con particolare
riguardo alla salvaguardia delle zone interessate dalla naturale esondazione dei corsi
d'acqua;
• disciplina delle attività estrattive: predisposizione e attuazione di un progetto integrato di
sistemazione dei corsi d'acqua con indicazione delle possibili zone di prelievo e conseguente
individuazione di zone di salvaguardia;
• tutela quantitativa della risorsa idrica e relativa gestione: definizione dei criteri e delle
priorità di tutela delle acque; definizione del bilancio idrico per bacino; individuazione di
interventi, strutturali e non, finalizzati a consentire una migliore gestione della risorsa anche
aumentandone (a disponibilità;
• tutela delle zone umide: possibilità di utilizzare le zone umide non solo come zone di pregio
ambientale, ma anche come siti adatti a temporanei allagamenti;
• moderazione delle piene: con individuazione degli interventi e loro priorità su tutto il reticolo
idrografico nonché introduzione di norme urbanistiche volte a ridurre la vulnerabilità del
territorio.
Sarà possibile perseguire gli obiettivi rendendo attuative le azioni suddette predisponendo i seguenti strumenti:
• specifici piani regionali di settore;
• programmi di intervento in relazione alle specifiche fonti di finanziamento che di volta in
volta si rendono disponibili;
• predisposizione ed emanazione di una legge regionale in materia di difesa del suolo e
gestione del demanio idrico diretta a fornire un'organica disciplina che tenga conto del
nuovo assetto organizzativo, in termini di funzioni e competenze, conseguente al
decentramento amministrativo attuato con il d.lgs. 112/1998, nonché delle innovazioni
derivanti dalla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione di cui alla legge
costituzionale 3/2001;
• approvazione di un Testo Unico, avente carattere sia conoscitivo che innovativo, con
abrogazione di norme in contrasto o semplicemente obsolete rispetto alle attuali esigenze di
regolamentazione del comparto;
• riordino delle strutture regionali competenti in materia, razionaiizzazione e ridistribuzione
delle varie funzioni amministrative fra le stesse e fra i diversi soggetti che operano sul
territorio;
• definizione dei corsi d'acqua afferenti alla rete idrografica minore ai Consorzi di Bonifica e
irrigazione che provvederanno alla relativa gestione e manutenzione al fine di rendere più
capillare sul territorio la presenza dell'amministrazione, di migliorare il servizio al cittadino e
di combattere il fenomeno dell'abusivismo;
• adozione di misure urgenti in tema di rischio idraulico e idrogeologico previste dalla legge n.
267 del 1998, cosiddetta "legge Sarno".
2.2.5 La protezione civile
Nel settore Protezione Civile le azioni della Regione sono volte a fornire un servizio di tutela e
salvaguardia alla cittadinanza al fine di prevedere, prevenire, eliminare o ridurre le cause e gli
effetti di calamità naturali o eventi catastrofici dovuti all'attività umana.
La specifica normativa regionale di settore è la l.r. 58/1984 e successive modificazioni (l.r.
17/1998). Nell'ambito del decentramento in materia di protezione civile (d.lgs. 112/1998, l.r.
11/2001) la delega di competenze in capo alle Regioni ha determinato una generale
riorganizzazione dei compiti e delle responsabilità con funzioni di coordinamento, indirizzo,
pianificazione nei confronti degli Enti locali e degli enti regionali, nonché di direzione unitaria di
emergenza e di partecipazione ai relativi interventi qualora l'emergenza interessi il territorio di
più province.
Nelle attività di Protezione Civile è opportuna una corretta informazione alla popolazione sia in
periodi di normalità, sia in situazioni di emergenza.
Requisito essenziale per l'attuazione tempestiva degli interventi di soccorso è una corretta
pianificazione di emergenza basata sulla conoscenza del territorio. L'analisi del territorio dal
punto di vista fisico, geologico-geomorfologico, idrografico, orografico ed insediativo è di
fondamentale importanza al fine della determinazione della presenza di pericoli e relativi rischi
potenziali.
Il principale obiettivo è pertanto quello della previsione e prevenzione dei rischi, il soccorso alle
popolazioni sinistrate ed ogni altra attività diretta a superare l'emergenza connessa ai danni
dovuti ad eventi calamitosi di origine naturale ed antropica.
Le azioni conseguenti dovranno essere articolate in:
• previsione;
• prevenzione;
• soccorso;
• superamento dell'emergenza;
• messa a punto di un efficiente "Sistema Regionale di Protezione Civile" articolato sul
concorso di Province e Comuni, che interagisca sinergicamente con tutte le risorse
istituzionali e sociali presenti sul territorio regionale.
Ulteriori azioni da parte della Regione dovranno essere:
• l'individuazione degli Enti locali e delle province che devono curare la predisposizione dei
"piani urgenti di emergenza per fronteggiare il rischio idraulico e idrogeologico" ai sensi del
decreto legge 11 giugno 1998, n. 180, predisponendo a tal fine specifiche direttive per la
formulazione dei piani stessi;
• l'individuazione delle modalità per l'organizzazione, la formazione nonché per l'utilizzo,
diretto o da parte degli Enti locali, delle organizzazioni e dei gruppi di volontariato di
protezione civile;
• attività di formazione di specifiche figure professionali per la gestione di situazioni di crisi e
per il coordinamento delle attività di soccorso, nonché di responsabili e capigruppo
appartenenti al volontariato di protezione civile;
• l'integrazione delle funzioni svolte rispettivamente dal Centro di Coordinamento Regionale in
Emergenza (Co.R.Em.) e dal Centro Operativo Regionale (COR), con la suddivisione del
territorio in distretti di protezione civile e antincendio boschivo, precisandone fa struttura
organizzativa e funzionale, sentite le province, le comunità montane ed i comuni interessati.
Indispensabili strumenti che permetteranno di attuare le finalità ed azioni indicate dovranno essere:
• la predisposizione di studi e piani di settore inerenti la prevenzione e riduzione dei rischi;
• la predisposizione di linee guida, schemi di piano e direttive tecniche per la redazione, da
parte degli Enti locali, dei rispettivi strumenti di pianificazione di protezione civile;
• la predisposizione ed approvazione dei Programmi regionali di previsione e prevenzione
relativi alle varie ipotesi di rischio curandone l'aggiornamento con cadenza triennale;
• la predisposizione ed approvazione del Piano Regionale di Emergenza, ai sensi della l.r.
58/1984, contenente le procedure e le modalità organizzative ed operative finalizzate ad
affrontare situazioni di emergenza, nonché gli indirizzi per la redazione dei Piani provinciali
di emergenza;
• la ricerca di accordi con società operanti sul territorio per le possibili sinergie ottenibili nelle
situazioni di emergenza.
2.3 II sistema infrastrutturale per la mobilità
La "rinnovata" centralità geo-economica dei Veneto nei rapporti tra l'UE e l'Europa dell'Est (aderente e non all'UE) e tra UE ed i Paesi della costa meridionale del Mediterraneo determina importanti conseguenze sull'economia e sul sistema dei trasporti regionale, rendendo il Veneto oggetto di crescenti flussi di scambio e transito (di persone e di cose).
Questi flussi e l'accresciuta mobilità in ambito regionale hanno evidenziato i limiti del sistema infrastrutturale regionale, ereditato senza variazioni dall'epoca precedente che condiziona la mobilità delle persone e delle merci, generando sia per le collettività che per le aziende venete aumenti dei costi di produzione rispetto alle concorrenti localizzate al di fuori dei confini regionali (sia nazionali che estere).
La necessità di risolvere le problematiche poste dalla condivisione di un territorio strutturato secondo un sistema di insediamenti produttivi e residenziali diffusi hanno indirizzato la programmazione del settore dei trasporti, fin dai Plano Regionale dei Trasporti del '90, a realizzare quelle opere che consentono la separazione, per quanto possibile, dei traffici di attraversamento d'interesse nazionale ed internazionale da quelli locali.
È necessario in ogni caso intervenire distinguendo tra strategie di lungo periodo ed emergenze di breve periodo.
Gestire la DOMANDA DI TRASPORTO, ovvero: gestire le emergenze.
La definizione di un'appropriata combinazione di politiche fiscali (per esempio, pedaggi stradali, incentivi alle aziende per favorire io sviluppo della logistica urbana nelle ore notturne) e misure amministrative (per esempio, limitazioni della circolazione dei veicoli pesanti) potrà avere un ruolo decisivo nel favorire un utilizzo più efficiente delle infrastrutture (in termini della modalità, della scelta del percorso e del tempo del viaggio) portando gli utenti ad una piena comprensione degli elevati costi sociali derivanti da un uso eccessivo del mezzo privato.
INTERVENTI DI LUNGO PERIODO: progettare il futuro sistema del trasporti regionali.
Un nuovo rapporto "territorio-trasporti": l'approccio tradizionale va rivisto promovendo lo sviluppo degli insediamenti abitativi e produttivi attorno ai grandi assi e nodi infrastrutturali e pianificando la gestione del territorio con lo specifico obiettivo di evitare un indesiderato aumento dell'esigenza di mobilità. Come prerequisito vi è la necessità di completare lo schema infrastrutturale portante del territorio attraverso la realizzazione di quelle opere che definiscono un sistema di collegamenti stradali interni alla Regione finalizzato a congiungere i nodi urbani lungo itinerari circolari, diversi rispetto ai corridoi di attraversamento l'Transpolesana", "Valdastico", etc).
IL VENETO E I CORRIDOI PAN-EUROPEI
Nel prossimo decennio l'incremento del traffico lungo la direttrice europea est-ovest sarà tale che il Corridoio V dovrà, verosimilmente, dotarsi di due passaggi, uno a nord ed uno a sud delle Alpi. In tale prospettiva, non solo è indispensabile risolvere le strozzature attualmente presenti nel tratto regionale, attraverso la realizzazione dell'alta capacità ferroviaria, dell'itinerario pedemontano veneto e del passante di Mestre, ma occorre altresì dare efficienza all'intero sistema potenziando i collegamenti verso nord in modo da raccordare il Corridoio V alla rete europea e dare continuità alla direttrice Nord-Sud incentrata sul Corridoio Adriatico. Un nuovo "sbocco " a nord dovrebbe essere quindi attuato e preventivamente studiato.
UNA RETE LOGISTICA REGIONALE EFFICIENTE
Occorre integrare i principali interporti con una rete di interesse regionale ed aprire il retroterra del porto di Venezia verso le regioni dei Centro Europa dando ulteriore impulso alla sua trasformazione in chiave commerciale. A completamento della strategia la Regione ha orientato le sue scelte verso il potenziamento del porto di Chioggia e del sistema idroviario Padano-Veneto.
RIORGANIZZARE IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE
Un efficiente ed efficace trasporto pubblico può dare un contributo deciso per migliorare la mobilità regionale, soprattutto nell'area centrale. In ciò, l'SFMR dovrà essere la struttura portante del nuovo sistema regionale di trasporto integrato. L'SFMR non sarà però sufficiente se non verrà sostenuta la rete ad Alta Capacità (che dovrebbe collegare tra toro i sistemi metropolitani e regionali europei), riorganizzato il trasporto pubblico su gomma (in modo sussidiario rispetto all'SFMR) e introdotto un sistema tariffario regionale integrato, che coinvolga tutte le modalità di trasporto, fondato sul concetto del "biglietto unico",
2.3.1 Le sfide dei prossimi anni
La relazione funzionale tra il sistema delle attività umane (struttura degli insediamenti
residenziali, produttivi, commerciali, etc.) e quello dei trasporti (tanto nelle caratteristiche
dell'offerta infrastrutturale quanto in quelle della domanda di mobilità) presenta un'evidente
complessità.
In particolare, esistono più cicli di azione e retroazione, sia tra i due sistemi sia all'interno di
ciascuno di stessi, caratterizzati da dinamiche con periodi di diversa lunghezza.
Nel breve periodo, le variazioni ricadono all'interno del sistema dei trasporti e, attraverso
l'interazione tra domanda ed offerta, conducono gli utenti a modificazioni delle scelte del modo
di trasporto, del percorso nonché del tempo di viaggio.
Nel lungo periodo, invece, si sviluppano le relazioni tra i due sistemi. Sulla struttura e sulla
dinamica del sistema delle attività umane gioca un ruolo importante, ma non esclusivo (altri
fattori - quali, ad esempio, il paniere delle preferenze individuali - hanno un peso non meno
determinante), il sistema dei trasporti, che contribuisce a definire il livello di accessibilità di ogni
area geografica attraverso un insieme di costi/opportunità che si riflettono sulle scelte di
localizzazione delle residenze e delle attività economiche. Tale tipo di legame deriva dal fatto
che:
• lo spostamento dipende dal sistema delle attività umane;
• le componenti dello stesso sono influenzate dalle caratteristiche dei servizi di trasporto
(tempi, costi, affidabilità, comfort, etc.) e queste, a loro volta, dipendono dall'offerta di
trasporto, ovvero dall'insieme delle infrastrutture e degli elementi organizzativi (regole della
circolazione, limiti di velocità, orari dei parcheggi, tariffe del tpl, etc).
Nel recente passato, ma oggi ancor più, il tema della mobilità è assurto ad uno dei principali problemi - per i cittadini, per le imprese e per le amministrazioni locali - a causa del costante succedersi di situazioni di "ingorgo stradale" nella viabilità che hanno di fatto palesato l'incidenza delle esternante negative di una mobilità critica, troppo squilibrata sul modo stradale. D'altra parte, oggi la pianificazione dei trasporti è resa ancora più complessa sia dall'aumentato numero di soggetti/istituzioni che, a vario titolo, essa coinvolge, sia dal fatto che questi attori devono muoversi dentro un quadro di competenze e di strumenti in continuo mutamento a seguito dei trasferimenti di potestà normative, di dotazioni patrimoniali e di risorse finanziarie. Da un lato, infatti, le decisioni concernenti la mobilità e le infrastrutture coinvolgono diversi livelli istituzionali (Comunità Europea, Stato, Regione, Province, Comuni) nonché le interrelazioni, sempre più importanti, con soggetti privati e differenti modalità di trasporto. Ne deriva la necessità che questa pluralità di competenze e di scale di intervento non debba tradursi in una ridondanza di indirizzi, programmi e azioni tra loro indipendenti e, ancor peggio, contraddittori.
Dall'altro lato, si tratta di trasformazioni che assegnano maggiori capacità operative alle Regioni e agli Enti locali, alle quali corrisponde una maggiore responsabilità nell'orientamento delle scelte inerenti la mobilità, sia in rapporto alla scala geografica d'intervento (all'interno dei propri
confini e in rapporto alle aree geografiche contigue), sia in relazione agli ambiti settoriali che,
direttamente o indirettamente, esplicano (assorbono) effetti sul (dal) sistema dei trasporti.
In questo senso, la responsabilità spetta alle Regioni in virtù sia della conoscenza e
partecipazione al sistema di relazioni locali, sia della capacità di relazionarsi efficacemente ed in
modo interattivo con i livelli decisionali di ordine superiore (nazionali e comunitari). Ciò
consentirebbe, ad un tempo, di conformarsi alle "grandi strategie" e di incidere nella loro
definizione in modo da renderle il più possibile aderenti alle esigenze del contesto locale.
In un contesto cosi complesso, tanto sotto l'aspetto tecnico quanto sotto il profilo istituzionale, è
indubbio che il "punto di partenza" deve essere riconosciuto negli indirizzi della politica
comunitaria dei trasporti, da attuare fino al 2010, sanciti nel Libro Bianco pubblicato nel
settembre 2001 dalla Commissione della Comunità Europea.
Questo documento programmatico ribadisce con forza la convinzione che gli obiettivi generali
dell'allargamento dei confini comunitari e del raggiungimento di una crescita sostenibile trovano
un prerequisito fondamentale nel miglioramento dell'intero sistema dei trasporti tanto sotto
l'aspetto economico, quanto sotto il profilo ambientale.
Tale finalità strategica ha come obiettivo strumentale il riequilibrio modale del sistema dei
trasporti. In particolare, l'attenzione dei decisori politici si è focalizzata sul comparto stradale e
su quello ferroviario. Il contenimento della crescita del primo e la contestuale espansione del
secondo sono, infatti, gli obiettivi operativi da realizzare entro il 2010, riportando i valori della
ripartizione modale ai livelli del 1998.
D'altra parte, l'obiettivo del riequilibrio dei modi di trasporto presuppone non solo l'attuazione,
nell'ambito della politica comune dei trasporti, di un ambizioso programma di interventi entro il
2010, ma anche l'adozione di misure coerenti in tutti gli ambiti della società che, in qualche
modo, interagiscono con il sistema di trasporto. Si tratta, in altri termini, di sviluppare una
strategia complessiva che contempli:
• una politica economica che tenga conto di quei fattori che contribuiscono all'aumento della
domanda di trasporto {in particolare i modelli di produzione "just-in-time" e di "scorte
viaggianti");
• una politica urbanistica e di gestione del territorio che eviti un indesiderato aumento
dell'esigenza di mobilità a causa di un'errata pianificazione delle distanze fra residenza e
luogo di lavoro;
• politiche e pratiche sociali e dell'istruzione che consentano una miglior modulazione dei ritmi
di lavoro e degli orari scolastici al fine di evitare il sovraffollamento delle strade;
• una politica dei trasporti urbani che favorisca la modernizzazione del servizio pubblico e la
razionalizzazione del ricorso all'autovettura privata;
• una politica fiscale e di bilancio che permetta di internalizzare realmente i costi esterni,
soprattutto quelli ambientali;
• politiche di concorrenza per garantire, soprattutto nel settore ferroviario, che l'apertura del
mercato non sia ostacolata dalle compagnie dominanti già presenti sul mercato, né si
traduca in un degrado della qualità del servizio pubblico;
• il disegno di una politica di ricerca sui trasporti in Europa per rendere più coerenti le diverse
iniziative avviate a livello comunitario, nazionale e privato.
Queste tematiche assumono un particolare rilievo in una Regione come il Veneto che evidenzia delle specifiche problematiche a causa della compresenza di fattori esterni e di ragioni peculiari proprie.
La "rinnovata" centralità geo-economica del Veneto e più in generale dell'Italia, nei rapporti tra TUE e l'Europa dell'Est (aderente e non all'UE) e tra l'UE ed i Paesi della costa meridionale del Mediterraneo, determina importanti conseguenze sull'economia e sul sistema dei trasporti regionale, rendendo il Veneto oggetto di crescenti flussi di scambio e di transito (di persone e cose). Viene cosi alla luce il ruolo critico del Veneto in relazione:
• alla realizzazione del Trans European Transport Network, dei corridoi plurimodali e delle
freeways ferroviarie;
• alla sua connotazione di "porta d'accesso" a valichi alpini di fondamentale rilevanza nei
collegamenti tra l'Italia e il Nord Europa;
• alla sua funzione, assieme al Friuli Venezia Giulia e all'Emilia Romagna, di terminale
settentrionale del Mediterraneo orientale.
In tal senso va ricordata la recente decisione n. 884/2004/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 29 aprile 2004 che modifica la decisione n. 1692/96/CE sugli orientamenti
comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti.
Dall'altro lato, il fabbisogno di mobilità espresso dalla Regione è influenzato da fattori propri che
attengono alla peculiare organizzazione del territorio fra usi alternativi (residenziale, produttivo,
turistico, etc).
In primo luogo, deve essere menzionata la tendenza ad una crescente sub-urbanizzazione,
soprattutto nella pianura centrale (che è la più popolata e dinamica sotto il profilo produttivo),
che si configura in un abbandono dei centri urbani a favore delle cinture periferiche e in
un'occupazione sempre più diffusa degli spazi rurali liberi.
In secondo luogo, va richiamata la caratterizzazione del sistema produttivo regionale che è
fondato sulla piccola media impresa organizzata in numerosissimi centri industriali con una forte
spontaneità localizzativa.
Inoltre, occorre considerare quelle zone del territorio regionale con una notevole propensione
turistica, alla quale si associa una specifica domanda di mobilità caratterizzata da forte
stagionalità.
Infine, va sottolineato che la funzione di centri di servizi (ai cittadini e alle imprese) espressa dai
capoluoghi di provincia, ma anche da alcuni altri importanti agglomerati urbani, che corrisponde
ad una richiesta di prestazioni sempre più specializzate ed evolute, genera una domanda di
accessibilità molto elevata, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto l'aspetto qualitativo.
Le conseguenze di questi processi possono essere ravvisate:
• nella trasformazione del tradizionale policentrismo, imperniato su sistemi gravitazionali a
base provinciale e sub-provinciale, in un assetto di relazioni di tipo reticolare;
• nella costituzione di una dorsale, disposta in senso Est-Ovest (parte della più vasta direttrice
che dal Friuli prosegue fino in Lombardia), comprendente le cinque città centrali venete, che
rappresenta l'elemento portante delle relazioni interne e il principale distributore di quelle
esterne, anche in senso Nord-Sud;
• nella generazione di una mobilità nell'area centrale che riflette condizioni di tipo
metropolitano.
Proprio la particolare intensità con cui si manifesta nel Veneto la compresenza di tali fattori esterni ed interni è all'origine sia delle sue potenzialità di sviluppo economico, sia delle problematiche che affliggono il sistema regionale dei trasporti.
Questa situazione ha evidenziato i limiti del sistema infrastrutturale regionale, ereditato senza variazioni dall'epoca precedente, che sconta un deficit, soprattutto in termini di confronto comunitario, che condiziona sempre di più la mobilità delle persone e delle merci, generando diseconomie per la collettività e aumenti dei costi di produzione per le aziende venete rispetto alle concorrenti localizzate al di fuori dei confini regionali (sia nazionali che estere).
2.3.2 L'analisi delle infrastrutture di trasporto
L'analisi in termini critici della situazione, passata e presente, del sistema dei trasporti del Veneto risulterebbe solo parzialmente informativa se si trascurassero alcune "condizioni generali" che, in quanto tali, caratterizzano l'Italia rispetto al contesto di riferimento più ampio rappresentato dall'Unione Europea.
Ciò appare ancor più rilevante se si considera che, nel recente passato, il quadro programmatico di riferimento, con il quale le Regioni erano chiamate a confrontarsi, si è notevolmente complicato, almeno per due ordini di motivi. Da un lato, l'autonomia regionale in materia di
trasporti ha iniziato ad incidere in maniera significativa nel processo decisionale. Dall'altro, il consolidarsi dell'Unione Europea, con l'allargamento ad Est compiutosi il 1 maggio dei 2004, ha inciso in modo rilevante sulle opportunità e sui vincoli riguardanti il settore.
Da questo punto di partenza occorre notare innanzitutto che, nell'ultimo decennio, in un quadro generale di aumento del fabbisogno di mobilità superiore alla crescita economica, l'Italia, rispetto al contesto europeo, pur manifestando un minore dinamismo economico, ha osservato un maggiore incremento della domanda di trasporto, soprattutto per quanto concerne il trasporto delle persone (i passeggeri-km sono, infatti, aumentati ad un ritmo annuo del 2,62% contro 11,95% a livello europeo, mentre la domanda merci è cresciuta del 2,84% contro il 2,69% della media europea).
A fronte della crescita sostenuta della domanda di mobilità, l'Italia non ha saputo potenziare in modo adeguato la sua dotazione d'infrastrutture, cosicché, come evidenziato dal Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, le regioni del nord scontano i pesanti costi della congestione, mentre le regioni del sud soffrono di una modesta accessibilità.
In effetti, [Italia presenta un deficit infrastrutturale nei confronti dei partner europei che appare immediatamente evidente considerando le componenti qualitativamente più rilevanti delle reti stradale e ferroviarie (ovvero le autostrade, le linee elettrificate e quelle dedicate all'Alta Capacità) e che può essere cosi sintetizzata:
• l'Italia è il Paese, assieme alla Germania {che però già dispone di una rete molto più estesa),
che nel corso degli anni Novanta ha investito meno nella costruzione di nuovi segmenti
autostradali;
• in rapporto ad un semplice indicatore di domanda potenziale, quale può essere la
popolazione, l'Italia denota una disponibilità di autostrade superiore solamente al Regno
Unito, ma inferiore anche al dato medio europeo;
• nel comparto ferroviario, pur avendo investito più di quanto non si sia fatto a livello
europeo, o in altri grandi Paesi come la Germania o il Regno Unito, ciò non di meno l'Italia
ha, per unità di domanda potenziale, una dotazione inferiore alla media europea e al dato
relativo a Francia, Germania e Spagna;
• pur essendo l'Italia tra i paesi che dispongono di una rete (o meglio di linee)
specificatamente dedicate all'Alta Capacità ferroviaria (assieme a Francia, Germania e
Spagna) è, comunque, quello con l'estensione minore.
Le infrastrutture a rete
Strada
Un giudizio di valore sulla congruità della dotazione di infrastrutture viarie del Veneto non può
prescindere da un confronto con altre situazioni territoriali e, soprattutto, da una valutazione del
loro livello qualitativo in rapporto alla domanda di mobilità.
Da entrambe queste prospettive risulta palese il ritardo infrastrutturale del Veneto. Da un'analisi
territoriale comparata il Veneto manifesta una incidenza relativa della rete stradale primaria
(autostrade e strade statali) minore sia rispetto alla Lombardia e all'Emilia, sia rispetto al dato
medio nazionale.
Inoltre, la Regione del Veneto ha una dotazione relativa di strade provinciali inferiore al valore
medio nazionale (Fonte, Conto nazionale dei trasporti, anno 2002).
Tale stato di ritardo rimane sostanzialmente confermato anche facendo riferimento ad un
indicatore relativo della dotazione infrastrutturale (estensione della rete per unità di
popolazione, quest'ultima espressiva, se pure in modo approssimativo, della domanda
potenzialmente incidente sulla rete viaria). Solamente la Lombardia presenta valori inferiori
rispetto al Veneto.
Lo stato di "emergenza" in cui si trova il Veneto è indiscutibilmente testimoniato dalle misure
della dotazione che esprimono il rapporto tra l'offerta e la domanda reale di infrastrutture.
Lo "Studio per la costruzione di una rete logistica regionale" (Regione Veneto, 2000) evidenzia come, in realtà, a causa della forte crescita della domanda di trasporto, passeggeri e merci, il sistema viario regionale sia caratterizzato da livelli di congestione (rapporto tra flusso e capacità) molto estesi in termini temporali (cioè anche in orari al di fuori dei periodi di punta giornalieri) e in termini spaziali (in molti segmenti della rete il flusso veicolare è superiore alla capacità della strada). In particolare, le situazioni più critiche appaiono:
• nell'area di Venezia/Mestre, sia nelle relazioni verso est (SS14) sia nelle relazioni verso sud
(SS 309 Romea);
• nell'area centrale, nell'ambito delle relazioni Verona-Vicenza-Padova e Padova-Monselice (SR
11 e SS 16);
• nell'area Pedemontana (SR 248, SR 307, SS 47).
Ferrovia
Anche il comparto ferroviario registra una situazione di ritardo infrastrutturale, sia rispetto ad altre realtà territoriali italiane, sia in relazione al rapporto tra offerta e domanda.
Infatti, nel primo caso occorre notare che il sistema ferroviario regionale del Veneto è penalizzato dalla presenza ancora eccessiva di linee a singolo binario e non equipaggiate elettricamente. Al riguardo è sufficiente considerare che:
• la quota della rete nazionale a doppio binario elettrificata che interessa il territorio veneto,
pari al 5,7%, è decisamente inferiore a quella del Piemonte (11,3%), della Lombardia
(11,9%) e dell'Emilia Romagna (8,7%). A ciò si deve aggiungere che il Veneto è l'unica, tra
te grandi regioni del nord, ad avere ancora segmenti di linea a doppio binario non
elettrificati;
• nel Veneto l'incidenza delle linee elettrificate sulla rete ferroviaria complessiva è inferiore sia
alla media nazionale (53,7% contro il 54,6%), sia al Piemonte (64,1%) e soprattutto alla
Lombardia (77,6%) e all'Emilia Romagna (84,9%).
Tale situazione è indubbiamente alla fonte delle principali criticità della rete ferroviaria regionale che sono ascrivibili:
• alla ormai raggiunta saturazione degli assi principali;
• alla ridotta qualità dei collegamenti con gli altri punti nevralgici del sistema di trasporto
regionale (in particolare porti, aeroporti e centri intermodali).
Un dato significativo in questo senso può essere tratto da una lettura delle simulazioni effettuate in sede di redazione del nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica per l'analisi e l'individuazione delle priorità infrastrutturali del comparto ferroviario. Tali simulazioni evidenziano come il tratto Padova-Mestre sia giunto ad un livello di saturazione prossimo alfa capacità massima e, soprattutto, come la situazione sia destinata ad aggravarsi seriamente entro il 2010 (anche nel tratto Verona-Bologna), portando al collasso II sistema ferroviario regionale.
Vie d'acqua interne
All'interno del "Sistema idroviario Padano Veneto" la rete delle vie navigabili, di IV e V classe, nel territorio regionale si sviluppa per circa 70 km per i tratti dell'Idrovia Fissero Tartaro Canal Bianco da Rovigo al Mare e per il tratto della Idrovia Po Brondolo, a cui vanno aggiunti un tratto del Po fino a Volta Grimana, i 104 km circa di Idrovia Litoranea (non tutta in Veneto) ed i 73 km di linee interne alla Laguna.
Il quadro infrastrutturale è completato da alcuni nodi che rivestono un significato importante, vuoi per essere i terminali "naturali" del sistema idroviario (Chioggia e Porto Levante), vuoi perché consentono la realizzazione di esperienze di integrazione modale pressoché uniche in Italia (l’interporto di Rovigo e il porto di Venezia).
II sistema idroviario, che si inserisce a pieno titolo nel corridoio Est-Ovest, assume rilievo nell'ambito della politica regionale dei trasporti in quanto, da un lato, esso si colloca in un ambito territoriale che ha colto solo in parte i benefici dello sviluppo economico regionale e, dall'altro, potrebbe consentire la realizzazione di una valida alternativa al trasporto stradale in un'area (la pianura padana) in cui le infrastrutture viarie hanno ormai raggiunto livelli di saturazione elevatissimi.
Tuttavia, nonostante nel 2000 si siano conclusi i lavori di armamento della foce in prossimità di Porto Levante, un'efficiente funzionalità de) sistema richiede il superamento delle strozzature ancora esistenti, dovute alle dimensioni inadeguate dei manufatti ed alle insufficienze del tirante d'acqua che riducono le condizioni di navigabilità.
Le infrastrutture nodali
Porti
II sistema portuale veneto è costituito essenzialmente dai porti di Venezia e Chioggia. Si tratta di due nodi infrastrutturali che esprimono delle considerevoli potenzialità, quali elementi focali del Corridoio Adriatico, tanto nell'offrire nuove opportunità di sviluppo al substrato produttivo dell'hinterland regionale, quanto nel contribuire ad una più efficiente e sostenibile distribuzione modale dei flussi di trasporto che incidono sul territorio veneto.
Indubbiamente, per caratteristiche infrastrutturali e dimensioni dei traffici, un ruolo di assoluto rilievo è ricoperto dal porto di Venezia, la cui area operativa è di circa 1 milione di metri quadrati e nel 2000 ha superato per la prima volta la soglia di 28 milioni di tonnellate. Oggi il porto veneziano può essere definito come una piattaforma logistica polivalente, dove trovano posto strutture adibite alla movimentazione e allo stoccaggio delle merci (comunitarie ed extracomunitarie) e servizi generali e direzionali, anche per persone, che lo fanno collocare in una posizione di eccellenza nel panorama italiano pur in presenza di profonde trasformazioni, dall'era industriale a quella commerciale, del contesto (istituzionale, territoriale ed economico) di riferimento.
Uno dei principali fattori di vantaggio dei porti di Venezia e Chioggia è il loro inserimento, quali porti marittimi, in un sistema idroviario. La possibilità di usufruire del collegamento intermodale fluvio-marittimo, con chiatte della IV classe, permette il collegamento diretto tra Venezia e Chioggia con importanti centri padani (Ferrara, Mantova e Cremona) e la realizzazione di importanti economie sia nei costi operativi sia nei costi esterni.
In quest'ottica devono essere apprezzati gli investimenti previsti dall'Autorità Portuale di Venezia, volti a potenziare le infrastrutture specializzate per i servizi di trasporto combinato strada-mare (nuovi terminal, nuove banchine, etc), nonché dell'ASPO di Chioggia che sta approntando il nuovo porto di Val da Rio finalizzato alla portualità fluvio-marittima, al traffico Ro-Ro e ai porta containers. Questi investimenti sono infatti essenziali in funzione del ruolo di terminale settentrionale del Mare Adriatico (assieme a Trieste e Ravenna) sia per la rete nazionale di cabotaggio (più in generale del trasporto marittimo di corto raggio), sia per il sistema di collegamenti feeder verso i grandi porti di trasbordo di Gioia Tauro e Taranto.
I problemi principali per lo sviluppo della portualità di Venezia e Chioggia sono collegati essenzialmente a tre importanti questioni:
• la salvaguardia ambientale della laguna;
• la profondità dei canali di accesso all'area portuale;
• le criticità nell'area mestrina delle infrastrutture terrestri di accesso (i fenomeni di
congestione della tangenziale di Mestre e la quasi saturazione della linea ferroviaria Milano-
Trieste).
Interporti
II completamento della rete logistica regionale costituisce un obiettivo prioritario nel settore della mobilità e delle infrastrutture. Una delle direttrici dell'azione regionale al riguardo concerne l'integrazione dei due principali interporti (Padova e Verona), di valenza internazionale, con una rete di interesse regionale evitando, però, di creare delle diseconomie a causa di un aumento della dispersione dei flussi sul territorio tramite una eccessiva proliferazione di terminal intemnodali, che non consentirebbe di sfruttare le considerevoli economie di scala e di rete proprie del settore.
Il Veneto, assieme all'Emilia Romagna, è una delle regioni con la più alta concentrazione di piattaforme interportuali. In effetti, accanto ai citati hub e all'interporto di Rovigo (che, in via di ultimazione, si caratterizza come esperienza innovativa realizzando l'intermodalità mare-fiume-ferro-strada), nella Regione sono ubicati altri 3 interporti di valenza regionale già operanti dal 1996 a cui si devono aggiungere il Centro Intermodale Adriatico, costituito nel 1998 e operante all'interno del porto di Venezia e l'interporto di Portogruaro in fase di realizzazione.
Da questo punto di vista occorre sottolineare che il disegno programmatico definito nel primo PGT (Ministero dei Trasporti e della Navigazione, 1986) risulta quasi concluso. Manca a tale scopo la realizzazione di un centro intermodale nell'area di Conegliano e Vittorio Veneto.
Aeroporti
II sistema aeroportuale veneto, in virtù della presenza di 3 aeroporti di livello internazionale (Treviso, Venezia e Verona) che servono il traffico commerciale, e di ulteriori 8 aeroporti minori, è caratterizzato da una densità di rete (intesa come numero complessivo di aeroporti) sufficientemente elevata (almeno nei parametri di raffronto con la media del Paese).
Da un punto di vista organizzativo, particolarmente significative sono le iniziative che mirano a valorizzare il ruolo degli aeroporti quali hub-cargo al servizio del traffico merci regionale ed extra regionale. Rilevante è, ad esempio, l'integrazione tra gli aeroporti di Treviso e Venezia, a formare il Sistema Aeroportuale Venezia, allo scopo di permettere una distribuzione razionale del traffico tra i due aeroporti con un efficace sfruttamento delle rispettive risorse.
Tuttavia, la rete regionale rivela delle debolezze strutturali che, in un contesto fortemente competitivo (soprattutto per quanto concerne il trasporto delle merci che, generalmente, riguarda produzioni ad elevato valore aggiunto), inducono gli imprenditori veneti a rivolgersi direttamente ai grandi hub internazionali. Queste sono essenzialmente da riscontrare:
• nella mancanza di collegamenti ferroviari (importante è a questo proposito la realizzazione
del SFMR);
• nel numero e nella superficie delle piste.
Inoltre, lo sviluppo del sistema aeroportuale deve fare i conti con le gravi difficoltà che affliggono la mobilità regionale (vedi nodo di Mestre), tali da rendere assolutamente incerti i tempi di accesso e da innalzare la percezione del relativo costo.
2.3.3 La domanda di trasporto
A fronte di una situazione infrastrutturale che presenta dei significativi ritardi, il Veneto ha registrato una crescita della domanda di trasporto ancora più intensa di quanto non si sia verificato in altri contesti territoriali, nazionali e non, simili per caratteristiche socioeconomiche. Tale sviluppo, rafforzando la tendenza italiana, ha riguardato in particolare la modalità stradale e quella aerea.
La domanda di trasporto delle persone
Innanzitutto, occorre notare come il Veneto rappresenti una particolarità (che può essere assimilata in ambito europeo al solo Lussemburgo oltre che ad altre parti del territorio italiano quali il resto del Nord Est, la Lombardia ed il Centro Italia) in termini di confronto tra densità residenziale e tasso di possesso dell'auto. In effetti, pur essendo un territorio caratterizzato da una densità della popolazione intermedia, presenta tra i più elevati tassi di possesso dell'auto.
Nella Regione il numero di autovetture per 1.000 abitanti ha ormai raggiunto quota 586 nel 2002, rispetto alla media italiana pari a 588. Inoltre, questa connotazione, particolarmente evidente proprio nelle aree più produttive del Veneto (Verona, Vicenza, Treviso e Padova), tende a diffondersi rapidamente su tutto il territorio regionale (nel 2002 si registrano infatti 613 autovetture per 1000 abitanti a Verona, 608 a Treviso, 604 a Vicenza e 597 a Padova, valori questi ultimi tutti al di sopra della media nazionale).
L'elevato tasso di possesso dell'auto trova un riscontro esplicativo nell'andamento del traffico di veicoli leggeri sulla rete autostradale regionale che, nel triennio 2000-2003, ha registrato un tasso medio di crescita annuale dei veicoli-km1 superiore a quello osservato sull'insieme della rete italiana (3,7% nel Veneto e 3,4% in Italia). Ancora una volta poi, emerge l'importanza dei collegamenti che servono le aree più dinamiche della Regione (la Padova-Brescia, la Valdastico e la Mestre-Belluno).
A fare da contraltare a questa accentuata manifestazione della "cultura dell'auto" vi è la situazione di difficoltà in cui, ormai da alcuni anni, si trova il trasporto pubblico regionale su gomma (soprattutto nei servizi extraurbani), ma anche su ferro.
Sul versante del TPL su gomma, il Veneto è, infatti, caratterizzato da una propensione all'utilizzo del mezzo pubblico inferiore a quella media italiana e, soprattutto, in controtendenza rispetto a questa (alla riduzione della domanda nel Veneto si contrappone la crescita a livello italiano). Come detto, tale situazione è da imputare, quasi esclusivamente, al ridimensionamento della domanda per i servizi extraurbani che ha riguardato quasi tutto il territorio regionale con le sole eccezioni delle province di Padova e Rovigo.
Sul versante del trasporto ferroviario, occorre sottolineare che la razionalizzazione dei servizi degli anni Novanta nel Veneto è stata applicata in modo meno accentuato, anche rispetto ai contesti territoriali più simili sotto il profilo economico.
La maggiore sofferenza del trasporto ferroviario si riscontra nei servizi interregionali, mentre più contenuta è la riduzione della domanda sulle tratte di interesse regionale. In questo contesto generale vanno però menzionate alcune eccezioni, sia nei traffici regionali (Trento - Venezia, Ponte della Alpi - Conegliano, Bassano - Padova/Venezia), sia in quelli interregionali (Brennero - Bologna).
Infine, una considerazione a parte deve avere il trasporto aereo, data la sua attitudine a servire segmenti di mercato della domanda di trasporto che sono correlati, per lo più, ai flussi turistici. In un contesto nazionale di crescita molto sostenuta del trasporto aereo, nel quadriennio 1998-2001, il traffico di passeggeri negli aeroporti veneti è cresciuto ad un ritmo decisamente superiore alla media nazionale (la variazione è stata pari al 27% contro il 16,8%). In tale contesto, è significativo notare che, se l'aeroporto di Venezia continua a svolgere una funzione di hub regionale, la maggiore crescita si è registrata negli altri due aeroporti di livello internazionale (Treviso e, soprattutto, Verona).
La domanda di trasporto merci e la logistica
Nel quinquennio 1995-1999 la crescita della domanda di trasporto di merci, in tutte le dimensioni spaziali (con la sola eccezione dei flussi di esportazione), è risultata maggiore nel Veneto rispetto a quanto è accaduto nel complesso in Italia.
Per veicoli-km si intendono i chilometri complessivamente percorsi dalle autovetture entrate in autostrada.
In modo particolare, la domanda interna (ossia quella dentro i confini nazionali) è aumentata ad
un ritmo annuo superiore al 4% a fronte di una sostanziale stabilità a livello nazionale, cosicché
la quota di domanda generata e attratta dalla nostra Regione ha ormai superato la soglia del
17% del movimento interno italiano di merci.
Diversamente da quanto è accaduto complessivamente in Italia, questo aumento degli scambi
commerciali ha riguardato, soprattutto, la modalità stradale, determinando un ulteriore aggravio
del già pesante squilibrio modale.
Per quanto riguarda le relazioni con l'estero, i dati sugli scambi in quantità, relativi allo stesso
periodo, consentono di apprezzare, innanzitutto, la tradizionale capacità dell'economia veneta di
esportare produzioni ad elevato valore aggiunto, caratterizzate da un alto rapporto
prezzo/quantità. Ciò risulta evidente se si considera che nel Veneto la dinamica degli scambi
misurati in termini fisici è inferiore a quella delle transazioni in valore, mentre l'inverso accade
considerando l'Italia nel complesso.
Un secondo elemento significativo appare manifesto analizzando la dinamica della distribuzione
geografica dei flussi da e per l'estero. Emerge, infatti, come i mercati europei, soprattutto quelli
dell'Europa Orientale, stiano acquisendo una crescente importanza, non solo per il Veneto, ma
anche per l'Italia.
Sono evidenti le implicazioni che ne derivano, in prospettiva, per il Veneto, essendo questa
Regione una via d'accesso obbligata per i collegamenti con l'est europeo e luogo di transito
importante verso il valico alpino (Brennero) che indubbiamente riveste un ruolo fondamentale
nel sistema di relazioni tra [Italia e la Comunità Europea.
La trasformazione logistica della Regione
Gli anni Novanta, soprattutto nella seconda metà, hanno visto il Veneto svolgere un ruolo
rilevante, rispetto al contesto nazionale, nel settore dell'organizzazione logistica del trasporto
delle merci. In particolare, due sembrano essere gli elementi portanti: da un lato, l'affermarsi
definitivo e il consolidarsi degli interporti di Verona e Padova e, dall'altro lato, la "rivoluzione
commerciale" del porto di Venezia.
I due interporti si sono definitivamente affermati quali nodi fondamentali del sistema nazionale
dei trasporti intermodali, inserendosi nel sistema di relazioni che collega il Nord Europa con il
Mediterraneo.
Con una dinamica di continua e sostenuta crescita (entrambi hanno osservato performance
migliori rispetto a quanto è accaduto a livello nazionale) i due centri hanno dato corpo ad un
sistema regionale capace di offrire agli operatori della logistica un insieme di servizi ben distinti
ma complementari.
Da un lato Padova, il cui traffico, in termini di tonnellate, è aumentato ad un tasso medio annuo
superiore al 20% nel periodo 1995-2000, perseguendo la specializzazione nel trasporto dei
contenitori ha trovato le ragioni del suo successo nella capacità di rispondere alla domanda di
servizi di logistica integrata dei distretti produttivi regionali offrendo una rete di collegamenti
con i nodi portuali dell'Alto Tirreno (ma anche con Trieste) e del Norhern Range.
Dall'altro lato, il Quadrante Europa, il cui traffico, in termini di tonnellate, è aumentato ad un
tasso medio annuo prossimo al 8% nel periodo 1995-2000, privilegiando le tecnologie
intermodali basate sull'impiego di casse mobili, semirimorchi e rimorchi, ha assecondato la
vocazione internazionale dell'economia regionale, ma anche di alcune aree produttive dell'Italia
meridionale, offrendo una rete di fitti collegamenti con altre strutture logistiche estere (quasi
esclusivamente nel Nord Europa).
Occorre, infine, sottolineare che un importante contributo sulla via del completamento della rete
regionale dei trasporti intermodali dovrebbe ricavarsi dall'entrata in esercizio dell'interporto di
Rovigo. La specializzazione plurimodale gomma, ferro e acqua, esperienza unica nel suo genere
in Italia, dovrebbe consentire al nodo interportuale rodigino di inserirsi negli scambi commerciali
che, partendo dal Mediterraneo meridionale, sono diretti verso l'Austria e i Paesi dell'Europa
orientale.
In ciò si innestano le potenzialità dell'infrastruttura di porsi come un ulteriore motore per lo
sviluppo della bassa pianura veneta in un contesto di sostenibilità, dati i cospicui vantaggi, in
termini di economicità e tutela dell'ambiente, che la navigazione fluvio-marittima è in grado di
assicurare.
Il secondo elemento chiave dello sviluppo della rete logistica regionale deve essere ravvisato
nella trasformazione subita dal porto di Venezia, il porto è stato oggetto negli ultimi trent'anni di
una profonda riorganizzazione strutturale che, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta,
ha visto il definitivo affermarsi delle attività commerciali.
Questo mutamento sottintende un diverso ruolo per il porto veneziano: da nodo infrastrutturale
adibito alta trasformazione industriale delle materie prime necessarie ad alimentare il sistema
economico regionale, esso sta diventando sempre più una porta di accesso ai mercati esteri
delle produzioni ad elevato valore aggiunto dell'hinterland regionale.
Si tratta di un cambiamento che trova riscontro, da un lato, nel fatto che, nell'ambito del traffico
commerciale, la componente che ha registrato la maggiore crescita è senz'altro quella dei traffici
specializzati (container e, soprattutto, Ro-Ro), la cui incidenza sul totale commerciale è quasi
raddoppiata in soli 5 anni in virtù di uno sviluppo che ha visto quasi triplicare i volumi
movimentati.
Dall'altro lato, a supporto della nuova veste logistica, deve essere sottolineata la capacità del
porto di Venezia di inserirsi nei grandi circuiti internazionali del trasporto di containers,
sviluppando il servizio feeder verso i maggiori hub portuali del Mediterraneo (significativa è stata
da questo punto di vista l'entrata in gioco del "porto di trasbordo" di Gioia Tauro).
Sotto quest'ultimo profilo, deve però essere osservato che il sistema di trasporto terrestre di
accesso al porto non appare ancora inserito in un contesto di rete (solo una percentuale
prossima al 10% dei contenitori movimentati, entra/esce nel/dal porto per via ferroviaria). Ciò è
essenzialmente dovuto sia ai problemi infrastrutturali ed organizzativi che affliggono le FS
S.p.A., sia alla dimensione regionale dell'hinterland, tale da non consentire un utilizzo efficiente
della modalità ferroviaria.
2.3.4 Gli obiettivi della programmazione
A tutt'oggi il quadro di riferimento della programmazione nel settore delle infrastrutture e della mobilità è ancora rappresentato dal Piano Regionale dei Trasporti del 1990, approvato dal Consiglio regionale con provvedimento n. 1047.
Tuttavia, l'attività di programmazione è stata piuttosto intensa ed ha portato alla realizzazione di una serie di documenti programmatici che tracciano le linee direttrici del nuovo Piano di Settore che dovrà essere redatto sulla base di quanto previsto dalla l.r. 11/2001. In proposito va segnalato che è ormai prossimo alla definitiva approvazione il nuovo Piano Regionale dei Trasporti adottato dalla Giunta regionale con d.g.r. n. 1671 del 5 luglio 2005.
Le grandi infrastrutture
La realizzazione delle "grandi" infrastrutture, come affermato nell'Intesa Istituzionale di Programma tra il Governo e la Giunta regionale del 9 maggio 2001, ha occupato e occupa un posto prioritario nella gerarchia delle strategie della politica regionale dei trasporti.
Si tratta di opere necessarie per ridurre il gap infrastrutturale del Veneto che potrebbe rappresentare un vincolo stringente alle possibilità di crescita dell'economia regionale, ma anche nazionale, non consentendo alle imprese venete di reggere il confronto competitivo con le aziende, soprattutto europee, localizzate in contesti territoriali caratterizzati da una migliore accessibilità.
In questo ambito assume una rilevanza strategica quanto contenuto nell'Intesa Generale Quadro tra Governo e Regione del Veneto sottoscritta il 24 ottobre 2003. Tale Intesa, in attuazione della ed. Legge Obiettivo, individua puntualmente le principali infrastrutture di trasporto necessarie alla Regione con particolare attenzione nei confronti delle direttrici che costituiscono i corridoi ritenuti prioritari dall'Unione Europea.
In questo senso, gli interventi programmati, alcuni dei quali si trovano in una fase avanzata del processo pianificatorio, investono l'intero settore dei trasporti mirando:
• all'integrazione a sistema con gli assi di attraversamento veloce della Regione, sia esso
verticale che orizzontale; per espandere i collegamenti attuali e snodare la rete primaria
esistente;
• alla riduzione dell'attuale squilibrio modale (l'avvio dei lavori del SFMR va in questa
direzione);
• al completamento funzionale del sistema idroviario padano-veneto che, pressoché ultimato
nella tratta polesana, necessita di interventi integrativi per aprire definitivamente all'esercizio
l'asse commerciale Quadrante Europa - Mantova - Mare;
• al potenziamento e ammodernamento della rete logistica regionale.
La viabilità regionale
II comparto della viabilità regionale è stato recentemente oggetto di importanti atti normativi che hanno ridefinito il quadro delle competenze. A seguito di questi atti (d.lgs. 112/1998, d.lgs. 461/1999, d.p.c.m. 21 febbraio 2000 e d.p.c.m 21 settembre 2001) 701 km di rete stradale statale sono stati classificati di interesse nazionale e 1.763 km sono stati trasferiti dall'ANAS alla Regione ed agli Enti locali. Altri atti (l.r. 11/2001 e le delibere del Consiglio regionale n. 59 e n. 60 del 24 luglio 2002) hanno ridefinito il quadro programmatico di riferimento approvando il Piano Triennale degli interventi 2002-2004 e individuando la rete viaria classificata di interesse regionale.
L'adeguamento della rete viaria, per servire il territorio con infrastrutture misurate sulle esigenze del contesto socio-economico, è perseguito secondo due priorità:
1. il raggiungimento di un più elevato grado di sicurezza per la circolazione stradale in punti o
località di riscontrata pericolosità, ovvero a potenziale rischio di sinistri o eventi esterni;
2. l'ottimizzazione delle condizioni di circolazione, mediante l'eliminazione di punti singolari
caratterizzati da una limitata capacità di deflusso del traffico, a causa della presenza di
abitati, e da livelli di servizio inferiori alle attese dell'utenza: si tratta di realizzare, ove
possibile, un adeguamento qualitativo del percorso, ovvero di procedere alla realizzazione di
tratti stradali in nuova sede, con particolare riferimento all'attraversamento dei centri abitati.
In altri termini, l'obiettivo prioritario contempla la risoluzione dell'emergenza rappresentata dai "punti neri" della viabilità ordinaria da cui derivano gravi disagi per la mobilità e forti diseconomie per il sistema produttivo.
Infine, va ricordato che l'Accordo Quadro dell'Agosto 2001, per garantire un approccio sistemico ed integrato ai problemi della mobilità in ambito regionale (che consenta, cioè, di integrare gli interventi nel settore dei trasporti con quelli previsti dai programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio), ha indicato tra le priorità la necessità di attivare le procedure per la messa a punto del Piano Urbano della Mobilità, PUM, dell'area centrale veneta.
La caratteristica di agglomerato metropolitano di questa parte del Veneto richiede la considerazione del sistema di trasporto nella sua globalità sia sotto il profilo della scala geografica (per l'appunto le quattro province centrali) sia sotto l'aspetto degli interventi (servizi collettivi e mobilità individuale, infrastrutture, gestione, regolamenti). A tal fine appare essenziale realizzare un processo di pianificazione che, attraverso l'integrazione e la collaborazione dei poteri coinvolti (locale, regionale e nazionale), metta le amministrazioni locali in condizioni di gestire la mobilità.
II trasporto pubblico
Per contenere le considerevoli esternante negative generate da un sistema di trasporto troppo squilibrato in favore della modalità stradale e dare corso alla sostenibilità socio-economica dello sviluppo futuro, la politica regionale dei trasporti deve mirare ad un servizio pubblico, su gomma e ferro, capace di contrastare, se non ridurre, l'eccessivo uso del mezzo privato, sia attraverso interventi infrastrutturali (SFMR) sia attraverso la riorganizzazione dei servizi.
Il TPL su gomma e su ferro
Le finalità generali perseguite dalla normativa regionale (art. 1 della l.r. 25/1998) possono
essere ricondotte alla necessità di sviluppare e migliorare il sistema del trasporto pubblico
regionale e locale attraverso la promozione, di concerto con gli Enti locali, di interventi che
favoriscano il coordinamento e l'integrazione delle modalità di trasporto e delle relative
infrastrutture.
Si tratta di un passo indispensabile per migliorare l'efficienza e la qualità dei servizi, offrire al
cittadino una migliore accessibilità al sistema dei trasporti, contribuendo cosi ad aumentare la
competitività del servizio pubblico nei confronti del mezzo privato.
Strumentale al raggiungimento di queste finalità appare essere, come stabilito dalle norme
regionali, la definizione di un unitario sistema tariffario regionale che coinvolga tutte le modalità
di trasporto erogate dal servizio pubblico.
E di rilievo notare che un passo significativo in questa direzione è stato compiuto dalla Regione
del Veneto nel corso del 2001, nell'ambito della stipulazione dei contratti di servizio con le
Ferrovie Veneto S.r.l. e Trenitalia S.p.A., prevedendo esplicitamente l'obiettivo dell'integrazione
modale e tariffaria con le aziende esercenti servizi di trasporto pubblico locale su gomma.
Il Servizio Ferroviario Metropolitano Regionale
La realizzazione del Servizio Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR) può essere considerata,
a diritto, l'intervento principale della Regione nel settore dei trasporti regionali/locali, sia dal
punto di vista della programmazione sia in termini dell'effettiva esecuzione.
Il sistema, disegnato per 4 fasi successive, va a interessare, nelle prime tre fasi, un'area, il
quadrilatero Venezia-Padova-Treviso-Vicenza, su cui si svolgono quotidianamente circa 1,5
milioni di spostamenti, di cui circa il 75% mediante il mezzo proprio, circa il 12% con il mezzo
ferroviario e il rimanente 13% con il mezzo pubblico su gomma.
L'opera riguarda la realizzazione di un sistema metropolitano in superficie che si pone l'obiettivo
di riequilibrare il trasporto delle persone in ambito regionale attraverso un recupero di quote di
mercato del trasporto pubblico su ferro e una contestuale diminuzione dell'utilizzo del mezzo
proprio da parte dei pendolari (si prevede la quota del trasporto stradale di circa 6-7 punti
percentuali).
Il progetto riguarda essenzialmente nuove stazioni e aree di interscambio, innovazioni
tecnologiche sulle linee ferroviarie in modo da permettere un elevato livello di servizio (nelle
linee interessate si parla di frequenza dell'ordine di 15-20 minuti) ed innovazioni di tipo
organizzativo incentrate sulle coincidenze (arrivo di diversi treni nello stesso istante per facilitare
i trasbordi), sul cadenzamento e sulla mnemonicità (frequenze regolari ed in orari di facile
memorizzazione da parte dell'utente).
L'Integrazione modale e logistica del trasporto delle merci
Nel settore del trasporto delle merci e della logistica si devono perseguire tre obiettivi strategici:
• il recupero di efficienza ed efficacia del sistema dei trasporti e la minimizzazione dei costi
esterni, in un'ottica di riequilibrio del territorio e di riduzione dell'impatto ambientale;
• lo sviluppo di attività a valore aggiunto, con conseguenti ricadute positive sull'occupazione e
sull'acquisizione di competenze e know how logistico;
• il rafforzamento della capacità competitiva del Veneto nel contesto nazionale e
internazionale.
In questa prospettiva la politica regionale si deve sviluppare principalmente secondo due linee. Da un lato, occorre integrare i due principali interporti (Padova e Verona), di portata internazionale, con una rete di interesse regionale evitando, però, di creare delle diseconomie a causa di una maggiore dispersione dei flussi sul territorio che non consentirebbe di sfruttare le considerevoli economie di scala e di rete proprie del settore.
Dall'altro lato, si rende necessario aprire il retroterra del porto di Venezia verso le regioni del Centro Europa dando ulteriore impulso alla sua trasformazione in chiave commerciale, già in corso da diversi anni, attraverso l'inserimento nella rete dei grandi traffici Nord-Sud, fatto questo che è strettamente connesso al superamento dei limiti del tradizionale hinterland del porto.
Ad integrazione della strategia di riorganizzazione della rete logistica la Regione ha orientato le sue scelte verso il potenziamento del porto di Chioggia e il completamento del sistema idroviario Padano-Veneto. Si tratta d'interventi di notevole rilievo sia in quanto si inseriscono in un contesto infrastrutturale caratterizzato da elevati fenomeni di congestione della rete viaria, sia in quanto assegnano un ulteriore elemento di sviluppo ad un'area che storicamente ha meno risentito del rapido processo di sviluppo socio-economico regionale.
2.3.5 Le strategie per lo sviluppo di una nuova politica regionale dei trasporti
La programmazione del settore si è tradizionalmente configurata in documenti programmatici (Piani dei Trasporti) che, prevalentemente, indicavano gli interventi infrastrutturali da compiere nel medio-lungo periodo, al fine di assicurare un'offerta adeguata alle previsioni di crescita della domanda in modo sia da allentare i vincoli all'espansione di quest'ultima, sia da favorire il riequilibrio modale del sistema, in tale logica, come sopraddetto, è in fase di definitiva stesura il nuovo Piano Regionale dei Trasporti.
Tuttavia, in un contesto programmatico in rapido mutamento, recentemente si è elevato ad elemento fondamentale della pianificazione nel settore dei trasporti un nuovo concetto strategico: la necessità di distinguere tra le "strategie" e le "emergenze" nella consapevolezza che queste ultime, oltre a richiedere soluzioni a breve termine, si intrecciano, sempre più frequentemente, con le prime a ma no a ma no che aumenta la domanda di mobilità.
Si ritiene, quindi, che non sia più sufficiente limitarsi ad elencare le infrastrutture - da tempo programmate, quasi unanimemente ritenute necessarie, ma ancora da realizzare - atte a colmare il gap infrastrutturale del Veneto, magari cogliendo l'occasione per aggiungerne qualcun'altra o aggiustare il tiro su quelle più difficili da realizzare.
Tale approccio appare, in verità, ingiustificato per due ordini di motivi. Da un lato, non si può continuare nell'idea che alla domanda di mobilità debba fare seguito una corrispondente offerta infrastrutturale, se non altro perché la domanda segue logiche e dinamiche temporali diverse da quelle dell'offerta e quest'ultima individua, molto più spesso, un vincolo piuttosto che una risposta alla prima. D'altra parte le politiche "demand driveri' nei settore dei trasporti hanno da tempo dimostrato i loro limiti.
Inoltre, occorre tenere presente che l'assetto insediativo che il Veneto ha oggi raggiunto (la città diffusa) è il risultato di comportamenti individuali e familiari difficilmente reversibili, poiché registrano preferenze tipiche (anche nelle loro contraddizioni) di una società benestante: se da un lato questo sistema genera una elevata mobilità veicolare, dall'altro pochi sono disponibili a rinunciare alle proprie condizioni ambientali per acconsentire alla realizzazione di nuove infrastrutture (è questo un vincolo difficilmente eludibile in Veneto).
Questa consapevolezza dovrebbe portare a contemperare l'orizzonte delle aspettative sulle grandi opere infrastrutturali con l'individuazione di tutte le iniziative possibili per fare funzionare meglio la rete attuale e quella in via di completamento.
Gestire la domanda di trasporto, ovvero: gestire le emergenze
Come è stato ricordato nel Libro Bianco "La politica europea dei trasporti fino al 2010: il
momento delle scelte" (Commissione delle Comunità Europee, 2001) una causa importante degli
squilibri e delle inefficienze del sistema dei trasporti è da ricondurre al fatto che gli utenti non
assumono a loro carico la totalità dei costi che deriva dalla loro "attività" di viaggiare. Ciò, in
particolare, ha determinato un rigonfiamento artificiale della domanda di mobilità e una distorta
competizione tra i diversi modi di trasporto.
È indubbio, infatti, che ridurre la congestione (nei centri urbani ma anche nei grandi assi
autostradali), contenere gli impatti ambientali (inquinamento atmosferico ed acustico, effetto
serra, etc), aumentare la sicurezza dei trasporti, sviluppare le infrastrutture e migliorare il
servizio pubblico sono dei benefici che devono trovare una contropartita in prezzi del trasporto
più elevati.
E' evidente che si richiede un cambiamento strutturale delle politiche di tariffazione dei servizi di
trasporto, che tenga conto del degrado delle infrastrutture, degli effetti della congestione,
dell'inquinamento causato, ed in generale delle esternante negative prodotte. Un sistema di
prezzi più equo (secondo i principi del "user pay principle" e del "pollutant pay principle")
consentirebbe di ridurre le notevoli inefficienze attuali, favorendo una migliore gestione
dell'esistente.
In accordo con questa filosofia, ma tenendo anche conto che si tratta di tematiche complesse
sulle quali vi è la volontà di definire un quadro di riferimento comunitario (al fine di non creare
effetti distorsivi della concorrenza), il Piano dovrebbe, da un lato, investigare le potenzialità
(benefici) e limiti (costi) che derivano dall'introduzione di un nuovo sistema di tariffazione delle
autostrade e delle strade a pedaggio e, dall'altro, incentivare l'introduzione di strumenti di
gestione dei trasporti urbani.
Un sistema di pedaggi che permetta di tenere conto delle esternalità generate dal traffico, non
solo attraverso un aumento dei prezzi, ma anche attraverso una loro eventuale diversificazione
nel corso della giornata a seconda delle condizioni di traffico potrebbe determinare una scelta
più razionale e del modo e del tempo di trasporto favorendo una migliore ripartizione dei traffici
tra le diverse modalità e durante il corso della giornata (incentivando indirettamente i trasporti
notturni).
In questa prospettiva si dovrebbe però considerare e valutare anche la possibilità di integrare la
politica tariffaria con l'introduzione di limitazioni alla circolazione dei veicoli pesanti sulla rete
ordinaria e lungo itinerari in qualche modo alternativi ai tragitti autostradali e di un sistema di
incentivi alle aziende commerciali per favorire lo svolgimento delle operazioni di logistica
durante le ore notturne.
In tale contesto assume un ruolo primario il progetto di autostrada viaggiante e di autostrade
del mare, già previsto nell'ambito del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, e per il
quale la Giunta regionale si è già attivata nell'ambito delle iniziative di potenziamento del
Corridoio V.
È questa una strategia che sembra meritoria di attenzione dato che è facile dimostrare che, ai
ritmi attuali di crescita del traffico interno e internazionale, anche le grandi opere previste a
completamento della rete viaria attuale sono destinate a diventare nel lungo periodo inadeguate. Inoltre, una politica di tariffazione corretta potrebbe consentire di recuperare un ammontare significativo di risorse da utilizzare, ad esempio, per effettuare gli investimenti infrastrutturali necessari (argomento questo non trascurabile visti gli stringenti vincoli di bilancio che condizionano le scelte pubbliche).
Sul fronte della mobilità urbana il Piano Regionale dei Trasporti dovrà incentivare l'adozione dei Piani Urbani del Traffico e della Mobilità (PUT e PUM) previsti dalle odierne disposizioni di legge. Inoltre, è necessario ricordare che, spesso, le politiche di riduzione della congestione, attraverso la limitazione all'uso del mezzo privato, hanno riguardato soprattutto il ricorso alla tariffazione della sosta o, nelle grandi città, ad iniziative tendenti al sostegno di una cultura della mobilità ecosostenibile (incentivazione del car sharing, introduzione della figura del mobility manager, imposizione di divieti amministrativi, etc.).
I modesti risultati ottenuti potrebbero suggerire l'opportunità di verificare anche il ricorso alle
misure, fin qui mai utilizzate, quali il road pricing (pedaggio stradale) volte a far confrontare gli
utenti con il costo complessivo (costi interni più costi esterni del trasporto) che essi impongono
alla comunità.
Appare evidente, anche, "l'interesse" della Regione alla promozione di tali strumenti. Ridurre la congestione dei centri urbani significa consentire la realizzazione di un servizio pubblico più efficiente che, verosimilmente, si tradurrebbe in un risparmio di risorse pubbliche regionali a parità di qualità del servizio pubblico, ovvero, a risorse inalterate, in una migliore qualità del servizio. In secondo luogo, i benefici derivanti dalla riduzione dell'inquinamento, atmosferico e sonoro, e degli incidenti stradali consentirebbero ulteriori risparmi di risorse in termini di riduzione della spesa sanitaria regionale.
Infine, un ulteriore elemento di gestione della domanda, sia nei grandi assi autostradali quanto nei centri urbani, fa riferimento alla necessità di informare i viaggiatori sullo "stato" della rete di trasporto. Ciò richiede la realizzazione di un sistema informativo in grado di fornire un quadro completo ed in tempo reale della situazione del traffico su autostrade ed arterie principali (ma anche nei centri urbani).
Gli interventi nel lungo periodo: progettare il futuro sistema dei trasporti regionali
Le strategie di lungo periodo devono necessariamente essere guidate dall'esigenza di costruire un sistema di trasporto più equilibrato in termini modali, in modo da consentire il perseguimento di uno sviluppo regionale sostenibile.
II raggiungimento di tale obiettivo richiede, però, una profonda rivisitazione dell'intero sistema a
partire dalle modalità della programmazione del settore e delle interconnessioni di queste con la
gestione del territorio e dell'ambiente. Inoltre, va chiarito il ruolo del Veneto nel contesto del
sistema europeo dei trasporti. Infine, occorre promuovere la realizzazione di una rete logistica
regionale che consenta un efficiente trasporto delle merci e procedere alla riorganizzazione dei
servizi di trasporto pubblico locate.
Costruire un nuovo rapporto territorio-trasporti
Oggi il modello policentrico reticolare, che ha costituito per alcuni decenni il punto di forza del sistema socio-economico regionale, rischia di implodere in sé stesso a causa delle carenze infrastrutturali che lo penalizzano in termini di relazioni spaziali, siano esse interne o di scambio da/verso le altre regioni italiane ed europee, vanificando, talvolta, l'efficienza del suo stesso sistema produttivo. Tanto più che l'evoluzione di questo modello spaziale deve fare i conti con la scarsità della risorsa territorio.
D'altra parte però, queste difficoltà di relazione sono causate anche dalla stessa organizzazione spaziale del territorio regionale caratterizzata da centri piccoli e medi attorno ai quali si sono
sviluppate più iniziative produttive, commerciali o direzionali scarsamente coordinate fra di loro,
ancorché insistenti sullo stesso territorio comunale.
In tale situazione appare ineludibile formulare una nuova interpretazione dell'interazione
"territorio-trasporti". Il territorio regionale si deve sviluppare nelle funzioni primarie (abitativa,
produttiva e terziaria) attorno ai grandi assi della mobilità infra ed interregionale, circoscrivendo
aree per specifiche funzioni e, al tempo stesso, risparmiando suolo.
Si deve quindi considerare la rete infrastrutturale principale esistente e quella programmata
come armatura del territorio cui riferire le destinazioni d'uso delle aree, riservando a quelle più
prossime ai nodi infrastrutturali (svincoli, caselli autostradali, stazioni e fermate ferroviarie, ma
anche porti, aeroporti, interporti e centri merci) le funzioni di produzione, le attività del terziario
avanzato ed i centri direzionali.
In questa prospettiva assumono rilievo tre questioni.
In primo luogo occorre completare lo schema infrastrutturale portante realizzando quelle opere
viarie quali la "Transpolesana", la "Valdastico", la "Pedemontana", l'asse medio-padano e la
"Conegliano-Sacile", che, secondo una direttrice circolare, consentono la realizzazione di
collegamenti più efficienti tra in nodi urbani della Regione lungo percorsi alternativi a quelli dei
corridoi Nord-Sud e Est-Ovest.
In secondo luogo è opportuno prevedere per le zone vicine ai nodi infrastrutturali uno sviluppo
delle strutture in verticale, almeno per quelle attività per le quali ciò risulta economicamente e
funzionalmente compatibile, predisponendo un contestuale intervento di natura urbanistico-
normativa a seguito delle variazioni di valore delle aree che si verrebbero a determinare.
Infine, occorre pensare anche alla modifica delle destinazioni d'uso dei centri città, che devono
dismettere il ruolo di centri direzionali e di servizi all'industria e recuperare la loro funzione
abitativa e residenziale con il necessario supporto di servizi alla persona (principalmente
commercio al dettaglio).
Questa impostazione, dalla quale discende una organizzazione distributiva delle funzioni sul
territorio strettamente connessa alla presenza di assi e nodi organizzati in termini di
smistamento dei traffici, non va intesa nella volontà di capovolgere il rapporto fra esigenze delle
"Città" ed esigenze dei collegamenti fra esse, ma nella ricerca delle condizioni per garantire il
migliore svolgimento delle funzioni di "Città" nel contesto territoriale oggi esistente.
Il Veneto ed i corridoi pan-europei
Nell'ultimo decennio la domanda di mobilità nel Veneto è in continua e costante crescita, mentre la qualità delle condizioni della circolazione per persone e merci decresce costantemente in funzione di una congestione sempre più accentuata e che ha ormai coinvolto non solo la rete autostradale, ma anche la viabilità ordinaria ed in parte la rete ferroviaria.
A ciò va aggiunto che l'allargamento dell'Unione Europea ad Est intervenuto il 1 maggio 2004 determinerà un significativo aumento dei flussi di scambio e di transito da e per l'Est europeo.
Ne consegue la necessità di migliorare l'organizzazione e la gestione del sistema dei trasporti regionali e di realizzare le infrastrutture necessarie con l'obiettivo di recuperare funzionalità ed efficienza al sistema della mobilità, favorendo un maggiore equilibrio modale.
È in questo scenario che si inserisce la tematica dei Corridoi pan-europei, cioè di sistemi di trasporto multimodale lungo specifici percorsi che, basati su di una combinazione ed una integrazione tra strade, ferrovie, porti, interporti ed aeroporti, rappresentano dei cardini fondamentali per il raggiungimento della coesione territoriale e sociale dell'Unione Europea. Un preciso riferimento è oggi costituito dalla decisione n. 884/2004/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che modifica la decisione n. 1692/96/CE sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che individua sul territorio veneto due assi fondamentali: il Corridoio I del Brennero ed il Corridoio V Barcellona-Kiev.
Si pone il problema di come intervenire nel nostro Paese, ed in particolare nel Veneto, in modo tale da rendere l'Italia parte integrante del complessivo sistema europeo.
Da un lato, occorre considerare che, verosimilmente, l'avvenuto allargamento dell'Unione Europea produrrà, nel prossimo decennio, un significativo incremento dei traffici con ben cinque Paesi dell'Est e con ('area sud dei Balcani. Il Corridoio V, da Barcellona a Kiev attraverso la pianura padana, potrebbe divenire elemento portante del nuovo sistema di relazione Ovest-Est in Europa. Tali prospettive suggeriscono tuttavia l'opportunità di evitare che gli attesi aumenti di traffico si scarichino esclusivamente sull'area padana, con evidenti costi ambientali ed economici che potrebbero divenire insostenibili, promovendo la realizzazione di un secondo troncone del Corridoio a nord delle Alpi.
Comunque sia deve essere ricordato che il Corridoio a sud delle Alpi è caratterizzato da forti diseconomie che rendono indispensabile avviare rapidamente i lavori dell'alta capacità ferroviaria nell'intero percorso e risolvere le strozzature della parte nord-est attraverso la realizzazione dell'itinerario pedemontano veneto e, soprattutto, attraverso la soluzione dei problemi del nodo di Mestre, che oggi rappresenta il vero collo di bottiglia dell'intero Corridoio, con l'avvio delle opere di costruzione del Passante di Mestre.
Inoltre, deve essere notato che a Trieste il Corridoio presenta tre direttrici di sviluppo: una verso Budapest, l'altra verso Lubiana-Zagabria-Belgrado e l'ultima verso Fiume e la costa croata. Tutte queste direttrici sono contraddistinte, a loro volta, da strozzature e interruzioni che dovranno essere prese in considerazione e risolte per non incorrere nel rischio di spostare il "collo di bottiglia" di Mestre semplicemente a 150 Km a Est.
Dall'altro lato, la realizzazione di un'efficiente rete logistica nel Nord Est - attraverso l'integrazione dei porti (prima italiani e poi anche sloveni e croati) e degli interporti, la creazione delle autostrade del mare, etc. - risulterebbe scarsamente efficace se poi il traffico in direzione Nord-Sud non venisse alleggerito, reso scorrevole ed equilibrato attraverso un nuovo collegamento diretto tra il troncone nord e quello sud del Corridoio V.
Un nuovo "sbocco" a nord deve essere quindi attentamente studiato e sostenuto, superando le contrarietà esistenti in quanto, senza un nuovo valico, il riequilibrio del sistema rimarrebbe monco, anche perché, sicuramente, il terzo passaggio a nord verrebbe realizzato fuori dal territorio italiano, proprio tra Slovenia, Ungheria e Croazia, e quindi in via antitetica al rafforzamento del sistema portuale del nord Adriatico ed anche dell'intero Corridoio Adriatico.
Vi potrebbe dunque essere il rischio, qualora alcune infrastrutture indispensabili non venissero realizzate in tempi rapidi e certi, non solo di non essere protagonisti in Europa, ma anche di condizionare lo sviluppo economico del Veneto e, più in generale, dell'Italia.
Queste considerazioni suggeriscono una riflessione approfondita sul rapporto fra il territorio veneto ed corridoi internazionali. In particolare, si pone il problema di una attenta valutazione del rapporto costi-benefici di lungo periodo, l'impatto sul territorio e sulla rete viaria, le necessità del sistema economico locale, le modalità di transito attraverso il territorio veneto.
È, in altri termini, importante pesare i costi derivanti dai corridoi (per l'accesso alla rete, per il finanziamento all'infrastrutturazione, per l'indotto legato alla logistica, etc.) con i costi intesi come esternante negative generate da un incremento nei volumi di traffico pesante.
In questo senso acquista rilievo il progetto, denominato "Alpen Corridor South" lanciato dalla Regione sul finire del 2002 (approvato dalla Unione Europea nell'aprile dello stesso) e rivolto alla valutazione di possibili scenari di sviluppo del Corridoio V e della sua integrazione con le reti di trasporto dell'Europa Centro Orientale.
Una rete logistica regionale efficiente
II completamento e l'organizzazione di una rete logistica regionale efficiente è, senza dubbio, uno dei cardini su cui deve poggiare la strategia regionale per conferire una dimensione sostenibile al fabbisogno di mobilità espresso dal territorio.
È evidente che in questo senso alcuni interventi infrastrutturali rivestono il carattere dell'essenzialità: la realizzazione di transit points nel vicentino e nel trevigiano (quali strutture che favoriscono i processi di consolidamento e deconsolidamento di traffici da/per i poli
infrastrutturali regionali) e la creazione del Distripark di Marghera (per rimplementazione di
attività di quasi-manufacturing, anche in un'ottica di piattaforma logistica funzionale al processo
di ricostruzione dei Balcani) che va ad aggiungersi a quello, già programmato ed iniziato, di
Padova.
Tuttavia, muovere in modo più razionale merci, persone e informazioni non è solo un problema
infrastnitturale, ma anche di capacità tecnologica e cultura industriale.
Divengono rilevanti, pertanto, fattori quali la promozione e l'incentivazione di iniziative che
favoriscano l'aggregazione dei flussi di traffico e il conseguimento della loro massa critica
significativa, l'adozione di politiche comuni tra imprese e/o operatori del trasporto e della
logistica, lo sviluppo dell'intermodalità e del trasporto ferroviario e marittimo, la creazione di
attività nel segmento del quasi-manufacturing e della manipolazione delle merci, l'innovazione
tecnologica nella gestione dei flussi e delle informazioni e cosi via.
La messa in opera di queste azioni dipende però dalla realizzazione di alcune pre-condizioni che
devono mirare a:
• definire e sviluppare un progetto di promozione territoriale che riesca a:
- promuovere il territorio per attirare investimenti dall'esterno;
- finalizzare le politiche territoriali alle esigenze degli operatori economici focali e alle aspettative degli operatori esterni che si vogliono attrarre;
- riorganizzare le procedure amministrative mostrando più attenzione ai "clienti" del
prodotto "sistema locale";
• avviare il monitoraggio del sistema logistico che, integrando le attività dell'Osservatorio della
Mobilità Regionale, permetta, in un'ottica d'interazione tra Amministrazioni Pubbliche e
soggetti privati, approfondimenti conoscitivi e scambi informativi:
- sulle singole filiere produttive venete (import, export, delocalizzazione e investimenti
diretti all'estero, unità locali e loro localizzazione, etc);
- sugli operatori del trasporto e della logistica presenti sul territorio regionale (unità locali,
localizzazione territoriale, specializzazione funzionale, etc);
- sulle piattaforme logistiche regionali, nazionali e internazionali (volumi di traffico,
specializzazione funzionale, etc);
- sul traffico generato/attratto e di transito in Regione (unità di carico, direttrici, etc);
- sulla competizione internazionale (import ed export di Paesi concorrenti, etc).
Riorganizzare il trasporto pubblico locale
Potenziare, riorganizzare ed integrare i servizi di trasporto pubblico al fine di realizzare un sistema di tipo metropolitano costituisce un'altra fondamentale priorità della politica regionale dei trasporti per poter conseguire l'obiettivo strategico di una mobilità regionale sostenibile.
In questa prospettiva, un peso determinante deve essere assegnato alla realizzazione del SFMR. È indubbio, però, che l'SFMR rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente alla risoluzione di tutti i problemi della mobilità in ambito regionale. È infatti fondamentale procedere anche al potenziamento dei servizi ferroviari, alla riorganizzazione dei trasporti collettivi su gomma e all'integrazione tariffaria di tutti i servizi pubblici, in tale ambito grande rilevanza assume la riforma del Trasporto Pubblico Locale con la individuazione delle unità di rete quali elementi per garantire un coordinato sviluppo dell'offerta di trasporto pubblico locale attraverso una stretto dialogo tra sistema su gomma e quello su ferro.
Rispetto al miglioramento dei servizi ferroviari occorre che la Regione svolga un ruolo chiave nelle decisioni riguardanti la rete ad Alta Capacità, proprio in quanto la sua funzione dovrebbe essere, alla fine, quella di collegare fra loro i sistemi metropolitani e regionali europei.
La rete Alta Capacità ha bisogno di almeno due condizioni: l'organizzazione dei nodi e, allo stesso tempo, la possibilità di alimentare questi nodi, tramite collegamenti efficienti, con la domanda diffusa. La complementarietà con l'SFMR è evidente. Cosi come dovrebbe esserlo
anche con un disegno regionale di concentrazione delle funzioni a più elevata generazione di
mobilità.
È evidente, in questo senso, che è necessario non compromettere l'efficienza del sistema Alta
Capacità ipotizzando un numero eccessivo di fermate intermedie e che occorre far diventare il
sistema dei collegamenti con gli altri centri urbani del Veneto la struttura dello spazio
metropolitano regionale.
In secondo luogo, occorre riorganizzare il servizio pubblico su gomma al fine di favorire la
sussidiarietà con l'SFMR evitando le inefficienti sovrapposizioni. Sarà, dunque, indispensabile
garantire dei collegamenti efficienti di adduzione ai nodi del servizio metropolitano e tra i centri
urbani non serviti dallo stesso.
Infine, occorre dar corso all'integrazione dei servizi pubblici. Strumentale a tale scopo, quasi a
costituirne il collante, appare essere, come stabilito dalle norme regionali, la definizione di un
unitario sistema tariffario regionale, che coinvolga tutte le modalità di trasporto.
In particolare, esso dovrà fondarsi:
• sull'introduzione della bigliettazione automatica, quale innovazione tecnologica
indispensabile per la realizzazione del biglietto unico regionale;
• sull'individuazione di livelli tariffari secondo classi chilometriche, tempo di validità del titolo di
viaggio, zone o aree di conurbazione, tipi di servizio e categorie degli utenti.
In tal modo sarà possibile non solo promuovere l'accessibiità del servizio pubblico su tutto il territorio regionale (aumentandone cosi anche la capacità competitiva rispetto al mezzo privato), ma si potrà altresì migliorarne l'efficienza economica (in termini del rapporto ricavi/costi).
3. I FATTORI PROPULSIVI DELL 'ECONOMIA
VENETA
3.1 La strategia regionale a sostegno dell'innovazione
La Regione del Veneto intende valorizzare il sistema regionale dell'innovazione e non sostituire l'attuale sistema con modelli di organizzazione dell'attività di ricerca importati da altri contesti. In questa prospettiva, le linee di politica regionale per l'innovazione in Veneto possono essere organizzate su tre livelli:
le Filiere dell'innovazione: progetti di innovazione di rilevante interesse regionale in
settori ad elevata intensità di conoscenza, che comportano la cooperazione di più soggetti e
il collegamento fra i diversi livelli di catena del valore della conoscenza, in particolare di
Università, imprese, centri di ricerca, sistema del credito. In questo senso l'orientamento è
quello di privilegiare le materie indicate nei programmi quadro dell’UE per la ricerca,
favorendo la creazione di solide reti di cooperazione fra istituzioni e imprese e tra le
imprese;
i distretti produttivi: attivazione di partnership locali che intervengono nell'elevare le
capacità competitive dei sistemi produttivi del Veneto, In questa prospettiva, la Regione del
Veneto non intende solo riconoscere e tutelare i distretti esistenti, quanto piuttosto
rafforzare e diffondere le reti di cooperazione locale fra Pmi come strumento per elevare la
capacità di competere e di creare innovazione. Le materie di politica industriale per i distretti
saranno individuate dalle "coalizioni istituzionali" attive sul territorio. È da sottolineare che
nonostante la legge sia stata formulata per le attività manifatturiere, un modello analogo di
promozione locale delle politiche per l'innovazione potrebbe essere adottato, con gli
opportuni aggiustamenti, anche nel campo dei servizi, del turismo e dell'agricoltura;
i processi innovativi: l'obiettivo è promuovere la ricerca industriale e il trasferimento
tecnologico da parte di Pmi, tramite incentivi diretti e crediti di imposta da assegnare sulla
base di procedure valutative oppure automatiche con il ricorso a centri di innovazione
certificati della rete Nest.
Con particolare riferimento al sostegno dei processi innovativi, ma in realtà coinvolgendo anche gli altri livelli di azione, la politica regionale dovrà individuare le iniziative di sostegno alla rete regionale dell'innovazione (centri di servizio, parchi scientifici e tecnologici, laboratori di ricerca e prova), da intendersi come strumento flessibile di offerta di servizi di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico per le imprese.
Dai Tavoli di Concertazione per l'Innovazione è emerso l'orientamento che le agenzie di offerta di servizi per l'innovazione promosse con il concorso regionale possano valorizzare la loro presenza sul tessuto produttivo dedicandosi, in particolare, a due funzioni chiave: quella di broker dell'innovazione, con l'obiettivo di assistere le imprese venete nei progetti innovativi e, più in generale, di collegare domanda e offerta di conoscenze scientifiche e tecnologiche e quella di incubatore di imprese innovative.
Per dare continuità ai processi di innovazione è inoltre necessario che in Veneto si rafforzino i circuiti della finanza innovativa. L'obiettivo è favorire la creazione di un insieme di strumenti finanziari effettivamente accessibili alle Pmi che intendono intraprendere originali progetti di innovazione.
La Regione intende poi portare avanti una strategia per l'internazionalizzazione cooperativa, in accordo con le associazioni delle imprese, le Camere di Commercio, gli Enti locati, il sistema del credito, i centri di servizio, le scuole tecniche e le Università. In tale contesto si inserisce una maggiore formalizzazione delle relazioni, anche tenendo conto delle priorità, con le Camere di Commercio, attraverso una programmazione congiunta ed un coordinamento unitario delle azioni, allo scopo di creare, nelle maggiori aree di interesse comune, sia regionali che extraregionali ed estere, un sistema condiviso di intervento.
In forza del fondamentale ruolo di collegamento con il sistema economico e produttivo, che deve essere adeguatamente supportato e incentivato, le Camere di Commercio possono essere altresì promotrici di "innovazione cooperativa e collettiva" segnatamente nell'ambito delle realtà distrettuali, di politiche per l'internazionalizzazione commerciale e produttiva nonché di proposte di normativa, anche comunitaria, nei settori commerciati. Inoltre, per ridurre i costi dell'internazionalizzazione è necessario rafforzare a tutti i livelli le capacità di utilizzo delle tecnologie di rete e di accesso a sistemi logistici moderni, nonché lo sviluppo di istituzioni di accreditamento e di tutela della proprietà cognitiva.
3.1.1 Elementi di discontinuità nello sviluppo economico del Veneto
La crescita economica del Veneto, che da anni è oggetto di studio e quasi "modello" di riferimento per uno sviluppo endogeno ed autopropulsivo, ha dimostrato anche negli anni recenti performance elevate e superiori alla media nazionale, soprattutto legate alla flessibilità del suo sistema produttivo.
I fattori che hanno consentito questo livello di sviluppo sono stati, come del resto in tutti i processi di avanzamento sociale e produttivo, essenzialmente fattori di carattere culturale ed istituzionale. Un "ambiente culturale" in cui era presente la voglia di fare, di apprendere facendo, il senso di responsabilità e di imprenditorialità (anche di sé), unitamente ad un forte senso di identità e di appartenenza, hanno prodotto imprenditorialità diffusa, capacità di collaborazione ma anche di competizione in contesti economici che andavano globalizzandosi. Per altro verso, i contesti istituzionali locali si sono dimostrati interpreti di queste "vocazioni", sostenendole con politiche ed interventi atti a favorire lo sviluppo, nel mentre, sul piano delle istituzioni informali, le "reti di fiducia" diffuse sul territorio consentivano il contenimento dei crescenti "costi di transazione" che il processo di internazionalizzazione andava imponendo. La versatilità e la flessibilità tipiche dell'economia veneta hanno costituito perciò un punto di forza nel processo di integrazione europea e in quello di globalizzazione, punto di forza che può ricondursi senza dubbio a quei fattori di "ambiente culturale" sopra richiamati.
Va ricordato che il Veneto ha percorso negli ultimi cinquant'anni i classici stadi dello sviluppo economico dall'agricoltura all'industria, infine alla preminenza dei settore terziario. Tutto ciò è potuto avvenire dapprima utilizzando le risorse che provenivano da settori con eccesso di offerta di manodopera, come l'agricoltura, poi, con una crescente domanda di lavoratori stranieri. La continua riallocazione di manodopera da settori a più bassa produttività verso quelli a maggior capacità competitiva, di per sé fatto fisiologico, è avvenuta a seguito di una specializzazione produttiva che ha visto esaltare le produzioni manifatturiere con forme organizzative decentrate che hanno creato il "sistema diffuso" di piccole iniziative locali.
La recessione in atto ci rafforza nella convinzione che sia giunto il momento di una profonda riflessione sui limiti di un modello di sviluppo industriale, come quello veneto, che si è rivelato sin qui vincente sul piano della flessibilità, ma che sta trovando ostacoli crescenti sul cammino dell'incremento della produttività e della competizione internazionale.
Riteniamo, infatti, che proprio l'attuale fase recessiva, da un lato, imponga alle imprese problemi di riorganizzazione e di innovazione produttiva e, dall'altro, ai pubblici poteri una rimeditazione sul modello di sviluppo e sulla tenuta del sistema produttivo nel quadro europeo ed internazionale.
Se all'impresa spetta il compito - non facile - di riorientare i processi produttivi, nel senso di privilegiare gli aspetti qualitativi e della produttività, rispetto a quelli quantitativi e della produzione, non vi è dubbio che ai pubblici poteri spetta il compito di fornire un quadro di riferimento programmatico, atto a mutare un modello di sviluppo diventato oramai eccessivamente "estensivo" nell'uso delle risorse umane e territoriali e scarsamente "intensivo" nell'utilizzo di innovazioni tecnologiche, organizzative e logistiche.
In sostanza il Veneto, per conseguire i propri obiettivi e riprendere un percorso virtuoso di crescita economica e di benessere "sostenibile", deve compiere ora un salto di qualità atto a superare le numerose strozzature e rimuovere i nodi strutturali che di fatto si rivelano pericolosi fattori di discontinuità. Questi nodi strutturali riguardano molti aspetti dell'economia, del territorio e della società veneta. L'interdipendenza dei mercati dei prodotti, dei servizi, dei capitali e dei fattori di produzione in genere, pone in concorrenza non solo le imprese ma anche le Istituzioni politiche ed amministrative e i sistemi educativi e di innovazione. Di fatto, questi fattori di "contesto" diventano un elemento essenziale del vantaggio competitivo di un Paese e di una Regione aperta come il Veneto.
Il ritardo italiano e veneto nell'affrontare alcune rigidità strutturali del mercato del lavoro e del sistema formativo, nel compiere la necessaria progettazione e realizzazione di nuove opere nel contesto infrastrutturale stradale, autostradale e ferroviario, cosi come in quello della difesa ambientale e nel settore delle Utilities costituiscono altrettanti punti nodali nella competitività di sistema. Cosi come, a scala microeconomica, gli alti costi dell'energia e le complessità burocratiche frenano la competitività delle imprese.
La competizione sui mercati globalizzati non si esplica infatti solo nella capacità di esportare o di saper ridurre i costi delocalizzando, ma anche nel saper attrarre capitali ed investimenti dall'estero, capacità di attrazione oggi gravemente compromessa dalla carenza d'infrastrutture sul territorio e dagli altri fattori di rigidità.
Non va dimenticato che a determinare l'andamento della competitività totale concorrono anche fattori esogeni o esterni all'impresa, quali le infrastrutture, la qualità e l'efficienza della Pubblica Amministrazione e della spesa pubblica, ovvero quel complesso di esternanti, che hanno grande influenza nella cosiddetta "competitività del sistema". Certo che la competitività di un "sistema" (sistema-paese o sistema locale di imprese) si estrinseca nei prezzi, nella qualità dei suoi prodotti e nelle quote di mercato, ma come sappiamo il prezzo in un mercato concorrenziale contiene al suo interno margini di profitto che sono il frutto appunto della competitività e che servono ad alimentare nuovi investimenti, ricerca e innovazioni a loro volta portatori di capacità competitive, secondo un processo circolare virtuoso. La competitività pertanto è qualcosa di più complesso, la cui portata va misurata in termini relativi ovvero attraverso il confronto con altri Paesi e con indicatori più complessi di quelli che misurano la produttività.
La forte accelerazione impressa dal progresso tecnologico in questi anni impone all'economia della Regione una sorta di transizione verso nuovi paradigmi di sviluppo. Ciò che si vuole qui affermare è che il Veneto sembra aver esaurito la sua spinta ad una crescita "estensiva" e dovrà quindi affrontare una difficile transizione verso uno sviluppo "intensivo" nell'uso delle risorse. In altri termini, è giunto il momento per la Regione di ripensare al proprio modello di sviluppo, sia per affrontare su basi nuove la competitività internazionale, sia per non incorrere nei rischi che il proseguire lungo questo sentiero di sviluppo potrebbe comportare. Certo, il Veneto è all'avanguardia in molti settori sia per qualità delle innovazioni introdotte, sia per capacità lavorative ed imprenditoriali. Tuttavia, alcuni segnali fanno dubitare non tanto e non solo della persistenza della competitività del sistema produttivo regionale, quanto soprattutto della "sostenibilità" sociale, ambientale e territoriale del proprio modello di sviluppo.
I rapporti tra valore aggiunto e addetti (o unità di lavoro equivalenti) come proxy della produttività stanno crescendo in Veneto con ritmi pari a quelli dell'economia italiana (crescita Veneto 2002/1995 5,6% - considerando il valore aggiunto a prezzi 1995; crescita Italia 2002/1995 5,6%), ma ancora inferiori rispetto a quelli della produzione, creando cosi le premesse per una continua crescita occupazionale. Questo rapporto produzione-produttività, cosi calcolato, fornisce utili spunti di riflessione e di giudizio su un'economia, anche se questi risentono profondamente del contesto politico-ideologico in cui vengono letti. Infatti, negli anni 70, in pieno fervore delle politiche keynesiane di sostegno della domanda e della spesa pubblica per favorire l'occupazione, se la crescita della produzione superava quella della produttività, ciò era visto come segno di benessere in quanto comportava un aumento dell'occupazione, lasciando in secondo piano gli aspetti di limitato progresso tecnologico che ciò poteva
comportare. Con gli anni '80, periodo in cui cominciano a farsi strada le politiche dell'offerta, di matrice monetarista (tese a far intervenire lo Stato sui c.d. "fattori di contesto" o precondizioni dello sviluppo quali infrastrutture, formazione, fiscalità, etc), l'attenzione si sposta dal rapporto produzione-occupazione a quello tra produzione e produttività in quanto il processo di globalizzazione dei mercati tende ad esaltare i valori della competitività. Ciò significa che se l'andamento della produttività supera quello della produzione, la conclusione (che potrebbe apparire "pessimista" sul piano del Welfare) diventa positiva per quanto attiene ad investimenti, innovazione tecnologica e quindi a "posizionamento" di un sistema produttivo in un contesto globalizzato.
Mentre i due andamenti produzione e produttività in Italia quasi si sovrappongono nell'ultimo ventennio, segno di una relativa stazionarietà occupazionale, nel Veneto vi è una sorta di "ritorno al passato" nel senso che la crescita della produzione sovrasta quella della produttività con un divario che tende ad allargarsi. Nella nostra Regione, quindi, la crescita della produzione porta con sé cospicui aumenti occupazionali.
Questo fenomeno appare ancor più esaltato nel Veneto per la presenza di una struttura produttiva fatta di piccole e piccolissime imprese diffuse nel territorio e di una forte (e crescente) componente estera nella domanda.
La transizione dell'economia veneta verso un modello di crescita maggiormente "sostenibile" andrà perciò sorretta con politiche di "contesto", volte a migliorare le infrastrutture esistenti o a costruirne di nuove, a stimolare la ricerca e l'innovazione, a formare "capitale umano" a valorizzare il patrimonio storico, artistico ed ambientale, per dare avvio ad una nuova cultura della crescita e della integrazione sociale.
In particolare, per quanto riguarda le politiche dei settori produttivi, va notato che le politiche di contesto presentano indubbi vantaggi rispetto alle tradizionali politiche industriali (soprattutto quelle selettive), in quanto non creano elementi di distorsione o di privilegio nel mercato e consentono di attrarre imprese ed investimenti diretti stranieri.
Le considerazioni sopra riportate inducono ad esaminare un'altra relazione altrettanto significativa: ovvero quella tra produzione ed occupazione. Questo rapporto si presta ad evidenziare un parametro, il coefficiente di elasticità dell'occupazione rispetto al reddito, utile ai fini anche della formulazione di previsioni economiche. L"elasticità" non è altro che una misura della variazione dell'occupazione al variare del reddito prodotto. Dalla maggiore o minore sensibilità dell'occupazione alle variazioni del prodotto interno lordo e quindi della domanda, si può concludere se la struttura dell'economia presenti margini di flessibilità legati (come alcune verifiche empiriche hanno dimostrato) alla disponibilità di manodopera, come nel caso di alcuni Paesi del Mediterraneo, tra cui Spagna, Grecia e Italia, o al progresso tecnologico e al learning by doing come nel caso di Giappone e USA.
In Italia l'aumento del PIL, soprattutto dopo la crisi del 1992-1993, si è accompagnato ad una sostenuta crescita occupazionale (frutto dei processi di ristrutturazione legati all'uscita dalla fase congiunturale negativa) seguito da aumenti sensibilmente più lievi verso il 1997-1998. Nel Veneto, l'incremento del PIL, a partire dalla ripresa del 1986, si associa ad un cospicuo aumento dell'occupazione fino al 1992 mentre a partire dal 1993 le "reazioni" dell'occupazione alla crescita del PIL si fanno più contenute, ma pur sempre positive (ad eccezione del 1998).
I coefficienti di elasticità dell'occupazione rispetto al reddito, calcolati anno per anno per il Veneto e per l'Italia, consentono di valutare la relazione produzione-occupazione nel breve periodo offrendo lo spunto per considerazioni che potremo definire di "flessibilità" macroeconomica. Infatti questi coefficienti denotano per il Veneto un andamento "prociclico", che tende ad esaltare le oscillazioni dell'occupazione in misura molto più accentuata di quanto non avvenga nel resto d'Italia. Ciò significa che nella nostra Regione la reazione dell'occupazione al variare del reddito è molto più accentuata rispetto al sistema economico nazionale, che mostra invece una maggiore rigidità strutturale.
Una prima considerazione di tipo macroeconomico che si può trarre da questo andamento è di una maggiore flessibilità dell'economia veneta rispetto all'economia italiana nel suo complesso, flessibilità che tende ad amplificare i fenomeni occupazionali soprattutto nelle fasi di espansione. H Veneto possiede valori sistematicamente superiori a quelli italiani nel senso che ad ogni variazione percentuale del PIL corrisponde una variazione dell'occupazione (minore di 1, ma positiva) più elevata di quella italiana. Ciò è sinonimo, da un lato di maggiore flessibilità, ma dall'altra anche di quel fenomeno, che sopra abbiamo definito dello sviluppo "estensivo", ovvero di un'espansione "consumatrice" di risorse, espansione guidata dalla domanda e caratterizzata da una forte capacità di risposta endogena del sistema agli stimoli delta domanda (in particolare di quella internazionale).
Utilizzando questi parametri si può stimare il fabbisogno di manodopera per il Veneto nel breve termine, che si rivela prossimo alle 50 mila unità all'anno con ipotesi di crescita del PIL del 2-3%.
Inutile dire che, in queste condizioni di tassi di occupazione, il fabbisogno potrebbe essere soddisfatto solo da consistenti flussi migratori, a meno di non voler spingere ulteriormente nell'utilizzo di classi giovanili che verrebbero cosi sottratte all'istruzione superiore, per la quale il Veneto non si trova certo in posizioni d'avanguardia. Pertanto, la piena occupazione non può e non deve più costituire l'obiettivo prioritario di una politica di sviluppo regionale, dove viceversa, come vedremo, sta emergendo il problema della competitività e della innovazione.
Ma anche la cultura del lavoro, del fare, la cultura di impresa, raggiunge dei limiti, ovvero dei fattori di discontinuità quando le risorse umane, territoriali e infrastrutturali tendono ad esaurirsi e quando l'obiettivo della produzione condiziona l'uomo e lo fa diventare ad "una dimensione" (quella del lavoro e del consumo), compromettendo cosi le capacità di promuovere lo sviluppo su basi qualitative nuove e soprattutto in termini di qualità della vita. Paradossalmente l'esaltazione di alcuni valori (come appunto quello del produrre beni maturi) tende a riproporre un modello di crescita oggi difficilmente sostenibile in termini sociali e ambientali deformando il concetto stesso di benessere della collettività. Benessere che, concepito prevalentemente in chiave reddituale e di lavoro, trascura altri elementi, quelli culturali ad esempio, che sono la premessa per l'avvio di una riqualificazione dello sviluppo.
Il raggiungimento della piena occupazione unita ad una struttura produttiva che richiede soprattutto lavoro a scarsa qualificazione, costituisce un incentivo ad abbassare il livello di scolarizzazione e quindi le premesse per una evoluzione del sistema. Il processo di produzione esige infatti la disponibilità di una gamma diversificata di fattori materiali ed immateriali. Accanto agli input tradizionali, capitale, lavoro e progresso tecnico, ci sono componenti umane come il learning by doing e la conoscenza, ovvero "input" di lavoro corredati da investimenti in istruzione ed addestramento. Non solo, ma rischia di impoverirsi anche quel complesso di circostanze "residuali" spesso trascurate nella letteratura, che vanno sotto il nome di "capitate sociale" e che comprendono conoscenze diffuse, valori condivisi, capacità di coordinamento, fiducia e rispetto delle regole che solitamente animano un'organizzazione a "sistema" e che sono in grado di formare Istituzioni atte a governare la crescita e la competizione.
Emerge sempre più l'esigenza di una nuova forma di integrazione e coesione sociale non basata solo sulla capacità di reddito attuale, ma su una riqualificazione di quello che abbiamo definito "capitale sociale", premessa indispensabile per un rilancio della crescita accompagnata da un miglioramento della qualità della vita e del benessere.
Infine, tenendo conto della volontà di migliorare la coesione sociale e quindi la trasparenza dei processi decisionali e delle scelte in ordine all'allocazione delle risorse e alla distribuzione della ricchezza, tenendo conto altresì dei forti processi di internazionalizzazione che riguardano l'economia, si ritiene importante incentivare gli strumenti afferenti la responsabilità sociale di impresa, in primis l'adozione del bilancio sociale.
3.1.2 I percorsi, le sfide e le strategie per l'innovazione
È noto come nell'economia italiana sia particolarmente rilevante la presenza della piccola e media impresa nonché di una specializzazione orientata su settori cosiddetti tradizionali, come quelli afferenti l'industria della moda, le produzioni alimentari tipiche, i prodotti per la casa e l'arredo e la meccanica collegata. Questi elementi, che ritroviamo in misura accentuata in Veneto, contribuiscono a definire un quadro per molti aspetti disomogeneo rispetto alle economie dei principali Paesi industrializzati. A lungo questa differenza è stata percepita come un'anomalia che la crescita economica avrebbe gradualmente riassorbito nell'ambito di un processo di integrazione su scala internazionale dello sviluppo. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, le specificità del modello di sviluppo veneto sono diventate oggetto di riflessione a livello nazionale e internazionale fino a diventare un punto di riferimento per immaginare e progettare politiche di sviluppo innovative e per affrontare in modo nuovo alcuni limiti strutturali della crescita basata sulle logiche della produzione di massa.
Molte Pmi, pur operando in settori industriali maturi, hanno infatti dimostrato negli ultimi venti anni di essere capaci di rinnovare costantemente la propria competitività e di saper affrontare la sfida dell'internazionalizzazione economica in modo efficace e originale. La competitività della Pmi e la sua capacità di innovazione dipendono in misura sostanziale dal suo legame con il territorio: questo legame non si limita alle relazioni con te altre imprese che animano le filiere produttive all'interno delle quali si trovano ad operare, ma riguarda anche il sistema dei soggetti territoriali (associazioni, centri di formazione, centri servizi, istituzioni sociali, etc.) che in modo formale e informale concorre a rinnovare le basi del suo vantaggio competitivo.
In questo dibattito, il tema dell'innovazione rappresenta uno snodo cruciale. Una lettura canonica dei processi di innovazione guarda alla grande impresa come l'interlocutore principale per le politiche di investimenti in Ricerca e Sviluppo, relegando in secondo piano il ruolo della Pmi. Solo la grande impresa, infatti, ha la capacità e la convenienza economica di definire e realizzare progetti di investimento finalizzati a tradurre nuove conoscenze di tipo tecnico-scientifico in processi e prodotti industriali. Per contro, una lettura dei processi innovativi come "processi sociali" oltre che economici tende a riproporre il ruolo della Pmi e dell'imprenditorialità diffusa come strumento chiave per la generazione e la diffusione di nuove conoscenze nelle economie avanzate.
In Italia come in Veneto, la definizione di politiche a supporto della competitività delle imprese e dell'innovazione passa attraverso una presa di posizione rispetto a queste due linee di azione, che non necessariamente devono essere viste come alternative.
Ricerca, sviluppo e innovazione nella grande impresa
II sistema di innovazione nazionale, centrato sui processi di Ricerca e Sviluppo incardinati all'interno della grande impresa, ha rappresentato un elemento essenziale della crescita economica italiana. Questo sistema ha conosciuto importanti tassi di crescita in valore relativo e assoluto fino alla metà degli anni '90, anche se la percentuale di ricerca rispetto al PIL rimane ancora oggi di molto inferiore a quella di Paesi quali Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna. Il gap fra la nostra economia e i Paesi più sviluppati si traduce principalmente in un differenziale di competitività nei settori ad alta intensità di tecnologia. L'unico settore in cui l'Italia ha storicamente manifestato una capacità di innovazione soddisfacente nell'alta tecnologia è quello dell'automazione industriale.
In Italia, il sistema della Ricerca e Sviluppo su larga scala comprende una pluralità di attori: le grandi imprese, le Università, i centri pubblici di ricerca, i governi centrali e locali. Gli attori pubblici del sistema (centri di ricerca, Università, laboratori, CNR) hanno sviluppato programmi di attività finalizzati a sostenere la produzione di sapere scientifico (ricerca di base), favorendone l'applicazione anche in una prospettiva "multidisciplinare". Allo stesso tempo in settori specifici, come l'energia o la sanità, si sono create istituzioni in grado di sostenere la
ricerca avanzata, in condizioni economicamente non sostenibili dalle imprese. Un sistema dell'innovazione cosi articolato ha consentito alle imprese di accedere a circuiti internazionali di ricerca sfruttando il sistema di relazioni esistenti tra Università e centri di ricerca nei diversi Paesi.
Questo modello di relazioni fra imprese e istituzioni non ha però mai generato in modo significativo dei circoli "virtuosi" di crescita come l'avvio di settori high-tech. Se nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta il contesto produttivo italiano ha beneficiato di avanzamenti tecnologici nei settori ad alta intensità di capitale, con gli anni '80 la situazione è progressivamente mutata. Mentre alcune economie - come, ad esempio, gli Stati Uniti o la Svezia - hanno dimostrano di saper governare percorsi di sviluppo economico a partire da settori high-tech (microelettronica, Ict, biotecnologie), in Italia le grandi imprese non sono riuscite a sostenere stabilmente significativi investimenti in R&S su cui innestare percorsi di crescita capaci di ridefinire in modo complessivo la nostra economia. Le imprese italiane si sono dimostrate generalmente poco disposte ad effettuare investimenti considerevoli in R&S anche in presenza di condizioni monopolistiche, come nel caso delle telecomunicazioni. Le ragioni di questa debolezza sono state più volte messe a fuoco dagli analisti: una domanda interna particolarmente debole, un nucleo di imprese oligopoliste eccessivamente ristretto, l'assenza di piccole imprese high tech, una scarsa presenza di strutture finanziare innovative, un'interfaccia debole fra mondo dell'Università e mondo economico.
I processi di innovazione nelle reti locali di piccole e medie imprese
II modello economico che ha contraddistinto lo sviluppo italiano e, in particolare, quello veneto è
rappresentato da piccole e medie imprese organizzate a sistema, sia tramite reti e gruppi
aziendali, sia nella forma dei distretti industriali. Questi sistemi di Pmi identificano una forma
specifica di organizzazione della produzione in cui la divisione del lavoro è articolata tra un
numero elevato di imprese di ridotte dimensioni, inserite in contesti territoriali e reti sociali che
supportano attivamente le dinamiche industriali. Le piccole e medie imprese formano reti di
apprendimento flessibili, in grado di esprimere potenziali innovativi rilevanti anche in assenza di
significativi investimenti in Ricerca e Sviluppo. Il successo economico che questi sistemi
industriali hanno ottenuto sui mercati internazionali ne fa, perciò, un interlocutore diretto e
prioritario per le politiche industriali.
I distretti e le reti di Pmi si caratterizzano per la loro capacità di sviluppare la propria competitività sulla base di conoscenze specialistiche e competenze distintive legate al processo produttivo (gestione di processo, innovazione e gestione dei materiali utilizzati), rispetto ad un sistema di relazioni economiche e sociali che diventano parte integrante del percorso innovativo. Attraverso un processo di apprendimento di natura contestuale, l'organizzazione della piccola e media impresa sviluppa innovazione in una logica incrementale valorizzando saperi individuali e sociali legati all'esperienza. Queste capacità e conoscenze dei lavoratori diventano il perno su cui innestare percorsi imprenditoriali autonomi (spin off), attraverso un processo di creazione di imprese collegate con le aziende di origine, mantenendo di norma una relazione committente-fornitore.
Le piccole e medie imprese non controllano filiere produttive complesse ma sono specializzate in una o poche fasi del processo produttivo. Accanto ai processi di learning-by-doing, questa logica di divisione del lavoro consente di sviluppare soprattutto innovazioni di natura incrementale, legate sia al processo che al prodotto. All'interno dei sistemi produttivi locali, perciò, il clima di competizione che contraddistingue i rapporti tra imprese si combina, specie nelle relazioni lungo la filiera verticale, con strategie cooperative. Inoltre, proprio questa capacità di generare innovazione a partire dagli stimoli della domanda - anziché da percorsi autonomi definiti ex-ante, come nel caso della R&S - ha consentito alle Pmi di proporsi in modo sempre più autonomo anche all'esterno del sistema locale.
Le sfide dell'innovazione per l'economia del Veneto
Lo sviluppo dell'economia veneta costituisce un esempio emblematico di quel circuito dell'innovazione fondato su reti di Pmi. Con poche eccezioni, lo sviluppo dell'economia regionale è stato caratterizzato dalla capacità delle Pmi di reinterpretare prodotti e servizi in settori industriali considerati maturi e ad elevata intensità di lavoro e, per questo, teoricamente poco adatti a qualificare l'economia di Nazioni avanzate. Inoltre, l'innovazione prodotta dalle Pmi venete non deriva principalmente da investimenti in R&S, ma si fonda sulla capacità di valorizzare un patrimonio di conoscenze, competenze e relazioni profondamente radicate nel territorio, come in particolare si è manifestato nel ricco tessuto dei distretti.
Reti produttive locali e processi di apertura internazionale
Rispetto al passato, la struttura dei sistemi produttivi locali ha subito una profonda trasformazione. Il distretto industriale tradizionale ha fondato la sua competitività sulla valorizzazione sistematica di conoscenze e competenze locali socializzato attraverso le dinamiche dell'apprendistato e grazie a forme di apprendimento on the job. A fronte di una notevole capacità di penetrazione nei mercati internazionali dei prodotti, i circuiti cognitivi dei distretti industriali si sono mantenuti a lungo ancorati al sistema locale. Gli operatori hanno puntato a valorizzare l'energia e l'intelligenza del territorio, nelle sue diverse articolazioni istituzionali e culturali oltre che economiche, limitando il confronto con l'arena internazionale ad una dinamica di tipo mercantile.
Nel corso degli ultimi anni, questa chiusura rispetto al circuito internazionale della conoscenza e dell'innovazione è stata messa profondamente in discussione. I fattori che hanno determinato questa trasformazione sono diversi. Un primo fattore significativo è stato determinato dal comportamento delle imprese industriali che, nel loro percorso di crescita, hanno fisiologicamente trovato necessario un confronto con specializzazioni esterne al distretto per tutte quelle funzioni che il territorio non si è rivelato capace di offrire in modo adeguato. La crescita delle imprese ha implicato il ricorso a servizi finanziari, di comunicazione, di certificazione di qualità, di logistica, di accesso alle nuove tecnologie che rinviano a competenze distintive difficilmente reperibili nell'ambito dei sistemi locali. Le imprese di medie dimensioni, in particolare, hanno trovato funzionale fare riferimento a interlocutori esterni al sistema locale per poter accedere a specializzazioni coerenti con gli standard di qualità e, in alcuni casi, di eccellenza necessari a presidiare i relativi mercati.
Un secondo fattore importante è stato l'interesse manifestato da alcune grandi multinazionali nei confronti del patrimonio di competenze specifiche sedimentato nei distretti industriali, interesse che si è tradotto in acquisizioni totali o di controllo di imprese locali. Consapevoli dell'impossibilità di replicare nel breve termine competenze distintive legate a specifici contesti di sviluppo, i gruppi multinazionali più attenti alle opportunità del mercato hanno preferito ancorarsi al territorio, sviluppando una propria presenza e attingendo al patrimonio dei saperi distrettuali. Queste presenze hanno profondamente modificato i tradizionali rapporti fra le imprese, contribuendo a un processo di miglioramento gestionale in aree di management in cui la Pmi è sempre stata deficitaria.
Un terzo fattore di particolare rilievo che ha contraddistinto le dinamiche dei distretti nel corso degli ultimi dieci anni è stato il crescente processo di delocalizzazione avviato dalle imprese per tutte quelle attività manifatturiere che non si è più ritenuto conveniente sviluppare in ambito locale. Questo processo di delocalizzazione ha intrapreso strade diverse, in alcuni casi caratterizzate da processi spontanei poco regolati, in altri contrassegnati da un effettivo sforzo di pianificazione a livello di gruppi di imprese. Il confronto con le opportunità della delocalizzazione ha posto l'imprenditorialità locale di fronte alla necessità di un confronto rispetto alla difendibilità dei vantaggi competitivi di tipo tradizionale (legati nella maggior parte
dei casi a competenze di tipo manifatturiero), innescando un processo di ripensamento delle proprie competenze distintive.
Innovazione, competitivita e identità locali
La graduale apertura dei sistemi di sviluppo locale verso le opportunità e le minacce dell'economia globale rende necessaria una coerente politica regionale dell'innovazione, considerate anche le nuove responsabilità in materia, attribuite alle Regioni dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Il dibattito generato sulla fase di trasformazione dell'economia veneta ha consentito l'emergere di alcune significative convergenze rispetto ai nuovi problemi di competitività.
Un primo elemento di convergenza riguarda la necessità di un passaggio da un modello di sviluppo "estensivo" a un modello di sviluppo "intensivo", nel quale assume un ruolo centrale la crescita della produttività. Come è già stato messo in evidenza, in Veneto i processi di crescita economica continuano ad esprimere un forte fabbisogno aggiuntivo di manodopera, ambiente e infrastrutture. Tuttavia, la scarsità sociale di questi fattori, rende necessario il passaggio ad attività economiche che intensifichino l'utilizzo del capitale investito e che consentono una maggiore sostenibilità nel medio lungo termine. Questa tendenza, in parte già intrapresa dal sistema industriale regionale, necessita di un accelerazione che può essere accentuata da efficaci politiche dell'innovazione.
Il secondo elemento di convergenza riguarda la necessità di rispettare un modello di sviluppo che, con le sue differenziazioni rispetto alle logiche che hanno fatto la fortuna della grande impresa, tende a rappresentare un punto di forza rispetto al contesto internazionale. L'organizzazione delle filiere produttive in piccoli operatori specializzati, la capacità del sistema di riconfigurarsi in modo flessibile di fronte alle opportunità del mercato, il rinnovamento costante di capacità e formule imprenditoriali, fa distribuzione sodale della conoscenza tecnica e produttiva sono tutti fattori da valorizzare, che vanno rinnovati proponendo innesti coerenti con la tradizione culturale locale.
Il terzo elemento di convergenza riguarda la natura delle politiche sull'innovazione. Se è vero che la Regione ha saputo intraprendere un percorso autonomo di crescita economica fondato sulla saldatura fra attività economiche e cultura locale, è altrettanto vero che questa specificità richiede, oggi, una attenta riflessione sugli strumenti e le politiche di intervento. Infatti, intervenire in un contesto economico caratterizzato da forme di innovazione distribuita richiede una particolare attenzione alle effettive dinamiche di diffusione e di socializzazione della conoscenza. È necessario essere consapevoli che questo sforzo può poggiare in misura limitata sulle leve tradizionali della politica per l'innovazione.
Un quarto elemento, infine, sta nel favorire l'innovazione del sistema dei servizi e della logistica come fattori di modernizzazione e competitività.
Una strategia regionale per l'innovazione
Un'adeguata strategia regionale per l'innovazione richiede, prima di tutto, un'attenzione al sistema economico e sociale nel suo complesso. Da questo punto di vista è difficile immaginare un numero limitato e selezionato di strumenti, mentre è più utile definire un insieme di azioni convergenti che consentano di avviare processi di cambiamento reale. Una corretta strategia regionale comporta, quindi, un approccio evolutivo all'innovazione, capace di agire su più livelli (l'ambiente culturale e il capitale umano, i sistemi tecnologici avanzati, i sistemi produttivi locali, i processi aziendali) e di utilizzare una varietà di interventi (ricerca, trasferimento tecnologico, formazione, finanza, politiche per le risorse umane, creazione di impresa, etc). Inoltre, si rende necessario guardare al processo di innovazione come a una dinamica sociale oltre che tecnologica, nella consapevolezza che l'effettiva adozione di nuovi strumenti di lavoro, cosi come
l'utilizzo di nuove conoscenze a livello tecnologico e manageriale, richiede un ripensamento delle dinamiche sociali e di comunicazione su cui si fonda la crescita economica.
La Regione intende sviluppare un'azione politica diretta a conseguire una forte integrazione degli organismi operanti in settori prioritari, ad esempio: un parco scientifico dotato di mezzi e di spazi, una struttura di coordinamento istituzionale delle politiche dei maggiori enti fiera regionali, un'unica agenzia per l'internazionalizzazione del Nord-Est, l'attribuzione a Veneto Innovazione di funzioni di broker e di guida per le Pmi per l'accesso ai fondi per l'innovazione e la ricerca, la realizzazione di un'area attrezzata a Porto Marghera per l'erogazione di servizi alle imprese (parco tecnologico, marketing, sperimentazione).
Ragioni e problemi di una strategia regionale dell'innovazione
La Regione del Veneto intende sostenere l'innovazione intervenendo soprattutto sulle imprese, sui sistemi di impresa e sulle agenzie che sviluppano ricerca applicata, senza tuttavia sottovalutare la ricerca di base, la quale - nonostante sia principalmente di competenza nazionale ed europea - può essere sostenuta tenendo conto dei punti di forza e delle ricadute specifiche sul sistema regionale.
L'idea di fondo è che bisogna innanzitutto aiutare direttamente le imprese che investono in ricerca a compensare il rischio dei progetti innovativi, e bisogna investire sulle agenzie e sulle figure professionali che svolgono una funzione di interfaccia tra diversi "saperi", nell'ipotesi che per mantenere attivi i circuiti dell'innovazione è necessario favorire giochi cooperativi fra attori diversi. In particolare, gli attori da fare incontrare sono quelli che operano all'interno di tre sistemi che hanno spesso mostrato difficoltà di comunicazione reciproca: il sistema produttivo {imprese, lavoratori, associazioni), della conoscenza (Università e sistema educativo, centri di ricerca locali, nazionali, internazionali) e della finanza (credito, venture capital, mercato borsistico).
Le ragioni del difficile incontro fra imprese, ricerca e finanza ma, più in generale, la presenza di ostacoli alla creazione di un efficiente mercato delle attività innovative sono state ampiamente indagate dalla teoria economica. La conclusione è che, in un sistema economico dominato da Pmi, l'attività innovativa collegata ai nuovi campi della scienza e della tecnologia rischia di incontrare condizioni di sistematico sottoinvestimento. Ciò è dovuto al fatto che nelle attività di innovazione è coinvolto un bene molto particolare come la "conoscenza", il cui trattamento economico è caratterizzato da problemi che condizionano in misura rilevante la struttura dei mercati e l'attribuzione dei diritti di proprietà. Gli investimenti in conoscenza scientifica e tecnologica presentano, infatti, elevati costi fissi affondati, in quanto le attività coinvolte (ricerca, sperimentazione, progettazione, valutatone di mercato, etc.) oltre a presentare un elevato grado di incertezza sui risultati e il differimento nel tempo dei ritorni, hanno bisogno di rilevanti investimenti iniziali che, dato il carattere immateriale degli assets coinvolti, risultano in gran parte irreversibili. Anche quando vengono conseguiti adeguati risultati, il grado di "appropriabilità" da parte di chi effettua l'investimento rimane limitato, a causa della "difficile esci udibilità" di terzi dalla condivisione delle informazioni. Inoltre, nonostante la componente variabile dei costi di produzione dell'innovazione possa essere molto bassa, il vantaggio rischia, in realtà, di non essere colto a causa delle limitate dimensioni produttive e distributive delle Pmi e, soprattutto, dalla difficoltà di queste di codificare e separare i contenuti della conoscenza dal prodotto in cui vengono incorporati (ad esempio tramite brevetti). Infine, la conoscenza è vincolata da brevi cicli di vita e, dunque, dalla limitata durata temporale di validità economica dell'innovazione che consente l'eventuale ritorno del capitale investito, il che rende necessario un rapido accesso ai mercati mondiali tramite efficienti reti distributive, nonché la possibilità di ricorrere con efficacia a Istituzioni internazionali per la tutela della proprietà intellettuale.
I mercati dell'innovazione incontrano dunque molte difficoltà di funzionamento efficiente, anche perché risultano elevate le a-simmetrie informative fra chi detiene le conoscenze necessarie
(l'offerta) e gli utilizzatori (la domanda, cioè gli imprenditori che devono assumersi il rischio degli investimenti, ma anche i finanziatori a cui gli imprenditori si rivolgono).
Siamo dunque in presenza di una tipica situazione di fallimento (o limite) del mercato, che per essere superata ha bisogno di una qualche forma di intervento pubblico. Anche perché il sotto-investimento nell'innovazione ha evidenti conseguenze sul benessere sociale, soprattutto in uno scenario competitivo aperto che vede affacciarsi sia grandi organizzazioni industriali, che si posizionano sulle fasce alte del mercato dei beni e dei servizi differenziati (le grandi imprese sono per definizione meglio attrezzate delle piccole ad assorbire le economie di scala della conoscenza), sia nuove aree dell'economia mondo che insidiano i produttori tradizionali su fattori di costo. L'economia veneta non solo deve confrontarsi con questo scenario competitivo ma, come è già stato messo in rilievo, ha di fronte anche nuovi problemi "interni" detto sviluppo, come quelli causati dalla progressiva riduzione di disponibilità di fattori produttivi quali il lavoro, il capitale fisso sociale (infrastrutture), l'ambiente. L'innovazione, intesa come capacità di maggiore utilizzo di conoscenze e condizione di crescita della produttività, diventa dunque una scelta necessaria per dare continuità allo sviluppo economico e sociale.
Si potrebbe allora dire che quanto più l'innovazione presenta caratteri di "bene pubblico" ed esternalità positiva per l'economia tanto più è necessario che le Istituzioni assicurino specifiche forme di incentivo.
Tuttavia, esiste anche un altro lato del problema, che può essere riassunto dal seguente interrogativo: come orientare in modo efficiente l'iniziativa pubblica a sostegno dell'innovazione - che significa anche come stabilire criteri di selezione degli incentivi - se questa è il risultato di una esplorazione imprenditoriale la cui efficacia può essere valutata solo ex post ?
Programmare significa, essenzialmente, collegare la "conoscenza"che si detiene su un insieme di problemi con I' "azione" necessaria a risolverli. Ma l'innovazione - nel momento in cui coinvolge decisioni economiche, tecniche e organizzative concrete - è un problema che per definizione non si conosce e che perciò risulta molto difficile programmare. Questo vale soprattutto per le Istituzioni pubbliche le quali, non essendo direttamente impegnate nella produzione o nella ricerca, si trovano ad avere ancora meno informazioni delle imprese sui problemi concreti che l'attività innovativa comporta. Il rischio, perciò, è che per superare un fallimento del mercato si arrivi ad un più costoso fallimento della regolazione. In una situazione di asimmetrie informative fra regolatore e regolato, si possono infatti creare fenomeni di "cattura" (quando il regolatore subisce l'iniziativa del regolato, indipendentemente dalla bontà dell'iniziativa di quest'ultimo) e di "selezione avversa" (gli incentivi vengono distribuiti in base alla capacità di influenza degli attori piuttosto che sul grado di "efficacia" dei progetti).
Queste considerazioni hanno l'obiettivo di mettere in luce la necessità ma anche i limiti dell'azione pubblica nel sostegno all'innovazione e conducono alla necessità di rafforzare il dialogo con le imprese, con il sistema della ricerca e con la finanza, quale condizione essenziale per rendere utile ed efficace l'iniziativa regionale.
L'articolazione della politica regionale per l'innovazione
In Veneto, lo scambio di conoscenze e l'attività di progetto si sono principalmente sviluppati in contesti organizzativi che hanno saputo esaltare il coinvolgimento diretto dei protagonisti e hanno consolidato reti fiduciarie tra attori indipendenti, che si sono impegnati a investire su progetti e istituzioni comuni. Le innovazioni prodotte in particolare dal "modello distrettuale" sono state il risultato di un gioco complesso, che non può essere ridotto all'acquisto e alla vendita di servizi di ricerca, intermediato e organizzato secondo regole tradizionali.
Pur nella consapevolezza che le iniziative sul fronte dell'innovazione devono avere anche elementi di discontinuità, la politica della Regione del Veneto punta a "valorizzare" il sistema regionale dell'innovazione e non semplicemente di "sostituirlo" con modelli di organizzazione dell'attività di ricerca importati da altri contesti.
In questa prospettiva, le linee di una politica regionale per l'innovazione possono venire organizzate su tre livelli:
• le filiere dell'innovazione, progetti di innovazione di rilevante interesse regionale in settori ad
elevata intensità di conoscenza, che comportano la cooperazione di più soggetti - pubblici e
privati - e il collegamento fra i diversi livelli della catena del valore della conoscenza, in
particolare di Università, imprese, centri di ricerca, sistema del credito. Nell'ottica della
competizione tra centri, i progetti saranno individuati in base alle effettive capacità di
esprimere punti di eccellenza scientifica e tecnologica di livello internazionale, nonché
valutando le possibili ricadute nel sistema economico e sociale del Veneto. Un esempio di
questo tipo di azioni è rappresentato dal progetto di cooperazione scientifica e tecnologica
sullo sviluppo delle nanotecnologie. La Regione si impegna a fare convergere risorse proprie
e canalizzare quelle nazionali e comunitarie di propria competenza. La Regione ha assicurato
il suo apporto alle iniziative di cooperazione nel comparto attraverso la legge regionale 20
novembre 2003, n. 32
che prevede la sua partecipazione alla società consortile per azioni

(SCPA) Veneto Nanotech avente per oggetto l'istituzione di una organizzazione comune fra
partecipanti in vista dello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo nel settore delle
nanotecnologie. In questo senso, l'orientamento è quello di privilegiare le materie indicate
nei programmi quadro dell'UE per la ricerca, favorendo la creazione di solide reti di
cooperazione fra Istituzioni e imprese attraverso le quali il Veneto può candidarsi ad un
ruolo attivo nello spazio europeo della ricerca e dell'innovazione. I progetti per l'innovazione
prenderanno in considerazione pure le filiere della produzione agricola in particolare nei
distretti con vocazione di qualità;
• i distretti produttivi: il sostegno diffuso a progetti di innovazione avviene anche tramite
l'attivazione di partnership locali che intervengono nell'elevare le capacità competitive dei
sistemi produttivi del Veneto. I progetti di innovazione da favorire rispondono in questo caso
alle esigenze di creare economie esterne, beni pubblici territoriali e un maggior grado
cooperazione fra imprese e Istituzioni locali per la realizzazione di percorsi di evoluzione
degli assetti produttivi esistenti. Questo livello di azione è stato oggetto di uno specifico
provvedimento normativo, legge regionale 8/2004. Tale legge, tenendo conto anche delle
esperienze maturate da altre Regioni, si propone di superare l'idea tradizionale e un po'
statica di distretto come area di specializzazione industriale. Nella nuova impostazione, il
distretto produttivo viene infatti ridefinito come espressione della capacità del sistema di
imprese e delle Istituzioni locali di sviluppare una progettualità strategica, orientata a creare
e rafforzare i fattori territoriali di competitività. In altri termini, l'esistenza di un distretto
produttivo dipende principalmente dalla capacità degli attori locali di costruire strategie
cooperative e di investire in progetti e istituzioni comuni. In questa prospettiva, la Regione
del Veneto non intende solo riconoscere e "tutelare" i distretti esistenti, quanto piuttosto
rafforzare e diffondere le reti di cooperazione locale fra Pmi come strumento per elevare (a
capacità di competere e di creare innovazione. Le materie di politica industriale per i distretti
non saranno, perciò, dettate dalla Regione bensì individuate dalle "coalizioni istituzionali"
attive sul territorio, che potranno indicare la strategia di sviluppo più idonea per il sistema
produttivo locale. Per quanto riguarda la possibile estensione della normativa regionale sui
distretti produttivi, è da sottolineare che nonostante la legge sia stata formulata per le
attività manifatturiere, un modello analogo di promozione locale delle politiche per
l'innovazione potrebbe essere adottato, con gli opportuni aggiustamenti, anche nel campo
dei servizi, del turismo, dell'agricoltura;
• i processi innovativi: il terzo livello nelle azioni di sostegno all'attività innovativa si rivolge più
direttamente alle imprese. L'obiettivo è promuovere la ricerca industriale e il trasferimento
tecnologico da parte di Pmi tramite incentivi diretti e crediti di imposta da assegnare sulla
base di procedure valutative oppure automatiche con il ricorso a centri di innovazione
certificati della rete Nest (Network scientifico tecnologico multipolare del Veneto). Per
questo livello di azione fa da riferimento il documento di "Linee guida per un programma
regionale di intervento per la ricerca industriale, l'innovazione e il trasferimento tecnologico" predisposto da Veneto Innovazione con la collaborazione delle associazioni regionali di rappresentanza delle imprese.
Con particolare riferimento al sostegno dei processi innovativi, ma in realtà coinvolgendo anche gli altri livelli di azione, la politica regionale dovrà individuare le iniziative di sostegno alla "rete regionale dell'innovazione", da intendersi come strumento flessibile di offerta di servizi di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico per le imprese. Tale rete è composta da centri di servizio, parchi scientifici e tecnologici, laboratori di ricerca e prova, sia pubblici che privati, attivi sul territorio regionale e che, per ricevere il sostegno regionale, dovranno rispondere ai requisiti per l'accreditamento Nest. La formulazione di tali requisiti sarà oggetto di una specifica normativa regionale sull'innovazione. In questo quadro va infine definito il ruolo di Veneto Innovazione, in merito alla sua funzione di agenzia di regolazione delle politiche regionali per l'innovazione, con particolare riferimento alle attività consultive e valutative sulle filiere e i processi dell'innovazione, nonché di accreditamento della rete Nest.
Una rete regionale di servizi per l'innovazione
In Veneto sono già oggi attive alcune importanti agenzie di offerta di servizi per l'innovazione promosse e sostenute con il concorso regionale (Ir. 36/1995), le quali, oltre a sviluppare una propria gamma di attività, svolgono funzioni di raccordo fra le imprese e le strutture di ricerca universitarie. Si tratta delle agenzie riconducibili ai nodi principali della rete Nest e che a vario titolo possono essere ricondotte all'esperienza dei parchi scientifici e tecnologici.
Considerati i limiti delle risorse disponibili, è tuttavia difficile ritenere che tali agenzie possano aspirare ad un ruolo diretto nella ricerca e nella produzione di conoscenze tecnologiche. Fra le proposte emerse all'interno dei Tavoli di Concertazione per l'Innovazione, si è fatta strada l'idea che tali agenzie possano valorizzare la loro presenza sul tessuto produttivo dedicandosi, in particolare, a due funzioni chiave: la prima è quella di "broker dell'innovazione", con l'obiettivo di assistere le imprese venete nei progetti innovativi e, più in generale, di collegare domanda e offerta di conoscenze scientifiche e tecnologiche in un mercato che, a causa di rilevanti asimmetrie informative, risulta tutt'altro che trasparente; la seconda funzione è quella di "incubatore " di imprese innovative, in particolare create da giovani ad elevata istruzione e orientate a fornire prodotti e servizi utili al rafforzamento competitivo dell'economia regionale. Se queste due funzioni sono state quelle sulle quali, almeno fino ad oggi, si è principalmente concentrata l'attività dei centri dell'innovazione in Veneto, si tratta ora di valutarne la congruenza con le nuove esigenze del sistema produttivo regionale.
Per quanto riguarda l'azione di broker, la discussione sviluppata nel tavolo regionale dell'innovazione ha evidenziato diverse linee di intervento al fine di migliorare le prestazioni delta rete regionale dell'innovazione. Tra queste si segnala, in particolare l'esigenza di:
• adeguare il sistema di valutazione dei risultati e di incentivi al management dei centri di
innovazione sostenuti da risorse regionali;
• completare ed estendere la gamma di offerta di servizi di assistenza ai progetti di
innovazione, considerando anche le esigenze di favorire l'accesso delle Pmi a fondi
privati o a contributi pubblici nazionali e comunitari;
• favorire una progressiva internazionalizzazione dei servizi regionali per l'innovazione,
con l'obiettivo di creare strumenti di interfaccia sempre più efficaci fra domanda locale
ed offerta globale di conoscenze scientifiche e tecnologiche, ma anche come veicoli per
valorizzare l'innovazione delle imprese venete nei circuiti internazionali, ad esempio
tramite l'incremento della capacità brevettuale e una maggiore attenzione alla
codificazione e alla tutela delle conoscenze tecnologiche.
3.1.3 I nuovi rapporti tra finanza e sviluppo
Per dare continuità ai processi di innovazione è necessario che in Veneto si rafforzino i circuiti della finanza innovativa. In questo sistema sono coinvolti più soggetti: il sistema del credito, i fondi di investimento, i soggetti della finanza innovativa, il sistema dei Confidi. L'obiettivo è di favorire la creazione di un insieme di strumenti finanziari effettivamente accessibili alle Pmi che intendono intraprendere originali progetti di innovazione. È altresì evidente il legame di questo punto con le azioni sul fronte del trasferimento tecnologico, della creazione d'impresa e dei progetti di ricerca scientifica.
Il Veneto è considerato area di forte concentrazione di risparmi familiari, oltre 20% del reddito
disponibile, e di autofinanziamento. La struttura produttiva è concentrata nelle piccole imprese e
il tradizionale "orientamento alla banca" del nostro capitalismo non ha consentito di sviluppare
un ampio mercato dei capitali. L'imprenditore veneto, poco propenso a "farsi partecipare" nel
capitale e nella gestione aziendale, ha reso altresì difficile l'ingresso nell'impresa, con capitale
proprio, di società finanziarie o di merchant bank.
La necessità di un mutamento di strategie, dall'efficienza, abbattere i costi, all'efficacia,
competere e innovare, riporta ora in primo piano la necessità di disporre anche in Veneto di una
finanza per l'innovazione che passi necessariamente anche attraverso una innovazione del
sistema finanziario operante nella Regione. Se l'innovazione deve essere un fatto coordinato
appartenente ad un processo e ad una filiera innovativa con ampie ricadute territoriali, appare
ovvio che il finanziamento dell'innovazione come esternante positive deve essere attentamente
seguito dai pubblici poteri e dal sistema bancario, come capacità di fornire fonti per il venture
capital e dall'imprenditore, come apertura di una cultura dell'ingresso di partners finanziari nel
progetto innovativo.
La flessibilità del sistema delle Pmi venete è stata messa in luce in più occasioni, in particolare
attraverso "letture finanziarie" che hanno evidenziato il forte indebitamento, soprattutto a breve
termine e, simmetricamente, la sottocapitalizzazione di questa importante componente
dell'economia regionale.
Tutto ciò non deve far ritenere che questo tipo di imprese abbiano una struttura finanziaria
squilibrata e fragile. Una considerazione più attenta non solo alla struttura del passivo ma anche
a quella dell'attivo, porta a concludere infatti che sostanzialmente la composizione delle fonti è
simmetrica a quella degli impieghi.
Una prima caratteristica della struttura del passivo infatti, data dalla marcata prevalenza
dell'indebitamento sul capitale proprio (indebitamento tra l'altro orientato al breve termine per
circa i 2/3 del totale), corrisponde ad una composizione dell'attivo che vede la prevalenza del
capitale circolante sugli investimenti fissi, a loro volta "coperti" dal capitale proprio e
dall'indebitamento a medio e lungo termine.
Una seconda caratteristica di rilievo che si dimostra persistere nel corso del tempo è data
dall'ancora vasta presenza di crediti e debiti di natura commerciale, notoriamente più costosi
dell'indebitamento bancario.
Queste caratteristiche sono, a loro volta, la diretta conseguenza di due circostanze rilevanti:
• la prima, della flessibilità del sistema produttivo veneto che induce a privilegiare gli
investimenti a rapido rigiro rispetto a quelli a medio e lungo termine;
• la seconda, di un infittirsi dei legami intrasettoriali ed intersettoriali delle imprese nell'ambito
di uno stesso distretto e/o filiera produttiva e anche tra distretti e filiere diverse.
Non dimentichiamo infatti che la flessibilità ha costituito un potente fattore di competitività in un contesto produttivo, quale quello del decennio precedente all'introduzione dell'Euro, dominato da forti incertezze e da instabilità nei tassi d'interesse, nel livello dei prezzi e nei cambi, per cui le scelte imprenditoriali erano necessariamente legate ad orizzonti temporali brevi e con rapidi ritorni degli investimenti.
I nuovi scenari aperti dall'introduzione dell'Euro (con i maggiori gradi di stabilità e minori livelli di incertezza nei prezzi, nei cambi e nei tassi d'interesse) e dall'avvento di una competizione sempre più "globale", potrebbero e dovrebbero imporre alle imprese scelte di investimento innovative caratterizzate da "ritorni" più differiti nel tempo.
In altri termini, alla strategia legata alla flessibilità, si sarebbe dovuto sostituire una strategia di "adattabilità" strutturale, in cui la competizione dovrebbe essere conseguita mediante innovazioni incorporate in investimenti e progetti di più ampio respiro. Inoltre questi mutati scenari, in cui l'innovazione, sia essa di processo o di prodotto, ed i conseguenti investimenti in ricerca e sviluppo saranno sempre più necessari, impongono di riconsiderare alcuni aspetti di rilievo:
• i rapporti banca-impresa;
• la "nuova" politica industriale e la "governance" dei sistemi locali.
È noto "l'orientamento" alla banca del sistema produttivo italiano in generale, anche se la
convenienza ad utilizzare capitale di rischio è stata di recente favorita dalle nuove disposizioni
fiscali ed in particolare dall'entrata in vigore dell'IRAP e della DIT.
Malgrado questi scenari favorevoli alcuni problemi rimangono, fra cui l'elevato ammontare di
crediti e debiti commerciali.
Va notato tra l'altro che le crisi finanziarie ed economiche, sia a livello di singola impresa che a
livello di sistema, sono tanto più probabili (il cosiddetto effetto "domino") quanto maggiore è
l'interdipendenza finanziaria fra le imprese data da N'infittirsi dei rapporti di credito e debito
commerciale.
La soluzione a questo problema, intrinseco al sistema finanziario, passa attraverso una nuova
ottica del rapporto banca-impresa nella quale potrebbero inserirsi gli organismi di garanzia
adeguatamente attrezzati a monitorare e fornire servizi di istruttoria per la concessione di
finanziamenti soprattutto di medio lungo termine. Tutto ciò al fine di porre il sistema delle
banche venete nell'ottica di "anticipare" l'investimento, soprattutto quello innovativo, finora
finanziato in larga misura dai profitti e dall'autofinanziamento e sorretto da garanzie reali. Il
problema è destinato ad assumere maggior rilievo con l'avvento delle regole imposte dagli
accordi di Basilea.
Fra le altre patologie che contraddistinguono il Sistema produttivo veneto, va poi ricordata
l'elevata incidenza "negativa" del fenomeno della successione imprenditoriale. La scarsa
programmazione finanziaria dell'evento successorio rischia di provocare una sorta di "deriva
generazionale" mettendo a repentaglio un patrimonio storico di risorse umane, tecnofogiche e
finanziarie, che costituisce il punto di forza del tessuto produttivo veneto. Ma è soprattutto la
carenza di forme innovative di partecipazione al capitale di rischio(merchant banking, venture
capital) che, unita alla scarsa propensione del piccolo e medio imprenditore a farsi "partecipare"
da soci estranei alla famiglia, costituiscono un ostacolo all'introduzione di innovazioni che
comportino investimenti massicci.
La flessibilità del sistema produttivo veneto ha profondi riflessi anche sul livello della produttività
e quindi della redditività del sistema produttivo. La strategia orientata alla flessibilità ovvero alla
prevalenza del capitale circolante sul capitale fisso porta con sé necessariamente la ricerca di
maggiore redditività attraverso strategie di efficienza ovvero di riduzione di costi in settori
maturi, piuttosto che mediante strategie di efficacia, ovvero di ricerca di nuovi prodotti e nuovi
mercati in settori innovativi.
In effetti, l'efficienza produttiva viene mantenuta molto spesso attraverso innovazioni di
processo ed organizzative in gran parte riferibili alla delocalizzazione e rilocalizzazione di alcune
fasi del processo produttivo in aree extracomunitarie a più basso costo del lavoro.
Non solo, ma le imprese appartenenti ai tradizionali distretti produttivi non dotate di potere
contrattuale nei confronti di chi possiede un marchio o un mercato finale proprio, si trovano
costrette a subire condizioni contrattuali in termini di prezzi, di tempi di consegna o di
realizzazione dei prodotti sempre più restrittive. In definitiva, si ha l'impressione, in molti casi, di
essere di fronte ad una imprenditoria tesa più a presidiare fasi di lavorazione spesso
"intermedie" rispetto al mercato finale, anche se di qualità elevata, in cui valore aggiunto e redditività tendono inesorabilmente a ridursi.
Le ragioni di questo appiattimento su strategie di efficienza, che possono consentire al più la difesa di sempre più risicati margini di profitto, ma non certo cospicui aumenti di produttività, sembra risiedere nel fatto che il sistema delle imprese, anche a causa delle ridotte dimensioni delle stesse, non sia in grado di utilizzare adeguati supporti "esterni" di ricerca e sviluppo né del loro finanziamento. Si riduce cosi la possibilità di tradurre queste componenti in nuovi prodotti e in nuovi mercati.
Fattori dimensionali quindi, ma anche fattori strutturali sembrano portare il sistema produttivo veneto verso un consolidamento del "core business" e quindi delle produzioni tradizionali attraverso innovazioni organizzative (delocalizzazione) e di processo piuttosto che verso la ricerca e lo studio di nuovi prodotti e di nuovi mercati.
Il ruolo di guida dovrebbe spettare alla grande e alla media impresa e alle Istituzioni deputate al supporto della ricerca e dello sviluppo attraverso l'incentivazione di rapporti maggiormente integrati tra Università e impresa, soprattutto nei settori strategici dei nuovi materiali, delle biotecnologie, delle nanotecnologie e dell'informazione e comunicazione. Il continuo rafforzamento dell'euro rende cruciale il tema della produttività al fine di mantenere una competitività che non potrà più fondarsi su svalutazioni della moneta europea. Uno dei fattori di successo dell'economia veneta sta nel rapporto tra impresa ed ambiente locale, rapporto che ha saputo coniugare competizione con cooperazione, reti informali di fiducia con istituzioni formali in organizzazioni di produzione a dimensione di "distretto". È anche su questa dimensione che si potrà operare una valorizzazione delle capacità progettuali in tema di ricerca, sperimentazione e innovazione facendo leva su forme di "governance" che superino la burocratizzazione ed il centralismo che da sempre hanno caratterizzato la politica industriale italiana. Tutto ciò nell'ottica di offrire ai sistemi locali capacità innovative a tutto campo.
Infatti, se le innovazioni di processo e organizzative hanno dato risultati quanto a capacità competitiva legata ai prezzi, detta capacità, nella prospettiva di rilancio dell'economia europea, sarà sempre più legata non tanto e non solo all'abbattimento dei costi, ma al miglioramento della qualità e all'introduzione di innovazioni di prodotto per affrontare mercati interni sempre più estesi e più ricchi. In un contesto economico in cui è sempre più rilevante spostarsi da strategie di "process proximity" come era negli anni '60 o di "product proximity" come negli anni '70 - '80, a strategie di "customer porximity" che utilizzano maggiormente informazioni e conoscenze, occorre dar vita ad un ripensamento dell'organizzazione produttiva e di quella di servizio con strutture più snelle e dominate da logiche di rete. Ciò comporta, per le imprese, investimenti massicci nelle fasi "a valle" di commercializzazione e gestione dei flussi logistici e in quelle "a monte" di progettazione, selezione e controllo delle materie prime,
3.1.4 Internazionalizzazione del sistema produttivo veneto
La propensione all'export dell'economia veneta
La proiezione internazionale delle attività industriali e di servizio rappresenta uno dei fattori fondamentali della crescita economica. Soprattutto per una realtà produttiva come quella veneta, che da tempo sviluppa rilevanti relazioni commerciali con le altre aree dell'economia mondiale. Il Veneto è, infatti, la Regione italiana con la maggiore apertura commerciale agli scambi internazionali: la sua propensione all'export- misurata dal rapporto tra export e valore aggiunto regionale - è pari al 37,4% (anno 2002). Il valore delle esportazioni venete è stato nel 2003 di quasi 36,5 miliardi di euro, che corrisponde ai 14,1% del totale nazionale, una percentuale quasi doppia rispetto il peso demografico della Regione.
Tale apertura non è un fatto recente, poiché è da almeno venticinque anni che l'economia veneta vede crescere le esportazioni ad una velocità superiore rispetto alla media nazionale.
Anche se nell'ultimo periodo si è assistito ad un progressivo allineamento con le altre Regioni, va anche considerato che in valore assoluto l'export veneto è superiore alla somma dell'export di tutte le regioni del Sud e delle isole, Lazio compreso.
L'euro e il cambiamento dello scenario internazionale
Bisogna tuttavia riconoscere che un modello di crescita cosi fortemente basato sull'export può cominciare ad incontrare in Veneto alcuni limiti di natura sia macroeconomia che produttiva. I primi dipendono dall'entrata a regime dell'euro come valuta comune, e di conseguenza dall'impossibilità di ricorrere a manovre sui cambi per fare fronte ad un differenziale inflativo nazionale che - sia pure limitato - ancora oggi continua a penalizzare le imprese esposte alla concorrenza internazionale. Nei primi anni di vita della moneta comune, la debolezza rispetto a dollaro e yen ha concesso alcuni margini di adattamento sui mercati esteri, riducendo per le imprese italiane i rischi di un brusco e generale abbassamento delle condizioni di profittabilità delle esportazioni. Questa situazione ha infatti consentito alle imprese venete di riposizionarsi su nuovi mercati, spostando l'orientamento dell'asse commerciale dalle tradizionali direttrici di Eurolandia all'Europa orientale e, soprattutto, al Nord America.
Lo scenario internazionale sta, tuttavia, cambiando rapidamente: la drammatica situazione di crisi nel Medio Oriente, il raffreddamento dell'economia statunitense, il perdurare di una fase di stagnazione dell'economia giapponese e, di conseguenza, il progressivo rafforzamento dell'euro come valuta di scambio, possono determinare una situazione molto meno favorevole per le imprese venete. Anche perché proprio i partner dell'Unione Europea - e in particolare la Germania - non potranno che orientare sui mercati domestici di Eurolandia parte crescente dei propri potenziali produttivi, accrescendo una competizione interna che già negli ultimi anni si è fatta sensibilmente sentire: non è certo un caso che negli ultimi anni il Veneto abbia progressivamente ridotto l'attivo commerciale con la Germania.
I vincoli strutturali alla crescita export-led
II cambiamento delle condizioni macroeconomiche rende più urgente affrontare anche il
secondo limite del modello di crescita export-led, rappresentato dalla dinamica della
produttività. In Veneto l'incremento dei volumi delle vendite all'estero è infatti sempre più
vincolato dalla difficoltà di aumentare la capacità produttiva interna attraverso un ulteriore
impiego dei fattori, in particolare di lavoro e infrastrutture materiali. Si tratta di limiti non
facilmente aggirabili nel breve periodo, poiché è difficile ipotizzare un aumento di dotazioni o
una riduzione di domanda all'interno del modello di crescita estensiva che ha contraddistinto lo
sviluppo regionale nell'ultimo quarto di secolo.
Di fronte a questi vincoli, la strada da percorrere è quella dell'aumento di produttività. A parità di impiego dei fattori, è la crescita di produttività dei fattori che può assicurare la continuità del processo di sviluppo. Per il sistema produttivo del Veneto - caratterizzato da una forte base industriale - questo porta verso almeno due direzioni, per altro fra loro intrecciate: la prima strada è quella di una crescita del valore unitario dei prodotti attraverso strategie di differenziazione e un maggior ruolo dell'innovazione, sia tecnologica (per accrescere l'utilità, la funzionalità nonché l'integrazione con le nuove frontiere tecnologiche) che semantica (design, personalizzazione, beni di esperienza); la seconda strada è quella di una crescita delle capacità di organizzazione di reti produttive decentrate, all'interno delle quali ricavarsi un ruolo nello sviluppo di funzioni ad elevato valore aggiunto, come sono quelle della progettazione e prototipazione, del marketing e della distribuzione, della finanza, della logistica, dei controlli di qualità; lasciando invece alle economie emergenti le attività manifatturiere e a maggiore intensità di lavoro.
Interscambio di servizi e investimenti in conoscenza
Un risvolto immediato di questa strategia evolutiva dell'economia veneta potrebbe venire individuato nell'interscambio di servizi. In realtà, se si esclude la voce "turismo", quello delle "partite invisibili" rimane uno dei pochi ma significativi punti critici dell'economia veneta. Infatti, se il valore dei crediti esteri per servizi è stato nel 2000 superiore a quello dell'intera industria del tessile-abbigliamento-calzature, e corrispondente a quasi due volte l'export dell'industria conciaria, ciò è quasi interamente attribuibile (87%) al turismo, che è del resto l'unico comparto a misurare un attivo nella bilancia dei servizi. Il turismo si conferma cosi un settore assolutamente strategico per lo sviluppo regionale. Ma che non risolve il problema della sostenibilità del modello labour intensive che il turismo, non diversamente dall'industria manifatturiera, contribuisce invece a rafforzare. In tutti gli altri comparti di servizio che, invece, potrebbero contribuire ad elevare la dinamica della produttività del sistema economico - come i servizi alle imprese, i brevetti, i servizi informatici, quelli finanziari, assicurativi, logistici e della comunicazione - la posizione internazionale del Veneto è ancora marginale, e continua a registrare passivi correnti. La valutazione non cambia se confrontiamo la situazione regionale con quella nazionale, dove tutte le voci mostrano un peso inferiore a quello che il Veneto misura in termini di addetti.
Un dato che, in termini comparativi, può offrire una misura dell'impatto reale del processo di innovazione nell'export, è quello del rapporto fra valore economico reale e peso dell'export degli Usa: ebbene, alcune stime ci dicono che tale rapporto sarebbe raddoppiato negli ultimi dieci anni, nel senso che a fronte di una sostanziale stabilità del "valore reale "dell'export, il suo peso si sarebbe invece dimezzato. È evidente come questo sia il risultato di un maggiore contenuto del "valore immateriale"- di conoscenza, tecnologia, innovazione, servizio - nella produzione. Anche per il Veneto, il mantenimento delle dinamiche del modello di sviluppo non può che passare attraverso maggiori investimenti nelle funzioni cognitive e immateriali e, di conseguenza, attraverso una diversa organizzazione internazionale delle catene del valore, intensificando nella base domestica le attività ad elevato valore aggiunto e spostando in altre regioni le produzioni estensive.
Investimenti diretti e modelli di internazionalizzazione
Una critica che anche recentemente è stata rivolta alle imprese venete consiste nella scarsa internazionalizzazione del modello produttivo. La formulazione di questa critica suona sommariamente in questo modo: le imprese del Veneto esportano molto ma effettuano limitati investimenti diretti all'estero (Ide), e perciò non riescono a presidiare stabilmente i mercati lontani né a valorizzare le opportunità di lavoro e tecnologia presenti nelle altre regioni dell'economia mondiale. Ora, se l'affermazione sulla bassa intensità degli Ide è vera, ciò tuttavia non consegue una scarsa internazionalizzazione produttiva.
Gli Ide, infatti, sono investimenti reali effettuati all'estero in fabbriche, beni capitali, terra, scorte che avvengono sia attraverso la creazione di imprese consociate sia mediante l'acquisizione di quote del capitale di imprese esistenti. Diversamente dagli investimenti finanziari (o di portafoglio), gli Ide comportano la gestione diretta da parte dell'investitore, che mantiene il controllo sull'uso del capitale investito. Questa forma di investimento risponde, perciò, soprattutto ad una strategia di "integrazione proprietà ria" a scala internazionale dei cicli tecnici e organizzativi della produzione.
È perciò facile capire che l'intensità degli Ide è collegata sia ai caratteri dimensionali dell'industria, principalmente grandi imprese, che alla struttura dei mercati di riferimento -privilegiando quelli oligopolistici o monopolistici. L'economia italiana, e quella del Veneto in particolare, non ha affatto le caratteristiche strutturali per esprimere un'elevata intensità di Ide. Utilizzare questo indicatore senza considerare le diverse strutture economiche a cui viene riferito può portare a dei fraintendimenti. Il che non vuoi dire togliere ogni significato interpretativo
all'intensità degli Ide - e non riconoscere una funzione strategica a questo tipo di investimenti -ma certamente ridimensionare molto la portata di alcune conclusioni troppo affrettate. In realtà, il fatto che gli Ide in uscita non siano rilevanti non deve sempre venire letto negativamente: in alcuni casi, una limitata quantità di Ide può funzionare come leva di più estesi processi di internazionalizzazione. Anche perché, laddove sono maggiormente presenti Pmi e distretti con elevata vocazione all'export, è molto probabile che si riduca la stessa necessità degli Ide come strumento di internazionalizzazione, in quanto l'interscambio commerciale può in parte funzionare come sostituto dell'investimento stesso.
Il fenomeno della delocalizzazione in Veneto
II fenomeno della delocalizzazione produttiva, inteso come decentramento all'estero di attività in precedenza svolte nella base domestica, costituisce una delle forme più manifeste dei processi di "integrazione internazionale della produzione" attraverso transazioni di mercato.
Questa particolare visibilità sociale ha reso il fenomeno della delocalizzazione un argomento sul quale negli ultimi anni si è concentrata l'attenzione dell'opinione pubblica, sollevando giudizi contrastanti in ordine all'impatto che tale processo causerebbe sull'occupazione e sullo sviluppo locale. Si tratta di un fenomeno che ha raggiunto nei distretti veneti dimensioni consistenti, tali da far ritenere che non si tratti affatto di un evento congiunturale quanto piuttosto di un sintomo del cambiamento strutturale dell'economia regionale.
Un primo aspetto da considerare è la distanza fra la percezione sociale di questo fenomeno produttivo e la consistenza di misure adeguate in grado di dimensionarne la portata. In realtà, per essere adeguatamente misurato il fenomeno della delocalizzazione dovrebbe, innanzitutto, venire definito sul piano concettuale, dato che in esso vengono spesso riassunte strategie molto diverse. Si può delocalizzare attraverso la dismissione di impianti nella base domestica e la rilocalizzazione in Paesi terzi. Ma si può anche realizzare o utilizzare un impianto all'estero per espandere la produzione che nella casa madre non è possibile o conveniente avviare. Cosi come un processo di delocalizzazione può avvenire semplicemente mediante la decisione di affidare una fase di lavorazione ad imprese estere o acquisire una linea di prodotti o componenti, prima realizzati all'interno dell'azienda, da fornitori presenti in località remote. Anche la sostituzione dei fornitori locali con fornitori esteri può rientrare nella categoria della delocalizzazione, in quanto si effettua uno spostamento di attività lavorativa verso un altro Paese. Come si vede, solo per alcune di queste situazioni è possibile misurare un investimento diretto all'estero (Ide), per altre - come si è già visto - si effettua una integrazione internazionale della produzione attraverso transazioni di mercato che, prima, si sviluppavano invece all'interno degli stabilimenti o dei confini nazionali. In questo senso, la delocalizzazione mette in luce delle modalità di internazionalizzazione produttiva che i tradizionali indicatori basati sull'intensità degli Ide tendono invece a sottovalutare.
Sulla base di queste considerazioni, diventa possibile costruire una misura dei processi di decentramento internazionale della produzione relativi ad alcune filiere del made in Italy. Per i soli settori del "sistema moda" (concia-calzature e tessile-abbigliamento) gli occupati all'estero creati da imprese italiane che hanno effettuato un decentramento di attività, ammontavano a fine anni '90 ad un valore compreso tra 130mila e 180mila addetti. In rapporto all'intera occupazione italiana dei settori considerati, si tratta di una quota superiore al 15% del totale. C'è inoltre da considerare che nel corso degli anni '90 il processo delocalizzativo è andato progressivamente crescendo: se nel periodo 1990-1997 le esportazioni italiane nelle filiere del tessile, abbigliamento, concia e calzatura sono cresciute complessivamente del 50%, l'interscambio connesso con i processi di delocalizzazione è invece aumentato ad un ritmo dell'80-90% annuo. Questo processo è destinato nel tempo a stabilizzarsi, in quanto bisogna considerare che la forte crescita iniziale è dovuta sia ad una relativa novità del fenomeno (che subirà, dunque, gli effetti dei rendimenti decrescenti), sia al fatto che a spingere in questa direzione è stato anche il nuovo scenario geopolitico che proprio negli anni '90 ha aperto la
possibilità a molte imprese italiane di accedere a bacini occupazionali un tempo esclusi dalla divisione internazionale del lavoro. Tuttavia, il dato che emerge è indubbiamente rilevante e conferma come la proiezione internazionale delle imprese italiane risulti - anche nei settori cosiddetti "tradizionali" - superiore a quella normalmente rilevata attraverso la misura degli Ide. Inoltre il Veneto è la Regione che più di ogni altra in Italia ha effettuato negli anni '90 processi di decentramento all'estero di attività: con meno del 20% degli addetti nazionali al "sistema moda", lo stock di occupazione delocalizzata raggiunge quasi il 40% del totale. In valore assoluto ciò significa che le imprese venete che operano nei settori del sistema moda avevano attivato all'estero, alla fine degli anni '90, un'occupazione di circa 60-70 mila addetti. Considerato che i settori esaminati pesano per una quota del 25% circa sull'occupazione industriale della Regione, e anche scontando che per gli altri settori il fenomeno sia stato inferiore, si può realisticamente arrivare alla conclusione che per l'insieme delle imprese dei Nordest il fenomeno delocalizzativo abbia comportato nel corso degli anni '90 un decentramento all'estero di circa 150mila occupati, che corrispondono a quasi 20mila imprese di dimensione equivalente alla media regionale.
La delocalizzazione come strategia di crescita intensiva e riposizionamento internazionale
L'aspetto che generalmente sembra accomunare il processo di delocalizzazione è una condizione di abbandono del territorio, che si presenta come perdita di lavoro, opportunità di sviluppo, relazioni locali, know how produttivo. Anche nei casi in cui la decisione riguardi l'espansione della produzione, il trasferimento all'estero sembra rappresentare per i distretti una perdita solo potenziale, ma pur sempre una perdita. Questo modo di guardare alla delocalizzazione tende a nascondere l'altra faccia del processo, costituita dai fenomeni rilocalizzativi e di riqualificazione della produzione che avvengono nella base domestica. In realtà, se i processi di delocalizzazione vengono osservati in modo meno superficiale, emerge come essi comportino non solo una perdita di lavoro e opportunità di sviluppo ma anche l'acquisizione di nuove attività e competenze produttive all'interno dei distretti, rappresentando, di fatto, un percorso verso il riposizionamento nella divisione internazionale del lavoro e una spinta verso processi di innovazione e riaggiustamento industriale.
Per affrontare tali questioni è dunque opportuno comprendere Se ragioni che stanno alla base delle strategie di delocalizzazione delle imprese. Di solito si usa associare queste strategie alla ricerca di abbattimento del costo del lavoro, soprattutto quando si sceglie di decentrare le produzioni nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, sono da considerare anche altre variabili che generalmente vengono sottovalutate. Infatti le attività delocalizzate, almeno finora, sono state quelle più standardizzate e ripetitive, che difficilmente avrebbero trovato un'adeguata offerta nei mercati locali del lavoro. Proprio per questo, la delocalizzazione è spesso una strategia resa necessaria dalla mancanza di manodopera disponibile in loco, in particolar modo, di quella disponibile a svolgere mansioni (cosiddette unskilled) che il mercato internazionale del lavoro può offrire a prezzi molto bassi rispetto ad altre attività presenti nelle economie sviluppate. Del resto, la presenza di lavoratori immigrati proprio nelle aree da cui prende origine la delocalizzazione tende a confermare che nei segmenti bassi del mercato del lavoro la domanda delle imprese eccede l'offerta locale. Infatti, se si confronta il valore della produzione decentrata all'estero con il tasso di disoccupazione, se ne ricava, a livello di singola Provincia, una correlazione negativa: in altri termini, la delocalizzazione è innanzitutto una risposta alla carenza di offerta locale di lavoro. Inoltre, nelle aree in cui la delocalizzazione è stata più intensa, si riscontra un fenomeno apparentemente paradossale: ('occupazione nei settori direttamente coinvolti dal decentramento si riduce meno che nelle aree nelle quali il fenomeno è assente o meno presente; mentre i redditi da lavoro, sempre nelle aree più aperte al decentramento internazionale, crescono più rapidamente anche nei settori che delocalizzano. Questo fenomeno trova conferma anche se l'analisi viene condotta a livello di singola azienda, il che sottolinea
come la delocalizzazione comporti lo sviluppo nella base domestica di attività a maggior valore aggiunto.
Ma la strategia di de localizzazione, quando non risponde ad una pura logica di decentramento delle linee basse di produzione, può avere come obiettivo quello di entrare su nuovi mercati o avvicinare le forniture alle sedi dei committenti internazionali. In alcuni casi, come nel settore della concia o del marmo, lo spostamento all'estero delle prime fasi di lavorazione è reso necessario da vincoli di natura ambientale nei distretti di origine, oppure dall'opportunità di mantenere un legame diretto con i mercati di provenienza delle materie prime. C'è inoltre da rilevare che per molte imprese lo spostamento all'estero delle fasi a maggior intensità di lavoro è, allo stesso tempo, causa e conseguenza dello sviluppo di attività di progettazione, sviluppo di nuove tecnologie, controllo di qualità, marketing, distribuzione e servizio. Infatti, lo spostamento all'estero di attività unskilled libera risorse per funzioni più specializzate, e queste ultime presentano a loro volta la necessità di operare su mercati più vasti, che proprio la crescita delle reti decentrate consente di ottenere.
In questi casi, la delocalizzazione rappresenta il sintomo di un cambiamento del modello di sviluppo, che da estensivo - dove la crescita è funzione crescente delta quantità dei fattori di lavoro, capitale e ambiente impiegati nella produzione - diventa invece intensivo e caratterizzato, dunque, dall'aumento di produttività nell'uso dei fattori.
In questa prospettiva, la delocalizzazione non segnala solo un trasferimento di attività da un territorio (i distretti del made in Italy) ad un altro (in primis l'Europa dell'est, le regioni balcaniche e il bacino del Mediterraneo) ma un cambiamento nelle modalità stesse attraverso cui si organizza la divisione internazionale del lavoro. Una divisione che sempre meno può venire letta correttamente attraverso la categoria della specializzazione di "prodotto"- per cui a rischio sarebbero soprattutto le attività cosiddette tradizionali, dove il Veneto misura la maggiore specializzazione - quanto piuttosto analizzando le "funzioni " presidiate dai diversi sistemi produttivi nelle catene globali del valore.
Sulla base di questa interpretazione, la delocalizzazione dovrebbe essere guardata come una strategia che può rafforzare il posizionamento internazionale della produzione locale, liberando risorse - di lavoro, capitale, ambiente - che possono venire meglio impiegate, se adeguatamente riconvertite, in attività a maggiore qualificazione e produttività, che, dunque, risentono meno della concorrenza internazionale sui costi.
Una politica regionale per l'internazionalizzazione cooperativa
La dinamica competitiva in un'economia aperta, in cui l'innovazione assume un ruolo sempre più rilevante, non è un gioco a somma zero, e in molti casi è necessario perdere qualcosa (come attività a bassa qualificazione e facilmente trasferibili) per guadagnarne altre (come lavoro qualificato e meglio pagato). Inoltre, la delocalizzazione può rientrare in una più generale strategia di riposizionamento internazionale delle imprese e delle economie locali, in cui l'estensione delle reti di divisione del lavoro costituisce la base per raggiungere più elevate economie di scala nella creazione e uso della conoscenza produttiva. Questo aspetto non viene quasi mai considerato, pur rappresentando, soprattutto in prospettiva, una chiave di volta per lo sviluppo dei distretti veneti. Se la delocalizzazione viene osservata in questa luce, ci si può accorgere che essa non rappresenta solo un "male necessario" ma uno strumento per crescere in uno scenario competitivo in cui ciò che conta non è più solo il "saper fare" produttivo ma sempre più la capacità di diffondere (replicare) l'intelligenza accumulata nelle imprese e nella società locale anche in produzioni effettuate da altri. Ciò significa non solo trasformare e vendere prodotti, bensì idee, progetti, know-how, tecnologie, servizi e soluzioni organizzative, che altri sistemi produttivi, magari a minore costo del lavoro, possono adottare, per essere poi diffusi nei mercati del consumo mondiale in espansione. Come già abbiamo visto nel primo paragrafo, il passaggio da un modello di sviluppo "estensivo "ad uno "intensivo "avviene anche attraverso questa strada.
Tuttavia, vanno considerati alcuni problemi di non facile soluzione. Innanzitutto come dare maggiore organizzazione collettiva alle reti e alle istituzioni di un sistema di "internazionalizzazione cooperativa'' La delocalizzazione sperimentata da molte imprese del Nordest ha messo in luce che nei Paesi di destinazione i problemi di natura culturale, infrastrutturale e istituzionale non sono risolvibili per via individuale, specie quando ad investire è una piccola o media impresa. La mancanza di cooperazione tra imprese e lo scarso sostegno della politica economica nazionale sono dunque elementi da superare attraverso una più convinta iniziativa di district management nelle economie interessate dalla delocalizzazione. In questo senso, adottare una politica di internazionalizzazione cooperativa significa elevare la qualità delle reti di divisione del lavoro attraverso l'incontro non solo delle imprese ma anche dei "contesti istituzionali" nei quali esse operano.
Un ruolo importante in questa strategia può senz'altro essere svolto dalla Regione, in accordo con le Associazioni delle imprese, le Camere di Commercio, gli Enti locali, il sistema del credito, i centri di servizio, le scuole tecniche e le Università. È difficile pensare che le piccole imprese riescano a proiettare stabilmente le proprie reti produttive all'estero se le istituzioni attorno alle quali esse operano non fanno altrettanto. Tra i problemi che le imprese incontrano all'estero vi sono infatti, la sicurezza e il rispetto di regole e contratti, la disponibilità di informazioni sull'economia locale e sui possibili partner produttivi o commerciali, le procedure di finanziamento e di insediamento, ('assicurazione ai crediti, ma anche l'esigenza di iniziative formative sul personale e servizi di assistenza tecnica. Inoltre, per ridurre i costi dell'internazionalizzazione e rendere più efficienti le relazioni tra località remote, è soprattutto necessario rafforzare a tutti i livelli le capacità di utilizzo delle tecnologie di rete e di accesso a sistemi logistici moderni, nonché lo sviluppo di Istituzioni di accreditamento e di tutela della proprietà cognitiva. Gran parte di queste iniziative non sono realizzabili dalle imprese minori, in quanto richiedono rilevanti economie di scala e formano tipiche esternante di produzione che solo in minima parte sarebbero appropria bili da chi effettua gli investimenti. Si tratta, dunque, di tipiche materie di politica economica e industriale che spetta oggi soprattutto alle Istituzioni regionali avviare, favorendo forme di cooperazione fra imprese e distretti, sia attraverso incentivi diretti all'internazionalizzazione sia mediante un'azione di diplomazia internazionale guidata dalle Regioni stesse.
3.2 Le relazioni internazionali
In materia di scambi e relazioni internazionali, o più semplicemente con riferimento a quella che
potremmo definire la "piccola politica estera "del Veneto (verso l'Unione Europea, le Comunità di
Lavoro, in particolare Alpe Adria e verso i Paesi del Centro ed Est Europa), va tenuta in
considerazione una visione sistemica, unitaria della complessa rete relazionale: l'UE non
disgiunta dalle politiche regionali e macroregionali, le scelte regionali non disgiunte dagli indirizzi
nazionali ma coautrici degli stessi.
Il Veneto, storicamente collocato alla periferia dell'Europa Centrale, rappresenta oggi, per i
popoli e per le Istituzioni di quest'area, un punto di riferimento fondamentale ed un crocevia
d'obbligo verso le terre dell'Adriatico e del Medio Oriente Mediterraneo, secondo vocazioni e
direttrici segnate da secoli.
È perciò interesse primario anche dell'Italia e della stessa UE rafforzare il ruolo internazionale
del Veneto che diventa pertanto coautore nella politica internazionale italiana ed europea. In
questa direzione va l'interesse della nostra Regione nella logica di rinsaldare il ruolo unitario
dell'intero Nordest. Quest'area, dal destino comune e dalla forte integrazione economica, deve
essere considerata come una Euroregione strategica nello sviluppo dell'Europa comunitaria,
segnatamente per i Paesi dell'Europa centro-orientale e balcanica. Va collocata in questa
prospettiva l'internazionalizzazione economica nordestina ed il costante riferimento ai Nord Est
quale modello economico per l'area centro-orientale europea. Tutto ciò potrà essere favorito
dal superamento, o comunque dall'attenuazione, della asimmetria costituzionale esistente
rispetto a Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.
Il potenziamento della politica estera dei Veneto si concreterà attraverso la razionalizzazione e
l'arricchimento del nostro apparato istituzionale e con la costruzione di banche dati di facile
consultazione.
Centrale altresì sarà il ruolo che le Università, gli Istituti di ricerca ed i Centri culturali del
Veneto esplicheranno in tale contesto.
Da tutto ciò potranno nascere, nei diversi Paesi, Associazioni di amici del Veneto, costruiti da
cittadini del luogo sulla falsariga dei Venetian center che coltivano l'amore dei nostri emigranti
per la terra veneta, la loro terra natia.
Per quanto riguarda, invece, l'azione regionale a favore dei Veneti nel mondo, è necessario agevolare l'inserimento non solo lavorativo ma anche sociale dei corregionali in rientro, continuando inoltre a garantire il sostegno economico ed operativo alla realtà dell'associazionismo mondo, in quanto indispensabile punto di riferimento dell'azione regionale.
3.2.1 L'identità e le relazioni internazionali
II processo di mondializzazione, la rapidità delle comunicazioni, l'inscindibilità del destini dei popoli e degli Stati, rendono sempre più urgente una presa di coscienza della propria identità.
La diversità infatti è dinamica, levatrice di nuovi valori e commistioni culturali giusto in presenza di forti identità, territorialmente inscritte, dialogiche, aperte all'altro da sé.
Contestualmente è necessario un ruolo attivo, propositivo e autonomo delle realtà regionali che tali identità esprimono, non solo nelle scelte di politica interna ma anche in quelle di politica internazionale dove i valori, le volontà e la pratica identità rie trovano inevitabilmente applicazione e vengono messe alla prova attraverso il confronto e la collaborazione con gli altri.
Ciò avviene non solo per volontà delle stesse Istituzioni locali, ma per scelta degli Stati nazionali medesimi che debbono, per virtuosa necessità, rendere coautori in molti campi della politica estera proprio gli Enti regionali. Ciò vale in modo particolare laddove questi ultimi siano collocati
in aree geopolitiche tali da renderli soggetti insostituibili, in qualità di coautori, nella politica del potere statuale. Il Veneto sta in questa particolare situazione ed è orgogliosamente portatore di un'identità dinamica, culturalmente e storicamente fondata.
In materia di scambi e relazioni internazionali, o più semplicemente con riferimento a quella che potremmo definire la "piccola politica estera" del Veneto (facciamo riferimento ai rapporti con l'Unione Europea, con le Comunità di Lavoro e segnatamente con Alpe Adria, con i Paesi del Centro ed Est Europa cui ci legano anni di collaborazione, nonché dell'area balcanica), vanno tenuti in considerazione questi fattori:
• la prassi consolidata con le sue luci ed ombre, determinate anche da ben precisi limiti
giuridici;
• il quadro normativo regionale esistente;
• i rapporti con Roma e con Bruxelles, i vincoli posti a livello nazionale ed europeo ed
ovviamente gli stimoli e le assunzioni di responsabilità espresse in tale contesto;
• il dinamismo della società civile veneta e le "vie" da essa già tracciate all'esterno;
• l'accoglimento, per necessità virtuosa o per scelta, delle aree geopolitiche ritenute
fondamentali nella politica internazionale della Regione in quanto risultato di un'attenta
analisi dell'evolversi della realtà storica dei prossimi anni. Qui va collocata con interesse del
tutto particolare la prognosi sul futuro dell'Europa Centrale e Orientale e l'apporto veneto in
tale direzione;
• una visione sistemica ed unitaria della complessa rete relazionale, i consolidati rapporti
nordestini (sul piano istituzionale e no) ed il comune destino cui sono chiamate le genti ed i
governi di tale area e pertanto la necessità per essi di concordare una linea politica il più
possibile unitaria in materia, abbandonando la tentazione del "fai da te";
• l'imperioso affermarsi delle scelte sul piano economico, sociale e culturale (pensiamo in
particolare al problema della cosiddetta formazione del capitale umano, al nodo delle
infrastrutture viarie, al sistema creditizio e cosi via). Essendo l'area cui facciamo riferimento
da tempo in fase di avanzata integrazione, questo fenomeno reclama una Regione dei
Veneto che, se vuole essere determinante in tale ambito territoriale, deve essere un
soggetto forte, dinamico ed "attraente";
• la necessità di credere, infine, alla nostra centralità che è fatta non soltanto di storia
pregressa, ma di presente e di futuro "storici", di cui lo sviluppo della nostra economia è
elemento primario, frutto di una cultura "imprenditoriale" originale, per taluni versi unica.
3.2.2 L'autonomia regionale e le relazioni internazionali
Va altresì sottolineato un fenomeno, oramai maturo sul piano istituzionale, di forte rilevanza politica: l'affermazione dell'autonomia veneta che troverà sanzione nel nuovo Statuto regionale e che definirà la cosiddetta "mappa delle sovranità venete" con annotazioni puntuali anche sulle relazioni con l'estero. Ciò è rafforzato dalla recente riforma del Titolo V della nostra Costituzione. Se è chiaro infatti che nessun potere regionale potrà sottrarre allo Stato i poteri che la Costituzione gli attribuisce in politica estera, il Veneto, nel rispetto di tali prerogative, concorrerà a concludere accordi e relazioni internazionali; tanto più sarà legittimato a farlo con Stati ed altre Istituzioni con i quali per sua vocazione storica ha intensi, plurimi rapporti.
E pertanto sarà interesse dello Stato, e della stessa UE, rendere operante tale proiezione esterna del Veneto.
Tutto ciò, associato alla mappa delle diverse sovranità in fase di costruzione, verrà ad esprimere un Veneto forte, autonomo e capace di indicare, nel rispetto di ruoli e vocazioni differenti, e dal diverso peso politico, una politica di accordi e di intese esterne fondamentali per la vita delle proprie genti e di quelle dell'area del Centro e dell'Est Europa.
3.2.3 II Veneto, il Nord est e l'Europa
La collocazione del Veneto nel Nord Est, un'area universalmente conosciuta e studiata, obbliga a
considerare in termini unitari (riferendosi all'unitarietà dell'area) le proiezioni esterne. Ciò è
reclamato da motivazioni di ordine economico e culturale, nonché da esigenze di strategia
politica che debbono essere fatte proprie dal Governo italiano e dalla stessa UE.
Al di là delle diverse opzioni, importanti e necessarie, operate dalie Istituzioni che agiscono nelle
tre Regioni coinvolte, l'interesse comune appare di tutta evidenza e in piena sintonia con quanto
reclamato da chi vi opera e dalle stesse istituzioni comunitarie, laddove correttamente orientate.
Si sta concretando altresì una novità importante; ci riferiamo al superamento dell'asimmetria
costituzionale delle tre Regioni, una volta andata in porto la revisione statutaria del Veneto con
l'acquisizione dell'autonomia.
Onde realizzare un ruolo determinante, niente affatto marginale, nella politica interna e per
essere più incisivi nella politica estera, il Nord Est dovrà definire, anche istituzionalmente,
momenti non solo consultivi ma decisionali comuni, in senso stretto, per dare concreta
dimensione unitaria al processo di integrazione oramai largamente consolidato.
Aspetti economici, aspetti culturali, aspetti istituzionali sono fortemente intrecciati (diremmo
addirittura inscindibili) al punto di rendere inevitabile, non solo per necessità che nascono dalle
cose, ma per una precisa volontà largamente diffusa (tra le genti e le istituzioni dell'area), una
"politica comune forte", perché è già fortemente richiesta dalla società civile e deve esserlo
particolarmente nella sua Istituzione principe; la Regione.
Tutto questo porta inevitabilmente alla centralità in Europa, al pari delle altre aree ad alto peso
politico, dell'intero Nord Est di cui il Veneto si sente elemento trainante.
In sintesi, l'area nordestina va accolta come forza che si apre e conta sul piano europeo (e non
solo europeo) in quanto chi vi governa opera:
• nel rispetto del carattere pluralistico e policentrico delle diverse realtà regionali, provinciali e
cosi via, considerando il Nord Est come grande area unica;
• nell'accoglimento contestuale del principio di sussidiarietà e di efficienza gestionale nelle
diverse comunità esistenti e nella esaltazione ad un tempo della autonomia che qualifica il
governarsi da sé, nella assunzione piena di responsabilità gestionali;
• nella coscienza della storia e del destino comune che lega gli abitanti nella nuova Europa
che sta venendo alla luce dopo il 1 maggio 2004, con la condivisione piena e l'apporto
determinante della nostra Regione;
• nella giusta sottolineatura della propria identità che diventa garanzia nel dialogo, nel
confronto e nella cooperazione con gli altri popoli, Nazioni e Stati dell'area dell'Europa
Centrale ed Orientale, area geopolitica prioritaria nelle relazioni internazionali del Nord Est.
Tutto ciò permetterebbe davvero al Nord Est di diventare un'Euroregione modello, un esempio di collaborazione e di efficienza nel gestire un'integrazione vera e propositiva. Esso diverrebbe altresì riferimento d'obbligo per le molte realtà regionali, statuali e nazionali del Centro Europa.
Onde maturare positivamente quanto precedentemente indicato, acquisendo dati scientificamente provati e in grado di migliorare la prassi politica, economica, sociale e culturale, si dovrà fare riferimento a Istituzioni, Fondazioni, Università ed altri Centri di ricerca con particolare competenza nordestina arricchendo nel contempo le banche dati disponibili in materia di internazionalizzazione dell'area, divise per settori, e facilmente consultabili magari attraverso un portate a più link diviso per argomenti. Centrali naturalmente saranno le prognosi di politica economica che prospettano i futuri scenari dell'area in un'economia fortemente integrata che chiede al Nord Est un modello economico in grado di esprimere processi di sviluppo ad alto valore aggiunto (o intensivo che dir si voglia), correggendo, in buona parte almeno, il carattere estensivo che caratterizza l'imprenditoria nordestina attuale.
3.2.4 II Veneto e l'Europa
Il Veneto ha una consolidata vocazione europea ed un'affezione particolare nei confronti della
UÈ. Il quadro normativo, istituzionale e politico della UE rappresenta dunque un punto di
riferimento costante nella politica regionale veneta.
La centralità veneta nel Comitato delle Regioni e l'attenzione non solo nei confronti delle Regioni
ed aree pluriregionati forti dell'UE - segnatamente tedesche, francesi, inglesi e spagnole - ma
Altresì verso le realtà regionali e statuali dei Paesi post-comunisti che sono entrati nell'Unione,
sono chiaramente avvertibili.
II Veneto è per il sostegno pieno e convinto della politica di regionalizzazione indicata già a
Maastricht conformemente ai principi di sussidiarietà e della cosiddetta Governance Europea
secondo quanto indicato dal Libro bianco dell'agosto 2001 e successive integrazioni. L'impegno
della Commissione di Bruxelles ad avviare un rapporto e confronto costanti con le Autorità
regionali va assunto come punto fermo e irrinunciabile; esso spinge la stessa realtà regionale
veneta a rivedere e migliorare sé stessa, diventando davvero un modello di local government
per altre realtà comunitarie.
In definitiva il Veneto è per un'Europa delle Regioni che non nega affatto il disegno unitario
complessivo del Vecchio Continente anzi lo rende più efficace, più dinamico.
Una situazione che vede un processo di razionalizzazione, modernizzazione, maggiore
democratizzazione (leggi Nuova Governance), sussidiarietà e centralità del cittadino e delle
Istituzioni politiche a lui più vicine, una regionalizzazione forte e solidalmente orientata verso la
Comunità, l'apertura a nuovi Paesi e popoli dell'Est dalla storia tribolata, la dichiarata volontà
delle autorità europee di rendere conosciute, condivise e partecipate le diverse e ricche culture
delle genti europee, obbligano anche il Veneto a fare dell'europeismo prassi concreta attraverso
strumenti operativi che:
• rendano cosciente la collettività della nuova realtà comunitaria, favorendo una maggior
integrazione attraverso la promozione e il rafforzamento dell'identità e della cittadinanza
europee che costituiscono, oggi, un indispensabile complemento alla cittadinanza nazionale;
• favoriscano il coordinamento tra Enti territoriali locali, nonché tra questi ed il Governo
nazionale, e rendano disponibili risorse finanziarie adeguate per l'attuazione delle politiche e
dei progetti pianificati in sede europea;
• potenzino ulteriormente i punti di forza del Veneto - ad esempio la solidità economica e
l'apertura verso Regioni e Paesi stranieri - che hanno già reso possibili numerose innovazioni
e rapidi adeguamenti alle recenti evoluzioni in ambito interno ed internazionale.
La complessità delle strutture, delle funzioni e delle proposte in materia di government, self-government e governance indicate dalla UE, obbligano la nostra Regione ad assumere un ruolo forte nell'esercizio delle sue funzioni anche ai fini della informazione e del corretto uso degli strumenti comunitari. Tutto ciò è di fondamentale importanza per sé, in quanto organo politico, per gli Enti locali e gli altri organismi pubblici operanti nel Veneto, per i cittadini tutti. Questa forte assunzione di responsabilità contribuirà in modo positivo a migliorare le stesse norme comunitarie sempre imperfette se non comprensive dell'apporto regionale e delle diverse identità che sottostanno. Infatti lo sviluppo democratico della UE si fonda sulla reciprocità e sulla collaborazione tra soggetti alla pari, dove convivono differenze funzionali ma non "differenti dignità".
3.2.5 II Veneto e la comunità di lavoro Alpe-Adria
Alpe Adria ha costituito fin dalla sua origine, e costituisce tuttora, uno strumento di collaborazione in un'area complessa e delicata del Centro Europa, i cui popoli e Stati hanno avuto relazioni tribolate nel passato ed hanno tuttavia riscoperto, anche grazie alla Comunità di
Lavoro, una storia precorsa per molti versi comune ed un comune destino da protagonisti nella Nuova Europa che sta lentamente nascendo.
Significativo al riguardo, per il Veneto, è il fatto che la nascita di Alpe Adria sia avvenuta proprio a Venezia.
Nel recente passato Alpe Adria ha rappresentato una "casa comune" delle genti alpine, danubiane e adriatiche. Oggi rappresenta non solo una "casa comune'' ma anche uno strumento che aiuta le genti sorelle dei Paesi del Centro e dell'Est Europa della Comunità di Lavoro ad entrare senza complessi di sorta nella UE. Tutto ciò è maturato anche in ragione del pluralismo e del rispetto nella collaborazione sperimentato in Alpe Adria stessa (si leggano La Dichiarazione di Linz del 1991 e quella dei Presidenti della Comunità di Lavoro del novembre 2000 a Sarvar).
Alpe Adria precede nel tempo le altre Comunità di Lavoro e la stessa Pentagonale (oggi Iniziativa Centroeuropea - ICE).
La domanda più volte posta anche a noi veneti è se Alpe Adria ha esaurito i suoi compiti di mera congiuntura, di" mera transizione oppure no. La domanda non è priva di senso se si pensa che il ruolo di cerniera tra Ovest ed Est è stato veramente momento forte e prioritario, quasi esclusivo (almeno come suggestione emotiva e cosi colta dal basso) nel passato.
Ma le cose non stanno cosi.
Alpe Adria è una macroregione europea a forte integrazione ed aperta a nuove esperienze,
interne alla stessa Comunità di Lavoro ed esterne.
È una realtà espansiva e non meramente conservativa.
La coabitazione attiva con Regioni e Stati dai differenti sistemi politici ha indicato in modo concreto, data la positività dell'esperienza collaborativa, le modalità dell'inserimento nella UE.
Giusto dai magiari, dagli sloveni e dai croati viene l'invito a proseguire nel lavoro comune di area alpeadriese, indipendentemente dal fatto che si sia o meno in transizione verso l'Europa Comunitaria.
Da queste Regioni e Stati viene altresì l'incoraggiamento ad estendere i confini di Alpe Adria a
Regioni ceche e slovacche.
Carattere espansivo della Comunità insomma, accolto e professato.
È viva l'esigenza di approfondire la collaborazione sugli aspetti istituzionali che caratterizzano le
diverse realtà regionali. In questo contesto è vista con interesse l'esperienza veneta per il carattere originale della nostra proposta di autonomia regionale.
In ogni caso anche la rideterminazione dei confini territoriali onde dare maggiore funzionalità agli stessi Enti regionali (aggregazione e ingrandimento, ad esempio, delle contee magiare verso una regionalizzazione comprensiva di aree più ampie e raggruppanti più contee; si vedano le norme europee su NUT II) avrà bisogno di consigli e apporti della Comunità di Lavoro e non solo di Bruxelles.
Il Veneto, se richiesto, darà il suo positivo apporto.
Questo non esclude, comunque, che, adeguandosi ai cambiamenti storici, un attore solido qual
è Alpe-Adria possa riuscire ad individuare nel corso degli anni nuove priorità di collaborazione e
coesione in contesti modificati.
La persecuzione di obiettivi comuni ed il costante lavoro dinamico sono fonte primaria di nuovi
stimoli, ed è proprio per questo motivo che le Parti che compongono la Comunità di Alpe Adria
credono nell'opportunità di proseguire le attività iniziate dimostrando un approccio per molti
versi e espansivo e propositivo.
Un aspetto che va praticato con cura e che risponde appieno alle istanze originarie di Alpe Adria
è la messa al centro della collaborazione comunitaria le persone. I momenti istituzionali
debbono esserci e corposamente, ma come momento promozionale, di stimolo.
Se prendiamo esempio dalla vivacità del mondo economico non dovremmo avere dubbi sulla
ovvietà di tale considerazione. Ma non tutto è così facile e scontato.
Va praticata altresì la collaborazione e lo scambio di know how tra funzionari e impiegati degli
Enti pubblici della Comunità, istituendo un Forum (potrebbe benissimo essere presso la nostra
Regione) estensibile ai Paesi del Centro e dell'Est Europa. Non è cosa da poco anche in
considerazione del graduale accoglimento delle norme europee che nel caso nostro, ma non
solo nostro, andranno di pari passo con la crescita autonomistica e quindi con inevitabili
"complicazioni" nella cultura dei pubblici funzionari.
La conoscenza delle diverse realtà locali va irrobustita. Oggi abbiamo i mezzi per farlo.
Il movimento delle persone nell'area (a direzione soprattutto est-ovest e sud-nord) dovrebbe
spingerci a costruire strumenti conoscitivi plurimi, trovando in loco chiavi di lettura per
comprendere realtà vicine fisicamente, ma lontane culturalmente.
Inoltre si dovrebbe dare la possibilità a chi viene dall'esterno di consultare materiale nella sua
lingua; facciamo riferimento in particolare alle molte migliaia di lavoratori dell'area
centroeuropea che vivono nel nostro Triveneto, spesso con famiglia e prole.
La costituzione di nuclei multiculturali nelle biblioteche della nostra Comunità e la nascita di un
Virtual Reference Desk chiamato appunto Alpe Adria, rispondono a tali esigenze.
Altrettanto importante è la cooperazione interscolastica.
I problemi comuni in materia sono molto più numerosi di quanto non si voglia confessare.
Sempre in tale contesto dovrebbe trovare attuazione un Sistema Formativo Integrato (Scuole,
Università, Biblioteche, Musei di Alpe Adria) costruito con strumenti digitali - ma non solo
naturalmente - seguendo le indicazioni del Progetto approntato dalla nostra Regione.
Usando il data base contenente i nomi degli Enti locali e delle altre istituzioni ed associazioni
aventi rapporti formali con realtà similari della Comunità di Lavoro, la Regione sarebbe in grado
di irrobustire la collaborazione tra gli stessi, anche con incentivi finanziari di operatori economici
e dei loro organismi rappresentativi, o semplicemente con sponsorship di chi è interessato ai
progetti posti in essere.
Possedere una banca dati in materia, divisa anche per aree tematiche, di scambi e
collaborazioni, permetterebbe alla Regione di coordinare e laddove necessario promuovere
attività mirate e prive di occasionalità.
Si potrebbe altresì costituire un organo "leggero" collegiale ad hoc, in grado di gestire il tutto a
livello regionale.
3.2.6 II Veneto ed i Paesi del Centro e dell'Est Europa
II Centro e l'Est Europa presentano aspetti ancor oggi controversi, di certo problematici. Il
Centro e l'Est Europa, nel loro sviluppo collaborativo e non solo coesistenziale, rappresentano,
infatti, una realtà in fase di costruzione e quindi una possibilità storica importante attorno alla
quale si gioca in parte lo stesso destino del Vecchio Continente.
Le vicende storiche recenti, fatte di disgregazioni statali e tragedie, non debbono portare alla prudenza paralizzante ed al pessimismo. Il Veneto in questa direzione deve far pesare la sua civiltà antica e sempre nuova, la sua tolleranza e buon senso, la sua forza economica "matura e penetrante".
La simpatia e l'attenzione non rituale con cui guardano a noi le genti del centro e dell'est europeo dei Paesi interessati alla transizione ad una democrazia matura, è una realtà concreta. Questa "simpatia per il Veneto" non nasce solo dalla conoscenza della nostra antica cultura e della ricchezza dei nostri beni culturali, dal fascino della nostra terra fatta di monti, mari e città uniche, ma altresì per essere, noi veneti, un partner non invadente e non ingombrante. Insomma non teniamo nel cassetto alcun revisionismo politico dell'assetto territoriale attuale. Onde dare concreta presenza di tale "rapporto privilegiato con la terra veneta", mutuando l'idea dai Venetian center, si potrebbe favorire la nascita di "centri veneti" costruiti tuttavia in modo del tutto particolare.
Tali Associazioni diverrebbero le antenne venete che potrebbero fungere da tramite se non da vera rappresentanza della nostra Regione in "terre straniere ma amiche". Insomma si potrebbe costruire un tessuto connettivo, relazionale in questi Paesi esaltando la bilateralità del rapporto.
Al vertice di tali Associazioni, esempio vivo di simpatia per il nostro Veneto, vi saranno uomini e
donne di quelle terre. Esse dovrebbero rispondere alle norme dei Paesi di origine e modulare i
loro Statuti secondo le esigenze locali, pur muovendo da una ipotesi normativa cui la nostra
Regione porrebbe mano.
La nostra Regione darebbe la sua approvazione e le sosterrebbe nei limiti economici e morali di
prassi, promuovendo altresì da parte degli operatori veneti in loco strumenti di sostegno
economico ad hoc.
Potrebbe trovare posto a Venezia, in sede regionale, uno strumento di coordinamento leggero di
queste antenne venete.
La gamma degli interessi associativi sarebbe a 360 gradi (dall'economia alla cultura) ma
elemento prioritario dovrebbe essere la conoscenza della nostra vita e storia regionale e
naturalmente della lingua italiana. A tale scopo potrebbero essere promossi, laddove
mancassero, corsi ad hoc, nelle scuole, nelle Università e nei centri culturali esistenti.
Sul versante veneto sarebbe compito nostro promuovere a livello universitario ed altrove
l'insegnamento della lingua e della storia dei Paesi coinvolti.
Per i giovani, indicati dalle Associazioni, particolarmente meritevoli potrebbero essere organizzati
stages, con l'apporto dell'Unioncamere, delle Associazioni degli imprenditori e naturalmente di
Università e Scuole, per corsi intensivi sulla realtà veneta e di lingua italiana.
La presenza economica del Veneto è diffusa in questi Paesi.
La capillare penetrazione industriale in Transilvania è un fatto eccezionale e non facilmente
ripetibile. Sappiamo altresì che la nostra presenza ci colloca ai primi posti in campo
commerciale; per gli investimenti il discorso è più complesso e chiama in causa direttamente
anche le debolezze del sistema creditizio italiano e veneto in materia.
Senza addentrarci nella analisi delle differenti realtà esistenti e dei diversi gradi di sviluppo delle
Istituzioni democratiche e dell'economia dei Paesi dell'area, non sarebbe inopportuno verificare
la possibilità che la nostra Regione partecipasse in qualità di osservatore alla The Danubian
Regions Working Community (va da Odessa in Ucraina al Baden Wurttenberg, passando per
Serbia, Croazia e Cechia e Slovacchia, comprendendo quasi tutti i partner non italiani di Alpe
Adria, si tratta di 24 aree regionali di ben 12 Nazioni).
L'attuale situazione internazionale non solo richiede una particolare attenzione nei confronti di
attività quali la Central European Iniziative, l'Iniziativa quadrilatera le e l'Iniziativa Ionico-
Adriatica, ma permette, inoltre, di sfruttare i numerosi punti di contatto raggiunti con i Paesi
dell'Est Europa per un'ulteriore apertura verso i Paesi dell'Estremo Oriente che stanno
assumendo sempre maggior importanza, ad esempio in ambito economico-commerciale.
Nell'attuale vantazione delle iniziative da promuovere in un prossimo futuro non si deve
dimenticare, infatti, che le Regioni italiane godono di nuove e più significative attribuzioni
riconosciute loro in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione ed alla conseguente
entrata in vigore della I. 131/2003.
La possibilità di stipulare accordi di vario contenuto con Stati esteri, nel rispetto dei principi
costituzionali e delle linee guida di politica estera fissata del Governo nazionale, allarga
notevolmente le possibilità per gli Enti regionali e permette una pianificazione più ampia ed
autonoma degli ambiti di intervento.
3.2.7 I Veneti nel mondo
Per quanto riguarda l'azione regionale a favore dei Veneti nel mondo, è necessario agevolare l'inserimento non solo lavorativo ma anche sociale dei corregionali in rientro. A questo scopo sono previste azioni di sostegno, assistenza e consulenza da realizzare in collaborazione con Enti pubblici e privati, segnatamente Province, imprese e Associazioni di emigrati. In questo ambito, particolare rilevanza assume t'aspetto abitativo, ma non sono trascurati neppure gli aspetti più propriamente culturali.
Viene garantito, inoltre, il sostegno economico ed operativo alla realtà dell'associazionismo veneto nel mondo, indispensabile punto di riferimento dell'azione regionale (i contatti verranno mantenuti sfruttando appieno la risorsa internet).
Una conoscenza diretta della realtà regionale verrà proposta tramite iniziative di turismo socio-culturale e di interscambio, mentre continuerà l'attività di studio e di ricerca sulla portata storica del fenomeno immigratorio, realizzata anche attraverso apposite convenzioni.
Con la legge regionale 9 gennaio 2003, n. 2 la Regione ha disposto misure concrete, a favore dei Veneti nel mondo e per agevolare il loro rientro e l'inserimento nel territorio regionale, mediante piani e programmi per area geografica, con iniziative di formazione, di collegamento con l'offerta di lavoro, di promozione delle attività produttive, di agevolazione dell'acquisizione di alloggi. È stata istituita anche una Consulta dei Veneti nel mondo per la formulazione di proposte per i programmi di intervento.
3.3 II fattore umano e il mercato del lavoro
Lo scenario futuro della nostra Regione appare in forte ed ulteriore cambiamento anche rispetto al capitale umano e al mercato del lavoro, dovendo affrontare una transizione verso nuove sfide, tra cui:
la competitività e le capacità di innovazione del sistema nel contesto nazionale ed
internazionale;
la reinterpretazione dei valori e dell'identità che sono stati alla base della crescita economica
verso una nuova qualità del lavoro e dello sviluppo;
l'efficace rispondenza alla domanda emergente dalla società veneta, soprattutto in termini di
uguaglianza delle opportunità e di coesione sociale per tutti i residenti comprese le persone
immigrate.
Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell'importanza della istruzione e della formazione professionale e delle politiche attive del lavoro come strumento per lo sviluppo locale. L'innalzamento dei livelli di istruzione, perseguito da tutti i Paesi più avanzati e la diffusione delle pratiche di formazione continua hanno infatti reso più evidente il rapporto esistente tra politiche formative e sviluppo Industriale. Tale rapporto, spesso negato o Ignorato in passato, diventa oggi determinante nel nuovo scenario competitivo internazionale In cui la creazione di nuova occupazione si accompagna a fenomeni sempre più complessi, come il superamento del modello di produzione fordista, la diversa relazione temporale tra formazione e lavoro, l'aumento della componente femminile del mercato del lavoro.
Per far fronte a tutto questo si impone sempre più una valorizzazione della leva formativa e l'assunzione di un approccio regionale e locale integrato per il raccordo tra le politiche formative, le politiche del lavoro e le politiche dello sviluppo, in grado di tener conto sia delle specificità dei contesti economici, sia delle dinamiche dei percorsi nei diversi mercati del lavoro. Lo sviluppo della dimensione locale viene peraltro sollecitato dalla crescente partecipazione dei Veneto alle azioni transnazionali, soprattutto nel quadro dei programmi e delle iniziative comunitarie.
Sul piano del mercato del lavoro il Veneto sta già, a partire dalla propria auto-organizzazione, percorrendo tutte le strade possibili della flessibilità nel rapporto di lavoro. Questa tendenza è di certo un'opportunità se continua ad essere accoppiata ad una situazione economica complessivamente orientata allo sviluppo e se viene raccolta l'esigenza non di distruggere le reti di protezione, ma di rafforzarle, rendendone più trasparente il funzionamento e garantendone a tutti i lavoratori - dipendenti ed autonomi, della piccola come della grande impresa - la possibilità di fruizione.
TI sistema delle tutele (molto meno quello degli incentivi) è stato concepito in una fase dove la disoccupazione era un evento possibile, ma tutto sommato raro, e dove le modalità delle prestazioni lavorative erano abbastanza univoche. Che le cose siano cambiate è sotto gli occhi di tutti, i disagi e le opportunità sono diverse. Per il futuro perciò serve sicuramente un adeguamento alla nuova realtà del mondo del lavoro, tale da offrire garanzie di carattere più generale anche (se non soprattutto) a coloro che maggiormente sono soggetti a modalità d'impiego "flessibili" e a tutti coloro che, per diverse ragioni, sperimentano situazioni durature o temporanee di difficile occupabilità.
3.3.1 Lo scenario veneto
Occupazione in aumento e disoccupazione in calo
Nonostante il rallentato ritmo di crescita del prodotto lordo nel Veneto fa dinamica del mercato del lavoro risulta positiva: gli occupati sono risultati, nel 2003, 2.004 migliaia, con un incremento rispetto all'anno precedente di 17.000 unità. Il tasso di occupazione per la classe 15-64 anni è
pari al 63,5%. Se la progressione mantiene questi andamenti, nel 2010 il Veneto sarebbe vicinissimo al 70% che costituisce l'obiettivo europeo.
Il tasso di disoccupazione nel 2003 ha raggiunto il livello minimo: 3,4% in totale e il 5% per la sola componente femminile. In apparenza l'andamento sembra contraddire il trade-off fra incrementi di produttività e incrementi di occupazione, in realtà si riscontra che una crescita economica modesta è in grado di ingenerare un forte impatto occupazionale, si può stimare che un aumento di un punto del PIL determini un fabbisogno occupazionale di circa 20.000 unità.
Carenze di manodopera. quadro demografico e bacino di occupabili
Nella situazione di cui sopra il ricorso a risorse umane esterne è inevitabile, considerato anche il quadro demografico e le sue prospettive. Per il decennio 2003-2013 è ipotizzabile, in assenza di immigrazioni, una contrazione di 168.322 unità nelle popolazione in età centrale (20-49 anni). La disoccupazione giovanile è quasi azzerata con impatti anche sui versanti sociali e culturali. Lo stereotipo che vedeva il ciclo della vita nella successione scuola-lavoro-pensione accuserà nel futuro dei vuoti, degli spazi che saranno riempiti dall'apporto di lavoratori immigrati. Un potenziale bacino di occupabili è tuttavia reperibile fra coloro che "cercano lavoro non attivamente", circa 44.000 soggetti, il 71% donne, offrendo condizioni di impiego flessibile, conciliabili con le esigenze di vita di ciascuno. Un'altra quota può essere disponibile offrendo salari più elevati di quelli correnti.
Partecipazione femminile, struttura produttiva e sviluppo del terziario
La partecipazione al lavoro della componente femminile è motto aumentata: nel nord-est il 61%
delle coppie presenti sul mercato del lavoro vede attivi entrambi i membri, contro il 34% del sud
e il 50% della media nazionale. Fra i 15 e i 64 anni il tasso di attività femminile risulta 57,8% nel
2003 mentre agli inizi degli anni 90 era inferiore al 45%. L'incidenza del part-time è del 10%. Il
modello di vita femminile riferito alla cura della casa è in forte declino.
La dinamica dell'occupazione femminile è motivata anche dal peso crescente del terziario,
comparto nel quale le donne costituiscono il 51,1% degli occupati nel 2003.
Il settore delle costruzioni, che per fattori intrinseci non può essere delocalizzato, vede una forte
presenza di immigrati.
Le attività manifatturiere sviluppano ancora una alta occupazione pur con qualche flessione
recente, in particolare nel sistema moda, compensata dalla crescita delle produzioni meccaniche
che caratterizza la fase recente della esportazione veneta, basata sulla vendita di macchine su
nuovi mercati piuttosto che di beni finiti su mercati ricchi.
In sintesi si può constatare che la delocalizzazione non comporta perdite occupazionali in
Regione e che è iniziato un processo di de-industrializzazione e di slittamento verso un assetto
terziario.
La componente extracomunitaria
La natura strutturale del ricorso a manodopera extracomunitaria si spiega con le caratteristiche dell'offerta di lavoro veneta, rivolta generalmente a figure operaie, che non si raccorda agevolmente con la domanda interna, avanzata sovente da soggetti con titolo di studio e con aspettative di carriera. Le assunzioni di extracomunitari sono, nel 2003, il 20% di quelle effettuate in Regione, lo stock di occupati ammonta a circa 100.000 unità (inclusi gli stagionali), allo stesso andrà ad aggiungersi lo stock di coloro che hanno richiesto nel 2002 la regolarizzazione (circa 61.000 domande).
Sul piano politico, l'azione combinata della forte offerta di lavoro e la pressione continua dell'immigrazione, dovrà portare alla determinazione di quote di ingresso realistiche (ma anche rapportate alle effettive capacità di accoglienza).
Flessibilizzazione dei rapporti di lavoro e crescita della mobilità.
Nel corso degli anni Novanta si è allentato il tradizionale legame fra lavoro a termine e stagionalità, tegame collegato alle modalità dell'impiego agricolo o turistico, e i contratti a termine sono divenuti la forma prevalente dei rapporti di ingresso. Le dimensioni quantitative della flessibilità contrattuale non sono tuttavia eclatanti: nel 2003, secondo i dati Rtfl, l'incidenza dell'occupazione temporanea era pari all'8,1% (Italia 9,9%), vale a dire che si aggirava sulle 115.000 unità. Secondo stime di Veneto Lavoro la percentuale è più realisticamente da portare al 13%. I dati disponibili, al 2003, segnalano che i contratti di lavoro a tempo determinato si aggirano sul 42,8% del totale, a fronte del 31,4% di quelli a tempo indeterminato, del 12,6% di quelli apprendistato e all'1,4% di formazione-lavoro.
I dati macroeconomici 2004 - 2005, che riguardano il Veneto, evidenziano un trend d'aumento
dell'occupazione pur in assenza di una crescita dell'economia reale. Ciò indica che,
parallelamente all'incremento del numero delle nuove posizioni contrattuali, sta mutando
profondamente il modo in cui si lavora (l'accesso e la permanenza al lavoro diviene sempre più
flessibile) e rimane bloccata la dinamica salariale rispetto all'incremento del costo della vita.
II lavoro non è più quell'elemento solido e certo sul quale i veneti possono fondare il proprio
progetto di vita, perno attorno al quale ruotano le relazioni affettive e familiari.
L'introduzione della legge 30/2003 di riforma del mercato del lavoro, e dei successivi decreti
attuativi, sta cambiando radicalmente lo scenario del mercato del lavoro. Da una parte,
attraverso l'introduzione di una complessa rete di agenzie per il lavoro, pubbliche e private, si
tende ad innescare un processo atto a rendere il mercato del lavoro più trasparente e più
dinamico. Dall'altra, la riforma dei contratti di lavoro aumenta esponenzialmente le tipologie
contrattuali favorendo la pluralità delle modalità con cui si lavora, aumentandone di fatto le
forme ed il grado di flessibilità.
L'obiettivo delle politiche attive del lavoro del Veneto dei prossimi anni deve essere quello di
garantire un buon lavoro anche alle persone (e sono ormai nella media di 2/3) che accedono al
mercato del lavoro attraverso i contratti a termine: con un'affermazione sintetica, consolidare il
quadro delle garanzie per assicurare sostenibilità alla flessibilità.
Il percorso di accesso flessibile al mercato del lavoro per essere virtuoso deve puntare alla
crescita del capitale umano (fattore competitivo anche per le aziende) e avere le seguenti
caratteristiche:
• deve essere un percorso scelto, ovvero deve rappresentare una condizione di libera
adesione della persona ad un lavoro a tempo determinato e non una proposta del datore di
lavoro mirante all'individuazione della forma contrattuale meno onerosa e meno vincolante;
• deve essere un percorso protetto, ovvero accompagnato da strumenti certi di welfare
adeguati (dai servizi per il lavoro, la formazione, le certificazioni, alle coperture assicurative
- previdenziali);
• deve essere un percorso concertato, caratterizzato cioè da regole comuni (legislazione
statale e legislazione regionale) tali da rendere esigibili i diritti e le reciproche obbligazioni
del contratto su un orizzonte di contrattazione collettiva e non individuale.
Il lavoro autonomo e lo sviluppo dell'imprenditorialità
In Veneto nel 2003 gli addetti ad attività indipendenti erano 571.000, consistenza straordinariamente elevata, pari al 28,5% degli occupati e superiore alla media europea (15%). Realtà dovuta anche all'estensione della qualificazione imprenditoriale a lavori classificabili giuridicamente come dipendenti.
La domanda di professionalità
Rimane alta, nella nostra Regione, la concentrazione di professioni manuali connessa alla rilevanza del settore industriale, pur in un contesto economico dove stanno emergendo nuove professioni, che offrono un prodotto di tipo immateriale, un servizio di alto contenuto intellettuale e nel quale le funzioni di marketing, logistica, innovazione stanno separandosi dalle funzioni di trasformazione con le quali un tempo costituivano un tutt'uno. Nel 2002 i lavoratori manuali rappresentavano il 41,3% degli occupati contro il 38% della media nazionale. Ne scapitano le attività tecniche ed intellettuali che nel Veneto sono meno rappresentate che nel Paese nel suo complesso. Si tratta tuttavia di una forza lavoro più qualificata che altrove con un 25% di operai specializzati. In proposito bisogna osservare però che i dati quantitativi sono in notevole ridimensionamento specie nel comparto industriale (ma anche nelle attività di servizio). Nel turismo le professioni di vendita, che comprendono le ricettivo-alberghiere, pesano meno che nel contesto nazionale, seppur di un solo punto.
Nella Regione sono peraltro in corso profondi cambiamenti nella composizione strutturale delle professioni, come in tutto il mondo. Un aumento si è verificato nelle figure in cui si collocano i dirigenti e gli imprenditori, seguito, con incrementi anche superiori, in quelle relative alle professioni intellettuali e tecniche. Crescono meno per l'opposto le professioni impiegatizie esecutive e unicamente per gli addetti al commercio e al turismo. Nel settore pubblico allargato perdono peso le figure professionali maggiormente qualificate. In agricoltura il calo del lavoro dipendente è generalizzato con eccezione per i dirigenti, i professionisti ed i tecnici.
Lo scenario che si prospetta per i prossimi anni
Forniscono valutazioni al riguardo le indagini dell'Unioncamere attraverso il sistema informativo Excelsior che si riferiscono alla domanda di lavoro dipendente del settore privato dell'economia e rilevano la richiesta di figure professionali previste nell'arco del prossimo anno. La richiesta veneta continua a rivolgersi alle professioni operaie specializzate e non specializzate in termini superiori ai valori nazionali e della Lombardia, mentre è nettamente inferiore alla media e alla Lombardia per quanto concerne le professioni intellettuali e inferiore anche, pur con minor risalto, per le professioni tecniche.
La richiesta di manodopera femminile, malgrado la maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro, è concentrata per il 38% nelle attività di vendita e di servizio alle famiglie, ma si manifesta pure nelle professioni impiegatizie e in quelle tecniche. Tale ultimo sviluppo, senz'altro positivo, è da porre in relazione alla qualificazione professionale conseguita con l'istruzione e la formazione. Per le qualifiche dirigenziali la domanda di donne è quasi nulla, mentre per le professioni intellettuali è pari a un terzo di quella per gli uomini.
In generale la tensione sul mercato del lavoro è più forte per gli uomini che per le donne.
Relativamente al titolo di studio, la richiesta veneta è di basso profilo, di solito la licenza della scuola dell'obbligo, particolarmente per le figure maschili, oppure, e soprattutto per le piccolissime imprese, titoli di istruzione professionale che consentano di entrare giovanissimi nel mondo del lavoro. La domanda di diplomati e laureati è invece contenuta e inferiore a quella di altre Regioni, dando l'impressione che gli imprenditori manifestino una certa sfiducia nelle preparazione acquisita tramite il sistema scolastico. Al contrario viene data importanza alla precedente esperienza: il 68,5% (per il 2004) dei nuovi assunti devono avere esperienza e si assiste ad una certa competizione fra aziende per disporre delle figure più preparate. Nelle imprese maggiori, invece, la formazione specifica avviene attraverso corsi aziendali: il 53,7% delle imprese con oltre 250 addetti prevede corsi di formazione interna per i nuovi assunti. La quota scende per imprese minori. Corsi di formazione in sede esterna sono richiesti per l'11,6% delle nuove assunzioni, con preferenza anche in questo caso delle grandi imprese.
Dato questo scenario, le sfide da affrontare sono soprattutto le seguenti:
Gestire la transizione verso una realtà sempre più globalizzata, nel segno della
"società della conoscenza"
II principio di riferimento deve essere anche per il Veneto quello comunitario della "formazione lungo tutto l'arco della vita" nella "società della conoscenza". Non si tratta tuttavia di qualcosa di scontato, ma che tocca anche nella nostra Regione, i saperi, i processi sociali e l'organizzazione professionale. Infatti l'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione origina spinte contrastanti: da una parte, contribuisce alla omogeneizzazione attraverso il linguaggio e la cultura dei mass media; dall'altra, ha svolto un ruolo importante nello spezzare la dominanza delle ideologie tradizionali, contribuendo alla caduta di modelli che presentavano un carattere universale ed immutabile. Ciò da luogo ad una serie di antinomie nei processi e nelle richieste di conoscenza:
- moltiplicazione delle opportunità di informazione e di formazione e creazione di nuove
forme di analfabetismo e di nuove marginalità;
- elevazione dei livelli di cultura generale e di competenze per l'accesso al mondo del
lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi potenzialmente
personalizzante e al tempo stesso generatrice di consumo passivo da parte soprattutto
degli strati più deboli della popolazione;
- fattore di pluralismo, ma anche all'origine del relativismo etico.
Nel contempo lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato.
L'approccio cognitivistico viene infatti integrato da quelli sull'intelligenza emotiva, dei bisogni, del desiderio. Il problema dell'identità va "composto" con quello della molteplicità, del pluralismo e della complessità.
In sintesi, le più significative esigenze connesse con i mutamenti che toccano il mondo delle occupazioni sono le seguenti:
- nuove e continue competenze richieste dall'innovazione tecnologica;
- meno certezze e più sfide professionali;
- crescente complessità e necessità di specializzazione tecnica più elevata;
- sviluppo di professioni e di nuove abilità di integrazione;
- più opportunità per le persone intraprendenti.
Innalzare le competenze ed equilibrare flessibilità con sicurezza del lavoro
Sul piano occupazionale, il passaggio alla società della conoscenza "trasforma il senso e il modo di lavorare", nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano "pelle", altri scompaiono definitivamente. Si diversificano i lavori e prima ancora le tipologie e le forme giuridiche dei rapporti di lavoro. C'è un'indubbia "intellettualizzazione" del lavoro. È richiesta la flessibilità, la mobilità occupazionale e la polivalenza della cultura professionale.
Le esigenze di competitività indotte dal fenomeno della globalizzazione hanno accelerato le segmentazioni del mercato del lavoro, rendendo ad esempio sempre più sfumata la tradizionale separazione tra lavoro dipendente e autonomo. È all'interno di questo contesto evolutivo che l'organizzazione del lavoro subisce una radicale revisione: non è la presenza costante e in loco (fabbrica, azienda, ufficio...) che garantisce più efficacia al sistema produttivo; il tempo di lavoro sempre più difficilmente può essere incardinato in rigide formule contrattuali mentre, contestualmente, emerge la "modularizzazione" degli orari in base alle esigenze aziendali (stagionalità, tempi di consegna,..). Con l'introduzione del telelavoro si fa largo la concezione di un lavoro che può essere svolto anche senza avere un luogo fisso, preciso; un fenomeno che entro il 2005 si prevede interesserà in Europa circa l’11% della forza-lavoro.
Tra le nuove generazioni valori come l'autonomia e l'autoresponsabilità nel lavoro vengono ormai assunti come obiettivo primario, facendo registrare una progressiva crescita della domanda di lavoro indipendente, della richiesta di valorizzare la dimensione individuale, della tendenza a non attribuire al lavoro una dimensione totalizzante della propria esistenza, "il lavoro non è tutto"; ma a considerare piuttosto che alla propria realizzazione contribuisce
in pari misura e forse ancora più la gestione di tempi-spazi personalizzati da dedicare ad altri interessi.
Inoltre è sempre più diffusa, tra le giovani generazioni, la presenza di forme di flessibilità: contratti a termine, contratti di formazione-lavoro, di apprendistato, interinali, di collaborazione coordinata e continuativa, contratti a progetto, borse di studio. Tutte modalità che hanno portato a far risaltare un nuovo modo di concepire e di guardare al lavoro, visto appunto come spazio in cui potersi realizzare in autonomia e indipendenza, senza dover sottostare a regole e/o dover subire controlli e imposizioni.
In sintesi le nuove esigenze sono le seguenti:
- diversificazione delle tipologie e delle forme giuridiche di rapporto di lavoro;
- maggiore interesse per i lavori creativi, ad alta responsabilità, indipendenti;
- sviluppo di nuovi linguaggi tecnici e crescente attenzione alle competenze linguistiche;
- sviluppo di una cultura della mobilità professionale, organizzativa, geografica;
- alternanza continua di studio e lavoro;
- cultura del "saper essere" e importanza crescente delle abilità comportamentali;
- più flessibilità rispetto a luoghi e tempi di lavoro.
Impostare una nuova qualità dello sviluppo attraverso la qualità delle risorse
umane
Dopo uno sviluppo economico accelerato che ha inciso profondamente sul territorio e ha intaccato gli equilibri sociali tradizionali, occorre riportare al centro la risorsa umana rappresentata dalla persona e dalla famiglia. Le profonde trasformazioni in atto nel mercato del lavoro comportano inoltre:
- più attenzione verso la qualità della vita, al benessere lavorativo e opzioni professionali
diversificate sulla base di preferenze e necessità personali;
- nuove forme di povertà e di emarginazione sociale, soprattutto per i soggetti a basso
potenziale.
A queste si collegano la sfida demografica e i problemi migratori. In tutti i Paesi dell'UÈ si riscontra infatti una presenza di anziani mai registrata finora. A ciò va aggiunto che al presente i flussi migratori si presentano più differenziati che nel recente passato per cui i vari servizi saranno chiamati nei prossimi anni ad interessarsi di una popolazione più diversificata e multilinguistica. Infine ad aggravare i processi di esclusione di cui sono oggetto settori crescenti della popolazione, concorreranno i problemi che l'allargamento dell'Unione comporterà a medio termine.
3.3.2 Le politiche della formazione e del lavoro
Queste sfide non riguardano solo il Veneto, ma tutti i Paesi europei più avanzati. Il Consiglio dell'UÈ ha adottato infatti a varie riprese (Lisbona, Stoccolma, Barcellona) per il prossimo decennio un programma articolato di obiettivi strategici da perseguire da parte degli Stati membri:
• migliorare la qualità e l'efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione e facilitare l'accesso
a tutti i sistemi di istruzione e di formazione lungo l'intero arco della vita;
• sostenere la cittadinanza attiva e le pari opportunità;
• garantire a tutti l'accesso alle nuove tecnologie e sviluppare le nuove capacità per la società
della conoscenza;
• incentivare gli studi scientifici e tecnici;
• rafforzare i collegamenti tra istruzione, formazione e mondo del lavoro;
• aumentare la mobilità e rafforzare la cooperazione internazionale.
Tali linee si integrano e trovano ulteriore consolidamento sul piano delle politiche del lavoro con gli orientamenti definiti dalla Strategia Europea dell'Occupazione (SEO).
Oltre che dagli indirizzi comunitari, il quadro programmatorio regionale risulta fortemente condizionato e sollecitato dalle iniziative nazionali in materia di formazione e lavoro. Da un lato infatti le recenti riforme della scuola (I. 53/2003) e del mercato del lavoro (I. 30/2003), aprono numerose prospettive ed opportunità per sostenere le nuove sfide, dall'altro lato, il processo di evoluzione istituzionale in senso federalista impone alla Regione, alle Province e agli Enti locali nuovi compiti e responsabilità che devono essere declinati in modo autonomo e innovativo. Si tratta di provvedimenti che contribuiscono a delineare, pur nella attuale incompletezza del quadro istituzionale e normativo nazionale, dei precisi orientamenti verso un nuovo modello regionalistico di programmazione e gestione integrata delle politiche del capitale umano (istruzione, formazione, occupazione, innovazione, ricerca, imprenditorialità, etc).
Queste politiche, già delineate nel Programma Triennale 2001-2003 e nel POR FSE ob.3 2000-2006, si articolano a 3 livelli:
• istruzione e formazione professionale;
• orientamento;
• lavoro.
L'approccio privilegiato è quello centrato sulla persona, soprattutto di quella più sfavorita sul
mercato del lavoro.
Gli interventi saranno focalizzati sui seguenti assi prioritari di intervento:
a) costruire il nuovo sistema regionale dell'istruzione e della formazione professionale, ispirato
alla riforma scolastica (I. 53/2003);
b) consolidare un sistema regionale di formazione continua e permanente, a partire
dall'avviamento dei nuovi Fondi Bilaterali;
c) implementare il nuovo dispositivo di accompagnamento e sostegno alle transizioni scuola-formazione, formazione-lavoro, lavoro-lavoro a partire dai servizi dell'impiego ridisegnati dalla I. 30/2003;
d) istituire l'Osservatorio permanente dei fabbisogni professionali in raccordo con un analogo strumento di definizione dei fabbisogni formativi emergenti.
Nel perseguire queste priorità, occorrerà favorire:
• l'accesso alle opportunità per tutti i cittadini, comprese quelle verso le più alte qualificazioni;
• il rispetto e la valorizzazione delle differenze, non solo di genere, ma anche verso le fasce
più deboli;
• la partecipazione e la cittadinanza attiva;
• la sussidiarietà e il ruolo dei soggetti territoriali, soprattutto attraverso la promozione di
partenariati e delle reti locali.
Per quanto riguarda la formazione professionale gli interventi e le azioni della Regione saranno attenti ai molteplici cambiamenti in atto nella società italiana che, potenziati dalla presenza di modelli di comportamento diffusi dai mezzi di comunicazione di massa, implicano la necessità di ridefinire anche le finalità proprie della scuola che, fino ad oggi, miravano soprattutto alla produzione di paradigmi culturali comuni.
La Regione si farà quindi carico di rispondere alle sfide della differenziazione provenienti da destinatari disomogenei e da un'utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza degli stranieri. Questa sfida è prima di tutto di natura pedagogica perché, rapportandosi alla persona, deve innovare le proprie finalità e individuare varie offerte formative che, collocate all'interno di un unico sistema educativo, risultino visibili, appetibili e corrispondenti ai diversi stili di apprendimento e ai diversi ambienti vitali dei giovani.
Conseguentemente, ogni intervento di riforma del sistema educativo di istruzione e formazione non può prescindere da queste finalità, attraverso il conseguimento di alcuni obiettivi fondamentali:
a) impostare il nuovo sistema regionale di istruzione e formazione professionale, verso un
servizio rivolto alla persona, a carattere pubblico e pluralistico, qualificando sempre più i
soggetti erogatori dei servizi;
b) garantire la pari dignità al canale professionale, assicurando la dimensione educativa
nell'articolazione dei diversi percorsi del sistema di istruzione e formazione, potenziando la
dimensione pedagogica e metodologica della differenziazione e della personalizzazione dei
percorsi;
c) incentivare altresì la collaborazione tra istituti scolastici e organismi formativi, lottando contro la dispersione scolastica e formativa anche con interventi diretti al recupero professionale dei titoli di studio deboli in quanto meno richiesti dal mercato del lavoro;
d) assumere la scelta legislativa relativa al "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per
almeno 12 anni" quale criterio innovativo che reinterpreta in modo estensivo il diritto
costituzionale all'istruzione come esercizio attivo di cittadinanza e non più solo come vincolo
dettato dallo Stato;
e) garantire il diritto alla reversibilità delle scelte. Ogni persona che ha intrapreso un percorso
(scuola, formazione, lavoro) ha il diritto di interromperlo e di proseguire con un altro, senza
per questo dover "ricominciare da capo". Con il meccanismo delle "passerelle" - aiutate da
adeguati interventi di sostegno - si potranno disegnare ingressi intermedi che consentano di
valorizzare gli apprendimenti appresi e di raggiungere i nuovi obiettivi;
f) valorizzare la cultura del lavoro in tutti i percorsi di istruzione e formazione;
g) sostenere la molteplicità delle offerte formative attraverso il pluralismo delle istituzioni
formative accreditate, titolari di specifici progetti educativi;
h) consolidare e qualificare i percorsi del sistema di formazione professionale veneto che, all'interno dell'unico sistema educativo e formativo nazionale e superando ogni concezione strumentale, si confrontano con analoghi percorsi a livello europeo per garantire una qualificata formazione di base e le necessarie competenze per inserirsi nel mondo del lavoro;
i) raccogliere la sfida dell'Europa che implica priorità effettiva agli investimenti in educazione, formazione, ricerca e innovazione:
- pertanto la Regione assicurerà l'operatività del canale formativo nella sua articolazione strutturata ai sensi della I. 53/2003, al fine di garantire il diritto/dovere all'istruzione ed alla formazione. In tal senso verranno promosse le iniziative legislative, amministrative e metodologico - didattiche volte a valorizzare il canale della formazione;
- di concerto la Regione concorderà con il governo i temi da affrontare nelle competenti sedi istituzionali per completare il quadro ordinamentale dello schema di Decreto relativo al secondo ciclo, con riferimento particolare agli standard formativi minimi delle figure professionali dei percorsi formativi e nell'apprendistato collocato nel diritto - dovere, agli standard di costo dei percorsi e alla definizione dei livelli essenziali delle strutture formative e dei relativi servizi,
j) mettere a regime il nuovo apprendistato anche nel quadro della formazione d'impresa, a partire dagli accordi di concertazione regionale e dal partenariato con le aziende, definendo una completa filiera professionale e i rispettivi crediti formativi dovuti quale diritto individuale e soggettivo alla formazione e spendibili nel mercato del lavoro.
Per quanto riguarda la Formazione continua e permanente, si punterà in particolare a:
a) favorire una adeguata formazione di base per tutti i cittadini, a partire dalle esigenze di
alfabetizzazione o ri-alfabetizzazione e/o dal recupero della scolarità iniziale;
b) consolidare e innalzare i livelli di competenza dei lavoratori adulti, con particolare riferimento
ai nuovi saperi e alle nuove tecnologie;
c) promuovere la formazione imprenditoriale e manageriale, soprattutto in funzione dei ricambio generazionale del sistema delle imprese;
d) sperimentare forme di validazione delle acquisizioni professionali ed esperienziali degli
adulti, attraverso riconoscimenti formali, anche per favorirne l'eventuale ricollocazione nel
mercato del lavoro e/o le prospettive di carriera;
e) contribuire a rimuovere gli ostacoli all'accessibilità e alla continuità della formazione, in
particolare per le fasce deboli e per gli immigrati.
Nel caso del Veneto appare necessario intervenire poi in modo sinergico su:
• le Pmt e le reti di imprese dei distretti produttivi;
• i settori occupazionali emergenti;
• la Pubblica Amministrazione locale.
Si ribadisce inoltre, a partire dalle sperimentazioni già condotte:
• la messa a regime del dispositivo di formazione individuale continua;
• l'avvio della Scuola regionale della Pubblica Amministrazione;
• l'avviamento di iniziative Pilota per l'innovazione delle metodologie di formazione nelle
imprese e nelle organizzazioni.
Per quanto riguarda l'orientamento, esso va considerato come un'azione trasversale alle politiche formative, sociali e del lavoro, rivolta alla persona e finalizzata alla gestione delle transizioni tra scuola, formazione e vita attiva. Questi intendimenti sono oggi ribaditi sia dalla riforma scolastica (legge Moratti) che dalla nuova normativa in materia di servizi per l'impiego (legge Biagi). Gli assi di intervento previsti sono:
a) rafforzamento e coordinamento dei servizi e degli interventi, in collaborazione con gli attori
operanti sul territorio e in integrazione con gli interventi di sostegno all'occupazione gestiti
dai centri per l'impiego;
b) circolazione di esperienze e trasferimento delle migliori pratiche, anche con riferimento
all'ambito comunitario;
e) diffusione e capitalizzazione degli strumenti e delle procedure utilizzate nei servizi risultate efficaci;
d) rafforzamento delle azioni di counselling e sostegno verso le categorie più svantaggiate;
e) consolidamento ed integrazione dei sistemi informativi e informatici di supporto (banche
dati, diffusione e scambi di informazioni, forum...);
f) diffusione di modalità e strumenti di monitoraggio delle azioni, dei processi e dei risultati al
fine di garantire efficacia ed efficienza nell'utilizzo delle risorse a disposizione da parte degli
organismi attuatori;
g) rafforzamento delle azioni di monitoraggio in itinere e di valutazione degli esiti da parte della
Regione;
h) adeguamento e sviluppo delle competenze tecniche attraverso l'investimento nelle risorse umane (operatori dell'orientamento).
I criteri di intervento prioritari sono:
• la programmazione e il controllo del processo da parte della Regione;
• la promozione di accordi fra parti sociali e Enti pubblici, in ambito territoriale per azioni
integrate;
• l'ulteriore integrazione tra Enti pubblici, il mondo dell'istruzione e della formazione
professionale, le parti sociali ed i soggetti pubblici e privati coinvolti;
• la trasversalità delle azioni, con particolare riferimento alla dimensione delle pari opportunità
e alle fasce più deboli;
• la riconduzione delle buone prassi a sistema.
Per quanto riguarda te politiche del lavoro, si assumono i seguenti assi prioritari di intervento:
a) incremento dell'occupazione femminile;
b) sviluppo dell'inserimento lavorativo dei disabili;
e) iniziative a favore degli extracomunitari;
d) emersione del lavoro irregolare;
e) tutela della parità;
f) sviluppo dei servizi per il lavoro.
a) Incremento dell’occupazione femminile
Sviluppare politiche di incentivo al rientro nel mercato delle donne che hanno avuto esperienze di lavoro in età giovanile interrotte per esigenze di cura dei figli, ma anche di sostegno alla continuità lavorativa attraverso l'attivazione di servizi o la più agevole fruizione degli stessi, e politiche di sostegno alla promozione di accordi tra le parti sociali in grado di conciliare l'impegno di lavoro con le relazioni di cura ed assistenza, particolarmente gravose per la donna lavoratrice.
b) Sviluppo dell'inserimento lavorativo dei disabili
I risultati dell'inserimento lavorativo dei disabili sono significativamente migliorati nel Veneto
grazie anche alle risorse messe a disposizione dalla legge n. 68/1999.
E' cresciuta la stabilità dell'inserimento lavorativo (oggi il 70 % delle assunzioni sopravvive dopo
un anno), ma soprattutto è migliorata la qualità degli avviamenti, non più meramente numerici
ma finalmente attenti alla compatibilità di contesto lavorativo e sanitario.
Si è affinata la strumentazione tecnica di preavviamento, ma soprattutto è migliorato il
coinvolgimento della parte aziendale che oggi è partecipe del progetto di assunzione già nella
fase programmatica degli impegni obbligatori di assunzione.
Gli interventi finalizzati alle assunzioni dei disabili già assistiti da agevolazioni contributive
finanziate dalla legge 68/1999, sono accompagnati da misure integrative finanziate da apposito
fondo regionale costituito con l.r, 16/2001 che va potenziato per la sua natura di
completamento degli interventi, soprattutto per le attività di orientamento, tirocinio e
formazione dedicate al disabile inserito in un progetto di assunzione.
c) Iniziative a favore degli extracomunitari
Gli obiettivi da perseguire attengono sostanzialmente ad una maggiore integrazione delle
politiche a titolarità regionale, e di queste con i livelli istituzionali subregionali attraverso lo
snodo delle competenze provinciali nelle materie del lavoro (orientamento, avviamento, gestione
della disoccupazione), e locali soprattutto per la rete dei servizi di supporto logistico e assistenza
varia.
Una particolare segnalazione va fatta per la messa a punto delle procedure di rilevazione del
fabbisogno con spostamento dell'iniziativa dall'ambito delle strutture ministeriali periferiche a
quelle regionali, e coinvolgimento delle parti sociali nelle sedi proprie della concertazione di cui
alla l.r. 31/1998.
In tal senso sono già in atto delle prassi di consultazione e nello sviluppo della prossima
programmazione si confida nella messa a punto di specifiche procedure.
Sempre nel solco del miglioramento del servizio di avviamento al lavoro degli extracomunitari si
svilupperanno, sulla base di specifiche intese con gli organi ministeriali, i progetti sperimentali di
preselezione e formazione nei Paesi di origine (titoli di prelazione di cui all'art. 19 della legge 30
luglio 2002, n. 189).
d) Emersione del lavoro irregolare
Lo strumento dell'Osservatorio regionale, avviato in via sperimentale con un finanziamento biennale, va consolidato, e nel corso della programmazione triennale se ne svilupperà il progetto con connesse risorse di finanziamento.
Lo strumento tecnico operativo dell'Osservatorio è incardinato presso l'apposita Commissione regionale per l'emersione del lavoro nero di cui all'art. 78 della legge n. 448 del 1998 costituita secondo le modalità stabilite dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1836 del 13/06/2003, ed è messo a disposizione degli analoghi organismi costituiti presso le amministrazioni provinciali secondo le modalità stabilite dal precitato provvedimento regionale.
e) Iniziative a tutela della parità
A seguito della convenzione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si è istituito l'ufficio regionale del Consigliere di parità per l'espletamento delle funzioni e dei compiti di cui al d.lgs. n. 196 del 23 maggio 2000.
f) Sviluppo dei servizi per il lavoro
In base a quanto definito dalla legge 30/2003 e dai decreti attuativi, nel mercato del lavoro
operano i servizi pubblici in collaborazione con le agenzie per il lavoro, per una maggiore
presenza e dinamicità nel territorio al fine di meglio rispondere alle esigenze di coloro che
ricercano occupazione. La regolamentazione dell'accesso di nuovi operatori privati (sistema di
autorizzazioni ed accreditamento) nel mercato del lavoro permetterà una nuova
programmazione concertata per la presa in carico più mirata dei soggetti in cerca di nuova o
diversa occupazione, in modo da assicurare maggiori opportunità e sicurezza, soprattutto ai
soggetti con contratti di lavoro non a tempo indeterminato. La centralità del servizio pubblico è
ugualmente garantita sulla base dei servizi essenziali e del ruolo di raccordo e guida nei servizi
di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro.
Sia i servizi di informazione sulle opportunità formative e di lavoro sia le forme di tutela ed
accompagnamento al lavoro saranno erogati con maggiore efficienza. Sarà implementato, come
definito nella I. 30/2003, il sistema di certificazione del contratto di lavoro, che consentirà al
lavoratore di presentarsi sul mercato del lavoro con un portfofio delle proprie competenze. A tal
fine è necessario attivare una rete con tutti i soggetti autorizzati in questo senso.
Uno specifico Accordo di programma con le Province e con le parti sociali (sottoscritto nel 2002),
ha già definito la nuova architettura dei servizi a livello territoriale.
Tale accordo prevede l'impegno alla promozione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, a
partire da una rete di sportelli caratterizzata da:
• un sistema convenzionato e partenariale, fondato sulla centralità del servizio pubblico e con
la partecipazione delle parti sociali;
• il co-finanziamento delle attività convenzionate da parte degli organismi partner coinvolti;
• la natura non profit dei fornitori di servizi.
3.3.3 Gli aspetti critici e le prospettive
L'esperienza fatta nell'ultimo decennio deve far riflettere sull'approccio programmatorio e sulla natura necessariamente flessibile e dialettica dei processi di governance da attivare, superando ogni modello deterministico e tecnocratico a favore di un forte coinvolgimento dei vari attori sociali. In tale contesto risulta importante l'utilizzo della leva dell'orientamento-istruzione-formazione nella definizione delle "politiche industriali", rappresentando lo strumento più efficace per guidare le trasformazioni del modello di sviluppo (da estensivo a intensivo) e renderlo competitivo nei mercati internazionali, attraverso professionalità ad elevato contenuto di conoscenza e di capacità gestionale.
La dimensione di processualità, revedibilità e confronto deve essere quindi una linea guida da tener bene in vista nella implementazione delle azioni, anche in ragione di alcune istanze istituzionali esistenti come:
• il completamento dei decreti delegati attuativi delle leggi 30/03 e 53/03;
• la definizione e l'approvazione della nuova legge regionale in materia di istruzione,
formazione e lavoro in sostituzione della l.r. 10/1990.
A supporto di queste politiche, si rende necessario che la Regione continui a garantire una forte regia e coordinamento dei processi attivati a livello territoriale e settoriale, attraverso:
a) una serie di azioni di sistema, che devono precedere ed accompagnare il passaggio
dall'attuale situazione a quella futura in modo che i sistemi dell'istruzione e della formazione
professionale, dell'Università, del mondo del lavoro, dei servizi per l'impiego possano
comunicare e aumentare la permeabilità per massimizzare l'efficacia dei servizi;
b) un monitoraggio costante delle iniziative, con particolare riferimento alle sperimentazioni, e
ai loro risultati, in funzione di garantire una adeguata capitalizzazione istituzionale e di
raccordare il sistema veneto agli altri sistemi regionali ed europei.
Per sostenere queste azioni, sarà inoltre necessario - sul piano delle risorse - incentivare un graduale cambiamento dell'attuale mix delle fonti di finanziamento, nelle seguenti direzioni:
• sostenere con fondi regionali e con i previsti trasferimenti statali il nuovo sistema di
istruzione e formazione professionale iniziale, garantendone la continuità per il diritto-dovere
dei giovani cittadini;
• utilizzare i finanziamenti comunitari per le politiche preventive a favore delle fasce più deboli
della scuola e del mercato del lavoro e per le azioni innovative e di sistema;
• sostenere la diffusione dei nuovi Fondi Bilaterali per la formazione continua delle imprese;
• utilizzare i fondi nazionali per t congedi di formazione individuale, attraverso borse di studio
e voucher, integrandolo con risorse regionali e comunitarie;
• attrarre nuove risorse locali, in primis dalle Fondazioni Bancarie, per il sostegno delle
iniziative locali di eccellenza e per l'innovazione.
La concertazione con le parti sociali viene ribadita come strumento di governance, a partire dai Tavoli esistenti, in funzione soprattutto della definizione dei fabbisogni e del monitoraggio dei risultati.
3.4 Le politiche di settore
SETTORE PRIMARIO
I regolamenti applicativi del documento di riflessione comunitario Agenda 2000 hanno profondamente modificato l'approccio dei finanziamenti e/o incentivi al settore primario, passando da più normative e/o documenti di attività, ad una gestione coordinata ed unitaria delle forme di finanziamento da parte dell'Unione Europea.
L'agricoltura regionale ha avviato una fase di profonda ristrutturazione collegando il "made in Veneto" ai suoi punti di forza che sono: la qualità che deriva dall'ecosistema, l'insostituibilità che deriva dai legami con territori ad alta riconoscibilità culturale, la competitività che deriva dalla capacità del sistema di imprese di affrontare il mercato anche con piccoli volumi produttivi. In questo senso l'agricoltura è fattore di qualità e attrattore di innovazione.
La dimensione internazionale di alcuni gruppi della distribuzione e di molte industrie agro-alimentari, che ha per obiettivo l'approvvigionamento di prodotti nelle regioni europee dove è migliore il rapporto qualità/prezzo, rende incerto il futuro dei produttori veneti.
Diviene quindi di primaria importanza sostenere il settore agro-alimentare nello sviluppo di strategie finalizzate ad ottenere un vantaggio concorrenziale di prodotto. Ciò può essere realizzato attraverso la qualità, la certificazione, l'affidabilità delle filiere, l'organizzazione logistica e dei servizi.
La sicurezza alimentare rappresenta in questo momento la sfida che il settore agro-alimentare nel suo complesso e ciascun produttore devono affrontare per assicurarsi la possibilità di accesso ai mercati e di commercializzazione della propria produzione.
Accanto a questo obiettivo va affrontato il tema della sicurezza ambientale al fine di garantire un comportamento rispettoso verso l'ambiente nelle pratiche produttive, nel controllo degli inquinamenti e nel risparmio delle risorse naturali (acqua, energia, etc).
Si prospettano nuove frontiere per l'agricoltura tanto in termini di offerta di servizi (ambientali, turistici e didattici) che di nuove attività di produzione; questa nuova dimensione dell'agricoltura è la multifunzionalità.
La riconversione da un'agricoltura tradizionale ad un'agricoltura multifunzionale, oltre che in termini di idee, maturazione concettuale e imprenditorialità da parte degli operatori, necessità di risorse, indirizzi e progettualità specifiche.
ARTIGIANATO
L'azione regionale dovrà mirare ad obiettivi di qualità in una serie di campi che riguardano direttamente la valorizzazione del sistema artigiano:
una rinnovata definizione dell'impresa artigiana, identificandone le caratteristiche, le
articolazioni, i campi d'interesse e anche i confini;
una revisione degli strumenti di tutela e sviluppo e di sostegno economico.
Si prevede, quindi, la predisposizione di un Testo Unico per l'Artigianato comprendente l'insieme
delle rinnovate disposizioni relative ai temi indicati.
Vanno favoriti, in particolare, differenti interventi nell'ambito della formazione del personale,
della preparazione e dell'aggiornamento imprenditoriale.
Anche nel recupero della qualità dei centri urbani e dei centri storici, la presenza e la
permanenza delle botteghe artigiane richiede accorte politiche regionali e locali di incentivazione
e sostegno che considerino Sa presenza sia dell'artigianato di servizio, sia dell'artigianato
artistico/tradizionale sia dell'artigianato di piccola produzione.
INDUSTRIA
L'azione pianificatoria e programmatoria regionale va indirizzata sostanzialmente verso lo sviluppo di azioni di sistema nelle seguenti direzioni:
promozione e sostegno dei distretti produttivi;
innovazione tecnologica, ricerca e sviluppo;
internazionalizzazione del sistema industriale veneto;
governo dei processi di continuità d'impresa (varo di una legge regionale sul sostegno della
continuità d'impresa);
sviluppo della finanza innovativa e politiche del credito:
riqualificazione e razionalizzazione dei tradizionali meccanismi di aiuto alle imprese
(riordino delle diverse misure di incentivazione già esistenti);
incentivazione delle eccellenza strategiche sul territorio (promozione di azioni volte a
qualificare il Veneto come area di eccellenza – ad es. progetto Veneto Nanotech).
COMMERCIO
Nel settore del commercio si devono prevedere politiche per la regolarizzazione del mercato e misure per la formazione, la ricerca e l'istruzione. Più specificatamente si tratta di:
monitorare l'impatto sul dispositivo commerciale veneto della riforma attuata con la lr.
37/1999 e la conseguente messa a punto di una nuova fase di programmazione;
potenziare i fondi rotativi e il sostegno agli organismi di garanzia e al sistema dei consorzi
al fine di consentire gli investimenti necessari per lo sviluppo e l'innovazione;
promuovere i servizi diretti a introdurre nuove modalità organizzative in tema di qualità e
di assistenza tecnica (Ir. 16/1998);
predisporre una nuova disciplina del commercio su aree pubbliche;
tutelare i livelli di servizio nei centri storici e nei centri minori.
Va considerata inoltre essenziale una strategia di coordinamento tra e con gli Enti locali, per rendere più omogenee le programmazioni. Vanno studiati interventi volti all'ammodernamento dell'esistente, sia in termini di sviluppo aziendale che di recupero dei grandi contenitori, per non dilapidare ulteriori parti del territorio e per evitare appesantimenti sulla "mobilità" puntando sulla valorizzazione delle politiche locali in grado di riqualificare le strutture commerciali, la rete dei servizi al cittadino e le risorse del territorio.
TURISMO
Le politiche per lo sviluppo del turismo devono fare perno sui valori della cultura, dell'ambiente, delle professionalità e dell'imprenditorialità. Nelle strategie dell'offerta, la scelta politica deve esser quella di puntare sul richiamo delle risorse artistiche, storiche, naturali e agricole dei Veneto, promuovendo una lettura del territorio che veda protagonisti i "beni patrimoniali turistici" vale a dire i beni culturali e ambientali in un rapporto di connessione. Riguardo alle politiche della domanda, sono da prevedere azioni mirate di promozione sui mercati di particolare interesse.
Si ritengono opportuni anche un progetto regionale di assistenza al turista incentrato sull'informazione e un'azione specifica a favore del comprensorio montano. Una forte progettualità può nascere infine dal diffondersi della consapevolezza della necessità di trasformare gli attrattori e le risorse in prodotti ben percepibili, anche avviando, a cominciare dalle aree turisticamente mature, processi di certificazione di qualità che possono avere positive ricadute sia sull'offerta sia sull'immagine/attrattività del territorio.
ENERGIA
La promozione dell'utilizzo di fonti rinnovabili è di importanza strategica per la Regione: infatti, dalla produzione di energia "pulita"derivano benefici quali il risparmio di combustibili fossili, la riduzione delle emissioni inquinanti, la minore vulnerabilità del sistema energetico anche rispetto a crisi di origine esterna e una migliore distribuzione dell'energia. Di conseguenza, occorre prevedere degli strumenti pubblici di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e di uso razionale dell'energia affinchè le risorse finanziarie disponibili siano allocate in misura ottimale. Dal lato della domanda di energia, invece, occorre favorire l'evoluzione dei consorzi di acquisto nell'industria e incentivare il contenimento dei consumi in edilizia.
SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ A RILEVANZA INDUSTRIALE
L'obiettivo prioritario è costituito dalla promozione di aggregazioni tra i soggetti attuali e tra questi ultimi e i privati nel campo dei servizi di pubblica utilità, affinchè, attraverso le sinergie che si verranno a produrre, possano erogare i servizi nel modo più efficiente, costituendo una massa critica in grado di operare sul mercato ed essere più competitivi anche nell'attuale tendenza a forme di organizzazione sempre più spinte. La Regione, quindi, si attiverà per indirizzare e coordinare, anche a livello legislativo o regolamentare, i processi di aggregazione necessari per soddisfare in modo adeguato i bisogni dei cittadini e per rispondere alle esigenze di mercato.
3.4.1 II settore primario
Le caratteristiche strutturali dell'agricoltura veneta
Al 20 ottobre del 2000, le aziende agricole venete risultano essere 191.085 (vedere Tab. 8.1, Pag. 72 Appendice statistica), segnalando una contrazione pari a quasi 34 mila unità (-15%) rispetto all'ultimo Censimento agricolo del 1990; la superficie agricola totale è di poco superiore a 1.204 mila ettari, caratterizzata, prevalentemente da zone pianeggianti. La superficie media aziendale si è accresciuta passando da 5,8 ettari a 6,3 per la totale e da 4 ettari a 4,6 per la SAU. I caratteri strutturali dell'agricoltura veneta, nonostante la leggera inversione di tendenza, continuano a confermare un'estrema polverizzazione aziendale dimostrata dalla densità di aziende per kmq molto elevata nel Veneto centrale (Treviso e Padova in primo luogo). La conduzione diretta del coltivatore interessa circa l'80% della SAU, forma di conduzione che si avvale soprattutto della manodopera familiare. Quella in economia conferma la tendenziale crescita, osservata nei periodi precedenti, e occupa il 20f5% della SAU.
Assume importanza crescente il sistema relazionale delle modalità gestionali, la mutua integrazione che si realizza fra part-time, contoterzismo in sinergia con le strutture associati ve e di cooperazione per cui l'agricoltura presenta connotazioni di soggetto magmatico in movimento. Per quanto concerne il lavoro, i 2/3 circa dei conduttori prestano la propria attività esclusivamente nell'azienda agricola, soprattutto se di piccole dimensioni. L'età media è piuttosto elevata. Le ridotte dimensioni aziendali e la rigidità dell'offerta di fondi agricoli, rende incerto e poco redditizio il futuro nel settore primario con la conseguenza di alimentare i fenomeni delle aziende part-time, da un lato, e della contrazione delle forze lavoro giovanili, dall'altro.
In linea generale, l'incidenza percentuale di occupati in agricoltura mostra un trend in flessione, che coinvolge l'intero territorio regionale: dal 6,6% del 1992, passano al 5,2% nel 1997 e si attestano, nel 2003, al 4%. Parallelamente, il settore evidenzia un fabbisogno di lavoro stagionale non qualificato coperto in gran parte da immigrati.
All'interno dell'universo rilevato dal censimento ISTAT, che indica dinamiche apparentemente lente e contenute di evoluzione del settore, va però evidenziato il rafforzarsi di un nucleo di aziende, circa 100.000, esercenti attività agricola secondo standards e logiche di impresa.
Tali soggetti presentano dimensioni imprenditoriali, strutturali ed economiche ben lontane dalle medie rilevate dal censimento. Si connotano con elevati livelli di specializzazione e sono proiettati sul mercato con una sensibile presenza di giovani (più che doppia rispetto alle percentuali medie rilevate dal censimento).
I settori che in tempi recenti stanno assumendo importanza via via crescente, sia in termini di numero e superficie che di volume d'affari, sono quelli riconducibili all'agricoltura biologica e all'attività agrituristica.
Le innovazioni istituzionali e strategiche
I regolamenti applicativi del documento di riflessione comunitario Agenda 2000 hanno profondamente modificato l'approccio dei finanziamenti e/o degli incentivi al settore primario, passando da più normative e/o documenti di attività, ad una gestione coordinata ed unitaria delle forme di finanziamento da parte dell'Unione Europea. Le novità possono essere riassunte nei punti che seguono:
• un nuovo approccio programmatico per il periodo 2000-2006. Da più documenti di programmazione comunitaria e regionale, si è passati ad un unico documento programmatico - il Piano di Sviluppo Rurale - al quale si affiancano i documenti di programmazione finanziati dallo SFOP e l'iniziativa comunitaria Leader + finanziata dal FEOGA, che, oltre a influenzare l'attività regionale, delineano le strategie del futuro;
• un nuovo concetto di agricoltura. L'impostazione di una politica agricola orientata
all'incremento quantitativo delle produzioni viene corretta nel concetto di sviluppo rurale,
dove risultano integrate altre finalità quali la tutela dell'ambiente la sicurezza e la qualità
degli alimenti, la vivibilità delle aree rurali, la plurifunzionalità, l'integrazione economica con
altre attività produttive, la valorizzazione del patrimonio storico, culturale locale, etc.
Il Piano di Sviluppo Rurale regionale per il periodo 2000-2006, adottato dalla Giunta regionale ai sensi del Regolamento (CE) n. 1257/1999, pone come obiettivi strategici:
• il miglioramento della competitività e dell'efficienza del sistema agricolo, agroindustriale e
forestale attraverso l'ammodernamento e la razionalizzazione del sistema produttivo e della
trasformazione, agendo su tutte le fasi della filiera e promuovendo l'innovazione
organizzativa, di prodotto e di processo;
• il sostegno integrato del territorio e lo sviluppo delle comunità rurali contemplando azioni
orizzontali capaci di aumentare la conoscenza e la professionalità degli operatori, adeguando
la qualità dei servizi alle imprese agricole e agroalimentari e alla popolazione rurale;
• la multifunzionalità dell'agricoltura e un'azione di salvaguardia, tutela e valorizzazione
dell'ambiente e del paesaggio rurale per rivitalizzare il tessuto economico produttivo locale,
frenare i processi di esodo e il conseguente degrado ambientale e mantenere un adeguato
assetto territoriale per lo sviluppo delle economie produttive.
In tale contesto normativo, va comunque privilegiata un'azione di supporto finanziario per il rafforzamento delle misure attivate con il Piano di Sviluppo Rurale, anche in considerazione di una prevedibile insufficienza di risorse a fronte delle esigenze manifestate; il rinnovamento dei quadro normativo regionale, iniziato con l'approvazione della legge generale sugli interventi in agricoltura n. 40/2003, ha risposto all'esigenza di adeguare la strumentazione normativa agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato. Per mettere in condizione la Regione di cogliere e rispondere adeguatamente alle nuove esigenze e ai diversificati bisogni del nostro sistema agricolo ed agroalimentare vanno peraltro sviluppate tutte le potenzialità e la strumentazione offerta dalla legge, in particolare sulle questioni cruciali del sistema informativo regionale, della programmazione per area (distretti rurali ed agroalimentari di qualità) e sulle tematiche agroambientali, della sicurezza alimentare e della qualità, e della nuova strumentazione finanziaria. C'è comunque la necessità di operare un forte rinnovamento dei quadro normativo anche in altri comparti produttivi del Primario (pesca, foreste ed economia montana), oltreché nel settore della bonifica e dei servizi. In tale adeguamento normativo è ricompreso il completamento del riassetto organizzativo e delle competenze in agricoltura, in relazione a quanto determinato con la riforma del Titolo V della Costituzione, i decreti legislativi "Bassanini" e il decentramento funzionale conseguente all'istituzione dell'Organismo pagatore regionale AVEPA di cui alla legge regionale 31/2001. Tale rinnovo normativo deve altresì andare nella direzione della cosiddetta "terziarizzazione delle attività amministrative", caratterizzate dall'assenza di contenuto discrezionale e da elevata ripetitività, che hanno già trovato una prima sperimentazione con i Centri di Assistenza in Agricoltura (CAA).
La centralità del sistema agroalimentare
II settore agro-alimentare veneto è costituito da un numero elevato di piccole-medie imprese che tuttavia, spinte dalla distribuzione e dalle industrie di trasformazione, stanno orientandosi alla concentrazione dell'offerta sul mercato attraverso l'attuazione di processi di associazione o di acquisizione di aziende. La dimensione internazionale di alcuni gruppi della distribuzione e di molte industrie agro-alimentari, che permette l'approvvigionamento di prodotti nelle Regioni europee dove è migliore il rapporto qualità/prezzo, tuttavia, rende più incerto il futuro dei produttori veneti, specialmente con l'avvenuto all'allargamento dell'Unione Europea ai Paesi dell'Europa Centrale ed Orientale (PECO).
Anche l'export, che canalizza una buona quota del prodotto agro-alimentare Veneto, specialmente per quanto riguarda l'ortofrutta ed il vino, potrebbe venire ora ridimensionato dall'entrata dei PECO, visto che molti dei Paesi dell'est stanno fortemente sviluppando l'orto-frutticoltura, settore che richiede meno investimenti rispetto alle produzioni animali. Diviene quindi di primaria importanza per il successo delle produzioni venete sostenere il settore agro-alimentare nello sviluppo di strategie finalizzate ad ottenere un vantaggio concorrenziale del prodotto e quindi:
• perseguire una politica della qualità, sia tramite la valorizzazione dei legami del prodotto con
il territorio e la tradizione (marchi DOP, IGP, DOC, DOCG e IGT), sia tramite la fornitura di
specifiche garanzie sul processo di produzione, come nel caso dei prodotti biologici;
• sostenere la politica di certificazione di prodotto (marchi collettivi, marchio regionale o
marchi aziendali di qualità) per garantire e rendere distinguibile al consumatore il prodotto;
• aumentare l'affidabilità delle filiere, l'efficienza dell'organizzazione logistica e dei servizi al
cliente, al fine di fidelizzare i canali commerciali ed i clienti in genere. È necessario
prevedere, nei Piani di settore e nel nuovo Piano di Sviluppo Rurale, la ristrutturazione delle
filiere agroalimentari.
Gli episodi di rischi per la salute umana legati alla sofisticazione alimentare o al diffondersi di patologie animali rischia di minare la fiducia del consumatore nel settore agricolo e agroalimentare, accusato di operare unicamente nella logica del profitto aziendale. La sicurezza alimentare rappresenta in questo momento la sfida che il settore agroalimentare nel suo complesso e ciascun produttore devono affrontare per assicurarsi la possibilità di accesso ai mercati e di commercializzazione della propria produzione.
L'aumento della sicurezza dei prodotti si dovrà fondare:
• sullo sviluppo di sistemi di tracciablità o rintracciabilità del prodotto nella filiera, che
permettano per un alimento, sostanza, mangime o animale, di ricostruire e seguire il
percorso - a monte e a valle - attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione
e della distribuzione;
• sulla definizione ed il controllo di prerequisiti di base dei prodotti;
• sul valore aggiunto dei servizi inglobati.
Accanto a questo obiettivo va affrontato il tema della sicurezza ambientale al fine di garantire un comportamento rispettoso verso l'ambiente nelle pratiche produttive, nel controllo degli inquinamenti e nel risparmio delle risorse naturali (acqua e energia, etc). Tale obiettivo è il risultato di un binomio sempre più inscindibile tra chi usa il territorio (agricoltore) e chi fruisce del territorio (altri imprenditori, abitanti, turisti). Un'azienda agricola e agro-alimentare quindi, a seconda delle proprie caratteristiche, del tipo di produzione, della localizzazione geografica, del mercato in cui opera, deve essere indotta ad ottimizzare i comportamenti che le consentono di valorizzare potenzialità e specificità aziendale.
Per la competitività del settore agroalimentare veneto vanno quindi perseguiti i seguenti obiettivi:
• aumentare la sicurezza e la qualità delle produzioni regionali stimolando le aziende a
sviluppare percorsi di tracciabilità del prodotto e marchi di qualità sia attraverso
finanziamenti diretti per l'ottenimento delle certificazioni, sia assegnando punteggi di priorità
alle produzioni di qualità, per l'ottenimento di finanziamenti strutturali;
• aumentare la sensibilità dei produttori alla qualità attraverso l'informazione, la formazione,
lo sviluppo di attività di consulenza ed assistenza alla gestione;
• informare i consumatori sulla qualità delle produzioni attraverso campagne di educazione
alimentare e di informazione sui media;
• migliorare l'immagine e la conoscenza dei prodotti veneti attraverso campagne pubblicitarie
e promozionali per i prodotti di qualità e Sa partecipazione a fiere nazionali o sui mercati
esteri;
• studiare progetti di cooperazione finanziaria tra Regione, Enti locali e privati per la gestione
delle problematiche agroambientali.
Per un'agricoltura competitiva, diversificata e multifunzionale
Nel clima di forte competizione nazionale ed internazionale sui mercati dei prodotti agricoli, con la prospettiva di ulteriori liberalizzazioni a seguito degli accordi in sede di WTO e dell'allargamento dell'Unione Europea, una sfida per il nostro settore agricolo e agroalimentare è mantenere la competitività delle nostre produzioni, sia sul mercato interno che internazionale.
In primo luogo vanno sostenuti i processi di riorientamento verso produzioni che garantiscano migliori profitti sul mercato e assicurino agli agricoltori la stabilità del reddito. Tali processi di riorganizzazione produttiva comportano infatti la diminuzione dei costi di produzione e un'efficace concorrenza sul prezzo dei prodotti.
La competitività delle aziende del settore può procedere attraverso il raggiungimento di un elevato standard di tecnologia produttiva, che consenta di stare al passo con l'innovazione tecnica; è perciò necessario assicurare un alto livello di investimenti nel settore agricolo e quindi il sostegno agli interventi di adeguamento strutturale e dotazionale e l'introduzione di innovazione tecnologica delle imprese di produzione e trasformazione dei prodotti.
I dati dell'ultimo censimento confermano da un lato l'età media piuttosto elevata dei conduttori agricoli e, dall'altro, la contrazione delle forze lavoro giovanili. Il recupero di competitività e di efficienza produttiva del sistema è condizionato quindi dal difficile ricambio generazionale delle imprese. Le politiche volte a facilitare l'inserimento dei giovani nelle aziende agricole vanno accompagnate anche da interventi di formazione delle risorse umane e riqualificazione professionale, che incidano sulle capacità tecniche e manageriali dei nuovi imprenditori. In tale contesto va considerata la necessità di un sistema completo ed efficiente di servizi di sviluppo agricolo, dalla ricerca e sperimentazione all'informazione, dalla assistenza gestionale alla formazione professionale.
Un'agricoltura solo mercantile rischia però di risultare essenzialmente squilibrata, o perché induce ad una eccessiva intensificazione e quindi pressione sulle risorse, o perché innesca inevitabilmente processi di abbandono ed incuria del territorio. Non si sottolineano mai abbastanza i molteplici effetti positivi dell'interazione agricoltura-ambiente, in termini di tutela delle risorse naturali, di mantenimento delle caratteristiche paesaggistiche e ambientali, di manutenzione e presidio del territorio. Si prospettano nuove frontiere per l'agricoltura in termini tanto di offerta di servizi (ambientali, turistici e didattici) che di nuove attività di produzione, in particolar modo le produzioni non alimentari e le produzioni energetiche. Si tratta nella sostanza di una nuova dimensione dell'agricoltura, la multifunzionalità come esito principale della stessa attività agricola, non separabile dalla finalità produttiva.
La valorizzazione della multifunzionalità dell'agricoltura è innanzitutto una condizione essenziale per affrontare e risolvere in modo organico e duraturo i problemi delle aree svantaggiate e ad agricoltura marginale. Peraltro talune delle misure proprie di questa valorizzazione debbono accompagnare le politiche di mercato nelle stesse aree dell'agricoltura competitiva, a riconoscimento dell'azione di presidio e di tutela dell'ambiente che gli agricoltori svolgono in tutto il territorio, a vantaggio di tutta la società.
Più in generale, è necessario che intorno al concetto di multifunzionalità si costruisca un generale consenso e riconoscimento concreto di tale ruolo da parte di tutta la società. L'agricoltura multifunzionale deve essere sostenuta perché è imprescindibile il nesso con lo sviluppo delle altre realtà economiche e con il mantenimento delle condizioni di sviluppo e vitalità delle comunità locali. Sostenere l'agricoltura muitifunzionale vuoi dire promuovere l'immagine e le caratteristiche proprie di un territorio nella sua globalità e nelle sue peculiarità. La riconversione da un'agricoltura tradizionale ad una agricoltura multifunzionale, oltre che in termini di idee, maturazione concettuale e imprenditorialità da parte degli operatori, necessita di risorse: la nostra struttura aziendale caratterizzata da un tessuto di aziende medio-piccole ha ancora bisogno di forti adattamenti e riposizionamenti strategici. Risulta perciò giustificato non solo procedere all'allocazione di nuove risorse su questi processi e programmi di riconversione, ma nel contempo ricercare tutte le opportune sinergie esterne al sistema attraverso l'adesione
di altri soggetti e altri settori pubblici e privati nel contribuire a mantenere sul territorio l'attività agricola.
La pesca e l'acquacoltura
II settore della pesca e dell'acquacoltura genera nel Veneto un fatturato annuo complessivo che oscilla intorno ai 500 milioni di euro, Gli operatori che direttamente (6.500 pescatori di professione) e indirettamente (attività connesse) traggono il proprio reddito dall'attività di pesca ammontano a circa 20.000 unità lavorative.
Questi dati complessivi fanno riferimento a tutti i segmenti produttivi presenti in ambito regionale: pesca, acquacoltura in acque dolci, salmastre e marine ed attività connesse di lavorazione, trasformazione e commercializzazione.
La produzione è legata a veri e propri distretti produttivi locali che si sono sviluppati avvalendosi della buona pescosità e della capacità di adattamento di un tessuto imprenditoriale in buona parte di tipo artigianale, ed hanno raggiunto, pur svantaggiati da politiche sovranazionali "tarate" su realtà produttive diverse, una certa "strutturazione interna" in termini di filiera, attraverso investimenti anche rilevanti, sostenuti soprattutto dal mondo della cooperazione, nel campo delle strutture impiantistiche necessarie per il passaggio dal pescato al consumo, attraverso le fasi di lavorazione, trasformazione e commercializzazione.
Per costruire il futuro del settore ittico del Veneto e dell'Alto Adriatico risultano perciò necessarie le seguenti azioni:
• l'adozione di specifici piani di produzione e di gestione della risorsa naturale per l'incremento
della molluschicoltura sia a mare che nelle acque lagunari interne;
• il sostegno delle iniziative finalizzate al riconoscimento a livello comunitario dei marchi di
produzione;
• la promozione delle iniziative finalizzate alla riconversione ed alla diversificazione produttiva
quali il pescaturismo e l'ittioturismo;
• il riconoscimento della valenza polifunzionale dell'attività degli operatori ittici che operano
anche in un contesto di tutela ambientale;
• l'individuazione di adeguati sostegni finanziari finalizzati all'ammodernamento della flotta
locale;
• una legge organica di settore che sia lo strumento di disciplina e di spesa per gli interventi di
competenza regionale in materia di pesca e acquicoltura.
Il ruolo delle foreste nelle aree montane
In base ai rilievi eseguiti risulta che i boschi nella nostra Regione occupano una superficie di 299.298 ettari, di cui 178.442 ettari di proprietà privata e 120.856 ettari di proprietà pubblica.
L'Inventario Forestale Regionale è di tipo permanente in quanto può fornire in maniera continuativa informazioni aggiornate sullo sviluppo del bosco attraverso la rideterminazione ed il controllo delle aree di saggio localizzate con precisione nei vari soprassuoli forestali.
I boschi presenti nel territorio veneto costituiscono una naturale tendenza evolutiva, determinata dall'azione congiunta dei fattori biotici ed abiotici. La stabilità bio-ecologica della vegetazione forestale costituisce il presupposto fondamentale per l'erogazione di una molteplicità di beni e di servizi necessari ed allo sviluppo economico, sociale e culturale a beneficio della popolazione. In considerazione di ciò, la Regione, tramite la realizzazione della pianificazione forestale in particolare e della filiera forestale in generale, ha posto come finalità la migliore funzionalità del bosco, promovendo la valorizzazione delle risorse di un dato territorio, allo scopo di svolgere funzioni di produzione legnosa, di erogazione energetica, di protezione dell'ecosistema, di mantenimento del paesaggio, sia in senso ambientale che estetico. La difesa del suolo, in particolare, è sempre stato un obiettivo prioritario nella gestione
delle aree montane, in quanto condizione inderogabile per lo svolgimento delle attività umane e interesse dell'intera comunità regionale.
La pianificazione forestale costituisce l'elemento trainante del quadro programmato rio regionale, per cui risulta opportuno individuare strumenti1 di programmazione innovativi per finalità e livello di azione che, ponendosi a livello gerarchico superiore ai piani aziendali o interaziendali, consentano di porre le basi per la definizione di una politica forestale fondata sui concetti della "selvicoltura sostenibile" e sul soddisfacimento dei parametri ambientali posti in ambito internazionale, ai quali anche l'Italia ha aderito. Nel quadro programmatico che si andrà a delineare, la politica forestale di settore sarà mirata essenzialmente all'esigenza di sollevare gli operatori di settore dalla condizione di marginalità strutturale, infrastrutturale e organizzativa in cui attualmente si trovano, al fine di rendere competitive le imprese, che dovranno assumere sempre più un ruolo centrale nella gestione dei boschi, anche nei confronti del mercato transfrontaliero.
Considerato il notevole interesse pubblico che i boschi assolvono, gli oneri derivanti dalla loro gestione dovranno trovare un adeguato indennizzo attraverso forme di incentivazione e di remunerazione adeguate, al fine di incrementarne la produttività, qualificarne la produzione, soprattutto nelle aree marginali, riportando alla gestione attiva aree abbandonate. Nell'ambito della difesa del suolo si perseguirà il risanamento dei tenitori montani e di quelli sottoposti a vincolo idrogeologico attuando il riequilibrio geo morfologico in aree soggette a condizioni di dissesto. Le tecniche di ingegneria naturalistica, che si sono rilevate particolarmente idonee al restauro di aree degradate, realizzando una migliore qualità dell'ambiente, andranno ulteriormente adottate e perfezionate. Particolare attenzione andrà rivolta ai boschi che svolgono prevalente funzione di protezione di opere di interesse pubblico, di strade e abitati nei confronti della caduta di massi, frane e valanghe.
3.4.2 II secondario e il terziario
La riforma ed. Bassanini (in particolare i decreti legislativi 112 e 114/1998) e il successivo nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione (modificato a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001) assegnano un ruolo nuovo e di primaria responsabilità all'intero capo delle attività produttive che va assolto anzitutto in una prospettiva di programmazione. Vanno dunque proseguite le azioni già intraprese a seguito del processo di decentramento di funzioni e attribuzioni dallo Stato alle Regioni e di razionalizzazione delle diverse misure di incentivazione e sostegno alle attività produttive. Ma deve soprattutto essere perseguito un disegno generale volto ad armonizzare e semplificare, nella logica dell'unificazione e dell'accorpamento normativo, le leggi regionali e nazionali che disciplinano le diverse materie. L'approdo finale del percorso è quello delle leggi quadro per i diversi obiettivi (l'innovazione, la ricerca e il trasferimento tecnologico, la qualità, i distretti produttivi, etc.) o settori (l'artigianato, il commercio, etc).
Una particolare importanza, che interessa trasversalmente tutti i settori produttivi della produzione e dei servizi, va riconosciuta a particolari tipologie di imprese in ragione della loro valenza sociale.
Gli aiuti allo sviluppo dell'imprenditoria femminile trovano ora un nuovo strumento operativo nella legge regionale 4 aprile 2003, n. 6 indirizzato in particolare ai settori innovativi, aperto alle imprese individuali con titolarità femminile e a società, anche di tipo cooperativo, con presenza di soci e di organi di amministrazione costituiti per almeno i due terzi da donne. I contributi sono concedibili sia per l'avvio delle imprese, sia per i processi innovativi delle produzioni.
1 Tali strumenti, denominati "Programmi Regionali di Coordinamento Forestale" hanno lo scopo di acquisire le basi conoscitive complete sulle realtà territoriali, definendo inoltre le priorità sui piani forestali di rango inferiore e l'intensità delle reti di servizio alle foreste.
Analogamente anche il mondo dell'impresa cooperativa richiede una particolare attenzione nello spirito di concretizzare nel Veneto gli indirizzi ed i principi forti stabiliti all'art. 45 della Costituzione. Si impone dunque una rivisitazione della legislazione regionale sulle cooperative nei diversi settori, a cominciare dalla l.r. 74/1979.
La cooperazione costituisce un "modello" caratterizzato dalla partecipazione attiva dei soci che nel Veneto vanta un'alta tradizione e tuttora rappresenta una componente di tutto rispetto nel mondo produttivo. La programmazione guarda con interesse alla presenza e alle potenzialità di tale componente particolarmente nelle aree di maggiore tradizione affidando le scelte operative di intervento alla legislazione di settore.
Dal punto di vista degli strumenti e delle risorse è necessario proseguire il percorso già aperto con la l.r. 11/2001 per la costruzione di un sistema articolato e collaborativo che integri nel Veneto le funzioni programmatone e di indirizzo della Regione, valorizzando risorse e competenze nel territorio (il sistema camerale, le strutture associative e di categoria, etc.) e potenziando e specializzando le funzioni di gestione degli Enti strumentali (in particolare di Veneto Sviluppo S.p.a. e di Veneto Innovazione S.p.a.).
Con riguardo infine alle risorse, è certamente importante perseguire - laddove possibile - la valorizzazione, anche nel tempo, delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla Regione stessa, e dunque puntare sull'utilizzo di strumenti agevolativi basati su fondi di rotazione (ove le risorse pubbliche vengono mantenute nel tempo), piuttosto che su contributi a fondo perduto, e di strumenti agevolativi che privilegino la maggiore movimentazione di altri cofinanziamenti. Inoltre diventa sempre più importante incrementare la capacità autonoma a tutti i livelli (dalle imprese agli Enti pubblici) di accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione con finalità specifiche dall'Unione Europea.
Un settore particolarmente vitale del terziario è rappresentato dai servizi libero-professionali che operano in campi di attività aventi incidenza sull'esercizio di alcuni diritti fondamentali dei cittadini, come quelli della salute (professioni medico sanitarie), della libertà (avvocatura), della proprietà (amministrative e notariato), delle infrastrutture e dell'ambiente (professioni tecniche) e della rilevante schiera di professioni intellettuali.
3.4.3 L'artigianato
L'artigianato costituisce oltre il 30% per quanto concerne il numero di imprese, della totale
realtà veneta. Nel corso del 2003, infatti, le imprese artigiane del Veneto hanno superato il tetto
delle 140.000 aziende.
Per quanto riguarda gli addetti, 436.629 unità nel 2001 del settore artigianato fanno si che, tra
tutte le persone che lavorano nel Veneto, una su 4 - 5 lo fa in un'impresa artigiana. Questo
sotto l'aspetto quantitativo.
Da un punto di vista qualitativo, è rilevante come la composizione di tale forza lavoro sia
costituita per quasi la metà (190.000 su 400.000) dagli stessi titolari di impresa artigiana, con
loro soci e collaboratori familiari, che operano al fianco di poco più che altrettanti dipendenti.
In un così significativo comparto economico si tratta quindi di un peculiare, caratteristico
elemento di equilibrio sociale.
Altro fattore di equilibrio socio-economico e di particolare caratterizzazione è poi la straordinaria
"diffusione" dell'impresa artigiana, che è presente in tutti i Comuni dell'intero e multiforme
territorio regionale. Nell'ambito degli stessi, poi, essa è allocata, a seconda delle sue differenti
tipologie e dimensioni, sia nelle zone produttive che all'interno delle città, dei Paesi ed anche nei
centri storici.
Ulteriori elementi di rilievo sono costituiti dal valore aggiunto dell'artigianato veneto, che è
valutato a più di 10 miliardi di € (il 15% dell'intera Regione ed il 12% dell'artigianato nazionale)
e dalle sue esportazioni, stimate in 5 miliardi di €: il 20% dell'intera Regione ed il 15%
dell'artigianato nazionale.
Al di là di tutti gli elementi di cui sopra, nel trattare del comparto va peraltro ricordato che lo stesso non si identifica in base alle proprie caratteristiche di natura primariamente economica: esso comprende una numerosa e multiforme serie di attività (si contano in diverse centinaia i differenti "mestieri'), in buona parte rientranti nel manifatturiero/secondario, altrettante nell'ambito dei servizi/terziario, ed in altri casi esprimendosi nei significativi comparti dei trasporti e dell'edilizia. Al suo interno, poi, sussistono diverse particolarità:
• numerose imprese che svolgono - contemporaneamente od anche alternativamente -
attività di servizio o di piccola produzione;
• la maggior parte delle aziende che, rientrando nel manifatturiero, ancorché con
caratteristiche spesso simili a quelle dei servizi, appartengono al particolare e per lo più
altrettanto problematico, settore della subfornitura;
• esiste una ulteriore peculiare e significativa categoria, in cui rientrano molteplici mestieri sia
del manifatturiero che dei servizi: l'artigianato artistico tradizionale;
• va sottolineata infine la rilevanza del tutto particolare che nella nostra Regione, come in
tutto il Paese, assume l'artigianato dei trasporti su cui viaggiano circa l'80% di tutte le merci
in Italia.
Molte e spesso anche contraddittorie sono, quindi, le differenziazioni all'interno del settore. Dal
punto di vista economico, organizzativo, del peso occupazionale {i due terzi circa delle imprese
artigiane non hanno dipendenti e sono costituite dai soli titolari, spesso coadiuvati da familiari),
del settore merceologico, del processo tecnologico, della presenza nel mercato, dell'allocazione
nel territorio e nel tessuto sia produttivo che propriamente civico: insomma sotto qualsiasi
profilo.
Per poter identificare la sua unitarietà, pertanto, dobbiamo esaminarlo nella sua più intima
natura, che è quella di fondarsi sulla figura stessa dell'artigiano, contemporaneamente
imprenditore e lavoratore, che per lo più vive il proprio ruolo in totale responsabilità aziendale e
che nella sua manualità e presenza diretta nel processo produttivo usufruisce di un insostituibile
bagaglio culturale e di un costante esercizio di concretezza.
Un bagaglio culturale che, per lo più, ha vissuto l'esperienza del lavoro dipendente - spesso
attraversando l'istituto dell'apprendistato - è passato attraverso il travaglio e l'orgoglio di
decidere per una scelta di lavoro autonomo e rischio d'impresa, ed in via naturale - praticando
ancora l'apprendistato, ma a sua volta da imprenditore - porta a tramandare alle successive
giovani leve non solo un determinato lavoro, ma anche e soprattutto la stessa vocazione
imprenditoriale.
Cosi, in definitiva, trova la propria complessiva identificazione l'intero e multiforme settore
artigiano anche come settore economico: non tanto attraverso il comune multiplo di un
comparto produttivo, quanto tramite il denominatore comune della figura che ne è protagonista
e che costituisce vitale cellula del particolare tessuto economico che è il cosiddetto "modello
Veneto di sviluppo".
Il Veneto ha elevata e riconosciuta tradizione di legislazione per l'artigianato, che spesso è stata
presa d'esempio dalle altre Regioni.
Un impegno svolto in ottemperanza al dettato costituzionale che, sin dall'inizio, ha attribuito
all'Ente Regione specifica competenza sul comparto.
A tuttoggi1 sussiste quindi un articolato impianto legislativo, che spazia dalla disciplina generale
sul settore, a leggi regionali che tendono alla sua tutela e sviluppo intervenendo in materia di
credito all'artigianato, sul territorio a favore delle imprese artigiane, sull'associazionismo
artigiano, sui marchi regionali per la tutela e la promozione di produzioni tipiche, sul sostegno a
reti e servizi telematici per le imprese artigiane. Ancora in materia di credito all'artigianato va poi
registrata la regionalizzazione dell'Artigiancassa, in vigore dal 2° semestre 2000, il Fondo di
Rotazione Regionale per l'Artigianato e l'ulteriore Fondo di Rotazione previsto dal DOCUP
2000/2006.
Non hanno invece avuto a suo tempo fortuna due norme dedicate all'artigianato artistico-
tradizionale (sul riconoscimento della bottega-scuola, l'istituzione del titolo di maestro-artigiano
e gli interventi per l'artigianato artistico), gli strumenti per raggiungere le cui finalità vanno pertanto riconsiderati.
Altre norme, poi, emanate con riferimento ad altri temi o comparti, interessano esplicitamente anche l'artigianato, come la l.r. 9/2002 che interviene sulla sicurezza delle attività produttive, commerciali e turistiche o la l.r. 54/1989 che attendendo alla cultura dei Rom e Sinti si cura anche di iniziative di sostegno ai relativi mestieri tipici ed attività artigiane.
Ma ancor più pregnanti e significative, poi, sono le novità normative introdotte a seguito del processo di decentramento in atto, con le nuove e più ampie competenze assunte dalle Regioni in materia di economia ed attività produttive, nell'ambito delle quali è da sottolineare come, di norma, le aziende artigiane possono accedere alla generalità dei molteplici e più complessivi provvedimenti a favore delle imprese. Quest'ultimo fenomeno ha comportato, per cosi dire, una diluizione delle competenze economiche regionali in materia di artigianato; contemporaneamente, però, va ricordato che sul comparto la Regione ha assunto competenza esclusiva proprio in conseguenza della riforma del Titolo V della Costituzione e che nei la stessa Carta costituzionale è rimasto immutato il dettato dell'art. 45 il quale prevede esplicitamente che "la legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato".
Pertanto, ci troviamo in una fase di transizione in cui deve essere avviata un'attività di complessiva revisione della normativa riguardante il settore, la quale dovrà tenere conto di tutte le premesse di cui sopra oltre che dello scenario europeo in cui ci troviamo e sempre più ci troveremo ad operare. Se da quest'ultimo non si può prescindere, peraltro, sul suo altare non può certamente venire né trascurata né tanto meno mortificata la specificità italiana ed in particolare, per quel che più direttamente ci concerne, quella veneta. Va ricordato, in proposito, che le normative della Comunità Europea, ed in particolare i provvedimenti riguardanti l'economia, ignorano per cosi dire l'artigianato, limitandosi ad identificare le tipologie di aziende su criteri meramente quantitativi e non qualitativi. Il comparto, in tal senso, rientra prevalentemente nella classificazione delle micro-imprese, pur con una significativa presenza nella classe "superiore" delle P.I.
Non è sostenibile, tuttavia, la tesi di un mero appiattimento del settore nel generale novero delle suddette classi d'attività, sacrificando una tradizione ed un patrimonio che superano l'aspetto economico, coniugando allo stesso tempo valori storici, culturali e sociali che non è lecito disperdere, e che, in ogni caso, come sopra ricordato, la stessa Costituzione chiama non solo a tutelare ma anche a sviluppare. Ne è pensabile, volendo fare ancora riferimento all'Europa, che ad appiattimenti del genere si riducano ad assoggettarsi Paesi come la Francia e la Germania, detentori di normative specifiche per l'artigianato, tra di loro - e rispetto anche alla nostra - differenziate, ma sempre caratterizzate da peculiarità assai significative e con una valenza assolutamente pregnante per la vita del settore e la sua capacità e potenzialità di espressione nel contesto non solo economico ma anche sociale: si pensi - per quest'ultimo aspetto - alla rilevanza che ivi è riconosciuta alla figura del maestro artigiano.
Anche le Regioni italiane, che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione già hanno rinnovato la propria legislazione di settore, siano esse a statuto speciale o non, hanno mantenuto il riconoscimento della specificità dello stesso, per lo più ricalcando i percorsi ed i criteri precedenti, in forma sin troppo pedissequa.
Da tutto quanto sopra consegue che il prossimo impegno del Veneto, in materia di artigianato, va previsto in:
• una rinnovata definizione dell'impresa artigiana, identificandone le caratteristiche, le
articolazioni, i campi d'interesse e anche i confini;
• una revisione degli strumenti di tutela e sviluppo e di sostegno economico.
Tali azioni potranno attuarsi su due filoni tra loro complementari:
• l'emanazione di rinnovate norme direttamente dedicate alla categoria: dalla stessa
definizione dell'impresa artigiana, alla rivisitazione della sua disciplina e degli strumenti di
incentivazione economica alla medesima riservate;
• l'individuazione di talune specificità all'interno di provvedimenti relativi ad altri settori o fattori, sia sul fronte economico e delle relative incentivazioni che nel più ampio contesto sociale e culturale in cui l'artigianato esprime peculiari esigenze o particolari potenzialità.
In tal senso è da prevedersi la predisposizione di un Testo Unico per l'Artigianato, comprendente l'insieme delle rinnovate disposizioni relative ai temi indicati. Operativamente, l'azione regionale dovrà mirare ad obiettivi di qualità in una serie di campi che riguardano direttamente la valorizzazione del sistema artigiano.
Nel campo della formazione, ad esempio, è da cogliere l'opportunità di ridefinire e potenziare la figura del maestro artigiano nella bottega scuola, in particolare per quanto riguarda l'artigianato artistico/ tradizionale.
Più in generale, vanno favoriti differenti interventi nell'ambito sia della formazione professionale per tutti gli addetti del comparto che della preparazione ed aggiornamento imprenditoriale per gli artigiani, i soci ed i familiari collaboratori (si pensi ai temi più generali - e strategici -dell'innovazione tecnologica e di quella gestionale, o degli strumenti informatici e telematici e dell'e-Government, o della stessa successione d'impresa, in quali forme possono esprimersi nella descritta realtà veneta di 419.228 addetti, di cui 192.314 sono indipendenti (dati 2001).
Parallelamente, nel campo del lavoro, un'attenzione particolare va riservata all'apprendistato nell'artigianato. Complementarmente allo stesso ed in sua armonia non vanno trascurate le potenzialità che sanno esprimere gli imprenditori artigiani sul fronte, dell'orientamento all'imprenditorialità nei confronti delle giovani leve.
Con riguardo al patrimonio storico, artistico e tradizionale, va valorizzato il ruolo dell'artigianato d'arte e di tradizione, ma anche quello che sviluppa nuove professionalità o che mantiene tradizionali e storici saperi nel settore del restauro e della conservazione.
Anche nel recupero della qualità dei centri urbani e dei centri storici in particolare, la presenza e la permanenza delle botteghe artigiane richiedono accorte politiche (regionali e locali) di incentivazione e sostegno che considerino sia la presenza qualificata ed attiva dell'artigianato di servizio (alle persone e alle cose) sia quella dell'artigianato artistico/tradizionale e di piccola produzione con vendita diretta al consumatore, quali elementi insostituibili per centri pulsanti e vivi.
Considerazioni in qualche modo analoghe possono essere effettuate sul ruolo del Comparto in zone svantaggiate o particolari del territorio regionale, ove l'impresa artigiana di produzione costituisce, di fatto, la sola opportunità per assicurare una presenza del settore secondario che sia complementare, se non alternativa, al primario e (ove possibile) al turismo.
Con riferimento agli strumenti con cui operare, va consolidata ed ulteriormente sviluppata la tradizione relativa all'utilizzo e alla valorizzazione di specifici strumenti od organismi concertati con la categoria o dalla stessa promossi, già particolarmente significativa nella nostra Regione, che cosi spesso ha costituito esempio e punto di riferimento per il restante territorio nazionale.
Relativamente ai temi d'intervento indicati, va quindi prevista una revisione dei cosiddetti organi di autogoverno (Commissioni provinciali e regionale) e l'utilizzo delle massime potenzialità di quegli Organismi, siano essi collaudati ed oramai tradizionali o più recenti ed innovativi, in cui il comparto esprime un proprio ruolo assumendo anche le conseguenti responsabilità nel trovare un anello di congiunzione e strumento di dialogo e collaborazione tra la propria articolata realtà e l'attività non solo della Regione, ma anche degli altri Enti locali, delle Autonomie funzionali, degli ulteriori Enti economici (Fiere, Consorzi pubblici) ed degli altri attori economici e sociali.
Tra questi vanno citati i Consorzi artigiani in genere e gli Enti bilaterali, con i quali ultimi, in particolare, il settore può operare sinergicamente con gli Enti pubblici in una partecipazione che si rende tanto più concreta e credibile nel momento in cui vi impegna un proprio apporto anche sul fronte delle risorse economiche necessarie per Sa realizzazione delle opportune iniziative.
Per quanto attiene poi al comparto dell'artistico-tradizionale particolare attenzione va riservata alla nuova iniziativa dell'Ateneo dell'Artigianato, il cui progetto prende concreto avvio nel corrente esercizio.
Una nota particolare, infine, va riservata agli interventi in campo creditizio-finanziario, ove va ribadito il criterio della specificità per il settore, composto da 140.000 imprese tuttora costituite quasi esclusivamente da ditte individuali o società di persone e per le quali, quindi, le responsabilità dei titolari investono anche i loro beni personali e, generalmente, quelli delle loro famiglie. Di qui l'opportunità di sviluppare al massimo le potenzialità del Sistema degli Organismi di Garanzia creati dal comparto sotto l'egida della legislazione regionale, che con le sue 100.000 aziende iscritte in un novero di poco meno di 40 consorzi, costituisce una realtà unica ed esemplare nel contesto nazionale. Con l'apporto dello stesso, soprattutto dopo definizione della legge-quadro nazionale sui Confidi, potranno essere perfezionate soluzioni su misura anche per la prossima e paventata entrata in funzione degli accordi di Basilea 2. Il tutto nella opportuna complementarietà, sinergia e massima armonizzazione con le attività di Artigiancassa e della finanziaria regionale Veneto Sviluppo S.p.A.
3.4.4 L'industria
II sistema industriale veneto, costituito nel 2003 da quasi 450.000 imprese (dati Infocamere)
diffuse su tutto il territorio, è basato sulla Piccola e Media Impresa, che costituisce oltre il 90%
dell'intero tessuto produttivo.
Le tradizionali concentrazioni produttive, organizzate nel sistema dei Distretti, vedono una
massiccia presenza di attività nei più diversi comparti dell'industria manifatturiera.
Senza la pretesa dell'esaustività, si possono citare:
• il tessile-abbigliamento, concentrato prevalentemente nelle zone dell'alto vicentino e del
trevigiano;
• il calzaturiero, con punte di eccellenza nelle aree del padovano-veneziano (riviera del
Brenta) per la calzatura tradizionale-elegante; del basso veronese-alto rodigino per la
calzatura di media qualità; della Marca trevigiana per la calzatura sportiva, con significative
evoluzioni verso il più ampio segmento di mercato del cosiddetto sport-system;
• il legno-mobile, con presenze significative nei comparti del mobile d'arte e di tradizione
(Cerea nel veronese, Bassano del Grappa nel vicentino) e del mobile moderno (Marca
trevigiana);
• la concia delle pelli, con una concentrazione quasi esclusiva nella Provincia di Vicenza (valle
del Chiampo, Arzignano);
• l'oreficeria-gioielleria, anch'essa concentrata pressoché esclusivamente nel vicentino;
• il marmo lapideo, con il fulcro nelle aree del medio-alto veronese (Valpolicella, Valpantena);
• l'occhialeria, tradizionalmente allocata nella Provincia di Belluno (Cado re);
• la grafica e la stampa, con centri di autentica eccellenza nel veronese.
A questi si aggiungono i distretti ancor più tradizionali e di nicchia produttiva, localizzati storicamente in concentrazioni territoriali fortemente specializzate quali:
• il vetro artistico e artigianale (Venezia-Murano);
• la ceramica artistica (Bassano, Nove);
• il florovivaismo (Provincia di Padova).
Al di fuori del sistema distrettuale si collocano produzioni di più ampio e differenziato respiro territoriale, quali:
• l'industria metalmeccanica, che da sola costituisce nel 2003 circa il 30% dell'intero sistema
industriale veneto. Si tratta di un'industria fortemente indirizzata alla produzione:
- da un lato di componentistica per la grande industria, ad esempio del settore automobilistico, di quello dell'elettrodomestico, e simili;
- dall'altro di produzione di macchine utensili. Particolarmente interessante in questo senso fa progressiva trasformazione e riconversione di interi comparti produttivi verso la produzione metalmeccanica: si vedano le aziende del tessile vicentino trasformate in
aziende di produzione di macchinario per il tessile oppure le piccole imprese orafe riconvertite in aziende di produzione di macchinario per l'oreficeria, e cosi via;
• il comparto agroalimentare, che ha visto da un lato la crescente valorizzazione delle
produzioni tipiche, come il vitivinicolo e il lattiero-caseario, e dall'altro lo sviluppo
dell'industria conserviera, soprattutto nel settore della trasformazione dei prodotti della
pesca nel rodigino e nelle aree costiere del veneziano;
• la chimico-plastica, che pur facendo registrare segnali di affaticamento ormai non più
semplicemente congiunturali, quanto decisamente strutturali, conserva tuttora alcune
riserve di capacità produttive, segnatamente nelle aree del veneziano e del trevigiano
(Veneto orientale);
• l'industria delle costruzioni che fornisce un apporto essenziale al PIL e nel Veneto ha un
peso sul complesso del secondario superiore a quello registrato nel contesto nazionale. Il
settore necessità di misure che ne consolidino la forza propulsiva e facilitino nelle piccole e
medie imprese l'innovazione e il trasferimento tecnologico.
Da ultimo vanno segnalati interessanti fenomeni di evoluzione tipologica dei distretti, quale quello, già citato, dello sport-system dell'alta Marca trevigiana, che è passato dalla produzione di calzature sportive a quello delle attrezzature per lo sport e il tempo libero a consistente contenuto tecnologico (pattini da ghiaccio e da pista, attrezzatura da montagna e da sport cosiddetto estremo, abbigliamento sportivo, etc).
Una riflessione a parte merita l'area industriale di Porto Marghera, che dopo il sostanziale collasso dei comparti manifatturieri tradizionali (metallotecnica, impiantistica) e dei servizi all'impresa tradizionale (puliture, verniciature e sabbiature, etc.) e in presenza di una problematica e contrastata sopravvivenza della chimica di base e della cantieristica, sta sviluppando crescenti potenzialità nel settore delle nuove tecnologie.
Questo scenario costituisce, per grandi linee, il cosiddetto "modello veneto", a proposito del quale occorre rilevare che:
• si tratta di un "modello" dimostratosi incapace di divenire "sistema", dal momento che i suoi
tratti caratterizzanti evidenziano a tutt'oggi pesanti elementi di dispersione, frammentarietà,
disorganizzazione. In altri termini, il "modello veneto" ha prodotto negli anni un diffuso
benessere materiale e una crescente capacità produttiva e creativa, ma non è stato capace
di organizzarsi sistemicamente;
• si tratta, in ultima analisi, di un non-modello, e cioè di un fenomeno difficilmente
analizzabile e sistematizzabile e pressoché impossibile da riprodurre: in quanto a-sistemico,
in quanto cresciuto e sviluppatosi senza sottostare ad apprezzabili progettualità, il cosiddetto
"modello veneto" non è imitabile, quindi non è di per sé stesso un "modello", quanto
piuttosto, per l'appunto, un "fenomeno";
• il risultato dello sviluppo veloce, tumultuoso e a-sistemico del "fenomeno" veneto, è stato ed
è, accanto all'accresciuto benessere materiale, una pesante compromissione territoriale e
ambientale del Veneto, che ha portato a una situazione di degrado ambientale e di
congestione logistica ormai ai limiti del collasso.
Le criticità insite nella natura stessa del Veneto industriale sono peraltro rese ancor più
complesse e problematiche dall'evoluzione del contesto globale, economico e politico, all'interno
del quale l'economia veneta si colloca nei primi anni duemila.
A una complessiva situazione di stagnazione della macchina produttiva statunitense e di quella
dell'Europa continentale, si assommano i fenomeni di rapida evoluzione della concorrenza
industriale proveniente, oltre che dai Paesi dell'Est europeo, anche e soprattutto dall'estremo
oriente, Cina e India su tutte.
Il portato della globalizzazione dei mercati, se da un lato configura scenari di sviluppo
estremamente interessanti per la collocazione del prodotto veneto nel mondo, dall'altro propone
motivi di immediata preoccupazione sul versante della concorrenza.
Il Veneto è per vocazione e tradizione terra di subfornitori. La diffusissima rete di Piccole e
Medie Imprese manifatturiere si è sviluppata e ha prosperato in buona misura come rete di
subfornitura della grande industria europea (soprattutto tedesca), italiana (soprattutto nel
nordovest d'Italia) e financo veneta (soprattutto nei settori del tessile, dell'edilizia,
dell'accessoristica).
Oggi - e non da oggi - questo sistema viene messo pesantemente in discussione, e in crisi,
daII'affermarsi di una disordinata quanto travolgente rete di subforniture internazionali, che dai
Paesi dell'Est europeo e dell'estremo oriente minaccia la Pmi veneta, con l'offerta di prodotti non
solo economicamente competitivi, ma sempre più apprezzabili anche da un punto di vista
qualitativo.
In questo quadro, l'azione pianificatoria e programmatone regionale, anche a voler prescindere
dal più generale contesto di necessario riequilibrio sistemico, da un lato della politica territoriale,
ambientale e urbanistica e dall'altro delle politiche sociali e del lavoro, va indirizzata
sostanzialmente verso lo sviluppo di azioni di sistema nelle seguenti direzioni:
• promozione e sostegno dei distretti produttivi;
• innovazione tecnologica, ricerca e sviluppo;
• internazionalizzazione del sistema industriale veneto;
• governo dei processi di continuità d'impresa;
• sviluppo della finanza innovativa e politiche del credito;
• riqualificazione e razionalizzazione dei tradizionali meccanismi di aiuto alle imprese;
• incentivazione delle eccellenze strategiche sul territorio.
I distretti produttivi
L'introduzione della nuova legge regionale sui distretti produttivi, l.r. n. 8 del 4 aprile 2003, segna un punto di svolta nella conduzione della politica di incentivazione della Regione del Veneto al sistema industriale e, più complessivamente, produttivo della nostra Regione.
II concetto di Distretto, inteso non solo come "impresa diffusa" in alternativa alla grande
azienda, ma anche - e meglio - come rete e sistema in grado di produrre, governare e far
crescere progetti concreti di sviluppo in tutti i sensi - industriale, produttivo, commerciale, ma
anche sociale e culturale - può rappresentare, se opportunamente governato e gestito, la vera
chiave di volta per uno sviluppo di un'industria veneta in grado di:
• salvaguardare e premiare la cultura del "saper fare" tipica dei veneti;
• integrare tra loro i diversi segmenti delle filiere produttive in un'ottica di economia di scala;
• finalizzare le progettualità specifiche rendendole patrimonio comune "di sistema";
• ottimizzare le diverse fasi dei processi produttivi con l'obiettivo del "risparmio del territorio";
• riposizionare e rafforzare il prodotto veneto sui mercati internazionali.
La valenza vincente della politica distrettuale "aperta" introdotta dalla nuova legge, che premia non tanto la sedimentazione e la continuità, quanto piuttosto la progettualità e l'innovazione di sistema, risiede per l'appunto nella potenzialità, che in tal modo si intende offrire al sistema produttivo veneto, di conseguire due risultati strategici fondamentali per la sua stessa sopravvivenza: il "fare squadra" e il cimentarsi con progetti realmente innovativi. Uno strumento per fare squadra può essere rappresentato dal "patto di sviluppo distrettuale" previsto dall'art. 2 della legge regionale mediante il quale i soggetti pubblici e privati del distretto si impegnano a sviluppare una progettualità per il potenziamento dell'area.
Uno dei punti cardinali del PRS, per l'industria, va considerata una politica distrettuale aperta, progettuale, innovativa. La legge regionale sui distretti produttivi rappresenta quindi uno degli snodi fondamentali dell'azione della Regione del Veneto nel settore dell'industria; ad essa dovranno essere destinate risorse in misura crescente e sempre più qualificata.
Innovazione, ricerca e sviluppo
II superamento del gap tecnologico che caratterizza il comparto industriale veneto rispetto al
resto del panorama circostante a livello italiano, europeo e mondiale, costituisce l'altra sfida
fondamentale per consentire al Veneto industriale non solo di superare l'attuale fase di
stagnazione, ma anche di avviare un percorso di reale ripresa e sviluppo competitivo.
In tal senso, l'approvazione della nuova legge quadro regionale in materia di innovazione
tecnologica, ricerca e sviluppo costituisce un passaggio fondamentale.
Obiettivo centrale è favorire il dialogo e l'interscambio, allo stato attuale ancora pesantemente
deficitaria tra il mondo della ricerca scientifica e quello della produzione industriale.
Occorre che l'attività di studio e ricerca sviluppata all'interno delle Istituzioni scientifiche
universitarie e post universitarie, cosi presenti e ricche nel Veneto, si intrecci con l'attività di
sviluppo di nuovi prodotti e processi tecnologicamente avanzati e innovativi che
quotidianamente, e spesso oscuramente, si sviluppano all'interno delle imprese.
Occorre superare le difficoltà di comunicazione tuttora esistenti tra i due mondi. Per far questo
occorre superare la logica, in sé sterile, della contrapposizione tra il "sostegno alla domanda" di
innovazione e il "sostegno all'offerta" di innovazione, che caratterizzano l'attuale sistema di
incentivazione garantito dalle leggi nazionali e regionali vigenti.
La soluzione risiede nell'incentivazione, ancora una volta, delle azioni di sistema: la legislazione
regionale deve porsi l'obiettivo di finanziare le attività di ricerca e sviluppo che vedono assieme
la partecipazione e la collaborazione del mondo della ricerca e di quello della produzione.
Questo può avvenire:
• sostenendo e finanziando progetti comuni di innovazione di processo e di prodotto sviluppati
di concerto tra imprese e centri di ricerca;
• favorendo la costituzione di task-forces di intermediatori o brokers tecnologici altamente
qualificati e scrupolosamente certificati, in grado di mettere in comunicazione e di far
dialogare e tra loro le attività produttive e quelle della ricerca sulla base di progetti mirati;
• promuovendo la costituzione sistemica di vere e proprie "filiere dell'innovazione" in una
logica di tipo distrettuale;
• implementando la progettualità dei poli formativi individuati nel territorio regionale con la
partecipazione dei Centri di ricerca e di innovazione di riferimento;
• semplificando e razionalizzando l'attuale legislazione di sostegno ali In novazione, ricerca e
sviluppo, eliminando del tutto i meccanismi di incentivazione automatica (bonus fiscali e
agevolazioni in conto capitale concessi con procedure automatiche su singoli e limitati
progetti aziendali) e promuovendo, per converso, progettualità innovative di più ampio
respiro e diffusione, sostenute con criteri rigorosamente valutativi, entrando "nel merito" dei
singoli progetti;
• valorizzando, in questa prospettiva anche il molo e la funzione della Veneto Innovazione
Spa, che deve costituire lo snodo centrale di tutta la politica regionale di sostegno e sviluppo
all'innovazione tecnologica.
L'internazionalizzazione
II quadro attuale delle politiche in atto nella Regione del Veneto per quanto attiene l'internazionalizzazione si presenta alquanto frammentario e disorganico.
Sul versante della promozione del "prodotto veneto", fazione fin qui condotta dal sistema pubblico-privato (Camere di Commercio, Centro Estero, Eurosportello, Uffici regionali ICE, Aziende speciali, Associazioni di categoria) se da un lato ha consentito di far conoscere e collocare i prodotti veneti sui mercati mondiali in maniera più efficace e massiva, dall'altro ha scontato e sconta tuttora, anche in questo comparto, una scarsa sistematicità, che si traduce in un fondamentale spreco di energie e di risorse: duplicazione e sovrapposizione di iniziative, carenze organizzative, diseconomie.
Dall'altro lato si è assistito in questi anni a un crescente fenomeno di delocalizzazione di attività produttive soprattutto verso i Paesi dell'Est europeo, che si è sviluppato il più delle volte in modo disorganico e spontaneistico.
In tal senso è necessario:
• ricondurre a processi unitari le azioni fin qui sviluppate sul terreno della promozione,
concentrando in un sistema regionale unico (agenzia per l'internazionalizzazione, sportelli
unici, etc.) le attività di sostegno e incentivazione all'export veneto;
• attuare, attraverso una politica di concertazione pubblico-privata, una politica di
accompagnamento all'internazionalizzazione delle imprese venete, in grado di trasformare la
delocalizzazione da fenomeno episodico a momento strategico, in un'ottica di collaborazione
produttiva e di interscambio tra il Veneto e i Paesi del vicino Est europeo;
• sostenere le imprese che producono in territorio veneto, attraverso gli strumenti della leva
fiscale, della pianificazione territoriale e della selezione dei destinatari dei contributi pubblici.
In tal senso va valutata la costituzione di uno strumento unico per la gestione delle politiche di internazionalizzazione delle imprese, sull'esempio di Veneto Sviluppo e di Veneto Innovazione.
Il governo della continuità d'impresa
Nell'ambito del vasto panorama delle Pmi venete, le imprese a struttura e/o conduzione familiare costituiscono ancora un asse portante dell'economia. Attualmente le imprese familiari sorte nel dopoguerra stanno affrontando la questione dei passaggio alla terza generazione imprenditoriale, quelle cresciute agli inizi degli anni 70 si stanno invece attrezzando per il primo salto di generazione. Queste imprese, e più in generale quelle sorte e sviluppatesi grazie all'iniziativa personale deII'imprenditore, abbisognano di strumenti adeguati a garantire la continuità dell'azienda nel passaggio generazionale, in grado di farle evolvere nella loro specificità e di orientarle a pianificare le strategie future attraverso il trasferimento tecnologico, i servizi per l'innovazione e mirate strategie commerciali.
Anche la Commissione Europea considera il tema del superamento della criticità del passaggio d'impresa e della gestione della "trasmissione d'impresa", come elemento in grado di contribuire al rafforzamento dell'economia dell'Unione. Su questo tema vanno ricordate: la Comunicazione della Commissione Europea sulla trasmissione delle imprese e sulle azioni a favore delle Pmi del 23/7/94 (94/C 204/01), la Raccomandazione della Commissione Europea sulla successione nelle Pmi e sull'invito agli Stati membri ad adottare misure necessarie a facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento del lavoro del 7/12/94 (94/1069/CE) e la Comunicazione della Commissione Europea relativa alla trasmissione delle Pmi, considerato un problema di enorme rilievo della politica d'impresa della Commissione, del 28/3/98 (98/C 93/02).
A partire dal 2001 la Regione del Veneto ha quindi ritenuto opportuno promuovere anche per il territorio veneto una rilevazione esplorativa della realtà del fenomeno, per poter poi intraprendere ulteriori utili iniziative regionali a sostegno del passaggio generazionale delle imprese. Studi e ricerche, commissionati dalla Regione del Veneto ai massimi esperti italiani ed europei in materia di continuità d'impresa, segnalano che nei prossimi anni decine di migliaia di Pmi venete saranno a rischio di estinzione.
Le irrisolte problematiche connesse al passaggio generazionale, con le conseguenti ricadute sugli assetti proprietari delle aziende; lo sviluppo per molti versi insufficiente e incompleto di una classe manageriale nel Veneto; il sottodimensionamento e la sottocapitalizzazione di gran parte delle Pmi venete, aggravato dalle problematiche poste dai fenomeni della new-economy e della globalizzazione; l'enfatizzarsi, infine, di tutti questi fattori di criticità in coincidenza con l'invecchiamento anche anagrafico degli imprenditori; tutto questo pone in evidenza la necessità, per la Regione, di svolgere azioni di sensibilizzazione, di riequilibrio e di sostegno alle Pmi nella delicata fase della "soluzione di continuità d'impresa".
II varo di una legge regionale sul sostegno alla continuità d'impresa si pone come uno degli obiettivi strategici di tutta la politica industriale regionale.
La finanza innovativa e la politica del credito
La politica di sostegno al credito deve essere imperniata da un lato su una più stretta
collaborazione del sistema produttivo con il sistema finanziario esistente e dall'altro
sull'introduzione di elementi innovativi nel comparto delle politiche finanziarie.
La sostanziale conclusione dei processi di fusione e concentrazione da parte dei principali istituti
bancari italiani, con la creazione di poche, grandi e strutturate banche di dimensione nazionale,
se non continentale, se risponde alla logica di affrontare le sfide dell'economia globalizzata,
dall'altro minaccia di lasciare scoperto il fianco più debole della macchina produttiva veneta,
quello costituito da aziende di ridotte dimensioni, che proprio in uno stretto rapporto di
vicinanza, di cooperazione quotidiana e di notevole flessibilità operativa con le banche locali
avevano trovato, nel corso dei decenni passati, uno dei motivi principali della loro crescita e del
loro successo.
Oggi, data per scontata l'irreversibilità dei processi di concentrazione bancaria, è necessario
individuare strategie diversificate.
Occorre che le aziende vengano poste nelle condizioni migliori per accedere al mercato dei
capitali anche a prescindere dal rapporto diretto e immediato con gli istituti bancari. In tal senso
appaiono maturi i tempi per la messa in opera di un progetto di Borsa delle Piccole e Medie
Imprese del Veneto.
Un ruolo sempre più importante è svolto dai Consorzi di Garanzia Fidi, nei confronti dei quali
vanno sviluppate azioni tendenti a favorirne la ricapitalizzazione e a stimolarne l'aggregazione,
tramite processi di fusione e incorporazione, al fine di conferire ai Confidi la massa critica
sufficiente ad affrontare le sfide del mercato europeo e mondiale, nello spirito e nella direzione
degli accordi di Basilea 2,
La finanziaria Veneto Sviluppo Spa, che in questi ultimi anni ha svolto un ruolo importante con
la gestione dei Fondi di rotazione per le Pmi, per l'artigianato e per le aree svantaggiate del
Polesine e della montagna, deve acquisire un ruolo ancor più strategico, ponendosi come punto
di riferimento di tutta la politica creditizia e agevolati va della Regione.
Va in tal senso attivato il Fondo di Garanzia e Controgaranzia previsto dalla l.r. 33/2002 e vanno
incrementate le dotazioni per i fondi di rotazione, che hanno dimostrato un notevole gradimento
presso il sistema delle imprese venete. Vanno infine favoriti i momenti di collaborazione
strategica tra la finanziaria regionale e le strutture operative nel settore del credito facenti capo
alle organizzazioni imprenditoriali di categoria.
Gli aiuti alle imprese
Definite le priorità strategiche con riferimento alla nuova legislazione regionale in materia di
Distretti Industriali, Innovazione Tecnologica, Finanza Innovativa e sostegno alla Continuità
d'Impresa, vanno peraltro proseguite le azioni di razionalizzazione delle diverse misure di
incentivazione e sostegno alle attività produttive, già intraprese a seguito del processo di
decentramento di funzioni e attribuzioni dallo Stato centrale alle Regioni.
Va perseguito un disegno generale volto ad armonizzare e semplificare, nella logica
dell'unificazione e accorpamento normativo, le leggi regionali e nazionali che disciplinano le
diverse materie. L'approdo finale del percorso, nello spirito e nella prospettiva strategica della
riforma del Titolo V della Costituzione, è quello delle leggi quadro.
Gli aiuti allo sviluppo dell'imprenditoria femminile e giovanile, che assumono particolare
rilevanza, vanno tendenzialmente ricondotti a un'unica normativa.
I Fondi per investimenti e ristrutturazioni finanziarie delle Pmi, per la capitalizzazione dei
Consorzi Fidi, per la costituzione di Fondi di garanzia e controgaranzia a livello regionale, vanno
incentivati e potenziati.
All'interno del cosiddetto Fondo Unico regionale per lo sviluppo economico, che convoglia i finanziamenti destinati dallo Stato centrale alla Regione in materia di politica industriale, andranno sempre più privilegiati gli interventi in grado di innescare processi di crescita strutturale dell'economia, evitando dispersioni di finanziamenti a pioggia, generalmente slegati da politiche di sistema e di forte valenza innovativa.
3.4.5 II commercio
II quadro evolutivo
II decreto legislativo n. 114 del 1998 ed. "Bersani" ha apportato modifiche alla disciplina del
commercio in attuazione dell'articolo 4 della legge n. 59 del 1997 mediante norme di principio
aventi efficacia generale.
Il decreto, pur richiamando alcuni dispositivi della precedente legislazione, ha riformulato la
disciplina amministrativa delle più diffuse tipologie distributive: gli esercizi di vicinato, le medie
strutture, le grandi strutture e i centri commerciali.
Le innovazioni più significative consistono nello svincolamento del commercio minore dai
procedimenti amministrativi di autorizzazione, nell'ampliamento del dimensionamento della
piccola, media e grande distribuzione, nella riduzione a due delle tabelle merceologiche
(alimentare e non alimentare).
Il decreto ha inoltre ripreso i rapporti tra i gestori pubblici della politica commerciale,
riconoscendo alle Istituzioni locali inserimenti diversi ma tutti incardinati in un unico schema
procedimentale posto a fondamento del nuovo regime, quello della programmazione.
Le norme di principio investono inoltre i requisiti professionali degli operatori, i settori
merceologici, le tipologie distributive, il rilascio delle autorizzazioni alla vendita, le attribuzioni
degli Enti locali, le modalità di partecipazione delle organizzazioni di categoria interessate, la
formazione professionale ed infine il monitoraggio del sistema tramite l'Osservatorio regionale
per il commercio.
La Regione, con la l.r. 37/1999, ha recepito le disposizioni del decreto ma le ha collocate nel
contesto del proprio panorama normativo tenendo conto delle caratteristiche evolutive del
sistema distributivo veneto, vale a dire in una cornice in cui, più che di misure di impulso e di
ammodernamento, è sentita l'esigenza di far respirare l'apparato tradizionale e contenere i ritmi
espansivi delle imprese maggiori. In effetti, nel Veneto, il grande dettaglio organizzato aveva già
conseguito nei primi anni Novanta notevoli affermazioni raggiungendo i massimi rapporti
superfici/residenti rilevabili in sede nazionale, determinando quindi una ondata di riflusso a
carico del commercio minore, costretto ad abbandonare le aree a più debole domanda, le
località periferiche e taluni centri storici.
La legge regionale n. 37 del 1999 ha impostato di conseguenza una programmazione
preoccupata di non scardinare gli equilibri esistenti nelle singole zone, basata sul
contingentamento delle superfici di grande distribuzione concedibili e sulla ripartizione del
territorio in 18 aree commerciali (metropolitane e sovracomunali) costruite in applicazione di
indici specifici. Ogni area era contrassegnata da un valore di contingente non superabile in sede
amministrativa. Il contingente regionale derivante dalla somma di tutti i contingenti locali dava
un totale di 67.600 mq.
In questo contesto si deve coordinare per aree vaste, sovracomunali, la programmazione
commerciale unitamente a quella urbanistica per l'ottimale individuazione delle localizzazioni
delle grandi strutture di vendita.
In applicazione della legge regionale sono state accolte domande per circa il 90% della superficie disponibile portando il dimensionamento della grande distribuzione a valori superiori al milione di metri quadri.
Secondo recenti rilevazioni risulta che l'attuazione della l.r. 37/1999 non ha apportato significative alterazioni nei rapporti fra tipologie di vendita all'interno delle aree commerciali anche se taluni aggiornamenti potranno esser proponibili quando il quadro complessivo sarà più chiaro.
Il sistema distributivo ha risposto quindi positivamente alla riforma commerciale introdotta con la legge regionale n. 37 del 1999 e con il decreto legislativo n. 114 del 1998, dimostrando elasticità di adattamento pur con dinamiche diverse nelle singole aree.
L'apparato, quale è venuto configurandosi anche a seguito delle attuazioni di cui sopra, presenta una superficie totale di vendita di 7.824.448 metri quadrati, di cui il 45,8% per il commercio di vicinato, il 40,2% per le attività delle medie strutture e il 14,0% per le grandi strutture compresi i centri commerciali.
Guardando ai grandi settori di commercializzazione riferiti alle tabelle merceologiche, la prevalenza è del non alimentare rispetto all'alimentare, sia nel vicinato con 2.845.373 mq rispetto a 737.153, che nelle medie strutture con 2.234.547 rispetto a 905.734, che infine nelle grandi strutture con 763.065 rispetto a 338.576. L'andamento decrescente dei rapporti di prevalenza pone in risalto la politica di offerta delle maggiori imprese nell'alimentare in grado di fare di questo settore un punto di forza con una concorrenza vincente in termini di assortimento e di prezzi.
Avvicinando le diverse aree del territorio per osservare con maggiori informazioni il fenomeno della grande distribuzione, risulta che le maggiori imprese sono radicate in tutto il Veneto con caratteristiche sufficientemente uniformi. Nelle Province dell'area centrale si riscontrano superfici comprese in intervalli ristretti, fra il 12,8 e il 13,4% (Verona, Padova e Vicenza) e fra il 15 e il 15,6% (Treviso e Venezia). In quelle periferiche si registrano scostamenti a Belluno con l'8,4% e a Rovigo con il 20,5%. Se per Belluno la posizione trova spiegazioni con la orografia e con la distribuzione della popolazione in piccoli centri, per Rovigo la inaspettata presenza di grandi imprese va osservata con attenzione e verificata nel tempo alla luce di possibili assestamenti.
Assieme agli interventi normativi e di programmazione la Regione ha avviato una serie di interventi di incentivazione alle imprese del commercio sostanzialmente articolati in due direzioni:
• sostegno ai percorsi ed alle certificazioni di qualità attraverso gli strumenti previsti dalla l.r.
16/1998;
• sostegno agli investimenti delle imprese attraverso l'attivazione di un fondo di rotazione per
consentire finanziamenti agevolati e attraverso il sostegno al sistema dei confidi per
agevolare le garanzie in favore delle Pmi commerciali (l.r. 1/1999).
Le prospettive strategiche
II settore del commercio, in una prospettiva centrata sull'impresa, sullo sviluppo economico, sul cittadino e sulla famiglia, costituisce priorità strategica dell'azione di governo da realizzarsi con politiche per la regolarizzazione del mercato e, in un quadro di economia forte ed evoluta, con misure per la formazione, la ricerca e l'istruzione. Politiche che richiedono investimenti in capitale umano e iniziative per l'anticipazione di nuovi processi produttivi.
I problemi dello sviluppo vanno affrontati nella logica dell'ammodernamento del sistema economico e delle politiche di sostegno e stimolo alle Pmi nell'innovazione. Più specificamente per il commercio si devono prevedere:
• il monitoraggio dell'impatto sul dispositivo commerciale veneto della riforma attuata con la I.
r. 37/1999 e la conseguente messa a punto di una nuova fase di programmazione;
• il potenziamento dei fondi rotativi e il sostegno agli organismi di garanzia e al sistema dei
consorzi al fine di consentire gli investimenti necessari per lo sviluppo e l'innovazione;
• la promozione di servizi diretti a introdurre nuove modalità organizzative in tema di qualità e
di assistenza tecnica;
• una nuova disciplina del commercio su aree pubbliche.
Obiettivi importanti da perseguire con la prossima programmazione, attraverso dispositivi applicativi e non solo previsionali, dovrebbero essere quelli della tutela dei livelli di servizio nei centri storici e nei centri minori.
Gli strumenti al riguardo già previsti dalla l.r. 37/1999, in particolare quello studiato per le zone rurali di montagna demograficamente impoverite a seguito dell'abbandono dei residenti o per calo della natalità, consistente nella attivazione di esercizi polifunzionali con superficie di vendita non superiore a 250 mq., non sembrano aver raggiunto gli scopi prefissi: potrà essere pertanto opportuno assicurare altre misure di agevolazione concertate. Tali esercizi erano abilitati, oltre alla fornitura di prodotti di prima necessità, allo svolgimento di attività artigianali, di informazione turistica e anche amministrative, come servizio di sportello postale, bancomat, etc. La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione comporta nuove competenze e possibilità d'intervento da parte della Regione sia per quanto riguarda il commercio in senso stretto che per quanto riguarda i pubblici esercizi.
In tale ottica va considerata essenziale una strategia di coordinamento tra e con gli Enti locali, per rendere più omogenee le programmazioni. Vanno studiati interventi volti all'ammodernamento dell'esistente, sia in termini di sviluppo aziendale che di recupero dei grandi contenitori, per non dilapidare ulteriori parti del territorio e per evitare appesantimenti sulla "mobilità" puntando sulla valorizzazione delle politiche locali in grado di riqualificare le strutture commerciali, la rete dei servizi al cittadino e le risorse del territorio.
Coerentemente con quanto sopra, e alla luce dell'ormai accertata tendenza all'impoverimento dei centri storici e dei tradizionali "quartieri commerciali", va ricercata una politica di integrazione tra amministrazioni locali e categorie economiche volta alla realizzazione di "progetti Pilota" per riportare in centro urbano attività commerciali e botteghe artigiane al servizio di chi vi vive ed opera. A tal proposito, la Regione ha già avviato la predisposizione di strumenti normativi finalizzati alla rivitalizzazione commerciale dei centri storici e di altri luoghi del centro urbano e all'agevolazione dei pubblici esercizi che somministrano alimenti e bevande, anche al fine di prevedere la continuità nell'uso dei locali da tempo sede di tale attività e che fanno quindi ormai parte integrante dell'assetto urbanistico dei centri storici. Allo stesso tempo s'intende perseguire la salvaguardia e la riqualificazione della rete dei pubblici esercizi nelle zone rurali, di montagna, di interesse archeologico, storico, architettonico, artistico ed ambientale e nei centri urbani minori, nonché la promozione e lo sviluppo dell'enogastronomia e delle produzioni tipiche locali.
Va ricordato che, stante le nuove competenze in materia di pubblici esercizi, è da predisporre una nuova disciplina tendente a semplificare il settore esaltandone la funzione di supporto e integrazione con altri comparti quali in particolare il turismo, le produzioni agricole e artigianali tipiche e la distribuzione commerciale.
La modernizzazione del settore comporta la necessità di intervento anche attraverso il potenziamento degli investimenti volti a promuovere la "qualità" delle imprese e la loro certificazione mediante gli strumenti assicurati dalla l.r. 16/1998.
Per una politica di ammodernamento e razionalizzazione della distribuzione è indispensabile una attività di monitoraggio della rete di vendita (commercio in sede fissa, distributori di carburanti e commercio su aree pubbliche) attraverso un'indagine diretta presso tutti i comuni del Veneto e la realizzazione di un apposito database.
Per il sistema degli impianti di distribuzione dei carburanti infine, la legge regionale 23 ottobre 2003, n. 23 ha proposto una nuova e articolata disciplina del settore con l'attribuzione di funzioni alle Province e ai Comuni per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
• la riqualificazione e l'ammodernamento della rete esistente, migliorando il servizio di
erogazione attraverso la dislocazione razionale degli impianti e l'inserimento di nuove
tipologie strutturali minime degli stessi anche ai fini dello sviluppo commerciale, turistico, industriale;
• l'eliminazione degli impianti ormai incompatibili con il territorio ai fini del
decongestionamento e dello snellimento del traffico nonché del recupero e della
salvaguardia dei beni storici ed ambientali;
• la semplificazione delle modalità di rilascio delle autorizzazioni all'esercizio.
3.4.6 II turismo
II quadro storico-evolutivo
La U.E. ha emanato nel tempo varie direttive su singoli aspetti dell'attività turistica. In particolare, la Commissione europea ha richiamato cinque priorità per la realizzazione di un turismo europeo: l'informazione, la formazione, la qualità, la sostenibilità e le nuove tecnologie. La Risoluzione del Consiglio Europeo del 21 maggio 2002 sul futuro del turismo europeo, ha riconosciuto come obiettivo compatibile lo sviluppo del settore stabilendo che le attività turistiche siano mirate alla preservazione e al miglioramento dell'ambiente. "Il turismo dovrebbe prendere in considerazione gli interessi della sostenibilità economica, sociale e ambientale e la necessità di preservare le risorse naturali, culturali ed ecologiche".
Lo Stato, per parte sua, ha esercitato i propri poteri attraverso provvedimenti normativi "quadro," vale a dire con norme di definizione dei principi generali per assicurare alcune omogeneità in sede nazionale, ad esempio in tema di requisiti degli esercizi ricettivi, di ammissione all'esercizio delle professioni, di struttura istituzionale degli enti turistici etc. È intervenuto pure con leggi di finanziamento in occasione di eventi particolari, non tralasciando mai di occuparsi anche di gestione amministrativa, con decreti di finanziamento di progetti di interesse nazionale.
La gran parte della normativa di intervento dagli anni Settanta in poi è stata però di matrice regionale, a seguito del trasferimento di funzioni disposto dal d.p.r. 616/1977.
Con la legge n. 59 del 1997 e il successivo decreto legislativo di attuazione n. 112 del 1998, (art. 44-49) il trasferimento dei poteri nella cornice del decentramento istituzionale è stato ulteriormente rafforzato. A seguito della modifica del Titolo V delta seconda parte della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale n. 3 del 2001, le Regioni hanno in materia competenza esclusiva. Ciò significa che le Regioni, anche attraverso il coordinamento su base volontaristica per temi ritenuti di interesse significativo, legiferano in piena autonomia. Ciò pone problemi non di poco conto, quali la definizione di aspetti comuni significativi, la rappresentanza del "prodotto Italia" e lo sviluppo di un efficiente rapporto con le parti sociali.
La legge 135/2001, nata come nuova legge quadro del turismo, è da ritenersi superata dalla modifica costituzionale ricordata, ma essa vige per quanto concerne i fondi trasferiti. Il successivo decreto di attuazione del Presidente del Consiglio ribadisce i principi di integrazione in rete delle attività turistiche e trasferisce l'individuazione degli standard minimi delle tipologie e delle professioni turistiche alla "definizione concordata delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano", con l'obiettivo di conferire una sufficiente omogeneità alle legislazioni regionali.
Il Veneto, con la legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 "Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo" ha completamente riorganizzato la disciplina turistica, riformando particolarmente gli aspetti del decentramento e della programmazione, secondo scelte in gran parte già anticipate con la legge regionale 13 aprile 2001, n. 11 di applicazione della ed. riforma Bassanini. Dopo un periodo di circa tre anni di applicazione, si ritiene che alcuni aspetti della legge regionale n. 33/2002 dovranno essere oggetto di una nuova valutazione in un'ottica di sviluppo del settore.
II nuovo modello di gestione delle politiche del turismo è ora incentrato in gran parte sulle autonomie locali, su più livelli, e prevede inoltre l'azione di strutture associate di imprese cui possono aderire anche enti pubblici, assegnando:
• alla Regione, i rapporti con lo Stato e con gli organismi internazionali, le funzioni generali di
indirizzo e di verifica dei risultati, la promozione unitaria in Italia e all'estero, la gestione dei
finanziamenti e dei fondi strutturali U.E., le attività di valorizzazione, il coordinamento del
sistema statistico e informativo;
• alle Province, compiti di informazione, accoglienza, assistenza turistica e di promozione
locale nel territorio regionale e l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di imprese
e di professioni turistiche;
• ai Comuni, il rilascio delle concessioni sul demanio marittimo e l'incentivazione delle Pro
loco;
• alle strutture associate di promozione turistica la commercializzazione del prodotto turistico
per il settore e la relativa attività promozionale e pubblicitaria.
Le aperture della legislazione recente fanno emergere in modo indiscutibile l'esigenza della
formulazione di strumenti programmatori che conferiscano organicità alle politiche dei molti
protagonisti della scena pubblica e privata e mettano a regime, su una piattaforma concordata, i
vari ambiti di intervento. Bisogna evitare che l'articolazione delle attribuzioni indebolisca l'azione
complessiva e disperda i finanziamenti. Il contesto programmatorio potrà anche esaltare i ruoli
dei singoli attori secondo lo schema prima sintetizzato. Saranno chiamate a dare un apporto
anche le istituzioni, come le Università e le Fondazioni, in grado di contribuire alla formazione e
alla dotazione di un Osservatorio di studio e indirizzo dell'azione promozionale del "made in
Veneto", manifatturiero compreso, connesso all'Agenzia per l'internazionalizzazione.
Il turismo è un fenomeno in forte crescita a livello mondiale.
In Europa, in base ai dati Eurostat 2002 il primo posto nelle graduatoria degli arrivi è della
Francia, seguita dalla Germania, dalla Gran Bretagna dall'Italia e dalla Spagna. Per le presenze,
invece, in prima posizione si colloca l'Italia precedendo di poco la Spagna, la Germania e la
Francia.
Il rapporto presenze/arrivi è favorevole alla Danimarca (4,9 giorni), alla Spagna (4,5) e all'Italia
(4,3), con 4,7 giorni per il Veneto .
Posizioni di primo piano rivestono all'interno dei Paesi citati alcune aree regionali. Fra queste,
l'Ile de France, la Baviera, il Baden-Wuerttemberg e la Catalogna. Queste Regioni costituiscono
esempi di competitivita con i quali il sistema veneto dovrà confrontarsi, non solo relativamente
al settore ricettivo, ma anche con riguardo agli elementi di attrazione ambientale e culturale.
Guardando all'evoluzione del turismo internazionale si osservano posizioni in ascesa di Paesi
come la Russia e la Cina, con tassi di crescita intorno al 15%, ma anche di altri come (India, il
Messico e le aree caraibiche. Il mercato è diventato fortemente concorrenziale e richiede, anche
ai Paesi di maggior tradizione turistica, scelte imprenditoriali e politiche pubbliche molto decise.
I principali competitori dell'Italia sono la Grecia e la Spagna per il mare, la Svizzera e l'Austria
per la montagna, la Francia e la Gran Bretagna per i beni culturali.
L'euro ha trasformato l'Europa dei quindici - un insieme di centinaia di milioni di consumatori -
in una grande area interna, area ulteriormente accresciuta con l'avvenuta apertura agli Stati
dell'Est. La concorrenza si farà ancora più dura e il Veneto, dove per un certo periodo le
politiche nazionali di svalutazione monetaria hanno assicurato una marcia in più, dovrà cercare
risultati proponendo offerte prezzo/qualità equilibrate e confrontabili.
Nella graduatoria fra regioni turistiche italiane la posizione di vertice, in termine di presenze nel
2003, compete al Veneto. Dopo il Veneto si collocano il Trentino Alto-Adige, la Toscana e
l'Emilia-Romagna.
I punti di forza della nostra Regione sono rappresentati, oltre che dalle spiagge e dalla
montagna, dalla presenza di tutte le tipologie turistiche più apprezzate: le città d'arte, il lago, le
terme, gli enti fieristici e congressuali, i centri religiosi. Inoltre, da un moderno apparato di
imprese ricettive e di servizio.
II dispositivo alberghiero regionale è ampio, differenziato e in condizione di accogliere ogni tipo
di domanda. Nell'ultimo triennio si è stabilizzato attorno alle 3.160 unità (3.162 nel 2002 e 3.159
nel 2003). Nell'ultimo anno si è registrato un aumento nelle categorie più alte (17,4% per le 5
stelle, 4,9% le 4 stelle, 3,7% le 3 stelle e residenze turistiche), mentre nelle tipologie a due e a
una stella si è avuta una contrazione. La consistenza complessiva di letti ammonta a 190.312
unità nel 2003.
La forza della ricettività "complementare" è un altro tratto distintivo del sistema veneto: le
presenze extralberghiere nella Regione costituiscono il 25,2% del totale nazionale nel 2003.
Nonostante nel 2002 si sia constatato qualche sintomo di flessione, la consistenza nel 2003 è
tuttavia di 50.462 strutture con 498.693 (etti di cui 211.638 in villaggi turistici e campeggi,
200.650 in alloggi privati, 3.552 in agriturismi e 82.853 in altri esercizi.
Le presenze nei due comparti risultano abbastanza bilanciate con una certa prevalenza della
sistemazione extralberghiera. L'ospitalità in alloggi "complementari" è più alta nel comprensorio
spiagge ma è rilevante pure al lago e in montagna e presenta un livello qualitativo
complessivamente molto valido. In ambito alberghiero i posti letto, sempre nel 2003, risultano
superiori alle 190.000 unità e le presenze si concentrano nella categoria a tre stelle e nelle
residenze turistiche con il 49,6% del totale complessivo. Ma sono attivi ben 27 alberghi a cinque
stelle e 341 a quattro. Le categorie inferiori, a due e a una stella, da tempo in consistente
ridimensionamento, raggiungono pur sempre 1.505 unità.
In termini di presenze, l'andamento per le categorie inferiori registra cadute con riduzioni fino al
10%. Il futuro per le tre, quattro e cinque stelle sembra invece sensibilmente migliore con
acquisti di clientela dalle categorie minori.
Tutti i segmenti turistici nel Veneto risultano in crescita rispetto al 1991. L'incremento al 2001
tocca l'8% tanto per gli arrivi che per le presenze. È un risultato accettabile se si tiene conto
dell'arresto del turismo dopo i fatti dell'11 settembre a New York (interessante la crescita dal
2002 al 2003 di richiamo della montagna, con un aumento dell'8% degli arrivi e del 4% delle
presenze, ma anche quello delle città d'arte con un aumento dello 0,6% e del 1,9%
rispettivamente).
Le graduatorie dei flussi nei comprensori presentano due classifiche rovesciate: per gli arrivi,
con la prevalenza delle città d'arte (46.7%) sulle spiagge, per te presenze, con l'affermazione
delle spiagge sulle città d'arte (2003).
Ogni comprensorio è contraddistinto da propri indici: durata della vacanza, presenza italiana e
straniera, ospitalità alberghiera ed extralberghiera. Fattore distintivo del turismo veneto rispetto
a quello nazionale è la prevalenza delle presenze estere rispetto a quelle nazionali. Aspetto
positivamente influenzato dalla disponibilità delle imprese ricettive a prestare servizi con
sensibilità alle lingue e alle abitudini della clientela straniera.
Considerata l'importanza dei servizi di accoglienza nel turismo moderno, si forniscono di seguito
alcuni indicatori di potenzialità dell'apparato ricettivo del Veneto.
Le città d'arte, forti di un dispositivo di grande tradizione, presentano nel 2003 indici di
utilizzazione lorda, cioè (presenze/posti letto x n. giorni)x100 pari a 49 per il settore alberghiero
e a 23 per l'extralberghiero. Le spiagge, valori intorno a 29 e 16, il lago a 37 e 22, infine la
montagna a 26 e 10.
Gli indici di utilizzazione osservati a cadenza mensile denunciano una variabilità stagionale
pronunciata nel corso dell'anno, con punte nei mesi estivi. A livello di comprensori, la variabilità
è più accentuata per le località del lago e delle spiagge, minore nelle città d'arte e nelle località
termali. Gli esercizi più soggetti ad oscillazioni sono quelli a due e a una stella.
L'indice di utilizzazione lorda presenta valori piuttosto alti per le terme e le città d'arte, meno
consistenti per il mare e la montagna. L'indice alberghiero è sempre più alto di quello
extralberghiero.
Gli indici di ricettività (posti letto/popolazione) e di turisticità (presenze/giorni/popolazione)
segnalano come aree ad alta concentrazione turistica i tre comprensori: mare, lago e terme. In
tali comprensori il turismo rappresenta un settore economico d'importanza decisiva a livello
locale.
Gli indici di qualità (n. alberghi 3-5 stelle/n. alberghi 1-2 stelle e posti letto 3-5 stelle/posti
letto 1-2 stelle) risultano più consistenti nel comprensorio termale.
Una analisi CISET/Regione conferma il ruolo del turismo come motore di sviluppo nelle diverse
aree e fornisce strumenti per stimare gli effetti di una espansione sostenibile mediante un'azione
coordinata pubblico-privato.
Tra i risultati emersi dallo studio vi sono quelli relativi al paniere di spesa del turista "medio" il
quale risulta composto percentualmente come segue: trasporto 10%; alloggio 42%; vitto 24%;
shopping 17%; altre voci 8%. Si tratta di valori medi regionali in cui le varie voci hanno peso
molto diverso a seconda del comprensorio considerato e della categoria di esercizi frequentati.
Il sistema turistico regionale non presenta solo dinamiche favorevoli ma anche alcuni fattori di
debolezza e non solo nelle località ancora in fase di avviamento. Fra questi la presenza diffusa
dell'azienda familiare, che non ha peso nel mercato, ha difficoltà di accesso al credito e subisce
l'intermediazione appena usciti dalla stagionalità. Altri punti di debolezza sono collegati a fattori
di instabilità politica internazionale, comuni anche a tutti i Paesi turistici, e nei confronti dei quali
bisogna difendersi dirigendo le politiche di promozione verso aree più vicine o comunque meno
instabili.
Le prospettive strategiche
Le strategie di sviluppo devono far perno sui valori dell'identità veneta sia nella organizzazione
del "prodotto" che nelle modalità di offerta da parte della galassia delle imprese. Il prodotto
turistico è costituito da un mix di elementi che lo rende spendibile nel mercato. In questo senso
è anche un prodotto a geometria variabile e la possibilità di risultato dipende dal mantenimento
della qualità dei componenti.
Nelle politiche dell'offerta, la scelta politica deve esser quella di puntare sul richiamo delle
risorse artistiche, storiche, naturali e agricole del Veneto, delle risorse dell'artigianato artistico e
dei distretti industriali come Murano per il vetro, Bassano per la ceramica e i mobili, Vicenza per
l'oreficeria e il sistema moda, promuovendo una lettura del territorio che veda protagonisti i
"beni patrimoniali turistici" vale a dire i beni culturali e ambientali in un rapporto di connessione.
Una valutazione del territorio analoga è stata anticipata nel procedimento che ha portato
all'elaborazione del DOCUP dell'obiettivo 2) 2000-2006 comprendente vari ambiti territoriali con
potenzialità turistiche. Uno strumento importante può essere individuato nel Programma
Triennale di Sviluppo dei Sistemi Turistici Locali (art 14 l.r. 33/2002).
Un segmento particolarmente vitale dell'offerta veneta è rappresentato dal turismo di affari e
congressuale che di norma ha per promotori gli enti fieristici e le organizzazioni imprenditoriali.
Segmento di offerta che potrà avere una notevole affermazione dal coordinamento degli enti
fieristici in una logica distrettuale che sviluppi le necessarie sinergie e si inserisca attivamente
nelle programmazione promozionale della Regione.
Le maggiori città venete hanno sempre fatto parte dei grand tour del passato. Hanno
potenzialità ancora poco sfruttate e attrattori quali: sistemi museali, ville venete, beni
archeologici, enti fieristici, espositivi e di spettacolo.
Prospettive importanti hanno pure ambienti naturali rari come la laguna di Venezia e il Delta del
Po.
La politica del turismo culturale potrebbe trarre vantaggio dall'attività di una struttura
collaterale, quale potrebbe essere un organismo di valorizzazione dei beni culturali e ambientali,
che, in posizione esterna al circuito turistico, volesse predisporre elementi conoscitivi coordinati
per area, per corrente artistica, per periodo storico, per specificità ambientale, diretti a favorire
una migliore conoscenza della storia del Veneto e delle connessioni della nostra Regione con i
movimenti artistici internazionali.
Ai fini di una utilizzazione più immediata sarebbe opportuno anche un progetto regionale di assistenza al turista incentrato sulle informazioni sugli uffici di accoglienza, sugli orari di apertura dei musei, sui servizi di assistenza e soccorso, sulle agevolazioni riservate ai visitatori: biglietteria cumulativa agevolata, mezzi di comunicazione, materiali esplicativi di rapida consultazione, percorsi ambientali, etc.
Un'azione specifica va studiata a favore del comprensorio montano, facendone conoscere le prerogative ambientali, ricettive e per l'esercizio dello sport, cosi come i contenuti storico-culturali. L'azione è da dirigere con priorità all'utente nazionale spesso orientato dai media su altre località.
Le azioni di cui sopra richiedono l'esercizio da parte della Regione della funzione di regia e coordinamento degli Enti locali e delle strutture private. Funzioni disciplinate dalla legislazione nazionale e regionale.
Nelle politiche di sostegno della domanda sono da inserire azioni di promozione mirate sui mercati di particolare interesse (Stati Uniti, bacino tradizionale europeo, Paesi emergenti, etc). Il turismo, pervenuto alla globalizzazione forse prima di altri settori grazie alla apertura continua di nuovi mercati, deve trovare nell'informatica uno strumento strategico per il sostegno dell'offerta veneta. Esperienze da utilizzare e da porre in rete sono quelle dei soggetti pubblici e privati interessati ad un sistema a partecipazione aperta.
Una forte progettualità può nascere dal diffondersi della consapevolezza della necessità di trasformare gli attrattori e le risorse in un prodotto/i e in una marca ben percepibili, anche avviando, a cominciare dalle aree turisticamente mature, processi di certificazione di qualità che possono avere positive ricadute sia sull'offerta e sia sull'immagine/attrattività.
Le strategie di sviluppo devono inoltre considerare gli orientamenti pertinenti all'evoluzione urbanistica regionale poiché una politica del turismo, elaborata in chiave prospettica, deve assicurare al Veneto una corretta programmazione strutturale che sviluppi considerazioni volte ad una pianificazione omogenea e sostenibile "dal" e "sul" territorio. In questo senso sarà necessario operare per pianificare uno sviluppo equilibrato anche in funzione delle prospettive di evoluzione turistica degli anni a venire e per predisporre uno strumento di programmazione, ora riconosciuto nelle nuove disposizioni urbanistiche, che si orienti ad una equilibrata politica di sviluppo regionale dell'offerta turistico-ricettiva.
In questa strategia diventano centrali anche le politiche della formazione volte a creare figure attive nel comparto dell'ospitalità, della ristorazione e dell'agriturismo.
La Regione intende dedicare attenzione e iniziative di sostegno al turismo minore, quello dei giovani, delle scuole, dei disabili, degli anziani e includere le strutture di supporto come gli ostelli della gioventù nelle politiche di accesso al credito interessando le realtà assodative nei programmi di intervento.
3.4.7 L'energia
Il quadro di riferimento delle politiche
La Regione del Veneto, nel predisporre i propri obiettivi di programmazione del settore energia si uniforma al quadro di linee guida della politica energetica comunitaria e nazionale, che prescrivono, sotto il vincolo del rispetto ambientale, i seguenti orientamenti strategici:
• lo sviluppo di un libero mercato dell'energia elettrica e del gas che, nel rispetto del principio
di sicurezza dell'approvvigionamento e di disponibilità di energia ad un prezzo congruo per
tutti gli utenti, sia in grado di aumentare la qualità complessiva dell'offerta;
• la differenziazione delle fonti energetiche e la diversificazione dei Paesi fornitori di fonti
primarie;
• il contenimento dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti, tenuto conto, in
particolare, che il protocollo di Kyoto, ratificato dall'Italia con legge n. 120 del 2002, dispone
la riduzione delle emissioni di gas serra al 2010 di un quantitativo pari al 6,5% rispetto alle emissioni verificatesi nel 1990;
• la promozione delle fonti rinnovabili.
Ai sensi del novellato art. 117 della Costituzione la materia "produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia", vale a dire la componente "sostanziale" del mercato
dell'energia, è divenuta oggetto di legislazione "concorrente". La Regione, oltre a poter
legiferare nel dettaglio, può partecipare alla redazione delle leggi statali di principio e dare
direttamente attuazione alle direttive comunitarie in materia.
In attuazione delle predette norme costituzionali, con legge 23 agosto 2004, n. 239, sono stati
ridefiniti e precisati i compiti e i rispettivi limiti di azione dello Stato e delle Regioni. Di
conseguenza, la Regione potrà attuare, anche con lo strumento legislativo, i propri obiettivi di
programmazione del sistema energetico regionale ridefinendo le competenze dei soggetti
territoriali coinvolti, offrendo agli operatori del mercato e ai consumatori un quadro di
riferimento unitario, semplificando le procedure e coordinando l'azione di tutti i soggetti
istituzionali.
Con la legge regionale 27 dicembre 2000, n. 25 , la Regione del Veneto ha disposto l'adozione
del Piano Energetico Regionale. Tale atto di programmazione è predisposto dalla Giunta
regionale e approvato dal Consiglio regionale e ha una durata stabilita in ragione degli obiettivi e
delle strategie poste a suo fondamento.
A tale proposito si deve ricordare che l'Accordo Regioni Autonomie locali sottoscritto a Torino il.
5 giugno 2001 impegna le Regioni ad elaborare il Piano Energetico sulla base dell'evoluzione dei
bilanci energetici regionali e valutando anche gli aspetti ambientali. Sono quindi da privilegiare
le fonti rinnovabili, l'innovazione tecnologica, la razionalizzazione della produzione elettrica e la
riduzione dei consumi energetici con particolare riguardo al settore civile, in cui dovrà essere
introdotta la certificazione energetica degli edifici.
Il Piano Energetico Regionale del Veneto andrà ad integrare i seguenti piani di settore:
• Piano Territoriale Regionale di Coordinamento;
• Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani;
• Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Speciali;
• Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell'Atmosfera;
• Piano Regionale per la Bonifica e il Risanamento delle Aree Inquinate;
• Piano Regionale dei Trasporti;
• Programmazione della Rete di Distribuzione di Carburanti.
Le linee guida della politica regionale
La pianificazione energetica regionale dovrà prevedere interventi sul lato dell'offerta di energia (produzione), sulle infrastrutture di trasporto e di distribuzione (elettrodotti, gasdotti, oleodotti) e sul lato della domanda (razionalizzazione dei consumi).
Con riguardo agli interventi sull'offerta di energia elettrica, negli studi preparatori al Piano Energetico regionale sono stati individuati, secondo il principio di riequilibrio territoriale della domanda e dell'offerta di energia elettrica elaborato in sede nazionale, alcuni possibili scenari al 2010. L'offerta di energia elettrica è stata quindi determinata in base alla previsione dell'incremento del fabbisogno regionale. Il fabbisogno elettrico conseguente all'ipotesi CESI di massima crescita dei PIL, che sostanzialmente coincide con la stima del Gestore della Rete di trasmissione Nazionale, richiede circa 12.500 GWh/anno in più rispetto ai circa 27.800 GWh/anno richiesti nel 1999. Tale stima tiene conto anche del surplus, cioè del flusso di energia elettrica prodotta in Veneto ma che viene erogata al resto dell'Italia, attualmente pari a 2500 GWh/anno. Tale eccedenza, aggiunta all'energia importata dall'estero, può costituire una riserva per fare fronte ai picchi della domanda regionale.
L'incremento di produzione ipotizzato di 12.500 GWh/anno potrebbe essere conseguito con la seguente ripartizione:
• Ottimizzazione della produzione idroelettrica: 400 GWh/anno
• Rinnovabili, biomasse, termovalorizzazione RSU: 1.600 GWh/anno
• Autoproduzione industriale e potenziamento centrali
termoelettriche esistenti: 5.000 GWh/anno
• Ulteriore produzione da fonti fossili 5.500 GWh/anno
Con riferimento particolare all'ulteriore produzione da fonti fossili, l'obiettivo è quello di stabilire
quanta energia elettrica debba essere ulteriormente importata ovvero prodotta in Veneto con
centrati termoelettriche di potenza termica superiore a 300 MW.
Considerando che il tempo medio di entrata a pieno regime di un gruppo standard da 400 MW è
di cinque anni dalla richiesta di autorizzazione, la revisione delle stime di crescita in base ai
calcoli di crescita del PIL regionale e la messa a disposizione di ulteriori MW di potenza
dovrebbero essere realizzate per i progetti in istruttoria statale periodicamente almeno ogni
cinque anni, salvo esigenze specifiche motivate da ragioni di urgenza da parte del Gestore della
Rete di Trasmissione Nazionale.
Si dovranno definire le caratteristiche di idoneità dei siti per la localizzazione dei nuovi impianti
di produzione di energia da fonti fossili, tenendo conto dei criteri di vantazione dei progetti di
costruzione e di esercizio delle centrali indicati nell'Accordo tra Governo, Regioni, Province,
Comuni e Comunità Montane del 5 settembre 2002.
In particolare, dovranno essere individuati i criteri per la definizione dell'intesa con lo Stato per
la realizzazione delle centrali di potenza superiore ai 300 MW termici, secondo quanto disposto
dalla legge n. 55/2002 (ed. legge "sblocca centrali").
Con riferimento al settore elettrico, la direttiva UÈ 2001/77/CE del 27 settembre 2010 dispone
che entro il 2010 il 22 per cento dell'energia elettrica nazionale dovrà essere prodotta da fonti
rinnovabili.
In Veneto l'energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile rappresenta circa il 14% del totale. A
tale percentuale va aggiunto un 4% che deriva da importazioni dall'estero di energia elettrica da
fonti rinnovabili. L'obiettivo è dunque quello di produrre nel territorio al 2010 una quota
aggiuntiva di energia elettrica da fonti rinnovabili pari a circa un ulteriore 4%.
La medesima direttiva UÈ 2001/77/CE auspica inoltre che entro il 2010 il 12 per cento
dell'energia totale (comprendendo, quindi, anche l'energia termica) possa provenire da fonti
rinnovabili.
Con riguardo ai dati 2000, la produzione di energia da fonti rinnovabili nel Veneto è di 1.065.000
Tep pari al 9,2% dei consumi finali interni di energia nello stesso periodo (868.604 Tep -
idroelettrico, 69.080 biomasse, 127.316 Tep - altre fonti rinnovabili). Appare altresì significativo
considerare il rapporto, pari a circa il 13,3%, tra la produzione da fonti rinnovabili e i consumi
finali nei settori industriale e civile. In questi settori, che attualmente coprono il 69% dei
consumi totali, la sostituzione dell'energia da combustibili fossili con energia da fonti rinnovabili
richiede l'utilizzo di tecnologie note e ampiamente sperimentate e garantisce risultati
percentualmente rilevanti con costi aggiuntivi sopportabili. La promozione di fonti rinnovabili
può quindi rivelarsi di importanza strategica per la Regione del Veneto: infatti, dalla produzione
di energia cosiddetta "pulita" derivano benefici quali il risparmio di combustibili fossili, la
riduzione delle emissioni inquinanti nell'atmosfera, la minore vulnerabilità del sistema energetico
anche rispetto a crisi di origine esterna e una migliore distribuzione dell'energia, dato che gli
impianti sono generalmente caratterizzati da un'ampia diffusione territoriale.
A tal fine, dovranno anche essere rese operative le deleghe previste dalla legge regionale n.
11/20012, attuativa delle leggi statati di decentramento amministrativo, coinvolgendo Province e
Comuni nell'azione di incentivazione e di programmazione degli interventi. Potranno essere cosi
favoriti gli strumenti che privilegiano le iniziative risultanti dal diretto contatto e dal
coinvolgimento con il territorio.
La pianificazione energetica regionale dovrà consentire al sistema produttivo regionale
l'autoproduzione dell'energia elettrica con impianti di piccola taglia (<25 MW) secondo un nuovo
modello di "generazione distribuita". A tal fine dovrà essere prevista, ferma restando l'esigenza
di tutela dell'ambiente, una semplificazione delle procedure autorizzative.
Con riguardo all'offerta nel settore gas, si sottolinea che in futuro la fonte primaria per la
Regione del Veneto sarà certamente il gas metano per il suo ridotto impatto ambientale e l'alto
rendimento degli impianti.
Il consumo attuale di gas naturale nella Regione del Veneto è di circa 6,6 miliardi di mc/anno
(circa un terzo delle importazioni nazionali attuali dalla Russia). Al 2010 si prevede un
incremento di ulteriori 3 miliardi di mc/anno per produrre energia elettrica e un ulteriore
incremento nei settori residenziale/terziario e industriale pari a 1,5 miliardi di mc/anno. La
previsione totale dei consumi regionali di gas naturale al 2010 è dunque di circa 11 miliardi di
mc/anno.
Con riferimento alle infrastrutture di trasporto e di distribuzione di energia, il Piano Energetico
Regionale dovrà individuare modalità operative efficaci per un corretto utilizzo della capacità di
trasporto della rete esistente e per una programmazione delle realizzazioni sul territorio, attuata
anche attraverso uno scambio di informazioni con i soggetti promotori degli interventi. Inoltre,
sulla scorta dei principi stabiliti dalla legislazione statale, si dovranno riorganizzare le
competenze in materia di distribuzione.
Nella programmazione e nella realizzazione delle infrastrutture energetiche di rilevanza
strategica nazionale, infine, dovranno essere individuate modalità di contrattazione con tutti i
soggetti coinvolti, stabilendo in particolare i criteri per la definizione dell'intesa con lo Stato,
secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 190/2002 di attuazione della legge n.
443/2001 (ed. "legge obiettivo").
Secondo le indicazioni del Libro verde dell'Unione Europea sulla sicurezza
dell'approvvigionamento energetico (novembre 2000) si deve sottolineare l'importanza di
intervenire sulla razionalizzazione della domanda piuttosto che puntare soltanto sull'offerta di
energia. Quindi, per limitare la dipendenza energetica della Regione, assumono particolare
importanza gli strumenti legislativi e finanziari che stimolano una maggiore efficienza nell'uso
razionale dell'energia.
Nel territorio regionale (dati ENEA 2000) circa un terzo dei consumi finali di energia si registra
nel settore industriale (35,5%) un terzo nel settore civile (33,4%) e il terzo rimanente nel
settore dei trasporti (28,6%) e in quello di pesca e agricoltura (2,5%).
Con riguardo all'industria, occorrerà favorire l'evoluzione dei consorzi di acquisto di energia, che
potrebbero avere un ruolo determinante nell'attività di autoproduzione e di uso razionale di
energia (risparmio energetico). Inoltre, si dovrà favorire il coordinamento delle aziende dei
servizi pubblici (ex-municipalizzate) del Veneto sia per la produzione di energia elettrica da fonti
fossili, sia soprattutto per la realizzazione di impianti di termovalorizzazione dei rifiuti e per la
connessa distribuzione del calore mediante reti di teleriscaldamento.
Nel settore degli usi civili, occorrerà incentivare il contenimento dei consumi energetici in edilizia
e promuovere la conoscenza del fabbisogno energetico degli edifici in cui si vive o si lavora.
La direttiva 2002/91/CE su) rendimento energetico nell'edilizia richiede uno sforzo per la
revisione di tutta la normativa sull'isolamento degli edifici.
Con riguardo ai trasporti, le politiche di miglioramento dell'efficienza energetica e di
diversificazione dei carburanti per automazione dovranno essere recepite nello specifico piano di
1 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112".
settore e nella programmazione della rete di distribuzione, con particolare riferimento ai carburanti a basso impatto ambientale (es. metano, gpl, biocarburanti).
Gli strumenti
Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, occorre prevedere un coordinamento degli strumenti pubblici di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili e di uso razionale di energia affinchè le scarse risorse finanziarie oggi disponibili possano essere allocate in misura ottimale. In particolare, il parametro dell'efficienza energetica potrà avere rilievo di priorità o di maggior favore nella gestione dei diversi strumenti di agevolazione degli investimenti nelle imprese. Non andrà dimenticato il contributo dell'agricoltura quale soggetto produttore di energia da fonti rinnovabili. Verrà in particolare incentivata in modo strutturale la formazione di una filiera dei cosiddetti "carburanti verdi" (biodisel), già attuata in altri paesi della UÈ, e per la produzione di biomasse da colture erbacee o arboree per la produzione di energia calorica o elettrica ("bioenergia"). Inoltre, dovrà essere favorito l'apporto di capitale privato attraverso forme di promozione della finanza di progetto e delle società di servizi energetici che investono sul recupero dell'efficienza energetica (ed. ESCO: Energy Saving Company). In aggiunta, anche in considerazione dell'allargamento dell'Unione Europea, dovrà essere promosso lo strumento del partenariato tra istituzioni e aziende del Veneto e gli omologhi soggetti destinatari dei prossimi fondi strutturali europei, al fine di sviluppare anche nei nuovi Stati membri l'uso razionale dell'energia e l'utilizzo delle fonti rinnovabili.
Ampia diffusione, anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa, dovrà infine essere data alla realizzazione di progetti dimostrativi regionali al fine di stimolare l'imitazione e la replicazione degli interventi.
Sull'uso razionale dell'energia dovrà essere inoltre definito un ruolo per la Regione nell'attuazione dei decreti del Ministro delle Attività produttive del 24 aprile 2001 che, a compimento dei decreti legislativi n. 79/1999 e n. 164/2000, pongono l'obbligo per i distributori di gas e di energia elettrica con più di 100 mila clienti al 31 dicembre 2001 di promuovere annualmente progetti di efficienza energetica per raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico fissati a livello nazionale.
Appare opportuno attuare specifiche politiche di formazione e di informazione nel settore energetico. A tal fine dovrà essere previsto un sistema di rilevazione dei dati della produzione di energia da fonti rinnovabili nonché l'implementazione di una metodologia statistica per l'acquisizione e l'elaborazione dei dati relativi ai consumi energetici regionali.
3.4.8 I servizi di pubblica utilità a rilevanza industriale
II quadro generale
Nel Veneto l'erogazione dei servizi di pubblica utilità locali è garantita in parte dagli Enti locali, attraverso gestioni in economia, ed in parte da aziende speciali e da società pubbliche e private. Più nel dettaglio, l'erogazione dei servizi relativi agli acquedotti, alle fognature ed alla depurazione, è gestita in economia dai singoli Enti locali per un bacino di utenza pari a circa il 40% degli abitanti della Regione, mentre la rimanente quota di abitanti riceve servizi da 56 enti gestori per gli acquedotti (aziende municipalizzate, consorzi, S.p.A. e altro), 38 per le fognature e 49 per la depurazione, alcune delle quali forniscono servizi alla popolazione residente in un unico Comune.
Da ciò si ricava che questo settore è caratterizzato da una notevole frammentarietà delle gestioni, con ripercussioni negative sia in relazione ai costi, che comportano tariffe elevate a carico degli utenti, sia in relazione alla qualità dei servizi erogati, a causa della dispersione delle risorse organizzative e finanziarie.
Occorre inoltre rilevare che la gestione dei servizi pubblici locali riguarda, oltre ai settori più
sopra evidenziati, anche quelli della distribuzione del gas, dell'energia, dei servizi per l'ambiente
e dei trasporti.
L'azione regionale deve rivolgersi al miglioramento della qualità ed alla riduzione dei costi dei
servizi pubblici locali, tenendo conto del quadro normativo all'interno del quale si è chiamati ad
operare.
Il settore dei servizi pubblici locali a livello europeo si sta progressivamente liberalizzando, sulla
base della considerazione che la presenza di meccanismi di confronto sul libero mercato possa
produrre nel medio periodo effetti positivi per il cittadino utente; la legislazione comunitaria sta
guidando gli Stati membri verso un programma di allineamento delle normative nazionali su tali
linee.
Ciascuno Stato dovrà necessariamente contemperare agli indirizzi comunitari con la garanzia di
un percorso che permetta agli operatori di evolvere verso i nuovi modelli, senza che i servizi al
cittadino, sia in termini di costi che di qualità, ne siano danneggiati. Un'altra preoccupazione
deve essere quella che il sistema d'impresa locale (pubblica, privata o mista) esca rafforzato dai
processi di adeguamento ed in grado di tenere la concorrenza delle imprese de) settore degli
altri Paesi europei, che possono già ora mettere in campo capacità e dimensioni tali da
aggredire con forza il mercato ormai prossimo alla completa liberalizzazione.
In Italia la normativa si sta approssimando al dettato europeo, nel rispetto delle esigenze di
tutela degli operatori presenti. Tuttavia, pur non essendo ancora completato il processo sul
piano normativo, sono riscontrabili sul mercato i primi effetti dato che alcuni operatori locali, a
volte anticipando lo schema normativo, stanno cercando assetti idonei ad operare positivamente
nel medio periodo, in particolare attraverso la ricerca di una adeguata dimensione e massa
critica.
Poiché la riforma del settore è orientata al superamento dell'attuale concezione della gestione
dei servizi pubblici locali, con l'introduzione del principio della libera concorrenza, in un settore
ancora ampiamente gestito in regime di privativa od in economia e con fa conseguente
necessità per gli operatori di confrontarsi con realtà imprenditoriali efficienti e con un'elevata
produttività, la Regione dovrà muoversi con efficacia e tempestività.
Per garantire uno sviluppo adeguato del settore, capace di confrontarsi con il mercato, la
Regione intende favorire una politica di intervento attraverso lo stimolo di sinergie, accordi e
intese finalizzati all'aggregazione dei soggetti pubblici tra loro e con soggetti privati che
attualmente gestiscono i servizi per sfruttare economie di scala ed, in sintesi, per raggiungere
una maggiore competitività e qualità.
Gli obiettivi, i fattori critici e le strategie
Un primo obiettivo è costituito dalla promozione di aggregazioni affinchè, attraverso le sinergie
che si verranno a produrre, gestiscano al meglio i servizi pubblici locali, costituendo una massa
critica in grado di operare sul mercato dei servizi pubblici locali con maggior efficacia,
economicità e qualità.
Fondamentale per la riuscita di tale operazione è che le aggregazioni tengano conto non tanto
dei confini amministrativi, quanto delle esigenze del servizio e del mercato verso il quale le
aggregazioni dovranno tendere.
È necessaria inoltre la programmazione di interventi infrastrutturali di sviluppo delle reti
tecnologiche, anche attraverso l'adozione di adeguati strumenti urbanistici.
Il fattore tempo riveste una particolare rilevanza per un'azione efficace; esiste concretamente il
rischio che gli Enti non riescano ad adeguare la loro attività con la rapidità che il libero mercato
richiede. Ciò è maggiormente vero e preoccupante per i servizi gestiti dai Comuni, magari di
piccole dimensioni e con ridotte risorse finanziarie ed organizzative.
Altresì la futura articolazione della gestione dei servizi pubblici locali richiederà una sempre
maggiore disponibilità di capitali e una serie di professionalità e capacità professionali
eterogenee.
La Regione deve dunque incrementare la realizzazione di aggregazioni nel campo dei servizi di
pubblica utilità, utilizzando tutte le leve informative, promozionali, progettuali e di supporto
finanziario possibili.
A tale scopo una particolare attenzione va posta nell'individuazione di aree territoriali omogenee
(ATO) per la gestione associata dei servizi, all'interno delle quali potrebbero agire, con maggior
efficacia ed economicità, nuovi soggetti frutto di aggregazioni istituzionali o societarie.
La Regione, inoltre, si attiverà per coordinare, anche a livello legislativo o regolamentare, i
processi di aggregazione tra i vari attori, tenendo conto della nuova connotazione del mercato
sempre più orientato verso il gigantismo delle multiutility.
Le linee d'azione
A tal fine la Regione del Veneto intende svolgere un ruolo di indirizzo e coordinamento nei confronti dei soggetti che svolgono attività di erogazione dei servizi pubblici locali e pervenire ad un disegno organico per realizzare una gestione efficace ed economica.
La conclusione del progetto conoscitivo ha monitorato lo stato del settore e ha verificato l'esistenza di opportunità e di rischi potenziali, con particolare attenzione alle possibilità di aggregare i soggetti pubblici oggi operanti nel territorio regionale e ha portato alla definizione delle caratteristiche del mercato di riferimento; alla mappatura della situazione della Regione del Veneto; alla stima dei valori in gioco in termini di mercato, sinergie, investimenti e risorse umane; all'illustrazione dei modelli di aggregazione di altre Regioni italiane; alla definizione delle opportunità e dei rischi delle operazioni di aggregazione possibili.
Sulla base di tali risultati emersi, gli operatori del settore, gli Enti locali e le parti sociali, questi ultimi attraverso un tavolo di concertazione di settore, saranno coinvolti in un percorso volto all'individuazione ed alla realizzazione dei processi aggregativi necessari per soddisfare in modo adeguato i bisogni dei cittadini e per rispondere alle esigenze di mercato.
4 LE INNOVAZIONI ISTITUZIONALI E ORGANIZZATIVE
4.1 Le nuove forme di governance
La fase attuale di riforma costituzionale troverà una compiuta definizione con il nuovo Statuto, che conterrà gli elementi necessari per la stabilizzazione di un modello in cui siano chiare e definite le responsabilità istituzionali, ottimizzando la distinzione tra funzioni di indirizzo e funzioni di governo. La successiva fase di adeguamento ai principi cardine del nuovo Statuto saia invece l'occasione per sburocratizzare gli apparati amministrativi regionali, semplificando e modernizzando l'azione amministrativa della Regione.
Occorrerà poi, valorizzare il principio di collaborazione tra gli Enti, finalizzato alla ricerca della più ampia convergenza, per raggiungere soluzioni condivise in ordine alla necessità di modernizzazione del sistema, per affrontare le sfide del prossimo futuro.
Nella medesima direzione va la cosiddetta terziarizzazione delle attività di servizio amministrativo a basso contenuto discrezionale ed elevata ripetitività, che ha dimostrato aumenti di efficienza della macchina amministrativa, come nel caso del decreto legislativo 165/1999, recepito dalla l.r. 31/2001. Questo strumento può affiancare la burocrazia regionale, coinvolgendo soggetti flessibili e aggiornati, con la conseguente liberazione di personale che può dedicarsi a funzioni di programmazione e governo non surrogabili.
L'avvenuto ingresso nell'Unione Europea di molti Paesi dell'Est ha infatti l'effetto di mutare il ruolo politico ed economico della nostra area, che si trova trasformata da zona di frontiera, in area centrale e crocevia della nuova Europa.
La capacità di governo delle Istituzioni si misurerà quindi anche nei nuovi poteri esteri attribuiti alla Regione, che permetteranno di proseguire con nuovo e maggiore impulso le attività di relazioni interregionali che hanno visto il Veneto già protagonista nell'ambito della Comunità di Alpe Adria.
Inoltre, non è più differibile il progetto di federalismo fiscale, la cui legge fondamentale deve rendere certi e concreti i principi di autonomia di entrata e di spesa.
Per quel che concerne il decentramento amministrativo, la Regione deve garantire I' attuazione e il completamento dell'articolato processo di trasferimento in entrata e in uscita di funzioni amministrative, nonché, delle risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative, accompagnandolo ad un'attività di monitoraggio sia del decentramento istituzionale che del trasferimento di risorse. La Regione si impegna, inoltre, a favorire, l'associazionismo tra gli Enti locali, attraverso la definizione dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni e la ricerca del consenso, per esempio con l'istituzione, nel nuovo statuto, del Consiglio delle Autonomie locali, previsto dalla I. cast. 3/2001.
La Regione nei prossimi anni proseguirà il proprio impegno sulla strada dell'attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza dando avvio ad un nuovo rilevante processo di conferimento di funzioni amministrative agli Enti Locali, secondo quanto previsto dall'art. 118 della Costituzione e dall'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (cosiddetta legge "La Loggia"). In detta nuova fase di attuazione del federalismo amministrativo, la Regione dovrà manifestare fin da subito la più ampia disponibilità al colloquio e al confronto con le Amministrazioni dello Stato, al fine di pervenire ad una corretta individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie che dovranno essere trasferite.
4.1.1 II Federalismo e la devoluzione nella nuova fase costituente regionale
Queste considerazioni assumono caratteri particolarmente significativi nel momento in cui lo
scenario politico istituzionale presenta forti discontinuità con il passato.
La legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del
Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni) è intervenuta su punti
nevralgici ed essenziali dell'assetto dei poteri dello Stato e dei sistemi territoriali di governo e
sulla stessa forma di governo delle Regioni, innovando radicalmente struttura, funzionamento e
rapporti reciproci tra gli organi di rappresentanza politica e di governo.
Il quadro complessivo della riforma troverà una compiuta definizione con il nuovo Statuto che
conterrà gli elementi necessari per la stabilizzazione di un modello in cui siano chiare e definite
le responsabilità istituzionali ottimizzando quindi la distinzione tra funzioni di indirizzo e funzioni
di governo.
La successiva fase di adeguamento dell'ordinamento regionale ai principi cardine del nuovo
Statuto sarà invece l'occasione per sburocratizzare gli apparati amministrativi regionali
semplificando e modernizzando l'azione amministrativa della Regione.
Nel dibattito che, negli ultimi tempi, si è sviluppato, non solo tra giuristi, ma anche tra forze
politiche e sociali, in merito alla trasformazione in senso federale dello Stato, un punto fermo è
rappresentato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche- al Titolo V della
seconda parte della Costituzione) la cui applicazione, al di là delle posizioni oscillanti tra
federalismo minimo e massimo, comporterà effetti significativi.
Tale riforma costituzionale ha provveduto a riarticolare la composizione della Repubblica su tutti
i soggetti del sistema di governo, secondo un modello avanzato di governo a più livelli.
L'innovazione più profonda è consistita nella riorganizzazione della potestà legislativa, per cui
oggi le competenze legislative non attribuite espressamente allo Stato spettano in via residuale
alle Regioni.
Per la prima volta il principio di sussidiarietà nell'allocazione delle funzioni amministrative è stato
affermato a livello costituzionale.
Sono state scritte nuove regole per garantire l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei
Comuni, delle Province, delle Regioni nonché delle Città metropolitane.
Al fine di dare applicazione alla riforma del Titolo V della Costituzione è stata approvata la legge
5 giugno 2003, n. 131 "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18ottobre 2001, n. 3” (cosiddetta legge "La Loggia").
Detta importante legge, che mira a riordinare il sistema dell'ordinamento, superando la
dissociazione creatasi tra le nuove norme costituzionali e i contenuti della legislazione ordinaria,
contiene due rilevanti deleghe al Governo:
• per l'adozione di uno o più decreti ricognitivi dei principi fondamentali desumibili dalle leggi
vigenti, nelle materie di competenza concorrente, "al fine di orientare l'iniziativa dello Stato
e delle Regioni fino all'entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi
principi fondamentali";
• per l'adozione di decreti legislativi diretti all'individuazione delle funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città Metropolitane e per la revisione, nell'ambito degli stessi decreti
legislativi, delle disposizioni attualmente vigenti in materia di Enti locali (in buona sostanza le
disposizioni del Testo Unico sull'ordinamento degli Enti locali, d.lgs. n. 267/2000).
L'applicazione della riforma ha finora sollevato tuttavia problemi di difficile soluzione che potranno trovare una migliore definizione con la nuova, rilevante modifica della Costituzione recentemente approvata in seconda lettura dalle Camere. Nell'attuale quadro di incertezza è tuttavia impegno prioritario della Regione non assumere posizioni di sterile arroccamento e conflitto istituzionale.
In questo senso sono da valorizzare i contenuti dell'Intesa interistituzionale tra Stato, Regioni ed Enti locali sottoscritta il 20 giugno 2002 in seno alla Conferenza Unificata.
È infatti necessario, nel nuovo modello di pluralismo istituzionale, un comune impegno che
consenta di realizzare una consapevole direzione nei processi di innovazione istituzionale e di
adeguamento alle nuove esigenze dell'economia e della società.
Pur nel confronto dialettico tra le rispettive posizioni, identità e strategie, Stato, Regione ed
Autonomie locali devono valorizzare il principio della collaborazione tra gli enti, finalizzata alla
ricerca della più ampia convergenza, per raggiungere soluzioni condivise in ordine alla necessità
di modernizzazione del sistema, per affrontare le sfide del prossimo futuro.
L'avvenuto ingresso nell'Unione Europea di molti Paesi dell'est ha di fatto l'effetto di mutare il
ruolo politico ed economico della nostra area, che si trova trasformata da una zona di frontiera,
quasi periferia dell'Unione Europea come l'abbiamo fino ad oggi conosciuta, in area centrale e
crocevia della nuova Europa.
Questo nuovo scenario, che comporterà certamente difficoltà, aprirà anche inedite prospettive di
crescita e sviluppo per tutta la Regione.
La capacità di governo delle istituzioni si misurerà quindi anche nei nuovi poteri esteri che
l'attuazione della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione attribuisce alla
Regione, proseguendo con nuovo e maggiore impulso le attività di relazioni interregionali che
hanno visto il Veneto già protagonista nell'ambito della Comunità di Alpe Adria.
4.1.2 II federalismo fiscale per una efficace programmazione regionale
II nuovo testo degli articoli 117 e 118 della Carta costituzionale esprime un percorso di
diffusione delle responsabilità istituzionali; da un punto di vista prettamente finanziario il nuovo
art. 119 esprime una generale, ma esplicita indicazione in senso autonomo delle fonti di
finanziamento che devono concretizzare e supportare i compiti pubblici di ogni livello di Governo
e quindi anche delle Regioni.
È evidente perciò, l'urgenza, per attuare un vero federalismo fiscale, di pervenire in tempi brevi
ad una legislazione fondamentale finanziaria in grado di rendere concreti e operanti i principi
generati dell'autonomia di entrata e di spesa richiamati dal nuovo testo costituzionale.
A seguito della chiara identificazione delle competenze di spesa dei livelli di Governo, la legge
fondamentale di finanziamento dovrebbe:
• quantificare le risorse che devono essere attribuite alle Regioni per lo svolgimento delle
nuove funzioni attribuite;
• regolare la struttura dell'assetto di finanziamento, con la titolarità di tributi propri o
compartecipazioni a tributi nazionali che siano in grado di finanziare in modo adeguato, sia
dal punto di vista quantitativo che qualitativo, le funzioni ordinariamente attribuite alle
Regioni;
• prevedere trasferimenti statali perequativi a libera destinazione per consentire ai territori
con minore capacità fiscali la fornitura di prestazioni essenziali;
• limitare effettivamente i trasferimenti statali aggiuntivi alle motivazioni straordinarie elencate
nell'art. 119, comma 5;
• dettare i principi per il coinvolgimento sistematico delle Autonomie nelle scelte fondamentali
di politica economica e fiscale nazionale;
• definire le modalità di coordinamento della attività finanziaria e di bilancio dei diversi livelli di
Governo per il rispetto degli obblighi di stabilità sovranazionali.
Una risposta positiva all'esigenza di pervenire tempestivamente ad un quadro stabile delle dotazioni e delle relazioni finanziarie governative è quella dell'accordo interistituzionale tra il Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Comunità Montane stipulato il 20 giugno 2002, che ha trovato sviluppo con l'istituzione (art. 3 legge finanziaria 2003) dell'Alta Commissione di Studio per la definizione dei principi generali di coordinamento tra la finanza pubblica ed il sistema tributario.
In particolare, all'Alta Commissione di studio è stato affidato il compito - sulla base di un Accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale tra Stato, Regioni ed Enti locali in Conferenza Unificata - di indicare al Governo i principi generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché di predisporre una relazione in ordine agli interventi, anche di carattere legislativo, necessari per dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione. Il termine per la presentazione della relazione è stato prorogato più volte (da ultimo dalla legge n. 257/2004, al 30 settembre 2005).
Si attende ora la fissazione con legge dello Stato dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, per poter dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione.
4.1.3 II decentramento amministrativo e la sussidiarietà
La Regione deve proseguire nel cammino intrapreso nell'attuazione del ed. decentramento amministrativo.
Importanti passi sono stati compiuti con l'istituzione della Conferenza permanente Regione-Autonomie locali di cui alla l.r. 20/1997 "Riordino delle funzioni amministrative e principi in materia di attribuzione e di delega agli Enti locali”. Significative applicazioni del principio del decentramento sono state realizzate in materia di agricoltura con la l.r. 23/1998 "Conferimento agli Enti locali di funzioni amministrative regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione”; in materia di trasporti con la l.r. 25/1998 "Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale”; in materia di mercato del lavoro con la l.r. 31/1998 "Norme in materia di politiche attive del lavoro, formazione e servizi all'impiego in attuazione del Decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469”; in materia di commercio con le leggi regionali n. 37 del 1999 "Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nei Veneto” (oggi sostituita dalla legge regionale n. 15 del 2004) e n. 10 del 2001 "Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche".
In ogni caso il testo normativo più significativo e fa cui complessa attuazione vede ancora oggi impegnate tutte le strutture della Regione e gli stessi Enti locali è la l.r. 11/2001 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle Autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112', il cui spirito riformatore dovrà essere portato a compimento monitorando costantemente il processo di decentramento istituzionale, in attuazione del principio di sussidiarietà.
Detta legge, nel disciplinare in modo organico l'allocazione dei compiti e delle funzioni in tutti i settori oggetto di decentramento, prefigura infatti in numerosi settori un percorso attuativo destinato a realizzarsi nel tempo mediante ulteriori interventi, sia legislativi che amministrativi, realizzando una riforma complessiva dell'attività di governo del territorio regionale, in un rinnovato quadro di rapporti tra Regione ed Enti locali.
Nei quattro anni trascorsi dall'entrata in vigore della legge regionale n. 11 del 2001, la Regione ha proseguito nel percorso iniziato con l'emanazione della legge stessa, mediante l'approvazione di ulteriori provvedimenti legislativi, alcuni dei quali profondamente incidenti sull'ordinamento giuridico regionale. Tra questi ultimi, sono in particolare da segnalare:
• la l.r. n. 8/2002 " Norme sul sistema statistico regionale”;
• la l.r. n. 29/2001 "Costituzione di una società di capitali per la progettazione, esecuzione,
manutenzione, gestione e vigilanza delle reti stradali' e, sempre in materia di viabilità, la l.r.
n. 15/2002 "Norme per la realizzazione di infrastrutture di trasporto, per la progettazione,
realizzazione e gestione di autostrade e strade a pedaggio regionali e relative disposizioni in
materia di finanza di progetto e conferenza di servizi”;
• la l.r, n. 33/2002 “Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo”;
• la l.r. n. 27/2003 “Disposizioni in materia di lavori pubblici di interesse regionale per le
costruzioni in zone classificate sismiche";
• la I. r. n. 11/2004 “Norme per il governo del territorio”.
Il quadro dovrà essere completato con la predisposizione di ulteriori interventi normativi già previsti dalla l.r. 11/2001, quali:
• l'attribuzione di ulteriori funzioni amministrative alle Province con particolare attenzione alla
Provincia di Belluno;
• il riordino del complesso di funzioni in materia di artigianato;
• la disciplina del sistema informatico;
• il conferimento alle Camere di Commercio dell'esercizio di funzioni in materia di tutela dei
consumatori;
• la disciplina delle aree industriali e delle aree ecologicamente attrezzate (art. 41, comma 1,
della l.r. 11/2001);
• la disciplina delle funzioni in materia di miniere e risorse geotermiche;
• la disciplina dell'esercizio delle funzioni in materia di edilizia residenziale pubblica;
• la disciplina di nuove funzioni e servizi e relative attività connesse e strumentali in materia di
protezione della natura e dell'ambiente;
• la disciplina della materia della tutela delle acque dall'inquinamento;
• la disciplina organica della tutela dall'inquinamento acustico, luminoso atmosferico ed
elettromagnetico;
• la disciplina nella materia della formazione e dell'orientamento professionale;
• la disciplina delle funzioni di polizia amministrativa.
Per il coordinamento dei processi di trasferimento di funzioni a fine 2002 è stata confermata la
scelta organizzativa, già attuata, di conferire un apposito incarico al Commissario Straordinario
per l'accelerazione dei processi di trasferimento di funzioni ai sensi della I. 59/1997, d.lgs.
112/1998 e della l.r. 11/2001, con il compito di dare impulso ai processi in atto.
La Regione provvedere a garantire l'attuazione ed il completamento dell'articolato processo di
trasferimento "in entrata" e "in uscita" di funzioni amministrative nonché, soprattutto, delle
risorse umane, finanziarie, strumentali ed organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni
conferite.
A tal fine è necessario un continuo monitoraggio del processo di attuazione del decentramento
amministrativo, al fine di superare le criticità emerse (e che emergeranno) nella fase di effettivo
trasferimento delle suddette risorse.
Il Commissario ha svolto, nel periodo 2003-2005, un'azione di ricognizione, i cui risultati sono
stati elaborati e trasfusi in tre Rapporti presentati alla Giunta regionale. In particolare:
• il primo Rapporto (presentato in data 18 aprile 2003) contiene l'analisi dei trasferimenti di
risorse umane (e delle correlate risorse finanziarie), effettuati sia dallo Stato alla Regione del
Veneto, sia dalla Regione agli Enti locali e agli altri Enti coinvolti dal processo di
decentramento;
• nel secondo Rapporto (presentato in data 19 marzo 2004), oltre all'aggiornamento dei dati
forniti nel primo Rapporto sui processi di mobilità del personale, sono analizzate le risorse
finanziarie trasferite dallo Stato alla Regione Veneto e dalla Regione Veneto agli Enti locali
per l'esercizio delle funzioni conferite, prendendo in esame tutti i trasferimenti effettuati nei
tre anni trascorsi dall'entrata in vigore della l.r. 11/2001;
• il terzo Documento (presentato in data 26 maggio 2004) verifica il grado di attuazione della
l.r. 11/2001, analizzando le leggi regionali ed i provvedimenti amministrativi volti a dare
concreta realizzazione al processo di decentramento.
Nel prossimo periodo la situazione relativa ai trasferimenti dovrà continuare ad essere monitorata, ed i dati finora raccolti ed elaborati dovranno essere oggetto di continuo aggiornamento, al fine di garantire un quadro esauriente dei trasferimenti eseguiti in attuazione
del decentramento, prima che gli stessi vengano sostituiti dalle entrate previste dal d.lgs. 56/2000, e poi dal federalismo fiscale ai sensi dell'ari. 119 della Costituzione.
A riguardo va rilevato che il 2005 dovrebbe essere l'ultimo anno in cui continuerà a operare il sistema dei trasferimenti delle risorse individuate dai d.p.c.m. di cui all'articolo 7 della legge Bassanini, in quanto l'articolo 6 del d.lgs. n. 56/2000 (come modificato dall'art. 4 bis del d.l. n. 35/2005, convertito dalla legge n. 80/2005) fissa alla data del 1° gennaio 2006 la cessazione dei trasferimenti e l'avvio del finanziamento delle funzioni decentrate tramite i meccanismi previsti dal d.lgs. n. 56/2000 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della I. 13 maggio 1999, n. 133). Detto termine peraltro potrebbe subire un'ulteriore proroga in sede di approvazione della legge finanziaria dello Stato per il 2006.
La conoscenza dell'effettivo stato e del grado di attuazione dei trasferimenti consentirà inoltre alla Regione di attivarsi nelle competenti sedi istituzionali affinchè le problematiche ancora esistenti siano risolte e possa essere avviata, partendo da un quadro di chiarezza, l'attuazione delle riforme costituzionali.
Permangono infatti alcune criticità, soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti dallo Stato alle Regioni. In particolare, si tratterà di:
• seguire le iniziative poste in essere a livello centrale in merito ai settori nei quali l'esercizio
delle nuove funzioni ha dimostrato l'insufficienza delle risorse finanziarie individuate e
trasferite in base ai d.p.c.m. (occorre ricordare, a titolo esemplificativo, che le Regioni hanno
avanzato richieste di risorse aggiuntive per l'esercizio delle funzioni in materia di salute
umana e sanità veterinaria, invalidi civili e protezione civile);
• cercare soluzioni idonee a superare le problematiche emerse in tema di trasferimento dei
beni strumentali (mobili ed immobili) con il relativo inventario;
• farsi parte attiva al fine di promuovere in tutti i settori la monetizzazione del personale
assegnato, ma non transitato.
Al fine di realizzare le attività necessarie alla conclusione del processo di attuazione della riforma Bassanini, saranno necessari:
• una costante collaborazione tra le Strutture regionali coinvolte dal processo di
decentramento;
• un proficuo e continuo dialogo con le Autonomie locali, anche potenziando le sedi di
concertazione e consultazione con le stesse.
La definizione in tempi brevi di detto processo corrisponde infatti alla volontà della Regione di demandare agli Enti locali tutti i compiti prettamente "operativi" (salvo per quelle funzioni che richiedono un esercizio unitario a livello regionale), riservandosi essenzialmente funzioni di indirizzo, coordinamento, legislazione e programmazione.
Le nuove norme in materia di funzioni e competenze scaturite dalla riforma Bassanini e dal TUEL 267/2000 da un lato e dalla modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione dall'altro si indirizzano verso una più accentuata attenzione alle forme dell'associazionismo tra Enti locali e alla ricerca del consenso attraverso strumenti e strutture di concertazione e di partecipazione.
Nel primo caso è necessaria la definizione, sancita tra l'altro dall'art. 8 della l.r. 11/2001, dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni che consentirebbe in particolare di ottimizzare su vasta scala l'utilizzo delle risorse finanziarie attribuite all'Ente locale.
Nel secondo caso, posta l'esistenza della Conferenza permanente Regione-Autonomie locali di cui alla l.r. 20/1997 particolare sensibilità dovrà dimostrare la rielaborazione dello Statuto regionale che dovrà regolare, quanto meno con norme di principio, i rapporti tra gli Enti locali e gli organi regionali, in particolare il Consiglio.
A tal proposito si dovrà tenere in considerazione il comma aggiunto all'articolo 123 della Costituzione dall'art. 7 della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione: "In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle Autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli Enti locali" e dovranno quindi essere evitate sovrapposizioni di competenze tra questo istituto e la Conferenza permanente Regione-Autonomie locali.
4.1.4 II trasferimento delle funzioni amministrative e delle risorse
La legge costituzionale 3/2001 ha riformato l'intero Titolo V della parte II della Costituzione, introducendo un profondo trasferimento di poteri sia normativi che amministrativi dal centro alla periferia.
Se, infatti, per quanto concerne le competenze legislative è stato del tutto capovolto il criterio di riparto tra le competenze dello Stato e quelle delle Regioni, per quanto attiene alle funzioni amministrative l'art. 118 della Costituzione prevede che, in via di principio, esse debbano essere attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato. Pertanto, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, lo Stato (nelle materie di propria competenza legislativa esclusiva) e le Regioni (in tutte le altre materie) dovranno, con legge, conferire a Comuni e Province ovvero trattenere per sé (se è necessario che vengano esercitate unitariamente a livello rispettivamente statale o regionale) tutte le funzioni amministrative comprese nelle materie di propria competenza legislativa.
In una prima fase (fino all'attuazione del cosiddetto "federalismo fiscale" di cui all'art. 119 della Costituzione) dovranno altresì essere trasferite alle Autonomie locali le risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie all'esercizio delle funzioni conferite.
La Regione nei prossimi anni proseguirà quindi il proprio impegno sulla strada del federalismo amministrativo, dell'attuazione del principio di sussidiarietà e del trasferimento di nuove funzioni e risorse agli Enti locali.
Per il conferimento delle nuove funzioni amministrative l'articolo 7 della legge "La Loggia" prevede sia una procedura ordinaria (comma 2), sia una procedura indicata come transitoria (comma 3).
Con la procedura ordinaria, il conferimento di funzioni, con la conseguente individuazione delle correlate risorse da trasferire, deve avvenire mediante disegni di legge collegati alla manovra finanziaria annuale, sulla base di accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza Unificata (per espressa previsione di legge, i disegni di legge devono infatti "recepire" i contenuti di tali accordi).
In ordine invece alla procedura transitoria, il comma 3 dell'alt. 7 prevede che nelle more dell'approvazione dei disegni di legge, sulla base dei medesimi accordi tra Stato, Regione ed Enti locali previsti per la predisposizione dei disegni di legge della procedura ordinaria, lo Stato possa avviare il trasferimento delle risorse mediante uno o più d.p.cm., sentito il parere delle Commissioni Parlamentari competenti, e tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del Patto di stabilità (nel rispetto del principio di invarianza di spesa).
Dovranno inoltre essere rispettate le modalità previste nel numero 4) del punto II dell'Intesa inter-istituzionale conclusa il 20 giugno 2000 tra Stato, Regioni ed Enti locali, che prevedeva, per l'attuazione del federalismo fiscale, la necessità di introdurre nel DPEF la previsione:
• di una conferenza mista, per definire l'impianto complessivo del federalismo fiscale,
individuata successivamente nell'Alta Commissione di studio (legge 289/2002);
• dell'avvio del trasferimento di parte delle risorse necessarie per svolgere le competenze
esclusive regionali, e le funzioni amministrative derivanti dalla legge costituzionale n.
3/2001, con corrispondente riduzione delle voci di costo a carico del bilancio dello Stato.
La difficoltà più rilevante in questa volontà di crescita della Regione e degli Enti locali del Veneto
sarà la lentezza dei processi di attuazione delle riforme istituzionali in atto.
Da un lato sarà necessario misurarsi con un radicato atteggiamento centralistico sul piano degli
ordinamenti e sul piano del trasferimento delle risorse, dall'altro sarà necessario fronteggiare le
incertezze sul piano del federalismo fiscale.
Dalla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario attuativo dell'art.
119 della Costituzione, con cui sarà realizzato il federalismo fiscale, verrà abbandonato il
meccanismo dei trasferimenti di risorse dal "centro" alla "periferia". In tale ottica t'articolo 7
della legge "La Loggia" prevede che il meccanismo dei trasferimenti troverà applicazione solo
fino alla data di entrata in vigore delle norme attuative dell'art. 119 della Costituzione.
Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti di trasferimento di risorse (leggi o
d.p.c.m.), le funzioni amministrative continueranno ad essere esercitate secondo le attribuzioni
stabilite dalle leggi vigenti.
La Regione Veneto intende partecipare attivamente alle attività propedeutiche al vero e proprio
trasferimento di risorse che si attiverà per l'attuazione della legge "La Loggia", manifestando fin
da subito la più ampia disponibilità al colloquio ed al confronto con le Amministrazioni dello
Stato, al fine di pervenire, nella definizione degli accordi di cui al citato articolo 7, ad una
corretta individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie che dovranno essere
trasferite.
Ciò al duplice scopo:
• di evitare che l'Amministrazione regionale possa "subire" quantificazioni di risorse effettuate
esclusivamente dagli apparati burocratici delle Amministrazioni statali;
• di pervenire a soluzioni "condivise" in relazione ad alcune delle inevitabili problematiche che
si porranno al momento dell'effettivo trasferimento delle risorse.
In ogni caso, la Regione Veneto intende provvedere attraverso:
• il coordinamento delle Strutture regionali interessate dai trasferimenti, in relazione alla
rispettiva competenza per materia;
• la concertazione con gli Enti locali dei criteri per la ripartizione delle risorse necessarie per
l'esercizio delle funzioni conferite agli stessi.
4.2 L'aumento della partecipazione e della conoscenza
Tra gli obiettivi strategici della Regione Veneto vi è quello di realizzare una più incisiva e attenta partecipazione delle organizzazioni economiche, sociali e ambientali e dei cittadini veneti all'elaborazione delle politiche. Tale metodo si avvale:
della concertazione;
della diffusione delle informazioni.
IL RUOLO DELLA CONCERTAZIONE
La Regione Veneto ha fatto propria questa esigenza inserendo nella legge regionale della programmazione (l.r. 35/2001) il principio della concertazione con gli Enti locali e con le parti economiche e sociali, come elemento fondativo della partecipazione al processo di programmazione regionale a tutti i livelli.
STATISTICA
La lr. 8/2002 (istituiva dei SISTAR) prevede come fondamentale strumento per la realizzazione del sistema informativo regionale di governo il Programma Statistico Regionale. Il Piano di settore per la realizzazione del SISTAR dovrà svilupparsi in due direzioni:
all'interno dell'Amministrazione regionale, si dovranno stabilire le linee guida al fine di
acquisire in modo coordinato tutti i flussi informativi di interesse raccolti dalle strutture
regionali e dagli Enti strumentali nello svolgimento delle proprie funzioni;
all'esterno dell'Ente e cioè in rapporto agli Enti presenti sul territorio regionale che non
costituiscono articolazioni della Regione, risulta indispensabile un'adeguata informazione
sulla struttura e funzionamento del SISTAR, ciò al fine di conseguire un'adesione diffusa
alle finalità del progetto.
L'INFORMAZIONE E LA COMUNICAZIONE
Con il "Piano di Sviluppo della Società dell'Informazione"la Regione si è assunta l'impegno di:
coordinare ed integrare l'azione di tutti i soggetti coinvolti del settore pubblico e privato
nel processo di crescita della rete e dei servizi di rete;
favorire i processi di semplificazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi
nella pubblica amministrazione;
promuovere tutte le azioni tese ad abbattere il digital divide e a creare una cultura
diffusa relativa all'utilizzo delle tecnologie dell'informazione;
intensificane le azioni volte a creare i presupposti per la crescita delle competenze
specialistiche ed il sostegno all'imprenditoria locale nell'ambito ICT, indispensabili per
garantire lo sviluppo e la gestione di soluzioni originali ed adeguate, a vantaggio della
collettività.
Tra gli obiettivi strategici che la Regione intende perseguire figura quello del potenziamento del processo di apertura nell'elaborazione delle politiche attraverso una più incisiva e attenta partecipazione delle differenti organizzazioni economiche, sociali e ambientali presenti nel territorio e dei cittadini veneti. Il metodo adottato segna un'impostazione meno verticistica in quanto si avvale:
• della concertazione come strumento di condivisione e coesione su valori, principi, fenomeni
di sviluppo, etc;
• della diffusione delle informazioni per aumentare la conoscenza.
4.2.1 II ruolo della concertazione
Lo sviluppo del Veneto si è basato, come si è detto, su una grande capacità di iniziativa e di realizzazione dei singoli {uomini e donne, enti ed imprese) e - assieme - su una grande risorsa di coesione e condivisione di valori e di prospettive di sviluppo.
L'odierno scenario - un territorio che denota tutti i limiti di uno sviluppo troppo spontaneistico e
lllo spostamento degli elementi di competizione su diverse scale e su diverse e più complesse
questioni - rende necessario introdurre elementi di regolazione e di governo più strutturati.
Se si chiede innovazione nel mondo imprenditoriale, altrettanta innovazione deve chiedersi all'Amministrazione pubblica. Alla politica si chiede cioè iniziativa, conoscenza e capacità decisionale, in un quadro di maggiore responsabilizzazione. Ciò però non deve far dimenticare il valore della coesione e condivisione del progetto, un valore non semplicemente "etico", ma piuttosto un valore aggiunto che rende migliore e più facilmente realizzabile ogni progetto.
La Regione Veneto ha fatto propria questa esigenza inserendo nella legge regionale della programmazione (l.r. 35/2001) il principio della concertazione con gli Enti locali e con le parti economiche e sociali, come elemento fondativo della partecipazione al processo di programmazione regionale, sia a livello di PRS, che di DPEF, che di Piani di settore e di PAS.
Già ben prima, tuttavia, la Regione aveva adottato il metodo della concertazione per individuare le strategie del proprio assetto istituzionale, del territorio, della struttura produttiva, dei servizi per la formazione, l'economia e la protezione sociale, con un "Protocollo per la concertazione e la coesione", sottoscritto l'11 luglio 1997 con Parti Sociali ed Autonomie funzionali.
Il metodo della concertazione è stato proficuamente adottato anche in diversi ambiti specifici,
tra i quali si può evidenziare l'istituzione della Conferenza permanente Regione-Autonomie locali
(con la l.r. 20/1997), il Tavolo di partenariato per i Fondi strutturali 2000-2006, il Tavolo verde
ed il Tavolo agroalimentare in attuazione della l.r. 32/1999, etc. Inoltre, tutto il processo di
riorganizzazione dell'esercizio delle funzioni amministrative regionali in attuazione del
conferimento di funzioni disposto dal d.lgs. 112/1998 è stato incardinato con esplicito
riferimento al metodo della concertazione (l.r. 11/2001, art. 3).
Da ultimo, con deliberazione 358/2002 della Giunta regionale, è stata adottata una disciplina unitaria cui devono riferirsi tutte le attività di concertazione di iniziativa della Giunta; essa prevede un "tavolo generale" di consultazione e confronto, ma anche la possibilità di attivare appositi "tavoli settoriali" per specifiche tematiche. Il Protocollo d’Intesa tra Regione, Parti sociali ed Autonomie definito con tale deliberazione (sottoscritto il 25 febbraio 2002) prevede anche, in base al principio della sussidiarietà, e a completamento della concertazione regionale, che i soggetti operanti sul territorio definiscano gli opportuni "livelli locati di concertazione".
Questo principio diventa - poiché dovrà contribuire annualmente alla formazione del DPEF come specificato da apposita risoluzione consiliare - patrimonio culturale effettivo, modus operandi diffuso in tutti i livelli dell'Amministrazione pubblica, strumento sostanziale di governo e di formazione delle decisioni, non mero vincolo procedurale o semplice ricerca di consenso.
4.2.2 La diffusione delle informazioni
La statistica
Fin dall'istituzione del Sistema Statistico Nazionale, in attuazione del d.lgs. n. 322/1989, la Regione ha organizzato le proprie strutture in conformità ai compiti istituzionali secondo quanto previsto dalla normativa statale.
In seguito, con l'approvazione della l.r. 11/2001, attuativa del decentramento di funzioni è stata prevista, all'art. 17 - 2° co., l'adozione di una apposita legge che disciplina il sistema informativo statistico regionale. Tale atto normativo, approvato nel corso del 2002 (l.r. 8/2002), istituisce il SISTAR, Sistema Statistico Regionale costituito da una rete cui partecipano gli Uffici di Statistica
degli Enti locali e degli altri Enti pubblici presenti sul territorio, oltre ad enti privati a tal fine
convenzionati, È prevista l'adozione di un Programma Statistico Regionale, che contenga le
rilevazioni, i progetti e le elaborazioni statistiche di interesse regionale.
Con queste iniziative, la Regione ha voluto dotarsi di uno strumento in grado di inserire la
produzione statistica regionale tra le statistiche ufficiali delle Amministrazioni pubbliche, nella
piena consapevolezza che la statistica ufficiale assicura le irrinunciabili garanzie di obiettività dei
dati e che solo un sistema radicato sul territorio è in grado di soddisfare con tempestività e
adeguatezza le esigenze conoscitive delle Amministrazioni locali.
Per questo è necessario assicurare un collegamento territoriale e una produzione di informazioni
significative a tutti i livelli, anche e soprattutto sub-regionale.
È evidente infatti la necessità che il dato statistico sia unico, venga prodotto conformemente a
procedimenti standardizzati e sia sottoposto ad una validazione che ne attesti la genuinità: solo
così potrà aversi un'informazione obiettiva e sicura.
Nel corso dell'iter di approvazione della citata legge, è sopravvenuta la riforma del Titolo V della
II parte della Costituzione. Tra le numerose disposizioni in senso "federalista" contenute nel
nuovo testo dell'art. 117, si riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi della
lett. r), il coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell'amministrazione
statale, regionale e locale. Tutto ciò che esula dal concetto di coordinamento, invece, è riservato
alla potestà legislativa della Regione. L'articolo seguente, d'altro canto, in attuazione del
principio di sussidiarietà attribuisce ai Comuni la generalità delle funzioni amministrative, salve le
eccezioni in esso indicate.
Nell'ottica del nuovo assetto costituzionale, dunque, la legge sul SISTAR acquista ulteriori
significati: da un lato può infatti essere lo strumento per ridefinire i rapporti con gli organismi
centrali sulla gestione dei dati statistici, e dall'altro, grazie al sistema a rete e ai meccanismi di
partecipazione degli Enti locali che essa prevede nella predisposizione del Programma Regionale,
è in grado di dare attuazione al principio di sussidiarietà ed adeguatezza nell'azione
amministrativa.
Premesso quanto sopra, appare di tutta evidenza l'importanza che l'attuazione della legge sul
SISTAR assume per la politica della Regione, intesa, oltre che come Ente, come Comunità
comprensiva del sistema delle Autonomie locali.
Rappresentando la normativa fondamentale per l'organizzazione dell'attività statistica in
Regione, da essa dipenderà la realizzazione di un efficace sistema informativo di governo,
indispensabile supporto per l'amministrazione dei pubblici poteri.
Il Piano di settore per la realizzazione del SISTAR dovrà svilupparsi in due direzioni: verso l'Ente
Regione, e verso l'esterno nei confronti degli Enti rappresentativi delle realtà territoriali e socio-
economiche del Veneto:
all'interno dell'Amministrazione regionale, si dovranno stabilire le linee guida al fine di
acquisire in modo coordinato tutti i flussi informativi di interesse raccolti dalle strutture
regionali e dagli Enti strumentali nello svolgimento delle proprie funzioni. Sarà così possibile
realizzare il Sistema Informativo Regionale, utilizzando anche studi ed elaborazioni effettuati
nell'ambito di progetti precedenti (es.: SIRV - Sanità, SIRV - Territorio);
all'esterno dell'Ente e cioè in rapporto agli Enti che, pur presenti sul territorio regionale, non
costituiscono articolazioni della Regione, e per i quali risulta indispensabile un'adeguata
informazione sulla struttura e funzionamento del SISTAR. Ciò al fine di conseguire,
attraverso la sensibilizzazione di tutti coloro che sono chiamati a far parte della rete
statistica regionale, un'adesione alle finalità del progetto.
Utile strumento potrebbe essere un portale della comunicazione statistica e un call-center attraverso cui fornire informazioni, indicazioni, standard e parametri di connessione.
La l.r. 8/2002 prevede come fondamentale strumento per la realizzazione del sistema informativo regionale di governo il Programma Statistico Regionale, adottato dalla Regione secondo il procedimento indicato dalla legge stessa. Il Programma, la cui struttura si raccorderà con quella del Programma Nazionale pur rispettando le specificità regionali, dovrà essere articolato in aree settoriali: economica, sociale, territoriale e ambientale.
Conformemente a quanto suggerito dalla Commissione per la Garanzia dell'Informazione Statistica nel parere espresso sul PSN 2002/2004, risulta opportuno inserire nello stesso un autonomo approfondimento sul settore dei Servizi ICT (Information and Communication Technologies), anche in considerazione dei programmi regionali in tema di Società dell'informazione. A supporto di essi potrebbero cosi essere acquisiti dati su una realtà che pur rivestendo importanza fondamentale nelle attuali politiche di sviluppo, non è mai stata oggetto di un adeguato studio conoscitivo.
Per perseguire le finalità già esposte, è indispensabile che la rete cui partecipano gli uffici di statistica degli Enti presenti sul territorio regionale funzioni adeguatamente: ciò può avvenire se tutti i suoi componenti saranno in grado di fornire i flussi di dati richiesti, secondo le indicazioni del Programma Statistico Regionale. Ne deriva la necessità di poter disporre non solo di strumenti informatici che. consentano la trasmissione dei dati in modo veloce e preciso, e con cui sia possibile gestire adeguatamente gli archivi amministrativi in possesso delle P.A. ma anche della collaborazione degli Enti locali, che potrà risolvere i problemi legati alla disomogeneità della organizzazione statistica sul territorio, della insufficiente attenzione al ruolo della funzione statistica all'interno di alcune amministrazioni e alla mancanza di relazioni funzionali con le strutture che intendono progettare sotto-sistemi informativi di settore.
In tale contesto è da ricordare la rete camerale degli Uffici Studi e Statistica (CCIAA e Unione regionale), che da oltre trent'anni svolge un ruolo importante nella produzione e diffusione dell'informazione statistica ed economica a livello regionale, sia collaborando con altri Enti (molti dei quali appartenenti al Sistan) sia effettuando in proprio studi e ricerche.
La realizzazione del SISTAR gioverà non soltanto all'Amministrazione regionale ma a tutti gli attori dei flussi informativi che, in cambio di dati elementari, riceveranno di ritorno informazioni strutturate, affidabili e imparziali. Per assicurare l'efficienza di tutto il sistema l'Amministrazione regionale dovrà garantire lo sviluppo di una cultura statistica attraverso l'offerta di formazione in questo campo e l'adozione di moderne tecnologie a fini statistici. Queste infatti consentono di ridurre sensibilmente l'onere derivante dall'obbligo di fornire le informazioni richieste che grava sui soggetti passivi delle rilevazioni, coerentemente a quanto previsto dal trattato di Amsterdam, e di conseguire i risultati attesi nel pieno rispetto dei principi di economicità e di efficienza.
L'informazione e la comunicazione
La Regione Veneto nel corso dell'ultimo anno ha voluto intraprendere un percorso di analisi specifica volta ad identificare e stabilire, in forma programmatica, iniziative per favorire lo sviluppo delI'e-Governement e della società dell'informazione, attraverso due documenti di riferimento:
• "Net-SIRV: il sistema in rete dei veneti - Piano di sviluppo informatico e telematico del Veneto", recepito con d.g.r n. 56 del 2002, che ha avuto lo scopo di formulare, sulla spinta della l.r. 11/2001 in attuazione del decreto legislativo 112/1998 le linee progettuali di riferimento per poter conseguire i flussi di dati, le necessarie cooperazioni tra servizi informativi e applicativi, le modalità di interconnessione e comunicazione necessarie a realizzare quella rete di rapporti indispensabile per esprimere al meglio i compiti ed i ruoli istituzionali tracciati dalla legge. Una rete di rapporti in cui Regione ed Enti locali dovranno garantire "la circolazione delle informazioni e delle conoscenze concernenti le funzioni di rispettiva competenza mediante l'utilizzo di sistemi informatici comuni" (art. 17 della citata l.r.). L'obiettivo, pertanto, è la realizzazione di un "unico sistema coordinato" (seppur scomponibile in sottosistemi specializzati) "di servizi informativi e applicativi e di strumenti di monitoraggio", dove tutti gli attori partecipanti, in un regime paritetico di dignità e corresponsabilità istituzionale, possano coordinarsi, cooperando nello sviluppo della società, dell'economia e del territorio veneto. Il Progetto "Net-SIRV" è quindi nato principalmente come risposta programmatica a questa esigenza, ma già estendendo la riflessione e la progettualità a tutti i comparti economici, sociali, territoriali e culturali: ciò che ci si è
proposto, infatti, non è stato soltanto individuare la progettualità necessaria per l'adeguamento del SIRV - inteso come sistema informativo e rete telematica regionali - alle esigenze di assistenza delle imprese e dei cittadini, ma di gettare le basi per la costruzione della Società dell'Informazione e della Net-Economy venete, in termini solidi e competitivi. Costruire cioè la rete dell'informazione e dei servizi per i veneti, e non semplicemente adeguare il Sistema Informatico dell'Amministrazione Regionale.
• "Verso la Società veneta dell'Informazione - Piano di Sviluppo della Società
dell'Informazione", approvato con d.g.r. n. 2386 del 2002, ha invece inteso realizzare - a
partire dal Piano di Sviluppo Informatico e Telematico del Veneto, a cui in parte si ispira e
con cui si integra in termini di obiettivi ed ipotesi progettuali di attuazione - è la risposta
programmatica coordinata, con particolare riferimento alle risorse comunitarie, all'iniziativa
e-Europe dell'Unione Europea e al programma di sviluppo dell'e-Government e della Società
dell'Informazione dello Stato, alla necessità di una crescita libera e democratica della Rete e
dell'Accesso all'Informazione, e alle opportunità di sviluppo e crescita sociale offerte ai
cittadini e alle imprese venete. Il documento si propone di dare risposta ad una sfida ampia
ed articolata che la Regione deve affrontare: lo sviluppo della società dell'informazione
veneta, dove vanno coniugate le diverse esigenze e necessità dovute alla nascita del
federalismo istituzionale, alla internazionalizzazione dell'impresa veneta, alla globalizzazione
dei mercati, all'integrazione e crescita sociale: problematiche che richiedono forti volontà e
capacità di orientamento ed investimento, che l'Amministrazione regionale deve affrontare,
rivolgendosi non più solo al Veneto, ma "ai Veneti". Una progettualità, quindi, tesa non solo
a coinvolgere le realtà amministrative e gli attori economici locali, ma anche a rinsaldare
legami con le comunità venete presenti in tutto il mondo, a supportare le iniziative e le
azioni del volontariato, ed in grado di seguire l'impresa veneta ovunque vada, mantenendola
connessa ed aprendo l'accessibilità al welfare veneto.
Lo sviluppo della Società veneta dell'Informazione, passa quindi attraverso la costruzione di un sistema di servizi in rete rivolto ai Veneti, del Veneto e del Mondo, concepito come risultante non solo del sistema delle informazioni e delle applicazioni dell'Amministrazione regionale, ma di tutti i sistemi informativi locali, sia pubblici che delle Istituzioni (pubbliche e private): un sistema in grado di operare effettivamente world wide e di proporre i propri servizi in modo permanente e aperto ai cittadini. Emergono da subito alcune principali criticità:
• le infrastrutture. la dotazione infrastrutturale regionale presenta i punti di maggiore criticità
nella insufficiente diffusione di reti, fisiche e telematiche. Lo sforzo deve dunque essere
rivolto alla creazione di strade virtuali basate sull'integrazione delle diverse tecnologie:
dorsali ottiche, sistemi di comunicazione fissi, sistemi di telefonia e trasmissione dati mobili,
telecomunicazioni satellitari. Solo un sistema integrato di tecnologie di telecomunicazione
può infatti essere in grado di coprire adeguatamente il territorio veneto; un compito, questo,
complicato da diversi fattori, quali la geomorfologia, l'assetto urbanistico, la polverizzazione
delle competenze e la mancanza, fino ad oggi, di un coordinamento. Questo sforzo deve
essere finalizzato alla necessità di mantenere l'azienda veneta, "coesa in rete", favorendo
anche la nascita di servizi informativi e applicativi che consentano ai cittadini Veneti, attori
della delocalizzazione d'impresa, di mantenere costante il loro rapporto con la Regione e di
usufruire dei servizi pubblici (sanità e welfare) per sé stessi e per i propri collaboratori locali;
• il digital divide, il buon grado di innovazione informatica nell'impresa (conseguito in gran
parte nell'ultimo biennio) e la "rilevante" quota di "internetizzazione" dei privati non risultano
equamente distribuiti sul territorio e tra le componenti sociali. Questa situazione di digital
divide appare correlata principalmente con tre fattori: sociali, dimensionali e geografici. Per
quanto superiore alla media nazionale, l'utilizzo delle tecnologie informatiche e di Internet
trova maggior seguito tra le classi socialmente e culturalmente più fortunate
(diplomati/laureati con reddito medio-alto), mentre una quota consistente delle fasce più
deboli appare del tutto esclusa. Dal punto di vista dimensionale esistono problemi di introduzione della tecnologia informatica della rete nell'ambito sia dei piccoli Enti locali che delle piccole medie imprese che rischiano di creare dei fossati tra la capacità delle grandi imprese ed amministrazioni locali e quella delle piccole realtà dell'economia e del pubblico. Le carenze locali infrastrutturali rischiano di aggravare la situazione di alcune aree territoriali critiche, caratterizzate da ritmi di crescita più lenti rispetto al resto della Regione (in termini di "quoziente internet" e conseguentemente di partecipazione ai processi decisionali e alla Net-economy), persistono infatti situazioni di carenza, se non di totale indisponibilità, di telecomunicazioni digitali per diversi piccoli centri e aree montane non solo in aree economicamente svantaggiate, ma anche in comprensori ad alta capacità produttiva;
• la carenza di adeguate risorse professionali: il Veneto attualmente non sembra disporre delle
figure professionali necessarie a sostenere una crescita adeguata del settore dell'
Information e Communication Technology (ICT), a supporto dello sviluppo della Società
dell'Informazione e della Net-economy venete. Questo fatto risulta costituire una delle
criticità più preoccupanti, che può costituire un freno alle possibilità di sviluppo e di
competitivita della Regione, negli anni a venire. Devono inoltre essere attuate strategie per
qualificare e riqualificare l'utenza e diffondere la cultura dell'informazione;
• la mancanza di soluzioni applicative adeguate alle necessità dell'impresa veneta: le imprese
venete attualmente non trovano sul mercato risposte adeguate e concrete alle loro necessità
di essere e produrre in rete anche oltre la logica del distretto e con sistemi
Intranet/Extranet, utili anche per la gestione integrata delle imprese delocalizzate. Vi è poi la
difficoltà da parte dell'azienda informatica locale, che si configura anch'essa come piccola-
media impresa, ad investire adeguatamente in ricerca e nello sviluppo di prodotti originali ed
innovativi a misura dell'economia locale;
l'attuale politica amministrativa di rigore economica, il patto di stabilità nella pubblica
amministrazione ed il recupero dei deficit pubblico, fanno si che la capacità di investimento
da parte della Pubblica Amministrazione (Enti locali, centrali e territoriali) sia piuttosto
limitata. Ciò significa che l'attuazione di una politica di sviluppo dell'e-Govemement e della
società dell'informazione deve passare attraverso la riqualificazione della spesa corrente
(strada peraltro già intrapresa dall'Amministrazione regionale) ed un maggiore
coordinamento delle risorse comunitarie e statali a disposizione, col fine di semplificare t
processi amministrativi e realizzare maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse professionali
ed economiche disponibili a vantaggio della riduzione complessiva degli sprechi e della
contrazione della spesa in ambito pubblico.
Le strategie
Con il "Piano di Sviluppo della Società dell'Informazione" la Regione si è assunta l'impegno di:
• coordinare ed integrare l'azione di tutti i soggetti coinvolti del settore pubblico e privato
(EE.LL., cittadini, imprese, comunità venete locali e nel mondo) nel processo di crescita della
rete e dei servizi di rete, in modo da individuare e promuovere un progetto comune in cui
tutte le azioni siano capaci di creare sinergia sul territorio e oltre;
• favorire i processi di semplificazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi nella
pubblica amministrazione, al fine di facilitare sia l'utilizzo e l'integrazione degli strumenti
informatici stessi che la produzione di servizi efficienti, economici e solleciti nei confronti dei
cittadini e dell'impresa veneta;
• promuovere tutte le azioni tese ad abbattere il digital divide e a creare una cultura diffusa
relativa all'utilizzo delle tecnologie dell'informazione. Questa volontà dovrà essere
soprattutto diretta verso le ultime generazioni (coinvolgendo, tramite le scuole, i più giovani
e, attraverso questi, le loro le famiglie), che dovranno essere educate a diventare "utenti
responsabili" delle opportunità offerte da questi sistemi, e poste in grado di affrontare al
meglio i processi di globalizzazione ed internazionalizzazione dell'economia, della società e della rete dei rapporti umani;
• intensificare le azioni volte a creare i presupposti per la crescita delle competenze
spedalistiche ed il sostegno all'imprenditoria locale nell'ambito ICT, indispensabili per
garantire io sviluppo e la gestione di soluzioni originali ed adeguate, a vantaggio della
collettività.
La strategia alla base del Piano di Sviluppo della Società dell'Informazione della Regione Veneto
per la programmazione e l'attuazione degli interventi è stata definita a partire dall'analisi dei
rischi, delle opportunità, dei punti di forza e di debolezza, che attualmente operano nell'ambito
del sistema regionale.
Si è inoltre ritenuto opportuno tenere conto sia delle attività pianificatone in settori strettamente
attinenti, sia degli interventi di programmazione locale su base comunitaria già avviati, cercando
di definire una logica di intervento il più possibile coerente e convergente con le linee guida
definite in e-Europe.
L'obiettivo, in pratica, è stato quello di cercare, nella definizione di una strategia e di una
struttura organizzativa delle misure, di non creare una ulteriore nuova impostazione
programmatoria di riferimento, ma di semplificare e di creare pochi semplici moduli atti a
descrivere e comprendere al proprio interno tutte le problematiche, non solo tecnologiche, ma
anche organizzative e umane, del costruire una società dell'informazione.
Per questo motivo si è ritenuto appropriato adottare, per quanto possibile, la struttura delle
macro-aree di intervento già proposta nell'ambito del Piano di Sviluppo Informatico e Telematico
del Veneto.
Come ricordato, la definizione strategica è fatta dall'analisi SWOT relativamente alle macro-aree
componenti, individuando le azioni più appropriate da porre in atto nel medio-breve periodo.
Ciascuno di questi macro-obiettivi operativi definisce pertanto le strategie degli Assi Prioritari di
sviluppo:
• un primo asse, rivolto alle problematiche dello sviluppo dell'e-Government veneto, è
focalizzato sulle tematiche dello sviluppo infrastrutturale delle reti necessarie alla nascita del
governo digitale locale, sulle problematiche della definizione e del supporto dei nuovi
rapporti istituzionali attraverso la costruzione delle architetture informatiche di federalismo
digitale, sugli interventi volti a produrre servizi informativi ed applicativi (procedimenti
amministrativi on-line) per i cittadini e le imprese, sulle opportunità offerte dalle nuove
tecnologie nella definizione di rapporti più diretti tra cittadini, territorio e governo al fine di
migliorare le azioni di programmazione settoriale ed ottimizzare gli investimenti pubblici e
privati. L'infrastruttura telematica per realizzare l'e-Government dei veneti sarà realizzata dal
Net-SIRV, che costituirà il mezzo fisico ed il sistema dei servizi di comunicazione di base
grazie al quale potranno essere sviluppate tutte le iniziative di e-Government e di
interconnessione telematica tra gli Enti e le Istituzioni venete;
• un secondo asse è quello finalizzato alla costruzione della Net-economy veneta e prende
quindi in esame le problematiche di un utilizzo più diffuso e competente delle nuove
tecnologie dell'informazione all'interno delle imprese in modo da rafforzarne la competitività
e favorire la nascita e l'espansione di nuovi modelli di sviluppo basati sulla conoscenza
digitale, sullo sviluppo e diffusione di processi produttivi ed imprese innovative nel settore
delle tecnologie avanzate dell'informazione e sulla costituzione di un sistema a rete di centri
di servizio e di supporto. Sostenere questi processi significa quindi supportare e rafforzare
l'innovazione e la competitività del modello economico veneto, incentivando e sostenendo:
gli investimenti, la crescita culturale, la definizione e la realizzazione di nuovi modelli
originali di e-business a misura della Pmi e delle imprese artigiane venete, la nascita e/o lo
sviluppo delle TLC & Web-Companies locali rivolte sia ai settori tradizionali dell'economia
veneta che ad altri nuovi business, lo sviluppo di competenze adeguate sia "professionali
specialistiche" sia "diffuse" tra impiegati e lavoratori;
• un terzo asse è costituito dal Net-welfare/sanità on-line, pensato per migliorare i servizi alla
persona, attraverso il diretto coinvolgimento, nella costruzione della società
dell'informazione, delle realtà del volontariato e del sociale, nonché delle strutture pubbliche
e private sanitarie, nella costituzione e produzione di servizi informativi e sociali on-line;
• un quarto asse "trasversale" rispetto ai primi tre, è quello rivolto a conseguire e diffondere i
livelli di conoscenza necessari, di base e specialistici, per poter attuare nei fatti le strategie,
realizzare concretamente gli interventi, mantenere e valorizzare al meglio i servizi sviluppati
e formare e diffondere la Società dell'informazione;
• infine il quinto asse è rivolto alla realizzazione e gestione di attività relative alla produzione e
valorizzazione di contenuti digitali atti a promuovere il patrimonio veneto della cultura,
dell'arte, del paesaggio, dell'ambiente ed altro ancora, al fine di sostenere l'immagine del
Veneto incentivando al contempo le opportunità di sviluppo turistico e culturale. La
costruzione di contenuti digitali in grado di valorizzare al meglio il patrimonio territoriale
locale, appare quindi essere una delle strade principali per promuovere l'immagine veneta
nella società dell'informazione europea e mondiale, valorizzando le diversità linguistiche e
culturali, contrastando la massificazione dei contenuti on-line, rendendo più accessibile e
utilizzando in maniera più produttiva questi elementi di distinzione a vantaggio della
conoscenza reciproca e dello sviluppo economico.
A questi cinque assi di azione se ne aggiunge poi un sesto, finalizzato alle problematiche dell'Assistenza Tecnica e Vantazione degli impatti e dei risultati di intervento (monitoraggio del piano).
Lo sviluppo della Società dell'Informazione
Emerge dunque chiaramente come il settore dell'Information & Communication Technology e, più in generale, le tematiche della costruzione della Società dell'Informazione, costituiscano uno degli ambiti dove l'Amministrazione regionale deve esprimere strategie, obiettivi e contenuti di grande respiro.
Va sottolineato che il tema dello sviluppo della Società dell'Informazione, per sua natura settorialmente trasversale, deve essere armonicamente collocato in rapporto con tutte le strategie regionali di sviluppo. La definizione di uno specifico Piano di Settore, infine, dovrà avere lo scopo di costruire un quadro univoco degli impegni economici/finanziari, con individuazione delle fonti, ed una precisa programmazione degli investimenti, rivolta non solo alle tematiche dell'e-Government, della sanità on-line e della formazione, ma anche e soprattutto a quelle della Net-economy e del Net-welfare.
In sostanza quindi il Piano di Settore, inserito nella più ampia pianificazione regionale di sviluppo, partendo dagli obiettivi, dalle azioni e dalle misure già individuati dal Piano di Sviluppo della Società veneta dell'Informazione (che, come ricordiamo, ha recepito al proprio interno obiettivi e progetti già espressi dal Piano di Sviluppo Informatico e Telematico) deve avere lo scopo di:
• approfondire la riflessione in merito agli aspetti organizzativi esecutivi e, soprattutto,
gestionali del nuovo Net-SIRV e delle misure di sviluppo delta Società dell'Informazione nel
Veneto (organizzazione di riferimento);
• costruire un unico quadro delle priorità, secondo un unico disegno coordinato e relativo a
tutti gli ambiti toccati dal piano (e-Government, Net-economy, Net-welfare e sanità on-line,
formazione, promozione dei contenuti digitali);
• identificare tutti gli aspetti economici e finanziari atti a raccogliere a fattor comune, ad
impegnare le risorse disponibili e ad identificare gli iter per conseguire tutte quelle azioni
necessarie (finanza di progetto, coinvestimenti pubblico/privato etc.) per l'attuazione degli
obiettivi previsti;
• definire in modo univoco l'iter amministrativo per il conseguimento di tutte le risorse e competenze necessarie (individuazione del partner tecnologico), garantendo un processo di sviluppo coordinato, controllato ed efficiente.
Il sistema cartografico
Con l'ultimazione del Secondo Programma Cartografico, completata la formazione della Carta Tecnica Regionale per tutto il territorio, è stata ultimata l'informatizzazione della cartografia, raggiungendo cosi quegli obiettivi prefissati per la creazione e lo sviluppo dei Sistemi Informativi Territoriali.
Con il Terzo Programma Cartografico, approvato con d.g.r. n. 2591 del 2003, si sta affrontando ed attuando, nella logica evoluzione del passaggio dalla cartografia al data-base geografico, la costituzione del Sistema Informativo Territoriale (SIT) redatto sulla base della Carta Tecnica Regionale Numerica (CTRN), con il quale avviare l'azione conoscitiva che prevede, in tempo reale, un continuo e costante monitoraggio dell'efficienza ed efficacia delle azioni intraprese rivolte alla salvaguardia, tutela e valorizzazione del territorio e dell'ambiente.
Il SIT della Regione del Veneto sarà relazionato con il Sistema Informativo Regionale Veneto (SIRV) e la sua costituzione dovrà soddisfare, tra l'altro, l'azione programmatola della Regione. Dovrà prevedere inoltre una nuova organizzazione dei dati territoriali (competenze, aggiornamenti, responsabilità, gestione) secondo le direttive e le indicazioni che sono state, e che saranno, emanate dai lavori dell'Intesa Stato - Regioni - EE.LL. sui Sistemi Informativi Geografici di interesse generale.
4.3 Gli strumenti della programmazione e i metodi per l'adozione di pratiche migliori
MIGLIORAMENTO DELL'EFFICIENZA DELLA MACCHINA REGIONALE
Le strategie della Regione per il prossimo futuro sono orientate a:
migliorare ulteriormente l'organizzazione interna, perfezionando il progetto di evoluzione già
avviato (attraverso un adeguato presidio e la corretta applicazione delle innovazioni gestionali
introdotte);
ridefinire le relazioni con le autonomie locali, alla luce dei nuovi profili di complessità che
emergeranno a seguito del decentramento delle funzioni.
Gli STRUMENTI che la Regione intende adottare per perseguire queste politiche sono molteplici:
gli strumenti per l'attuazione delle politiche di coesione comunitaria, che hanno in potenza la
capacità di apportare un valore aggiunto rispetto alle singole politiche nazionali e regionali,
non solo perché realizzano un principio di solidarietà tra Regioni di Paesi diversi, ma anche
perché possono consentire un coordinamento tra diverse strategie nazionali, una
contaminazione e diffusione di metodi e una cogenza maggiore alle politiche di ogni singolo
Paese. La politica regionale di coesione comunitaria, dunque, dovrà essere mirata ad
accrescere la competitività dei territori, a migliorarne l'accessibilità e la qualità della vita e a
ridurre la sottoutilizzazione delle risorse;
una programmazione finanziaria volta a favorire la partecipazione attiva al processo di
rinnovamento, in modo da assicurare un effettivo federalismo fiscale e la conservazione degli
equilibri di bilancio;
è necessario individuare inoltre interventi ad hoc per le aree a sostegno mirato. I territori a
sud e a nord della Regione, infatti, pur non presentando più quei caratteri di criticità che
hanno richiesto massicci interventi di sostegno, necessitano ancora di politiche mirate da
parte della programmazione regionale. L'elemento che unifica queste due realtà è la
conformazione del territorio che pone, anche se per motivi diversi, problemi di fruibilità e
complesse questioni di gestione ambientale: si tratta del Delta del Po e della montagna
veneta. Per entrambi è necessario costruire politiche integrate di intervento in modo che il
complesso delle attività e dei progetti messi in atto dai singoli settori abbiano la capacità di
completare il disegno di sviluppo da molto tempo perseguito dalla Regione, tenendo sempre
in primo piano le peculiarità e le caratteristiche di queste zone.
Per migliorare le politiche della Regione occorre:
• perfezionare l'organizzazione interna;
• rafforzare il dialogo con gli Enti locali e le Associazioni;
• individuare interventi ad hoc per le aree meno favorite;
• diffondere la cultura del monitoraggio e della vantazione per trame insegnamenti affinchè le
decisioni siano opportunamente prese ed attuate.
4.3.1 I metodi
La programmazione regionale: forme e strumenti
II processo di programmazione regionale (come descritto dalla legge regionale 35/2001 "Nuove norme di Programmazione") è supportato da più strumenti, differenziati sia dal punto di vista del contenuto, sia dell'orizzonte temporale preso in considerazione. Questi sono:
• il Programma Regionale di Sviluppo (PRS);
• i Piani di settore;
• il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF);
• i Piani di Attuazione e Spesa (PAS);
• i bilanci pluriennali e annuali.
Il PRS prospetta scenari di medio-lungo periodo, effettuando una ricognizione sul possibile sviluppo degli andamenti strategici della società e dell'economia e individua le linee fondamentali dell'attività della Regione nel campo economico, sociale e territoriale, fornendo il quadro di riferimento e le strategie per lo sviluppo della comunità regionale mediante il concorso dei soggetti pubblici e privati. Stabilisce, inoltre, indirizzi, direttive, priorità e prescrizioni per l'azione della Giunta regionale nella promozione dell'attività legislativa e nell'esercizio di quella amministrativa.
Il presente documento, infatti, si sviluppa su un arco temporale di cinque anni e, sulla base del programma politico, individua quattro macroaree di intervento: la centralità della persona e della famiglia nella società veneta; la risorsa ambientale e territoriale; i fattori propulsivi dell'economia veneta; le innovazioni istituzionali ed organizzative.
All'interno di queste macroaree sono individuate delle sottoaree in corrispondenza delle varie competenze regionali.
In quei casi in cui vi sia una maggiore necessità di specificazione per quanto riguarda strumenti, procedure, risorse e tempi di esecuzione, è inoltre previsto che il PRS sia specificato attraverso nuovi Piani di Settore o attraverso una revisione di quelli vigenti.
I Piani di Attuazione e di Spesa (PAS), invece, sono piani costruiti con modalità
programmatorie, ma aventi anche rilevanti aspetti di natura finanziaria - procedurale, che si
pongono come elemento di raccordo con il bilancio.
Con tali piani, si ripartiscono le risorse disponibili tra tipologie omogenee d'intervento, secondo le priorità che derivano dalla pianificazione e dalla legislazione di settore, e si determinano le modalità della spesa.
II PAS, pertanto, con la sua entrata a regime, porterà un'inversione di tendenza rispetto alla
formulazione del bilancio, soprattutto del bilancio pluriennale. Saranno infatti gli strumenti
attuativi della programmazione regionale a dettare le poste del bilancio, nell'orizzonte temporale
di due o tre anni di vigenza del PAS.
Questa ipotesi di lavoro è già stata recepita nell'ordinamento contabile regionale (i piani attuativi
della spesa sono infatti tra i principali strumenti su cui si basa la programmazione finanziaria),
l'unico limite consiste nella relativa incertezza delle risorse finanziarie disponibili, specie su base
pluriennale.
Altri importanti aspetti del PAS consistono:
• nella possibilità di assumere obbligazioni pluriennali nel caso in cui l'intervento in questione
abbia uno sviluppo temporale oltre l'esercizio;
• nel suo aggiornamento annuale secondo la valutazione e l'indicazione del DPEF;
• nel disimpegno amministrativo "d'ufficio", qualora i tempi di attuazione risultino superati.
Tutto questo consentirà un costante aggiornamento dello strumento contabile pluriennale.
Il PAS, in definitiva, offre l'opportunità di aggiustare costantemente la destinazione della spesa. Il tutto per raggiungere l'obiettivo finale di consentire di bilanciare l'esigenza di una migliore allocazione delle risorse, da una parte, e le esigenze di intervento, dall'altra.
Annuale è invece il Documento di Programmazione Economico e Finanziaria (DPEF), che è un atto di informazione, valutazione e indirizzo per l'attività di governo della Regione, degli Enti, delle aziende e delle agenzie regionali. Infatti, secondo l'art. 16 della legge di programmazione, i contenuti del DPEF sono:
• l'analisi sintetica della congiuntura in atto;
• la valutazione dell'avanzamento dei risultati dei Piani di settore e dei PAS, sulla base
dell'attività di monitoraggio e valutazione;
• le proposte di variazione dei PAS in corso o le indicazioni per la formulazione di quello di
nuova predisposizione.
La Programmazione negoziata
Finalità e strumenti
La cooperazione tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali e la concertazione con le parti sociali
assumono particolare rilevanza per la realizzazione di azioni ed interventi di notevole
complessità, che coinvolgano diverse competenze istituzionali e molteplici interessi facenti capo
a più soggetti, pubblici e privati, nessuno dei quali sia di per sé autosufficiente rispetto al
raggiungimento degli scopi perseguiti.
Gli istituti della "programmazione negoziata" sono stati introdotti, in maniera organica, nel
nostro ordinamento con la legge 23 dicembre 1996, n. 662, che ha demandato al Comitato
Interministertaie per la Programmazione Economica (CIPE) la definizione delle norme attuative.
Con essa è stata estesa l'applicabilità degli istituti negoziali a tutto il territorio nazionale, ferma
restando la riserva a favore delle cosiddette «aree depresse», ora denominate "aree
sottoutilizzate", delle risorse finanziarie stanziate dal CIPE per l'attuazione dei diversi strumenti,
trattandosi di risorse prelevate da fondi specificatamente destinati a tali aree nell'ambito della
politica di sviluppo regionale.
Si tratta di strumenti che costituiscono la modalità privilegiata ed, anzi, "ordinaria" di
cooperazione e di concertazione per l'attuazione e la gestione di programmi di sviluppo
"territoriale e settoriale" a livello nazionale, regionale e locale, attraverso di essi dovrebbero
essere impiegati anche i finanziamenti statali con finalità diverse da quelle dello sviluppo
regionale e, quindi, destinati all'intero territorio nazionale, quali, ad esempio, le risorse relative
alle politiche industriali, ambientali, energetiche e dei trasporti.
La programmazione negoziata è concepita come un sistema unitario che concorre al primario
obiettivo di creare condizioni favorevoli per la crescita economica ed occupazionale in una
determinata area più o meno ampia.
Tale sistema è il luogo di incontro di due distinti approcci alle problematiche dello sviluppo.
Un approccio discendente (cosiddetto, top-down), che parte dall'alto verso il basso, e che
riguarda essenzialmente la definizione e l'attuazione di obiettivi della programmazione
economica di portata nazionale e soprattutto regionale: rientrano in questo approccio più
tradizionale gli strumenti delle "Intese Istituzionali di Programma", gli "Accordi di Programma
Quadro" e, per taluni aspetti, i "Contratti di Programma", tutti caratterizzati da una forte
predominanza nel processo di definizione e di negoziazione delle amministrazioni centrali dello
Stato.
Un secondo approccio ascendente (cosiddetto, bottom-up), che parte dal basso verso l'alto, e
che riguarda la definizione e l'attuazione degli obiettivi di sviluppo locale: rientrano in questo
secondo tipo di approccio i "Patti Territoriali" ed i "Contratti d'Area", istituti caratterizzati dal
fatto di essere promossi ed attuati da soggetti pubblici e privati operanti a livello locale.
Il sistema della programmazione negoziata si presenta quindi come l'incrocio di queste due
spinte.
Al vertice del sistema, quale momento di raccordo tra le diverse tipologie negoziali poste in
essere in ambito regionale, c'è T'Intesa Istituzionale di Programma", un accordo tra il Governo,
le Giunte delle Regioni e delle Province autonome per la realizzazione di un piano pluriennale di
interventi di interesse comune o collegati funzionalmente tra loro nel territorio della singola
Regione o Provincia autonoma.
Le Intese Istituzionali di Programma sono attuate mediante "Accordi di Programma Quadro",
promossi da Governo e Regioni o Province autonome partecipanti all'intesa, con Enti locali, altri
soggetti pubblici e privati per la definizione di un programma esecutivo di interventi da realizzarsi nel territorio regionale.
Nell'ambito di tali due istituti dovranno gradualmente trovare collocazione ed attuazione anche i "Patti Territoriali" ed i "Contratti d'Area", ai quali è assegnato uno specifico ruolo trainante per l'occupazione e mediante i quali vengono realizzate politiche di intervento decise autonomamente a livello locale da soggetti pubblici e privati, secondo il menzionato approccio bottom-up. In ogni caso, in attesa della completa entrata a regime dell'intero sistema, Patti Territoriali e Contratti d'Area possono essere attivati anche in mancanza degli altri strumenti.
L'Intesa Istituzionale di Programma e gli Accordi di Programma Quadro
La Regione Veneto in data 9 maggio 2001, ha sottoscritto con il Governo un'Intesa Istituzionale di Programma (IIP), che prevede una nutrita serie di azioni per lo sviluppo regionale, suddivise negli assi "Risorse naturali", "Sistemi locali di sviluppo", "Reti e nodi di servizio", di rilevanza strategica e prioritaria nel quadro della programmazione statale e regionale, all'interno delle quali sono stati individuati una serie di Accordi di Programma Quadro cui destinare prioritariamente le risorse finanziarie disponibili. Con d.g.r. n. 2129 del 16 luglio 2004, l'Intesa è stata integrata con un nuovo asse denominato "Innovazione" suddiviso nei sottoassi "Ricerca e sviluppo", "Società dell'informazione" e "Formazione".
In particolare sono stati previsti e sottoscritti Accordi di Programma Quadro (APQ) relativi ai seguenti settori:
• Mobilità;
• Ciclo integrato dell'acqua - tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche;
• Difesa del suolo e della costa;
• Sviluppo locale;
• Ricerca e società dell'informazione;
• Tutela e valorizzazione di risorse culturali e paesaggistiche.
Con i predetti accordi si sono programmate le risorse del Fondo "aree depresse", ora "aree sottoutilizzate", destinati ad infrastrutture e assegnate alla Regione del Veneto dal CIPE con le delibere di riparto relative ai periodi 1999-2001, 2000-2002, 2001-2003, 2002-2004, 2003-2005 2004-2007. Con l.r. 5/2000, inoltre, è stato previsto un importante cofinanziamento regionale alle Intese.
Le risorse assegnate vengono destinate ad interventi e gestite dalla Regione sulla base dei principi di coerenza programmatica, avanzamento progettuale e premialità, al fine di accelerare e riqualificare gli investimenti pubblici, promuovere strategie/progetti di sviluppo e modernizzazione amministrativa, valutare e monitorare i programmi di investimento.
Nel corso del tempo i vari APQ sottoscritti sono stati modificati da atti integrativi, sempre negli stessi settori. Dalla delibera CIPE 36/2002, e con le successive 17/2003, 19 e 20/2004, oltre all'assegnazione di risorse agli APQ, sono previste risorse dedicate esclusivamente a settori specifici quali la Ricerca, la Formazione e la Società dell'Informazione. In considerazione dell'importanza dei suddetti accordi e della priorità loro assegnata, la Regione del Veneto ha stabilito di destinare le risorse messe a disposizione dalla delibera CIPE 35/2005 al finanziamento di interventi nei settori della mobilità, del ciclo dell'acqua, della difesa del suolo, dello sviluppo locale e dei beni culturali e paesaggistici.
Risulta importante sottolineare la forte accelerazione degli stanziamenti CIPE, registrata a partire dal 2002, dovuta all'introduzione nelle delibere di regole ed incentivi, di chiara matrice europea, volti ad assicurare anche nell'ambito degli APQ l'efficienza e la qualità della spesa, il monitoraggio degli interventi, la coerenza programmatica e la trasparenza nella selezione dei progetti.
Ruolo fondamentale è rivestito dal rispetto della tempistica di realizzazione delle opere, con particolare attenzione alle fasi della aggiudicazione e avvio, nonché della spesa, verificate
tramite un sistema di monitoraggio al quale sono ancorati meccanismi premiali o di revoca dei finanziamenti.
i Patti Territoriali
I Patti Territoriali, sono espressione del "partenariato sociale", cioè, di un processo di concertazione a livello locale tra parti sociali, Enti locali ed altri soggetti pubblici e privati. Essi si basano su tre criteri di fondo:
• un approccio dal basso verso l'alto (bottom-up), poiché le iniziative in materia di
occupazione devono essere prese a livello locale. Ogni realtà locale deve individuare i
percorsi più idonei del proprio sviluppo, a partire dall'analisi della concreta situazione
esistente e dal suo potenziale endogeno specifico;
• il coinvolgimento di un ampio partenariato pubblico-privato che comprenda tutti gli operatori
che svolgono una funzione significativa per l'occupazione nell'ambito di un territorio
determinato, integrando tra loro l'azione del settore pubblico, del settore privato, delle parti
sociali ed i rappresentanti del settore associativo e cooperativo;
• un piano d'azione basato sulla diagnosi della situazione locale, su cui impostare una
strategia integrata e misure innovatrici per la creazione di posti di lavoro.
In questo contesto è da collocare, per l'appunto, la nozione legislativa di Patto Territoriale che
viene definito come "'accordo, promosso da Enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o
privati, relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di
promozione dello sviluppo locale".
Possono, infatti, farsi promotori dell'iniziativa di realizzare un Patto Territoriale i seguenti
soggetti:
• Enti locali;
• altri soggetti pubblici operanti a livello locale;
• rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori interessate;
• soggetti privati.
Poiché il Patto Territoriale è espressione del "partenariato sociale", il soggetto promotore da vita ad una attività "di concertazione", una serie di incontri e di confronti con i soggetti, pubblici e privati, operanti a livello locale e regionale, finalizzati ad una analisi dei punti di forza e di debolezza dell'area di intervento, alla definizione di una serie di obiettivi comuni di sviluppo socio-economico ed alla individuazione di iniziative coerenti con tali obiettivi. La Regione del Veneto, per prima in Italia, si è dotata di una propria legge: la legge regionale 6 aprile 1999, n. 13 'Interventi regionali per i patti territoriali", sulla base della quale ha aderito ai protocolli aggiuntivi di numerosi Patti territoriali.
La Giunta regionale del Veneto, dal 1998 ad oggi, ha aderito ai protocolli d'intesa di 23 Patti
Territoriali, numero che tra l'altro non si può dire comprensivo di tutti i processi di concertazione
in atto per attivare tale istituto (altri casi si registrano nel Veneziano e nel Vicentino).
I Patti Territoriali veneti si suddividono in 18 generalisti e 5 specializzati nell'agricoltura e nella
pesca.
Sono circa 300 i comuni veneti che vi hanno aderito e si aggira intorno al milione e mezzo di
abitanti la popolazione interessata.
I Patti approvati dal Ministero del Tesoro fino a maggio 2001 sono 14, dei quali 9 generalisti e 5
specializzati in agricoltura e pesca.
Ciò significa un volume di investimenti pari ad oltre 987 milioni di euro, di cui circa 858 milioni di
euro per interventi produttivi e i restanti 129 milioni di euro circa per la realizzazione di
infrastrutture.
Complessivamente la finanza di Patto ha attivato nel Veneto 779 iniziative, comprendenti 701 interventi imprenditoriali e 78 opere pubbliche i cui investimenti sono finanziati per oltre 886 milioni di euro dai soggetti attuatori, in particolare imprese private, per oltre 249 milioni di euro dallo Stato (con le risorse per le aree depresse) e dalla Regione per la parte residua senza copertura da parte del CIPE.
Con un percorso negoziale partito con l'Atto di indirizzo del CIPE del 4 aprile 2001, lo Stato e le Regioni, con il coinvolgimento delle Autonomie locali, hanno concluso il processo di "regionalizzazione" dei Patti Territoriali, che si possono ora considerare competenza regionale, in linea con quanto previsto dal nuovo assetto costituzionale dello Stato.
In questo modo, i Patti Territoriali possono confluire, a tutti gli effetti, nella Programmazione regionale, ambito ideale per ricondurre ad unitarietà i diversi strumenti di programmazione decentrata, dando coerenza ed integrando l'uso di risorse locali, regionali, statali e comunitarie.
I Patti Territoriali e la Programmazione Decentrata
In verità, nel Veneto i casi di programmazione decentrata sono diversi e, certo, non sono limitati
al Patto Territoriale (Leader, Interreg, gli Assi territoriali dei Docup etc). Certo è che esiste un
problema di coordinamento tra strumenti di intervento e di sviluppo, che, a gestione locale o
regionale, impattano comunque sempre su un territorio.
L'integrazione con la Programmazione regionale, di tutti questi strumenti, si configura come un
processo che colloca l'approccio programmatolo bottom-up all'interno di uno scenario
condiviso, rappresentato dal Programma Regionale di Sviluppo (PRS).
Lo scenario del PRS informerà la costruzione del Piano d'Attuazione della Spesa, nell'ambito del
quale, proprio attraverso le Intese Programmatiche d'Area, i Patti Territoriali potranno trovare
un opportuno quadro di riferimento (programmatico, temporale, finanziario) e diventare
strumenti dello sviluppo locale in attuazione delle Politiche e delle Strategie condivise con la
Regione del Veneto.
Si ricorda che, proprio a sensi della legge regionale sulla programmazione, il PRS si forma con
momenti di concertazione generale e settoriale da parte della Giunta regionale, oltre che
attraverso audizioni delle Parti sociali e Autonomie locali e funzionali interessate da parte del
Consiglio regionale.
Questo sistema di obiettivi condivisi e di momenti di concertazione è il contesto ideale per la
"regionalizzazione" dei Patti Territoriali, informata ai principi di: partenariato, addizionalità,
sostenibilità ambientale, integrazione degli interventi e concentrazione delle risorse nel rispetto
delle norme UE per la tutela della concorrenza.
La regionalizzazione deve anche permettere di adeguare le procedure di approvazione dei Patti
territoriali coerentemente agli obiettivi strategici del sistema regionale di riferimento.
In una realtà come il Veneto occorre, infatti, che siano magari premiati maggiormente per le
specificità che le politiche regionali possono avere rispetto ad altre aree, requisiti quali la
redditività, la funzionalità, l'addizionalità o la capacità di movimentare capitali privati, la validità
economica del progetto e l'innovatività degli stessi, piuttosto che il semplice indicatore,
comunque importante, dell'incremento occupazionale all'interno della Regione.
II miglioramento dell'efficienza della macchina regionale
L'attuale fase di trasformazione della Regione
II quadro delle caratteristiche e dei percorsi evolutivi in atto nella Regione Veneto è sostanzialmente quello di un ente che ha posto un'attenzione costante alle esigenze di adeguamento dell'assetto organizzativo e alla modernizzazione dei processi gestionali, dimostrando sempre viva attenzione nei cogliere tutti quegli elementi di contesto favorevoli all'innovazione sia strutturale che funzionale.
La radicale fase di trasformazione che la Regione sta attraversando e che la coinvolge su più fronti si può collegare in particolare a:
• i processi di riqualificazione funzionale connessi ai nuovi orientamenti strategici dell'ente;
• l'approvazione del nuovo statuto;
• la riconfigurazione dell'assetto organizzativo a seguito dei numerosi interventi occorsi negli
ultimi tre anni;
• l'attuazione del nuovo sistema di programmazione (l.r. 35/2001);
• la nuova gestione del bilancio e della contabilità (l.r. 39/2001);
• la revisione del sistema di vantazione della dirigenza;
• i nuovi sistemi di reclutamento del personale e la nuova disciplina delle progressioni
verticali.
Nel prossimo futuro sarà necessario porre l'attenzione sul nuovo ruolo che le Amministrazioni
regionali dovranno interpretare alla luce degli importanti cambiamenti istituzionali introdotti
principalmente con la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, per molti
aspetti anticipata dal decentramento avviato con la I. 59/1997.
Conseguentemente all'entrata in vigore del d.lgs. 112/1998, una volta completata la complessa
serie di passaggi istituzionali che ha visto il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, la
Regione del Veneto ha disegnato un nuovo quadro di ricollocazione delle funzioni con la l.r.
11/2001 nell'ambito di un rinnovato sistema di relazioni con enti operanti sul territorio.
In considerazione della riconosciuta complessità di tutte le operazioni conseguenti, la Giunta
regionale ha quindi provveduto alla nomina di un "Commissario Straordinario" per
l'accelerazione dei processi di trasferimento di funzioni con il compito di definire un modello
organizzativo complesso per gestire compiti e funzioni trasferite e per riorganizzare
complessivamente le strutture regionali.
Allo stato attuale può dirsi oramai completata la fase di attribuzione di funzioni e compiti dallo
Stato alla Regione e da questa alle Province.
La Regione in un tempo relativamente breve ha certamente trasferito più risorse rispetto a
quanto fatto dallo Stato e con un più ampio coinvolgimento delle Amministrazioni interessate.
Nel riassetto complessivo della struttura regionale si è tenuto conto che il processo di
decentramento in sé non è in grado di garantire automaticamente alcun risultato, ma costituisce
un'occasione unica di riprogettazione istituzionale.
In effetti il decentramento delle funzioni può attuarsi avvalendosi degli strumenti di volta in
volta più adeguati e dunque con una pluralità di opzioni quali l'utilizzo degli uffici periferici e
delle società regionali, la delega agli Enti locali, il ricorso al mercato, la costituzione di Aziende
od Agenzie. In particolare, nel Veneto, accanto ad una serie di Enti strumentali che possono
considerarsi una costante in ogni Regione (le ATER, l'ARPAV, le Aziende per lo Sviluppo dello
Studio Universitario, gli Enti e le Aziende Sanitarie, gli Enti Parco) sono state create una serie di
aziende con lo specifico scopo di gestire funzioni trasferite dall'Amministrazione centrale (come
"Veneto Lavoro" e "Veneto Strade").
Per quanto attiene all'aspetto funzionale interno sono state implementate logiche di tipo
aziendale favorendo approcci per budget per molti "istituti" quali gli straordinari, le missioni, le
risorse a tempo determinato, i part-time, le possibilità di carriera.
Dove la Regione vuole investire
L'assunzione del ruolo precipuo di ente programmatore, regolatore e gestore strategico imporrà alla Regione di investire nel prossimo futuro sui seguenti obiettivi fondamentali:
• un ulteriore miglioramento dell'organizzazione interna perfezionando il progetto di
evoluzione già avviato;
• l'adeguato presidio e la corretta applicazione delle innovazioni gestionali introdotte;
• un'accurata mappatura e ridefinizione delle relazioni con le Autonomie locali, alla luce dei
nuovi profili di complessità che emergeranno a seguito del decentramento delle funzioni.
Il rilancio dell'Osservatorio Regionale sulla contrattazione e l'avvio di un Tavolo di confronto permanente con ali Enti locali
Forti di un'esperienza decennale, si dovrà puntare al rilancio dell'Osservatorio Regionale sulla contrattazione che coinvolge Associazioni degli Enti locali e Organizzazioni sindacali. Lo scopo è quello di favorire un dialogo continuo che prevenga divergenze interpretative sulle grandi questioni di fondo del rapporto di impiego. Ma accanto a ciò, questo strumento risulta molto importante da un lato per raccogliere preziose indicazioni da suggerire al tavolo nazionale in vista dei rinnovi per il quadriennio 2002-2005 e, dall'altro, per elaborare indirizzi generali per la contrattazione integrativa decentrata nel territorio. È di tutta evidenza l'importanza strategica di tale ultimo aspetto in un periodo caratterizzato da assegnazioni di personale a diverse amministrazioni spesso tra loro disomogenee quanto ad aspetti organizzativi e ad applicazioni contrattuali. È inoltre da avviare un ulteriore Tavolo di confronto permanente fra gli Enti per sviluppare confronti specifici su alcuni temi fondamentali, con l'obiettivo di favorire approfondimenti interpretativi sull'evoluzione degli istituti, mettere a confronto esperienze "di punta" e facilitare la crescita di comunità di esperti.
In entrambi i casi, la Regione vuole porsi in materia come elemento catalizzatore di esperienze e di nuove idee a sostegno del cambiamento e dell'innovazione, stimolando una rete di rapporti fra soggetti distinti che nella loro autonomia trovano reciproco interesse nel confronto costruttivo e nel coordinamento complessivo delle proprie azioni.
L'attività di monitoraggio e valutazione
II Titolo II - Procedure di valutazione della legge regionale 35/2001 prevede che il PAS (Piano di attuazione e spesa) sia oggetto dell'attività di monitoraggio e valutazione.
Le attività di valutazione e monitoraggio delle politiche pubbliche assumono, infatti, un ruolo crescente nel contesto degli interventi pubblici. La diffusione di tali metodiche può essere ricondotta alle esperienze maturate sin dal varo della riforma dei fondi strutturali comunitari avvenuta nel 1988 e che i regolamenti di Agenda 2000 hanno meglio disciplinato e reso obbligatorio. I risultati possono essere individuati, anche se con differenziazioni e difficoltà, in un linguaggio comune che con lentezza si sta diffondendo, pur rimanendo prevalentemente all'interno dei programmi comunitari.
La cultura del monitoraggio si è estesa anche ai fondi statali, in particolar modo per quanto concerne la programmazione e l'utilizzo delle risorse Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) per l'attuazione dell'Intesa Istituzionale di Programma. Anche in questo ambito le procedure del monitoraggio sono state ben individuate e normate con apposite delibere CIPE in cui vengono definite le informazioni indispensabili per il monitoraggio degli interventi, i tempi auspicati e le modalità attuative. Questi obblighi sono anche recepiti in tutti gli Accordi di Programma Quadro (APQ) che prevedono appositi articoli inerenti i soggetti e i ruoli per un corretto e affidabile monitoraggio. Al buon funzionamento del monitoraggio viene vincolato il trasferimento delle risorse statati alle regioni.
Gli scopi della vantazione
La valutazione concentra l'attenzione su di un aggregato di progetti caratterizzati da una forte differenziazione in termini di strumenti (aiuti alle imprese, formazione, ricerca, infrastrutture, servizi...) e di settori produttivi (industria, agricoltura, servizi, turismo, ambiente, beni culturali, etc.)- Ogni singolo settore e/o strumento di intervento presenta, dal punto di vista della valutazione, precise peculiarità che si traducono in approcci differenti, se confrontati con il singolo progetto: dimensione territoriale e potenziale impatto, unità di riferimento (in questo caso l'intera Regione) e metodologie più articolate.
A seconda del momento in cui si effettua, il processo di valutazione si articola in:
• Valutazione ex ante: accompagna la formulazione e stesura dei documenti di
programmazione al fine di verifica re la coerenza delle strategie con i bisogni del territorio
regionale, quantifica gli obiettivi e i possibili impatti, esamina gli strumenti di attuazione
delle strategie. In sintesi alla vantazione ex ante sono attribuiti i compiti di: assicurare una
buona qualità delle strategie adottate e di garantire quelle condizioni necessarie affinchè i
programmi possano essere monitorati e, quindi, valutati, nei periodi successivi.
• Valutazione in itinere: verifica i risultati in corso di attuazione. La finalità di tale valutazione è
di individuare i progressi in termini di efficacia e, nel caso, di dare delle indicazioni sulla
riprogrammazione degli interventi.
• Valutazione ex post: una volta conclusi gli interventi previsti o il periodo di programmazione
considerato, scopo della valutazione ex post è di verificarne i risultati finali e stimarne
l'impatto socio economico e ambientale sul territorio.
È, di conseguenza, un processo che accompagna la programmazione nel suo complesso.
L'articolazione della valutazione
Un programma è un sistema complesso che, avvalendosi di una quantità di risorse definita, si prefigge di raggiungere una serie di obiettivi che corrispondono a precisi bisogni della popolazione, del territorio, delle parti sociali. Per effettuare un'attività di valutazione è necessario, di conseguenza, esaminare la struttura logica interna del programma stesso e, in definitiva, identificare:
• i principali obiettivi del programma: obiettivi globali da disaggregare in sub-obiettivi in un
logica "a cascata";
• i principali effetti associati agli obiettivi: le risorse impiegate si traducono in una serie di
realizzazioni concrete che consentono di ottenere dei risultati che possono essere identificati
negli effetti immediati. Da tali risultati derivano alcuni impatti che misurano il contributo
degli interventi attuati al raggiungimento degli obiettivi globali del programma;
• gli indicatori capaci di misurare gli effetti del programma.
Come è noto, per "efficacia" si intende la capacità degli interventi attuati di raggiungere gli obiettivi prefissati. Gli indicatori vengono utilizzati per misurare quanto è stato ottenuto (in termini di realizzazioni, risultati e impatti), rispetto a quanto si era prefissato.
Per contro, parlare di "efficienza", significa verifica re se le risorse disponibili sono state utilizzate e a quali costi unitari sono avvenute le realizzazioni, i risultati e gli impatti. Questi quesiti trovano risposta negli indicatori finanziari e nel rapporto tra costi unitari effettivi e costi unitari previsti.
Un'analisi dell'efficacia e dell'efficienza può essere effettuata per qualunque fase del programma, politiche/interventi, cioè in termini di realizzazioni, risultati e impatti. Ciò consente di confrontare quanto è stato realizzato con quanto era stato programmato {efficacia) o con le risorse utilizzate (efficienza). Altri aspetti vanno, comunque, verificati quali: la "pertinenza"'che misura quanto gli obiettivi prefissati siano adatti a spiegare l'evolversi dei bisogni e delle priorità
a livello regionale, "l’utilità" che descrive quanto il programma, le politiche e/o gli interventi incidano sui gruppi o sulle popolazioni destinatane rispetto ai loro bisogni e la "sostenibilità"che stima la durata dei cambiamenti e/o benefici.
Il monitoraggio
Una buona valutazione poggia sull'esistenza di un sistema di monitoraggio efficace, capace di
verificare se i progetti che compongono il programma sono attuati nei tempi previsti e se sono in
grado di produrre gli effetti auspicati per i quali sono stati selezionati.
Il monitoraggio è la rilevazione sistematica dei dati relativi all'avanzamento finanziario, fisico,
procedurale e d'impatto dell'attuazione dei programmi e costituisce un importante strumento
della sorveglianza operativa esercitata sul programma nel complesso e sui differenti interventi.
Consente di migliorare lo stato delle conoscenze sullo stato di attuazione delle politiche, rende
più efficace ed efficiente il sistema di sorveglianza operativa e, per questa via, migliora la
capacità di orientare il decisore pubblico nella scelta delle strategie per risolvere i problemi per il
raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Un sistema di monitoraggio deve essere affidabile, tempestivo, versatile, capace di controllare la
qualità dei dati che elabora, in grado di operare a diversi livelli. Coinvolge la rilevazione delle
informazioni sia relativamente alla spesa pubblica (monitoraggio finanziario), sia alle realizzazioni
e risultati ottenuti (monitoraggio fisico) sia alle procedure seguite (monitoraggio procedurale) e,
infine, agli impatti.
Il sistema di indicatori per il monitoraggio finanziario è ormai consolidato.
Per contro, anche per l'estrema eterogeneità degli interventi, per il controllo delle realizzazioni e
dei risultati occorre pervenire all'individuazione di una lista di indicatori capaci di soddisfare
alcune importanti esigenze. Il set di indicatori scelto, quale misura dello sviluppo sostenibile, è
strettamente correlato alle molteplici funzioni che tali valori sono chiamati a svolgere.
Una diretta conseguenza è la loro numerosità che richiede la definizione di una scala di priorità
per effettuarne una cernita. In tal senso l'elemento discriminante va individuato nelle
caratteristiche che ciascun indicatore deve possedere per essere coerente con le funzioni ad
esso attribuite.
Gli indicatori
Gli approcci di selezione degli indicatori possono essere ricondotti essenzialmente a tre tipologie: modelli utilizzati a livello comunitario, nazionale e locale e, metodiche, che entrano nella valutazione del singolo progetto. Come ricordato, a livello di programmi, la pratica del monitoraggio e della conseguente valutazione hanno cominciato a diffondersi in modo sistematico con la legislazione comunitaria che regola il funzionamento dei fondi strutturali ed è a questa che, con i dovuti adattamenti, è opportuno fare riferimento.
Il monitoraggio deve entrare in funzione sin dalle prime fasi del processo di attuazione degli interventi per seguirne la realizzazione. L'osservazione, pertanto, si indirizza su tre contesti: il documento (o documenti) di programmazione nel complesso; le strategie/politiche/nodi/funzioni obiettivi; i singoli progetti individuali.
Sulla base delle finalità dell'attività di monitoraggio sopra esposte il monitoraggio deve rilevare gli aspetti attuativi relativi a:
• grado di avanzamento finanziario;
• livello di realizzazione fisico delle opere o dei servizi prodotti;
• risultati prodotti dalle opere e dai servizi realizzati, in altre parole gli effetti immediati (es.
riduzione tempo di viaggio, diminuzione uso del suolo, etc);
• impatto di tali risultati sugli obiettivi stabiliti dal programma;
• funzionamento delle procedure messe in atto per realizzare i programmi, le politiche, i
progetti.
A ciascuno degli aspetti sopra elencati corrisponde una batteria di indicatori:
• indicatori di risorse impiegate (input);
• indicatori di realizzazione (output);
• indicatori di risultato;
• indicatori di impatto;
• indicatori procedurali.
Gli indicatori di risultato, di impatto e finanziari possono essere definiti a tutti i livelli di
programmazione. Questo aspetto consente, attraverso la loro misurazione in diversi momenti, di
descrivere i rapporti di causa-effetto tra i livelli delle politiche/interventi.
Gli indicatori di realizzazione e procedurali vengono, invece, quantificati solamente a livello di
intervento. I primi possono, inoltre, essere aggregati per definire gli indicatori corrispondenti a
livello di priorità, di programma e di politiche.
La quantità e la tipologia delle risorse utilizzate, per l'attuazione degli interventi, sono misurate
dagli indicatori delle risorse impiegate. Sono utilizzati per monitorare i progressi fatti in termini
di impegno (annuo) e di pagamento dei fondi disponibili per ciascuna operazione, misura o
programma in rapporto ai relativi costi ammissibili.
Tra le risorse andrebbero comprese non solo le finanziarie, ma anche quelle umane,
organizzative e amministrative in un'ottica che comprende anche la componente privata (quindi,
non solo risorse della Regione o altre pubbliche, ma anche quelle apportate dagli operatori
privati). A questo scopo, gli indicatori solitamente e tradizionalmente utilizzati sono quelli
finanziari (capacità di impegno, capacità di pagamento e velocità della spesa) che, però, da soli
non possono fornire elementi sufficienti per la valutatone (vedi documento del Bilancio).
Gli indicatori di realizzazione (output) descrivono in termini di opere e/o servizi l'attività
effettivamente effettuata (ad esempio, numero di imprese, Km costruiti, etc).
Gli indicatori di risultato, rilevabili alla conclusione dell'intervento, costituiscono gli effetti
immediati dello stesso. Forniscono informazioni sui cambiamenti intervenuti ad esempio a livello
di comportamento, capacità o prestazioni dei beneficiari diretti. Possono essere di natura fisica
(persone formate con una determinata qualificazione, tempi medi di percorrenza, etc.) e di
natura finanziaria (riduzione del costo dei trasporti, costo di insediamento di un'impresa, etc).
Gli indicatori di impatto quantificano gli effetti del programma nel medio-lungo termine. Si
possono distinguere due tipi di impatti: specifici e globali. Gli impatti specifici sono gli effetti che
si registrano dopo un certo tasso di tempo ma che sono comunque direttamente legati alle azioni
intraprese. Gli impatti generali sono effetti a più lungo termine che incidono su una popolazione
più vasta. Ovviamente la misurazione di questo secondo tipo di impatti è complessa e risulta
spesso difficile stabilire un chiaro rapporto tra causa ed effetto.
Gli indicatori procedurali seguono il "ciclo di vita" dei progetti ed è a questo livello che vanno
rilevati. In linea generale è possibile individuare quattro fasi:
• fase informativa che inizia con la diffusione di tutte le informazioni ai soggetti beneficiari e/o
attuatori (pubblici e privati) per la presentazione delle domande e/o progetti;
• fase istruttoria che consiste nella raccolta dei progetti e delle domande e nella verifica dei
requisiti tecnici amministrativi;
• fase selettiva, espletata dal soggetto responsabile che stila una graduatoria dei progetti
ammissibili e finanziabili;
• fase attuativa durante la quale i progetti vengono avviati e portati a compimento.
Come ricordato, le politiche devono essere efficaci e, quindi, produrre risultati sulla base di obiettivi prefissati. Le attività di monitoraggio e valutazione rappresentano, dunque, uno strumento per migliorare le decisioni e controllare le fasi di attuazione e di realizzazione degli interessi.
La Regione Veneto, al fine di migliorare le politiche adottate e, di conseguenza, la loro efficacia:
• promuoverà la cultura del monitoraggio e della valutazione, secondo i percorsi descritti e per
tutte le politiche;
• fisserà orientamenti su come e quali indicatori utilizzare e rilevare tenendo conto degli
obiettivi prefissati;
• utilizzerà un processo di raccolta e elaborazione delle informazioni e di diffusione delle
stesse al fine di promuovere l'efficacia, l'efficienza degli interventi e la condivisione dei
risultati.
L'attività di controllo ispettivo
In quest'ultimo decennio la Pubblica Amministrazione è stata interessata da profonde modifiche
e trasformazioni, imposte da un nuovo e complessivo quadro normativo di riferimento, per
corrispondere alle sempre più incisive e pressanti richieste di riorganizzazione e semplificazione
dell'azione amministrativa, pervenute dalla società civile e dai sistema economico e produttivo,
sollecitato dall'evoluzione registrata in questi ultimi anni nel sistema della finanza pubblica e dal
nuovo ruolo assunto dalle Regioni e dalle Autonomie locali nel rinnovato quadro istituzionale.
Questo nuovo contesto è stato altresì sostenuto dal rafforzamento dei principi generali ispirati
all'efficienza e all'efficacia dell'azione amministrativa, alla separazione dei ruoli di governo
rispetto a quelli di gestione, alla responsabilizzazione della dirigenza ed alla valutazione delle
azioni compiute, per conseguire gli obiettivi dati.
Elementi, questi, che hanno evidenziato l'esigenza di porre attenzione non solo ai processi di
programmazione, ma anche ai processi di controllo interno ed esterno alle Amministrazioni
pubbliche.
Il conseguimento di tali obiettivi presuppone un nuovo contesto culturale ed organizzativo nella
gestione delle risorse e l'introduzione di meccanismi operativi e di controllo, tesi a definire
chiaramente gli obiettivi assegnati ed i risultati attesi; a valutare compiutamente il loro grado di
raggiungimento, e le modalità - in termini di efficienza, efficacia e legittimità - con le quali gli
stessi sono stati conseguiti.
Questi aspetti evidenziano come la funzione di controllo strategico, direzionale ed
amministrativo venga sempre più percepita come un elemento determinante, non più residuale,
ma integrato nei processi di pianificazione e programmazione.
Lo sviluppo di adeguati sistemi di controllo risulta ancor più evidente, se consideriamo il ruolo
istituzionale assunto dalla Regione, alla quale sono riconosciuti maggiori livelli di autonomia
statutaria ed organizzativa, che attengono soprattutto alla distribuzione infraregionale delle
funzioni e allo spostamento dei procedimenti amministrativi e gestionali non solo verso gli Enti
locali ma anche verso Aziende, Agenzie, Enti e Società a partecipazione pubblica.
In ambito nazionale, il quadro normativo di riferimento per il cosiddetto sistema dei "controlli
interni" è disegnato dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 che non ha introdotto nuove
tipologie di controllo, ma ha dato loro una compiuta disciplina, con riflessi sull'organizzazione e
sull'attività delle Pubbliche Amministrazioni.
Il citato decreto, si articola in quattro sottosistemi:
• il controllo di "regolarità amministrativa e contabile" volto a garantire la legittimità e
regolarità dell'azione amministrativa;
• il "controllo di gestione” teso a verificare l'efficienza, l'efficacia e l'economicità dell'azione
amministrativa;
• il "controllo e la vantazione del personale”, volto a misurare e valutare le prestazioni del
personale con qualifica dirigenziale;
• il "controllo e la salutazione strategica" destinato a verificare l'adeguatezza delle scelte
compiute in sede di attuazione di piani e programmi, rispetto agli obiettivi fissati.
Le diverse funzioni di controllo interno, delineate dal d.l. 286/1999, vengono distinte in relazione
alla specifica finalità 3 cui sono destinate, pur se i diversi livelli e le tipologie di controllo vanno
considerati e gestiti non come entità autonoma, ma di sistema, integrati nel processo di
programmazione ed orientati ad incidere sulle azioni e sulle scelte operative, per renderle
coerenti con gli obiettivi da conseguire.
Gli aspetti sopra descritti delineano il percorso che si intende sviluppare nel corso dei prossimi
anni, al fine di porre in essere meccanismi operativi ed organizzativi in linea con il modello
richiamato.
A tale scopo, oltre ai sistemi di controllo interno già avviati, in particolare la vantazione del
personale, il controllo contabile ed il controllo di gestione, si completerà il sistema dei controlli
amministrativi.
Un altro importante aspetto da analizzare nell'ambito dei sistemi di controllo, riguarda in
particolare l'attività ispettiva di vigilanza.
Le prospettate e future modifiche istituzionali ed organizzative che interessano la Regione,
porteranno sempre di più a realizzare le politiche regionali attraverso la partecipazione di
soggetti istituzionali e privati esterni, chiamati ad erogare servizi all'economia e alla persona.
Rispetto a questo modello, emerge l'esigenza di garantire non solo la legittimità e la regolarità
dell'azione amministrativa, ma altresì che i livelli di servizi erogati siano rispondenti alle azioni e
agli interventi previsti e finanziati dalla Regione.
La realizzazione di detto obiettivo potrà essere conseguito attraverso il rafforzamento dei
meccanismi di scelta, adeguate procedure di controllo e la creazione ed il rafforzamento di
strutture dedicate alla vigilanza e all'attività ispettiva.
4.3.2 Gli strumenti
La politica regionale di coesione comunitaria
II periodo di programmazione 2000-2006
Nel 1997 Jacques Santer presenta Agenda 2000, documento di riflessione comunitario che pone al centro del dibattito l'integrazione dell'Unione Europea. Sono, infatti, temi dominanti la convergenza di tutti gli Stati membri ai parametri stabiliti dal Trattato di Maastricht e la concreta ipotesi di un allargamento dell'Untone ai cosiddetti Paesi PECO (Paesi dell'Europa Centro Orientale) con le tematiche ad essa connesse.
Vengono pertanto assunti tre obiettivi generali che guidano l'individuazione degli strumenti per l'attuazione delle politiche comunitarie:
• mantenimento dello sforzo finanziario a favore della coesione per il periodo 2000-2006 ad
un livello analogo a quello per il periodo 1993-1996 (pari allo 0,46% del PIL dell'Unione a
15);
• rafforzamento dell'efficacia degli strumenti della politica strutturale, da ottenersi mediante
una più significativa concentrazione degli aiuti, una semplificazione degli strumenti, un
decentramento della gestione, una ripartizione più chiara delle responsabilità fra
Commissione e Stati membri, un'applicazione più diffusa del principio di sussidiarietà e
un'accentuazione degli strumenti di controllo, monitoraggio e vantazione;
• estensione, con strumenti adatti a facilitare il percorso di pre adesione, della politica
strutturale ai nuovi Stati membri (in attesa di estendere anche a questi territori il
funzionamento dei classici Fondi Strutturali e del Fondo di coesione per il finanziamento
delle azioni strutturali necessarie).
L'atto che recepisce le indicazioni di Agenda 2000 è il Regolamento (CE) 1260/99 che da il via alla programmazione per il periodo 2000-2006 e riduce il numero degli obiettivi da sette a tre e le iniziative comunitarie da tredici a quattro. In particolare, i programmi UE più importanti per il
peso finanziario ad essi attribuito, sono: l'Obiettivo 1 (non riguardante il Veneto) l'Obiettivo 2, l'Obiettivo 3 e il Piano di Sviluppo Rurale. Essi rappresentano, nel concreto, la quota di gran lunga maggioritaria dei finanziamenti comunitari strutturali per il periodo di programmazione 2000-2006. A questi fanno seguito le Iniziative comunitarie: Interreg III, Leader+, Equal e le Azioni Innovative.
Obiettivo 2
La finalità generale del Programma Obiettivo 2 è favorire la riconversione economica e sodale delle zone con difficoltà strutturali. La strategia perseguita, consiste nel rafforzamento di un modello di sviluppo basato sulla forte interdipendenza dei diversi settori e sulla priorità attribuita agli interessi ambientali rispetto a quelli economici.
In particolare il Docup (Documento unico di programmazione) obiettivo 2 del Veneto si propone di finanziare interventi che mirano a ridurre il divario esistente tra l'area centrale della Regione e le aree marginali. Il Docup si articola in quattro assi principali, che rispondono alle seguenti finalità: miglioramento della competitività nell'ambito della globalizzazione, superamento delle carenze infrastrutturali, valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, miglioramento dell'ambiente.
I territori eleggibili (214 Comuni) sono stati selezionati conformemente a quanto previsto
dall'articolo 4 del regolamento (CE) 1260/1999 che definisce i criteri ed i metodi per la
definizione delle aree interessate. Inoltre, al fine di ridurre gli svantaggi derivanti dalla riduzione
del periodo di programmazione 1994 - 1999, 142 Comuni precedentemente ammessi a
beneficiare degli obiettivi 2 e 5b, usufruiscono sino al 2005 di un sostegno transitorio.
Piano di Sviluppo Rurale (PSR)
II Piano di Sviluppo Rurale del Veneto, redatto secondo la metodologia di lavoro definita dalla
Commissione Europea, ha adottato, come obiettivo globale, il consolidamento, la
razionalizzazione e lo sviluppo della attività rurali nel contesto economico, sociale e territoriale
del Veneto. La sua validità si estende su tutto il territorio regionale.
Nella logica di gerarchia e sequenzialità, gli obiettivi specifici, destinati a contenere le misure volte a coprire le aree di intervento pubblico, che coincidono con i tre assi prioritari di sviluppo, sono cosi individuati:
• il miglioramento della competitività e dell'efficienza del sistema agricolo, agroindustriale e
forestale mediante l'ammodernamento e la razionalizzazione del sistema, con l'intervento
sulle fasi del processo, sulla loro connessione, sull'innovazione organizzativa, di prodotto e di
processo (Asse 1);
• il sostegno integrato al territorio ed allo sviluppo delle comunità rurali mediante azioni di
diversificazione economica, di promozione della qualità dei prodotti e dei servizi alle imprese
agricole e agro-alimentari e alla produzione rurale (Asse 2);
• la valorizzazione della multifunzionalità dell'agricoltura, la salvaguardia e tutela dell'ambiente
e del paesaggio rurale al fine di migliorare il tessuto economico produttivo locale, di frenare i
processi di esodo e di conseguente degrado ambientale, di promuovere la tutela, il
miglioramento e la valorizzazione dell'ambiente e del territorio rurale (Asse 3).
Obiettivo 3
La Regione Veneto ha elaborato il POR (Programma Operativo Regionale) per il FSE Ob. 3 il quale stabilisce, sulla base di quanto disposto dal Regolamento CE 1784/99 e delle direttive stabilite a livello nazionale, le linee regionali di programmazione del FSE per il periodo 2000-2006.
II POR, che coinvolge l'intera Regione, mira all'accrescimento dell'occupabilità della popolazione in età attiva, sottolinea l'importanza della qualificazione delle risorse umane, promuove l'adattabilità delle imprese ai cambiamenti di contesto socio economico, all'ammodernamento dei servizi di base che rendono possibili o meglio favoriscono queste innovazioni (i sistemi del lavoro, della formazione professionale, dell'istruzione),
II Documento di programmazione regionale, che si articola in sei anni, adotta le seguenti linee strategiche generali:
• il FSE europeo è considerato come risorsa addizionale e parte di un sistema;
• la formazione deve essere funzionale alla creazione di nuova occupazione (formazione per il
lavoro) e alla creazione di una forza lavoro qualificata ed adattabile (formazione sul lavoro);
• la formazione, il lavoro e l'istruzione, pur mantenendo le loro specifiche identità, devono
avere tra loro delle interrelazioni;
• rivolge una particolare attenzione ai nuovi bacini all'impiego, in particolare alle opportunità
offerte dalle nuove tecnologie, dal "terzo settore", dalle esigenze del settore ambientale;
• considera importante il rapporto con il territorio.
Interreg III
L'obiettivo di fondo dell'Iniziativa Comunitaria Interreg è quello di evitare che i confini nazionali
ostacolino lo sviluppo equilibrato e l'integrazione de) territorio europeo. L'iniziativa si articola in 3
sezioni: sezione A "Transfrontaliera", sezione B "Transnazionale" e sezione C "Interregionale".
Il Programma Transfrontaliero Interreg IIIA Italia - Austria (in cooperazione con il Friuli Venezia
Giulia, la Provincia Autonoma di Bolzano, la Carinzia, il Tiralo e Salisburgo) assume come
obiettivi lo sviluppo sostenibile del territorio, il superamento delle barriere e delle condizioni di
perifericità e la valorizzazione delle risorse umane.
L'area eleggibile per la Regione Veneto è la Provincia di Belluno.
Il Programma Transfrontaliero è costruito con un approccio bottom-up e prevede interventi
concepiti e realizzati in un'ottica transfrontaliera che stimolano la cooperazione.
Il Programma è suddiviso nei seguenti assi:
• tutela e sviluppo sostenibile del territorio, reti, strutture e infrastrutture
• transfrontaliere;
• cooperazione economica;
• risorse umane, cooperazione nei settori: mercato del lavoro, cultura, ricerca e sanità,
armonizzazione dei sistemi;
Analogamente ad Interreg IIIA Italia - Austria, il principio che ispira il programma Interreg IIIA Italia - Slovenia (in cooperazione con il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia) è quello di evitare che i confini nazionali ostacolino i processi di sviluppo e l'integrazione del territorio dell'UE. L'isolamento tipico delle aree di confine, assume connotati più spiccati nei tenitori a ridosso delle frontiere esterne e particolarmente importanti nel caso di un Paese appena entrato nell'Unione come la Slovenia. In questa situazione, il superamento delle barriere istituzionali, sociali ed economiche diventa prioritario. A queste finalità si ispirano, infatti, gli interventi promossi. Il Programma è suddiviso nei seguenti assi:
• sviluppo sostenibile dell'area trasnfrontaliera;
• cooperazione economica;
• risorse umane, cooperazione ed armonizzazione dei sistemi;
• sostegno speciale alle regioni confinanti con Stati candidati.
Per la Regione Veneto è stata delimitata la Provincia di Venezia, quale confine marittimo ed i Comuni del Delta del Po in Provincia di Rovigo quale area in deroga.
II Programma Interreg IIIA Italia - Adriatico interessa la cooperazione transfrontaliera fra le Regioni Adriatiche Italiane e i Paesi dell'Europa Orientale (Croazia, Repubblica di Serbia e Montenegro, Albania, Bosnia Erzegovina).
Fra le aree europee di maggior interesse per il Programma Interreg III, quella adriatica rappresenta lo spazio di cooperazione decisivo per accelerare il processo di stabilizzazione e sviluppo dell'intero Sud - Est Europa, essendo la parte del nostro continente dove esistono le maggiori disparità di reddito e, conseguentemente, dove si sviluppano le maggiori tensioni (flussi migratori, diffusione attività illegali, etc).
Gli obiettivi principali del Programma sono:
• contribuire all'integrazione territoriale;
• contribuire alla concorrenza, all'efficienza e alla crescita delle rispettive Regioni;
• contribuire alla coesione economica e sociale, anche attraverso il coordinamento degli
investimenti;
• contribuire allo sviluppo e potenziamento delle infrastrutture e delle reti di trasporto;
• garantire la conservazione del patrimonio naturale e culturale, la protezione dell'ambiente e
lo sviluppo sostenibile;
• contribuire alla promozione delle pari opportunità tra uomini e donne;
• accelerare il processo di allargamento attraverso la preparazione delle Regioni, delle
amministrazioni, degli istituti di ricerca.
Per quanto riguarda il Veneto, le Province coinvolte sono: Venezia, Rovigo e Padova (quest'ultima in deroga territoriale).
Il Programma Spazio Alpino è inserito nell'Iniziativa Comunitaria Interreg III, sezione B, volta
alla cooperazione transnazionale, quale strumento di integrazione territoriale tra Regioni
europee, Paesi candidati e altri Paesi terzi limitrofi.
Nello specifico esso intende rilanciare lo Spazio Alpino come area di grande potenzialità inserita
in una rete europea di aree di sviluppo. Sono quindi previste diverse misure funzionali al
raggiungimento di tale obiettivo, che possono essere sintetizzate in tre categorie di priorità
riguardanti: la promozione dello Spazio Alpino quale area economicamente competitiva e in
grado di offrire un modo di vivere piacevole nell'ambito di uno sviluppo spaziale policentrico
nell'UE; lo sviluppo di sistemi di trasporto sostenibili; l'accorta gestione dei patrimonio naturale e
paesaggistico e la valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità naturali.
L'area coinvolta è costituita dalle Regioni che comprendono territorio alpino di Francia, Austria,
Germania, Italia, Liechtenstein, Svizzera e Slovenia. Tutto il territorio della Regione del Veneto
ne è pertanto interessato.
Nella sezione B di Interreg figura anche il Programma CADSES che riguarda la collaborazione
transnazionale tra Paesi compresi nell'area geografica centro orientale dell'Europa, i Paesi
danubiani e balcanici nonché l'area adriatica giocando, per questo, un ruolo socio-politico
fondamentale nella visione dell'allargamento dell'UE.
Lo scopo è quello di rompere con l'idea della competenza territoriale e dei confini nazionali per
sviluppare una cooperazione transnazionale che metta in particolare risalto le "vocazioni"
interregionali dei Paesi partecipanti, partendo dalla considerazione che è meglio affrontare certi
problemi e situazioni comuni con una visione più ampia e non limitata dalle proprie frontiere
nazionali.
Il Programma promuove lo sviluppo di progetti che favoriscano la cooperazione su una vasta
gamma di tematiche più propriamente correlate alla gestione del territorio e connesse ad attività
economiche e di sviluppo della società.
Tutto il territorio della Regione del Veneto è coinvolto nel Programma.
Interreg IIIC, infine, è un Programma di cooperazione interregionale che mira a migliorare
l'efficacia delle politiche e degli strumenti utilizzati per lo sviluppo regionale e la coesione
interregionale in modo strutturale, mediante lo scambio di informazioni su vasta scala e la
condivisione di esperienze.
L'area di cooperazione è costituita dall'intero territorio dell'Unione Europea, comprese le aree insulari e ultraperiferiche. Questa sezione del Programma incoraggia la più ampia partecipazione di paesi terzi, in particolare i paesi candidati, la Norvegia, la Svizzera, e i paesi Meda. Considerata l'ampiezza dell'area interessata, ai fini di una gestione più agevole del Programma, il territorio dell'Unione Europea è stato diviso in quattro zone a cui fanno capo quattro Programmi: Nord, Est, Sud e Ovest.
Il Veneto è incluso nel Programma - zona Est assieme ad altre Regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Trentino altro Adige, Emilia-Romagna, Puglia, Molise, Abruzzo, Marche) ed ad altre regioni dell'Austria, della Germania e della Grecia anche se comunque può collaborare con tutte le altre regioni europee.
Leader+
L'Iniziativa Comunitaria Leader+ si colloca nel contesto dei programmi di sostegno allo sviluppo, da tempo intrapresi dalla Comunità Europea. Le strategie di sviluppo proposte dai Gruppi di Azione Locale all'interno di Leader+, sono riferite a quattro temi fondamentali a carattere orizzontale, che possono per loro natura coinvolgere più di un settore:
• l'uso di nuove tecnologie e di nuovi know-how per migliorare la competitività dei prodotti e
dei servizi nei territori rurali;
• il miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali;
• la valorizzazione dei prodotti locali, in particolare agevolando l'accesso ai mercati per le
piccole strutture produttive e delle risorse naturali e culturali.
I Comuni selezionati dal Programma, secondo le indicazioni dell'UE, sono quelli con una densità inferiore a 120 abitanti/Km e quelli ricadenti in "aree parco".
Equal
Gli obiettivi dell'iniziativa Equal sono riassumibili nei seguenti punti:
• aumentare significativamente i tassi d'impiego;
• sviluppare le competenze e la capacità di inserimento professionale delle persone escluse
dal mercato del lavoro;
• tenere conto dei bisogni delle persone occupate in settori esposti o vulnerabili per
accrescere e attualizzare le loro competenze;
• sviluppare la creazione d'impresa;
• favorire la partecipazione equilibrata di donne e uomini nel mercato del lavoro;
• lotta contro le disparità e le discriminazioni, sia per gli occupati che per le persone senza
impiego.
Azioni Innovative
Le Azioni Innovative FESR 2000-2006 mirano ad agevolare l'accesso della Regione Veneto a
strumenti di sperimentazione nei settori d'avanguardia costituendo un vero e proprio laboratorio
di perfezionamento e di adeguamento della politica regionale alle nuove sfide.
Le Azioni Innovative non ricalcano gli interventi realizzati in ambito "mainstream" (ob. 2 in
primis), dal momento che tali Azioni devono dare alla Regione la possibilità di sperimentare
concetti più "sofisticati" e innovativi che non vengono trattati nel contesto usuale dei programmi
cofinanziati dal FESR.
I Programmi Regionali di Azioni Innovative (PRAI) del Veneto si focalizzano sulla tematica
"eEuropaRegio: la società dell'informazione al servizio dello sviluppo regionale" e coinvolgono
l'intera area regionale.
II quadro di riferimento della nuova programmazione (2007-2013)
I programmi regionali comunitari ora in fase di attuazione (2000-2006) fanno riferimento ai
regolamenti comunitari emanati a partire dal 1999 che definiscono in modo puntuale gli obiettivi
che l’UE persegue con particolare riguardo alle politiche di coesione economica e sociale degli
Stati membri.
È ora aperto il dibattito sulla riforma degli obiettivi della politica di coesione comunitaria per il
periodo 2007-2013.
Le linee guida per la riforma sono state approvate dalla Commissione con la pubblicazione della
3° Relazione sulla Coesione economica e sociale e recepite dalla bozza di nuovi regolamenti dei
fondi strutturali per [t periodo 2007/2013 del luglio 2004 dopo che il "forum sulla coesione" si
era risolto in un unanime consenso sull'impostazione data dalla Commissione.
La proposta legislativa della Commissione si articola su 5 regolamenti di cui 3 riguardano le
modalità di funzionamento dei Fondi coinvolti (FESR, FSE, Fondo di Coesione), uno è il
regolamento generale che dovrà sostituire il 1260/99 e l'ultimo fonda la base giuridica per
l'utilizzo di un nuovo strumento per la cooperazione territoriale a disposizione delle
organizzazioni regionali e locali.
La nuova struttura fa riferimento ai pilastri dello sviluppo sostenibile fissati in occasione dei
vertici di Lisbona e Gòteborg ed è indirizzata principalmente alle Regioni in linea con gli obiettivi
dell'art. 158 del Trattato.
I principi generali su cui si basa questa nuova architettura organizzativa sono:
• approccio strategico: è previsto infatti un triplice livello di programmazione. Sarà il Consiglio
che fisserà gli orientamenti strategici della coesione economica sociale e territoriale
all'interno di un quadro di intervento dei Fondi. Ciascun Stato Membro tradurrà gli
orientamenti comunitari in un quadro di riferimento strategico nazionale sulla base del quale
verranno predisposti Programmi Operativi regionali e tematici;
• concentrazione: la maggior parte delle risorse vengono indirizzate sull'obiettivo
"Convergenza", ma si può parlare anche di concentrazione tematica sulle priorità delle
Agende di Lisbona (competitività) e Gòteborg (sviluppo sostenibile);
• semplificazione: il cofinanziamento della politica di coesione è affidato a tre Fondi anziché
sei come prima, con stesse regole di gestione per il Fondo di coesione, gestione a livello di
assi e non più di misura, abbandono della politica di fissazione di regole accentrate per
l'ammissibilità della spesa in favore della legislazione nazionale, presenza di un solo
documento di programmazione e monofondo (Programma Operativo) a livello gestionale;
• decentramento e approccio territoriale per tenere in debito conto le specificità territoriali;
• gestione finanziaria e controllo più efficienti con maggior distinzione tra i livelli di
responsabilità della Commissione e degli Stati membri.
Finalità e riforma della politica regionale di coesione comunitaria
Da quanto emerge dalle proposte legislative avanzate dalla Commissione, la politica regionale di coesione comunitaria del prossimo periodo di programmazione sarà finalizzata a ridurre le disparità regionali puntando ad uno sviluppo sostenibile mediante il rafforzamento della crescita, della competitività e dell'occupazione, dell'inclusione sociale come pure della protezione e qualità dell'ambiente. L'approccio tende a favorire interventi più mirati sugli orientamenti strategici dell'Unione focalizzando l'azione sulle regioni più svantaggiate e anticipando allo stesso tempo i nuovi cambiamenti nel resto dell'Unione.
La nuova architettura proposta dalla Commissione per il periodo successivo al 2007 è concentrata sul raggiungimento di tre nuovi obiettivi con una dotazione di 336 miliardi di euro, pari a circa un terzo di tutto il bilancio comunitario:
Convergenza: riguarda le aree meno sviluppate e costituirà la priorità principale della
politica di coesione. Ridurre quindi la disparità tra i livelli di sviluppo vieppiù crescenti dopo
l'allargamento a 25. In tale contesto la politica di coesione è finalizzata a promuovere le
condizioni per la crescita e i fattori che possono portare ad una reale convergenza. È un
obiettivo che interesserà principalmente la maggior parte dei nuovi Stati membri.
Competitività regionale e occupazione: ci sono importanti sfide da affrontare anche al
di fuori delle aree meno sviluppate. Queste sfide (comuni a tutti gli Stati Membri dell'Unione)
riguardano i rapidi cambiamenti sociali ed economici, l'invecchiamento della popolazione, la
crescita dei flussi migratori, la mancanza di lavoro in alcuni settori chiave ed i problemi di
inclusione sociale.
L'approccio ora è duplice: da un lato attraverso programmi di sviluppo regionale a cofinanziamento FESR la politica di coesione aiuterà le autorità pubbliche locali ad anticipare e promuovere i cambiamenti economici, nelle aree urbane rurali e industriali, rafforzandone la competitività e l'attrattività date le differenze economiche sociali e territoriali. Dall'altro attraverso programmi finanziati dal FSE la politica di coesione aiuterà la gente ad anticipare e ad adeguarsi al cambiamento economico sostenendo politiche che mirano alla piena occupazione, all'inclusione sociale etc.
Cooperazione territoriale europea: il terzo obiettivo mira a dare risposte congiunte a
problemi comuni tra autorità di aree confinanti come lo sviluppo urbano rurale e costiero e
lo sviluppo di relazioni economiche e di reti tra le PMI.
Si tratta di un nuovo obiettivo rivolto a sostenere la cooperazione su problemi di importanza comunitaria a livello transfrontaliero, transnazionale ed interregionale. L'ambito della cooperazione territoriale non si limita alla identificazione di un nuovo obiettivo per la politica di coesione: la Commissione chiede che siano incorporati all'interno dei programmi operativi di mainstream delle Regioni, azioni nel campo della cooperazione interregionale.
In particolare la proposta di nuovi regolamenti dei fondi strutturali per il periodo 2007-2013 avanzata dalla Commissione Europea articola l'intervento nelle Regioni non arretrate su un menù di priorità per la competitività regionale e l'occupazione, che comprende tre temi prioritari a cofinanziamento FESR: "innovazione e società della conoscenza, ambiente e prevenzione dei rischi, accessibilità e servizi di interesse economico generale" e quattro priorità politiche FSE: "incrementare l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, migliorare l'accesso all'occupazione e incrementare la partecipazione al mercato del lavoro, rinforzare l'inclusione sociale e combattere la discriminazione, mobilizzare riforme nel campo dell'occupazione e dell'inclusione".
Il menù, una volta predisposto dagli Stati Membri nel quadro di riferimento strategico nazionale, potrà essere utilizzato nell'ambito di Programmi Operativi dalle Regioni, che hanno conoscenza delle specificità locali e capacità di selezionare le priorità su cui investire le risorse disponibili, valutandone il peso relativo all'interno della propria programmazione e individuando le aree di intervento. L'intero territorio veneto sarà potenzialmente ammissibile all'intervento comunitario dell'obiettivo "Competitività regionale ed occupazione" mettendo fine alla zonizzazione.
L'altro obiettivo che interessa il Veneto è quello della Cooperazione territoriale Europea. L'innovazione di grande momento introdotta dalla bozza di regolamento affronta un annoso problema che ha sempre ostacolato la gestione e l'avanzamento dei programmi di cooperazione internazionali sia transfrontalteri, che transnazionali che interregionali come Interreg: la differente normativa e le diverse procedure nazionali. La riforma introduce, ancorché in via opzionale, un nuovo strumento a livello comunitario che consente la creazione di raggruppamenti cooperativi nel territorio comunitario, attribuendogli personalità giuridica.
La programmazione finanziaria regionale
Attuare il federalismo fiscale: una necessità urgente per la finanza regionale
II processo di decentramento dei poteri di spesa ha compiuto negli anni recenti importanti passi in avanti. Tuttavia l'accrescimento delle competenze e delle responsabilità delle Regioni non si è realizzato nel quadro di un compiuto federalismo fiscale. Affinchè l'organizzazione federalista possa esplicare pienamente le sue potenzialità in termini di guadagni di efficienza, è fondamentale in primo luogo che alle capacità di spesa assegnate alle Regioni corrisponda analoga autonomia nel reperimento dei mezzi finanziari necessari; in secondo luogo è indispensabile la costruzione di in sistema stabile e condiviso di perequazione finanziaria interregionale. È per questo che la Regione si impegnerà affinchè il periodo di riferimento di questo PRS veda l'attuazione del federalismo fiscale, pietra angolare del futuro assetto della finanza pubblica italiana e del patto tra i diversi livelli di Governo e i cittadini. Con esso, e con il conseguente assetto di regole certe e di finanziamento stabile, la programmazione regionale diverrà maggiormente incisiva e l'efficacia degli interventi di spesa ne sarà rafforzata.
Il federalismo fiscale dovrà realizzarsi con l'attuazione dell'art. 119 della Costituzione. Sul piano dei principi, la scelta costituzionale è netta. Sul piano invece degli strumenti per realizzarli, il legislatore costituzionale ha lasciato alle norme ordinarie il compito di applicarli.
La Regione Veneto auspica quindi la rapida attuazione dell'art. 119 della Costituzione fondata in generale sui principi di autonomia, coordinamento fiscale e solidarietà ed in particolare su:
• realizzazione di un'effettiva autonomia finanziaria fondata su autonome scelte di entrata e di
spesa, pur entro i limiti definiti dalla Costituzione;
• attribuzione di risorse congrue per l'esercizio delle materie devolute dal nuovo Titolo V della
Costituzione;
• eliminazione dei trasferimenti statali su materie di competenza regionale (ad esclusione di
quelli avente rilevanza nazionale come le calamità) e sostituzione con entrate autonome a
libera destinazione;
• certezza e sufficienza delle risorse per il finanziamento "integrale" delle funzioni regionali;
• un sistema dei tributi propri e compartecipazioni ispirato al principio di trasparenza per il
contribuente (percepibilità soggettiva dell'onere tributario), della semplificazione (limitazione
dei costi di adempimento), e della maggiore attenzione al principio di controprestazione;
• dinamica delle entrate tributarie e delle compartecipazioni, tale da adeguare il gettito alle
normali espansioni del fabbisogno di spesa (in particolare di spesa sanitaria);
• effettiva possibilità di incidere sugli elementi strutturali dei tributi, in particolare sulle
aliquote da manovrare entro limiti massimi;
• compartecipazioni a tributi erariali quanto più omogenee sul territorio nazionale per limitare
le esigenze di perequazione;
• potestà di accertamento del tributo che deve essere piena, nel caso dei tributi propri
esclusivi e coordinata con lo Stato, nel caso dei tributi devoluti o delle compartecipazioni.
La gestione della transizione al federalismo fiscale: gli indirizzi per la riforma della redistribuzione delle risorse regionali prevista dal d.lgs. 56/2000
È innegabile che, oltre alle esigenze di disciplina di bilancio imposta dagli impegni europei, il ritardo nell'attuazione del federalismo fiscale è in buona parte dovuto aII'oggettiva problematicità di realizzare un assetto ordinato di relazioni finanziarie intergovernative in un Paese come l'Italia caratterizzato da profonde disparità territoriali.
Un tentativo di superare queste difficoltà è stato avviato con il d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 56. Il suo obiettivo era di realizzare una distribuzione regionale delle risorse fondata su criteri più razionali di quello della spesa storicamente realizzata nel passato, con l'introduzione di incentivi
per le Regioni alla tenuta di comportamenti virtuosi sul fronte del prelievo e su quello della spesa. La redistribuzione incide soprattutto sul settore sanitario dato che la quasi totalità dell'ammontare dei trasferimenti soppressi dal decreto riguarda l'abolizione del Fondo sanitario nazionale e la sua sostituzione con entrate tributarie autonome (compartecipazione regionale all'Iva nazionale del 38% circa e aumento di addizionale regionale Irpef e accisa sulla benzina). La perequazione è avvenuta nel 2001 sulla base di una formula che per il primo anno ha coperto esattamente la spesa storica. In altri termini, ha compensato esattamente i trasferimenti soppressi. Questo termine della formula perde progressivamente importanza dal 2002 e si azzera nel 2013.
Ad esempio per il 2002, con il d.p.c.m. 14 maggio 2004, la ripartizione dell'IVA netta è avvenuta per il 95% in base alle quote storiche regionali di fabbisogno per i trasferimenti soppressi e per il 5% in base ai nuovi parametri che sono la quota di popolazione residente, la capacità fiscale, i fabbisogni sanitari, e la dimensione geografica per i fabbisogni extra-sanitari.
Il nuovo modello di perequazione ha condotto per la prima volta nell'anno 2002, rispetto alla situazione pre-riforma, ad una redistribuzione delle risorse. La direzione degli effetti redistributivi era nota sin dall'emanazione della riforma. Tuttavia, le Regioni che "perdono" da questa nuova ripartizione delle risorse, con ricorso anche alla Consulta ed al TAR, hanno chiesto la sospensione o la correzione dei nuovi criteri previsti dal d.lgs. 56/2000, dichiarando l'insostenibilità delle minori entrate per i propri equilibri di bilancio e la non copertura dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.
Indubbiamente il sistema di perequazione e la solidarietà interregionale vanno indirizzati verso esiti più condivisi, con la consapevolezza però che la redistribuzione delle risorse non deve compensare le inefficienze regionali o il deliberato limitato ricorso allo sforzo fiscale. Inoltre un sistema basato sulla decentralizzazione delle scelte pubbliche e sul federalismo fiscale cooperativo non può semplicemente ribadire l'uniformità di trattamento pseudo-garantita (formalmente) dall'attuale situazione. Ciò comporta l'accettazione politica di un ragionevole livello di differenziazione delle dotazioni finanziarie regionali, in particolare nelle materie e per i livelli non essenziali delle prestazioni. Un principio da salvaguardare in ogni caso nei risultati della perequazione è quello di evitare che le Regioni con capacità fiscale pro-capite superiore alla media prima della perequazione scendano sotto la media a seguito della perequazione. Inoltre l'ordine della graduatoria ante perequazione dovrebbe essere rispettato nella situazione post-perequazione.
Per quanto attiene alle riforme in campo fiscale (legge 80/2003) o a quelle in corso di presentazione da parte dell'Alta Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale, va ribadito che la sostituzione di tributi attuali regionali dovrà evitare il peggioramento qualitativo e quantitativo dell'assetto finanziario regionale (livelli di autonomia e margini di manovra).
I vincoli degli equilibri di finanza pubblica in un contesto di federalismo
Lo scarso dinamismo congiunturale dell'economia e l'andamento dei conti di finanza pubblica costituiscono fattori che indirettamente influenzano la programmazione finanziaria regionale di medio periodo.
II quadro programmatico di finanza pubblica è condizionato dalla debolezza del ciclo economico.
Tale debolezza, unitamente alla dinamica espansiva in alcuni comparti della spesa, si è riflessa
sull'indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche, il cui andamento tendenziale è stato
rettificato dall'intervento correttivo infrannuale pari allo 0,6% del PIL, attuato con I. 191/2004
recante "Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica". La manovra correttiva,
necessaria per il rispetto del Patto di Stabilità Europeo ha comportato il rafforzamento del Patto
di Stabilità Interno, cui sono chiamati a concorrere Regioni ed Enti locali, attraverso specifici
limiti alla crescita delle spese per consumi intermedi e la deroga solo per il 2004 alla possibilità di indebitarsi per investimenti realizzati da soggetti diversi da quelli della P.A. La strategia del Governo per il 2005-2008 è basata sulla volontà di coniugare il rigore nella gestione della finanza pubblica con l'esigenza di liberare risorse finanziarie per l'attuazione del programma di riduzione della pressione fiscale.
Rispetto all'andamento tendenziale, il DPEF dello Stato fissa per il 2005 (si veda tab. 1) un obiettivo programmatico di indebitamento netto pari al 2,7% del PIL, con un recupero dell'ordine dell'1,7% del PIL rispetto al valore tendenziale. In valore assoluto l'obiettivo di indebitamento netto per il 2005 dovrebbe risultare pari a circa 38.000 milioni di euro, a fronte di un indebitamento netto tendenziale pari a 62.650 milioni di euro.
L'impatto correttivo della manovra per il 2005-2008 si concentrerà sull'avanzo primario e sulla conseguente riduzione del rapporto debito/PIL ed inciderà pesantemente sul comparto Pubblica Amministrazione. Anche le Regioni saranno chiamate a concorrere in termini strutturali al risanamento dei conti pubblici e dovranno governare con una possibile limitazione delle risorse trasferite dallo Stato.
Tab. 1 - Finanza pubblica: andamento tendenziale e programmatico nel 2005-2007
Andamento tendenziale e programmatico nel 2005-2007

(valori in % del PIL)



Tendenziale


Programmatico


2004
2005
2006
2007
2005
2006
2007
Saldo corrente
-0.6%
-0,8%
-0,8%
-0,8%
-
-
-
Avanzo primario
2,4%
0,8%
1,1%
1,5%
2.6%
3,3%
4,0%
Interessi
5.3%
5,2%
5,3%
5,3%
5,3%
5,5%
5,7%
Indebitamento netto
-2.9%
-4,4%
-4,3%
-4,2%
-2,7%
-2,2%
-1,7%
Pressione fiscale
41,8%
40,8%
40,8%
40,5%
-
-
-
Fabbisogno
4,6%
5,9%
6,0%
5.5%
-4,2%
-3,9%
-3,1%
Debito/PIL
106,0%
-
-
-
104,1%
101,9%
99,3%
Fonte: Documento di Programmazione Economico Finanziaria 2005-2008
II concorso regionale agli equilibri di finanza pubblica: i risultati
La Regione Veneto è pienamente consapevole della difficoltà di rendere compatibile un forte decentramento dei poteri ed il mantenimento del controllo sulle grandezze di bilancio valide per il rispetto dei parametri europei di stabilità finanziaria da parte dell'Italia e non nega quindi il suo impegno per la soluzione dei problemi del Paese. Tuttavia occorre ribadire che le Autonomie territoriali, spesso "additate" come principali artefici dei deficit dei conti pubblici, hanno invece dimostrato nel corso degli ultimi anni un elevato grado di corresponsabilizzazione sui risultati di finanza pubblica, reso evidente dal miglioramento del saldo di indebitamento netto (si veda tab. 2); e questo nonostante i tagli e l'andamento poco dinamico delle entrate liberamente destinabili.
Tab. 2 - Indebitamento netto delle Pubbliche Amministrazioni
Indebitamento netto delle Pubbliche Amministrazioni 1999-2003






Importi in milioni di euro
1999
2000
2001
2002
2003
P.A.
-19.125
-21.359
-32.262
-28.403
-31.832
% su PIL
-1,7%
-1,8%
-2,6%
-2,3%
-2,4%
- Amministrazioni centrali
-16.235
-26.147
-32.791
-32.362
-31.715
% su PIL
-1,5%
-2,2%
-2,7%
-2,6%
-2,4%
- Enti territoriali
-5,859
506
-4.668
-4.086
-1.387
% su PIL
-0,5%
0,0%
-0,4%
-0,3%
-0,1%
Fonte: Ragioneria Generale dello Stato 2004
I risultati della Regione Veneto sono d'altra parte tangibili. Lo dimostrano:
• il rispetto degli obiettivi del Patto di stabilità interno ottenuto attraverso il contenimento
delle spese correnti, con una spesa pro-capite per amministrazione generale che risulta la
seconda più bassa a livello regionale;
• l'impegno nell'azione di risanamento delle gestioni sanitarie;
• il pieno controllo dell'indebitamento regionale, con un tasso medio di finanziamento, tra i più
bassi in Italia;
• la qualità eccedente del merito di credito e delle obbligazioni finanziarie della Regione
Veneto attestata dall'agenzia internazionale Moody's che dal 1999 assegna alla Regione il
rating Aa2.
Le linee strategiche di politica finanziaria
Questi risultati finanziari non possono che far parte integralmente della strategia finanziaria della Regione per i prossimi anni, la quale dovrà:
• perseguire l'equilibrio di bilancio da raggiungere attraverso il rigore finanziario, il controllo
della spesa corrente ed il privilegio per gli investimenti;
• ricorrere in modo oculato ai finanziamenti esterni, con particolare attenzione alla
partecipazione dei privati agli investimenti pubblici;
• valorizzare il patrimonio disponibile, in particolare quello non utilizzato per fini istituzionali;
• utilizzare al massimo le risorse comunitarie;
• concorrere attivamente allo sviluppo economico del territorio regionale; la politica fiscale
regionale, nei limiti consentiti dagli spazi di autonomia attribuiti dalla legge e dalla
compatibilità di bilancio, può essere uno strumento importante di incentivo o delle iniziative
economiche o di sviluppo del territorio coerenti con la programmazione regionale.
Le maggiori incertezze del quadro finanziario possono riguardare:
• la sostenibilità prospettica, con il quadro attuale di entrata assicurato dallo Stato, del
finanziamento della spesa sanitaria, soggetta all'aumento indotto dall'invecchiamento della
popolazione e dai progressi nelle tecniche di cura;
• la congruità dei finanziamenti per l'esercizio delle funzioni conferite con il decentramento
amministrativo e con le riforme costituzionali;
• la scarsa dinamica delle entrate autonome soggette ad una legislazione nazionale e ad un
andamento delle basi imponibili che ne riducono i gettiti;
• i "tagli" ai trasferimenti statali;
• i limiti all'indebitamento ed alle spese con esso finanziabili.
Le aree a sostegno mirato
I territori a sud e a nord della Regione, aree fino a poco tempo fa considerate come depresse o
sottosviluppate, non presentano più fortunatamente quei caratteri di criticità che hanno richiesto
in tempi non (onta n issi mi massicci interventi di sostegno.
Tuttavia permangono ancora alcuni aspetti che richiedono politiche mirate da parte della programmazione regionale.
L'elemento che unifica queste due realtà è la conformazione del territorio che pone, anche se per motivi diversi, problemi di fruibilità e complesse questioni di gestione ambientale: si tratta del Delta del Po e della montagna veneta.
Per entrambe è necessario costruire politiche integrate di intervento in un contesto di costruttiva collaborazione con gli Enti economici che danno un continuativo apporto alle politiche di sviluppo locale, in modo che il complesso delle attività e dei progetti messi in atto dai singoli settori abbiano la capacità di completare il disegno di sviluppo da molto tempo perseguito dalla Regione, tenendo sempre in primo piano le peculiarità e le caratteristiche di queste zone.
Calibrare in modo adeguato le politiche del settore primario è di fondamentale importanza al fine di garantire il raggiungimento di un obiettivo prioritario: la manutenzione del territorio e del paesaggio, pur salvaguardando la funzione economica e sociale dell'agricoltura, in un difficile punto di equilibrio tra uomo e ambiente.
Paradossalmente il punto di partenza è diametralmente opposto: un'agricoltura che si svuota di addetti ai lavori in montagna e, di conseguenza, di produttività ed una, invece, assai produttiva, con caratteri estensivi nel Delta, ma che tuttavia vede progressivamente allontanarsi l'impegno delle nuove generazioni, sempre alfa ricerca di nuovi stimoli.
Area del Delta del Po
II Delta del Basso Polesine presenta caratteristiche peculiari che lo rendono, insieme alla foce
del Rodano, unico nel Mediterraneo e che ne fanno una delle zone umide più belle al mondo, da
salvaguardare e da valorizzare proprio nella sua unicità di delicato equilibrio creato nei secoli dal
lavoro costante ed attento dell'uomo, spesso in competizione con una natura forte, prepotente e
devastante.
Si tratta di un territorio complesso ove l'uomo, imparando a convivere nel tempo, ha saputo
sviluppare attività importanti come la pesca, la vallicoltura e la coltivazione dei molluschi, alle
quali oggi si affiancano attività turistiche di natura tradizionale e nuove, perché collegate alla
fruizione di un ambiente di grande pregio naturalistico.
Queste attività, infatti, hanno garantito per una parte della popolazione negli ultimi anni
soddisfacenti livelli aggiuntivi di reddito, contribuendo altresì ad elevare il livello di benessere
complessivo delle comunità locali e ad ingenerare nuove opportunità di sviluppo dell'area. Le
condizioni per la loro permanenza e rafforzamento devono essere quindi garantite assicurando,
in primo luogo, un'attenta opera di manutenzione idraulica e di continua vivificazione delle
lagune.
Un'ulteriore sfida da cogliere, in vista di una graduale chiusura, è quella di un inserimento
ambientalmente più coerente e sostenibile dell'attività della centrale di produzione elettrica di
Polesine Camerini nel contesto del Delta, operando un significativo abbattimento dei carichi
inquinanti.
L'agricoltura, che in ogni caso resta un settore portante dell'area, richiede un adeguato
sostegno e iniziative, che già autonomamente stanno nascendo, con interventi di affiancamento
alle tradizionali colture estensive, di attività specializzate e di qualità che trovino una specifica
collocazione nella filiera di produzione-trasformazione-distribuzione. Questa tipologia di incentivi
va adottata anche nei confronti dei prodotti della pesca, in quanto anche per i prodotti ittici si
registra l'affermazione di modalità di produzione e di commercializzazione caratterizzate da
logiche integrate di filiera.
Vi sono inoltre le condizioni perché possa essere introdotta una certificazione di qualità per
consentire al Delta del Po di esportare la propria immagine, creando un volano economico
indispensabile per una popolazione profondamente attaccata al proprio territorio ed alle proprie
tradizioni.
Un cenno a parte merita l'aspetto turistico, perché nel Delta del Po, a fianco del tradizionale
turismo legato alla spiaggia ed al mare, può e deve svilupparsi, costituendo una forma
alternativa più all'avanguardia anche sotto il profilo culturale, il turismo ambientale.
Nuclei di sviluppo di un turismo di qualità, rispettoso della delicatezza di questo territorio, sono
rappresentati dalle attività di turismo rurale che possono essere offerte dalle imprese agricole
presenti e che per questa coerenza vanno incentivate e promosse.
A questo proposito è indispensabile accompagnare lo sviluppo delle attività e del territorio con
una politica regionale snella, flessibile e "plasmabile", che dia garanzia di salvaguardia
dell'ambiente, con un'ottica di centralità nei confronti della presenza dell'uomo.
Aree montane
Le aree montane hanno bisogno di essere guardate con attenzione, per il patrimonio e per le risorse che possiedono e che solo con una totale consapevolezza del loro significato culturale e sociale potranno essere utilmente coniugate ad una crescita sostenibile durevole. Per questo motivo le politiche per la montagna veneta devono essere studiate, proposte e promosse anche attraverso il coinvolgimento dei Comuni interessati. La montagna, infatti, è da vedersi non tanto come un'area fragile o debole, quanto come un'area estremamente sensibile.
Lo spopolamento montano rappresenta la sintesi degli svantaggi presenti in montagna; ma oggi si assiste ad un cambiamento della situazione per l'azione combinata da un lato del progresso tecnico (telecomunicazioni, ad esempio) capace di diminuire molte forme di isolamento, dall'altro dalla maggior attenzione prestata alle problematiche ambientali che sta facendo emergere il valore montagna. Nelle linee di intervento è, tuttavia, necessario abbandonare l'assistenzialismo, per ricercare sviluppo globale e integrato, attento alte specificità dei singoli ambienti. Tutto ciò richiede il passaggio ad una visione che faccia perno sulle potenzialità esistenti, per far si che la montagna si trasformi da problema a risorsa.
La montagna non deve identificarsi come un ambito a basso sviluppo socio - economico. Esistono molti elementi di vitalità che possono essere qualificati e divenire fattori di sviluppo. Assumendo una visione di sostenibilità, le risorse della montagna vanno riconsiderate ed esaltate:
agricole: il fattore terra va recuperato con colture idonee e con processi di valorizzazione di
quelle tipiche, diffondendo le pratiche agricole a minor impatto ambientale, promovendo
l'agriturismo e sostenendo l'agricoltura paesaggistica ed ambientale anche tramite l'utilizzo
degli strumenti di cui agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo 228/2001, secondo quanto
previsto dalla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 40 , articolo 43;
energetiche, incentivando i piccoli impianti con l'utilizzo delle fonti energetiche pulite e
rinnovabili;
zootecniche, mediante la selezione di razze di qualità, oggi particolarmente richieste dal
mercato e in tale contesto non vanno dimenticati gli allevamenti di animali selvatici. I prati
permanenti e pascoli vanno recuperati attraverso un'adeguata operazione di manutenzione
e la realizzazione di strutture di servizio;
forestali considerazione del bosco come bene economico da utilizzare (legname e prodotti,
attività ricreative) e come bene ecologico da salvaguardare (protezione dagli incendi,
sistemazioni idraulico-forestali);
artigianali: recupero del "sapere" e degli antichi mestieri. Molte sono le attività artigianali
sopravvissute, destinate però a estinguersi, se non si riuscirà a trarre nuovi stimoli ed a
formare una mentalità imprenditoriale tra gli artigiani, sollecitandoli a riqualificarsi
professionalmente, aggiornando tecniche e strumenti di lavoro;
turistiche: attraverso la diversificazione spaziale e stagionale, incentivando forme diverse di
turismo come quello sociale e culturale (ricercando anche sinergie fra operatori turistici e
agricoltori);
culturali: valorizzare la cultura montana al fine di evitarne l'estinzione, anche attraverso
centri e laboratori per l'educazione ambientale, il recupero di percorsi e sentieri tradizionali,
l'istituzione di musei.
A tutto questo va affiancata una politica di manutenzione dei territori.
Venezia: un progetto
La Regione guarda con particolare interesse ai problemi di Venezia. Il capoluogo del Veneto ha perso negli ultimi decenni la posizione di rilievo che aveva nel passato nei confronti degli altri centri regionali: le statistiche segnalano che Venezia è all'ultimo posto (esclusa Provincia) nei Veneto in termini di reddito pro-capite e che presenta il tasso di disoccupazione più elevato. Il PRS intende organizzare la propria strategia di rilancio dell'area veneziana intorno a quattro dimensioni territoriali e tematiche:
1) la città mosaico: Venezia città d'acqua, Mestre centro di terraferma, intero bacino lagunare;
2) l'area metropolitana regionale: conurbazione veneta, raccordo e riferimento per Venezia nei
prossimi decenni;
3) la futura "euroregione": area vasta di coordinamento di alcune Regioni italiane e non
(austriache, slovene, croate, etc);
4) la competizione urbana europea ed internazionale: le sfide che si pongono alla città per
recuperare immagine e conquistare risorse.
Il "Progetto per Venezia" come strumento per una crescita equilibrata e innovativa
II "Progetto" mira a conciliare le politiche di economia di scala e di specializzazione con la conservazione dei valori dell'identità del centro urbano: Venezia gode di un posizionamento speciale nel reticolo europeo. L'analisi degli interventi attuati in città che presentavano problemi assimilabili a quelli di Venezia in materia di riqualificazione urbana, come ad esempio Barcellona, Lisbona, Amsterdam, Bilbao, Dublino, Helsinski, può esser utile per individuare le azioni da porre in essere per la città recuperando aree obsolete e degradate e riattivando zone industriali e portuali.
Il "Piano Quadrifoglio"
II Progetto per Venezia si compone di varie azioni complesse per dare risposte ai problemi derivanti dalle quattro dimensioni prese in esame. Il "Piano Quadrifoglio" costituisce la prima di tali azioni ed è diretta ad affrontare le tematiche più urgenti.
Il "Piano" comprende politiche ed iniziative per:
a) la salvaguardia fisica e difesa ambientale;
b) la riqualificazione di Porto Marghera e prospettive di sviluppo;
e) il sistema infrastrutturale e della mobilità intorno al nodo di Marghera e del suo entroterra; d) la rivitalizzazione economica e sociale di Venezia e della sua terraferma. Per ognuna di queste azioni dovrà esser predisposto, come primo adempimento, il catalogo delle iniziative già in esecuzione.
Contenuti del Piano Quadrifoglio
II più grave fattore di crisi di Venezia è la sua vulnerabilità all'acqua alta conseguente ai fenomeni di eustatismo e subsidenza che hanno fatto perdere quota ai suoli cittadini. Il problema è stato fronteggiato finora con una importante serie coordinata di azioni individuate nel "Programma generale degli interventi" che compendia la difesa di Venezia e dell'ecosistema lagunare dalle acque alte con le tematiche ambientali. Il programma rappresenta il più rilevante insieme di azioni di recupero e gestione dell'ambiente che lo Stato abbia mai posto in essere, al momento sono già stati completati quasi 100 interventi. Il Comitato ex art. 4, legge 798/1984, "Comitatone" ha deliberato nell'aprile 2003 la redazione del progetto esecutivo del "Mose", opere mobili alle bocche lagunari, suddiviso in fasi in relazione anche ai procedimenti autorizzativi e alla disponibilità di finanziamenti. I lavori sono stati avviati nel corso del 2003 e l'ultimazione dei lavori è prevista entro il 2011. Fra le attività in corso si ricordano pure i lavori alla diga foranea di Malamocco, a quella di Chioggia mentre le procedure per il V.I.A. per la diga foranea alla bocca del Lido si sono favorevolmente concluse nel maggio 2004 (d.g.r. 26 aprile 2004, n. 1546).
Riqualificazione di Porto Marghera e prospettive di sviluppo
La grande espansione della chimica degli anni 60 ha comportato pesanti danni ambientali. Ministeri, Regione, Enti locali e parti sociali hanno sottoscritto nel 1998 e integrato nel 2000 un Accordo di programma per la riconversione dell'area produttiva mediante interventi di bonifica, di adeguamento degli impianti, di difesa dagli inquinamenti, in particolare lungo le sponde dei canali portuali, e un complesso metodo di monitoraggio ambientale. La fase attuativa però ha fatto registrare gravi ritardi con ricadute negative sugli interventi per la trasformazione tecnologica degli impianti e sugli investimenti innovativi. La prosecuzione dell'esercizio di impianti che avrebbero dovuto essere trasformati per inadeguatezza ha modificato i termini dell'Accordo di programma e reso più complessa la gestione in sicurezza.
Gli impianti a rischio di incidente di Porto Marghera dovranno essere ristrutturati o delocalizzati o dismessi in funzione di due non aggiratali "motori" di trasformazione: le direttive europee per la prevenzione dei rischi e dell'inquinamento e le trasformazioni dei cicli della chimica dipendenti dalle modificazioni della domanda e dell'organizzazione della distribuzione.
In base alla direttiva 96/82/CE "Seveso 2", recentemente modificata in Consiglio dei Ministri UE, in materia di sicurezza, la prosecuzione dell'esercizio degli impianti deve essere correlata alla sicurezza delle tecnologie applicate, alla presenza di altri impianti a rischio nell'area (pericolo dell'effetto domino), alla movimentazione di prodotti pericolosi e alla esistenza di infrastrutture civili e di residenze.
Secondo la direttiva 96/61/CE in tema di prevenzione dell'inquinamento, gli impianti industriali devono esse sottoposti a nuova autorizzazione in modo che dal 30 ottobre 2007 sia assicurata l'eliminazione o la minimizzazione degli impatti ambientali. La Regione e il Comune di Venezia devono assumere i provvedimenti conseguenti, disponendo anche le dismissioni degli Impianti in caso di non adeguamento alle direttive.
Oltre agli adempimenti derivanti dalle disposizioni comunitarie è necessario che siano assunte misure affinchè siano messi in sicurezza e bonificati i siti dismessi o contaminati sulla base del "master pian", individuando peraltro preliminarmente le destinazioni d'uso nella prospettiva di fare dell'area la cerniera fra la Venezia insulare e quella di terraferma, tra le funzioni del porto, della logistica, della cantieristica e delle produzioni tecnologicamente avanzate, sviluppando il grande progetto del parco scientifico e tecnologico mediante la trasformazione nel medio lungo periodo delle caratteristiche produttive.
Con legge regionale sarà stabilita l'istituzione di una "Autorità speciale" con il compito di presiedere allo svolgimento degli interventi. Nella fase di transizione le funzioni potranno essere
svolte dal Presidente della Regione con il supporto dell'Arpa e del Parco scientifico e tecnologico
di Porto Marghera.
Orizzonte temporale per l'individuazione delle attività economiche sostitutive il 2006-2007.
Settori su cui puntare per i nuovi insediamenti: logistica, cantieristica, terziario innovativo,
ricerca e sviluppo, chimica di terza generazione, beni e servizi connessi con l'industria turistica,
produzioni compatibili con l'ambiente.
Porto Marghera e l'area veneziana potrebbero diventare la piattaforma logistica dell'intero
sistema metropolitano Veneto in una logica integrativa con il polo veronese e padovano. Già
attualmente autostrada, ferrovia, aeroporto e porto commerciale convergono su Venezia.
Sistema infrastrutturale e della mobilità intorno al nodo di Mestre e del suo entroterra
Le infrastrutture per Venezia assumono significato a tre livelli: europeo, regionale e metropolitano. Con gli interventi previsti dalla "legge obiettivo" si stanno muovendo i primi passi dopo i ritardi degli ultimi decenni. L'obiettivo è garantire un efficiente passaggio da est ad ovest mettendo a sistema tutte le opere complementari necessarie per conferire al territorio dell'area centrale una logica di rete con vantaggio di tutta la Regione. Gli investimenti per i collegamenti stradali e autostradali dovranno risolvere i ben noti problemi di mobilità sulle direttrici est-ovest e nord-sud. In termini concreti: la realizzazione del Passante Dolo-Quarto d'Altino, della Ravenna - Venezia (Romea commerciale), della viabilità complementare al Passante.
La realizzazione del "Passante di Mestre" permetterà il raggiungimento dei seguenti obiettivi: creare una viabilità alternativa alla tangenziale, separare il traffico di attraversamento da quello del sistema urbano Mestre-Venezia, rinforzare il corridoio "Adriatico E55" con il completamento della Romea offrendo una alternativa alla A1 verso il centro Italia, predisporre un sistema autostradale fortemente relazionato al territorio e offrire l'utilizzo senza pedaggio della tangenziale al sistema urbano e produttivo della Riviera del Brenta. Durata prevista dell'intervento: 2004-2008.
Le altre misure per la riorganizzazione dei trasporto pubblico nell'area metropolitana sono: il sistema ferroviario metropolitano regionale, la sublagunare, il sistema di trasporto guidato di superficie Mestre-Venezia.
A- Sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR). Il progetto prevede la realizzazione di collegamenti ferroviari su nove stazioni e aree di interscambio (parcheggi) con alleggerimento del traffico su mezzo proprio dei pendolari e corrispondente recupero del mezzo pubblico, ottenendo un miglioramento della qualità e della sicurezza del trasporto. Linee ferroviarie interessate:
1. Venezia - Mestre - Quarto d'Altino;
2. Treviso - Mestre;
3. Padova - Mestre;
4. Mestre - Castelfranco;
5. Mestre — Mira Buse;
Estensione 150 Km. Previsione di fine lavori 2005-2006 (i cantieri riferiti ai lotti delle linee nn. 2, 4 e 5 sono già aperti).
B- Sublagunare. La sublagunare intende aprire una nuova via di accesso a Venezia-centro storico con tracciato in tunnel. Il materiale rotabile previsto è lo stesso che sarà utilizzato per il sistema guidato di superficie di Mestre-Venezia (STG) attuando il prolungamento della linea ferroviaria da Favaro alla stazione sublagunare dell'aeroporto Marco Polo. Fra le finalità dell'operazione sono: il miglioramento e l'integrazione del sistema dei trasporti e il governo dei flussi turistici. Sono previste due tratte: di superficie, Favaro-Tessera, tracciato mt.4.218, in tunnel: Tessera (Marco Polo) - Arsenale, tracciato mt. 8.300, profondità 20-25 mt.
C- Sistema guidato di superficie Mestre-Venezia. L'intervento consiste nella realizzazione di un mezzo di trasporto guidato su gomma a monorotaia e linea elettrica aerea, un "tram su
gomma" con lo scopo di accogliere la forte domanda di trasporto nelle aree interessate, contenere le opere di impianto e quindi i tempi e i costi di esecuzione. Sono previste due linee la Favaro-Mestre-Venezia e la Venezia-Marghera per la lunghezza di una ventina di chilometri e con la localizzazione di quarantuno fermate.
Rivitalizzazione economica e sociale di Venezia e della terraferma
È questo il quarto e ultimo petalo del "Quadrifoglio", al quale sono affidate le proposte di rilancio dell'economia veneziana collegando l'attrattività turistica del centro storico alle opportunità terziarie, direzionali e produttive offerte dall'entroterra, grazie anche al nuovo sistema dei trasporti. Lo sviluppo urbanistico della terraferma e dei Comuni di prima e seconda cintura attraverso la riqualificazione delle infrastrutture e dei servizi potrebbe ridare impulso alla vocazione di Venezia a diventare la vera capitale del nord-est.
Allo scopo bisognerà verificare la compatibilità delle principali attività svolte nel comprensorio veneziano con le linee di sviluppo finora progettate. Nuove attività da introdurre a Venezia potrebbero essere quelle connesse all'Università, alla ricerca e alla cultura, per le quali esiste una domanda crescente. Nel contempo andrà condotta la riconversione di zone interne importanti come quelle dell'Arsenale, del sistema Piazzale Roma- Tronchetto- Ferrovia e della Stazione Marittima. In terraferma, il primo intervento dovrà riguardare la saldatura urbanistica dell'area terziaria di Via Torino con Porto Marghera nella cornice di un grande polo terziario-logistico con accessi diretti da Venezia-centro storico, da Marghera, dal porto, dall'autostrada, dalla ferrovia, etc. Attorno a questa nuova area andranno ridefiniti i rapporti funzionali con il polo dell'aeroporto, con quello Padovano e con quello dell'Adriatico (Chioggia e Rovigo). La struttura urbana ridisegnata dovrà rilanciare la natura "anfibia" della città valorizzando il margine terra-acqua, quindi l'intero bordo lagunare da Fusina a Tessera e oltre. Il banco di prova resta peraltro il "distretto" di Porto Marghera, dove dovranno trovare soluzione i problemi di accesso alle isole "storiche" e ai litorali, i problemi del lavoro, della residenza e del tempo libero.
La nuova dimensione metropolitana: confini e modelli di governo
II Veneto centrale: Verona-Vicenza-Padova-Treviso forma un'unica area metropolitana dove sono in crescita popolazione, movimentazione delle merci e spostamenti per consumi e tempo libero. In questo settore è necessario migliorare la viabilità ordinaria stradale, autostradale e ferroviaria, e attuare un nuovo disegno di comunicazioni metropolitane lungo raggi e anulari. Ad ovest, Verona funge da raccordo con la Lombardia, l'Emilia e il Trentino, ad est la funzione di baricentro trova due concorrenti: Padova e Venezia. L'ipotesi di un'area metropolitana che colleghi Venezia-Padova-Treviso (la cosiddetta Patreve) risulta antistorica staccando Vicenza e Verona. Una prospettiva diversa di baricentro potrebbe essere quella dell'area vasta veneziana. In tema di gestione della nuova progettazione è da valutare la possibilità di sedi di governo del territorio "a geometria variabile", prendendo esempio dalle conferenze "Governo-Regioni-Città metropolitane". Alla programmazione regionale spetta il compito di individuare il pacchetto di interventi specificando i ruoli di ciascun soggetto e i percorsi procedurali delle azioni costituendo una cabina di regia in grado di risolvere i problemi e monitorare l'avanzamento delle politiche. La Regione eserciterà un ruolo importante di iniziativa e di coordinamento e definirà il programma di dettaglio.
I Progetti Pilota
Uno strumento per migliorare le politiche è quello di sperimentare alcuni processi innovativi capaci di rappresentare un'esperienza che possa essere trasferita ad altre realtà e trovare un'adeguata diffusione. In un contesto in cui la ricerca di nuovi percorsi è scarsamente praticata, per le note difficoltà che le innovazioni incontrano nella loro pratica attuazione, il ruolo della Regione diventa cruciale.
La Regione promuoverà in tutti quei campi progetti pilota, basati sul feedback, capaci di coniugare l'aspetto innovativo a quello di trasferimento delle buone pratiche. Si potranno cosi definire e orientare le politiche sulla base dei risultati ottenuti e costruire un bagaglio di esperienze capaci di aumentare la partecipazione e condivisione nell'elaborazione e attuazione degli indirizzi regionali.
TAVOLA DEI RIFERIMENTI NORMATIVI
Fonte Regionale
Provvedimento
Titolo
BUR
Tipo
Data
n,
l.r.
7 settembre 1979
74
"Istituzione della consulta per la cooperazione e provvidenze per favorire lo sviluppo del movimento cooperativo."
45/1979
l.r.
7 settembre 1982
44
"Norma per la disciplina delle attività di cava. (1) (2)"
39/1982
l.r.
8 novembre 1983
54
"Interventi della regione del Veneto nel settore della promozione degli scambi socio-culturali."
53/1983
l.r.
16 agosto 1984
40
"Nuove norme per la istituzione di parchi e riserve naturali regionali."
38/1984
l.r.
27 novembre 1984
58
"Disciplina degli interventi regionali in materia di protezione civile."
55/1984
l.r.
27 giugno 1985
61
"Norma per l'assetto e l'uso del Territorio" (1) (2)"
27/1985

l.r.

11 marzo 1986
8
"Modifiche e integrazioni alla legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55 "norme per l'esercizio delle funzioni in materia di assistenza sociale.""
14/1986
l.r.
10 ottobre 1989
40
"Disciplina della ricerca, coltivazione e utilizzo delle acque minerali e termali."
58/1989
l.r.
22 dicembre 1989
54
"Interventi a tutela della cultura dei Rom e dei Sinti."
70/1989

l.r.

30 gennaio 1990
10
"Ordinamento del sistema di formazione professionale ed organizzazione delle politiche regionali del lavoro."
8/1990
l.r.
30 giugno 1993
27
"Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti. (1) (2)"
55/1993
l.r.
30 agosto 1993
39
"Norme di attuazione della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia sanitaria."
73/1993

l.r.

14 settembre 1994
55
"Norme sull'assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo delle unita' locali socio sanitarie e delle aziende ospedaliere in attuazione del d. Igs. 30 dicembre 1992, n. 502 "Riordino della disciplina in materia sanitaria", cosi come modificato daf d. Igs. 7 dicembre 1993, n. 517."
77/1994

l.r.

14 settembre 1994
56
"Norme e principi per il riordino del Servizio Sanitario regionale in attuazione del d. Igs. 30 dicembre 1992, n. 502 "riordino della disciplina in materia sanitaria", cosi come modificato dal d. Igs. 7 dicembre 1993, n. 517."
77/1994
l.r.
21 aprile 1995
36
"Promozione e sviluppo dei parchi scientifici e tecnologici nella Regione Veneto."
39/1995
l.r.
3 febbraio 1996
5
"Piano Socio-Sanitario Regionale per il triennio 1996/1998."
14/1996
Provvedimento
Titolo

BUR
Tipo
Data
n.

l.r.

3 giugno 1997

20
"Riordino delle funzioni amministrative e principi in materia di attribuzione e di delega agli Enti locali."

46/1997
l.r.
27 giugno 1997
22
"Norme per la prevenzione dell'inquinamento luminoso."
53/1997
l.r.
16 dicembre 1997
41
"Abuso e sfruttamento sessuate: interventi a tutela e promozione della persona."
107/1997

l.r.

27 marzo 1998
5
"Disposizioni in materia di risorse idriche. Istituzione del servizio idrico integrato ed individuazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della 1. 5 gennaio 1994, n. 36. (l)11

28/1998

l.r.

9 aprile 1998
16
"Interventi regionali a favore della qualità e dell'innovazione nei settori del commercio, del turismo e dei servizi e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 1997, n. 3 ."

33/1997

l.r.

16 aprile 1998
17
"Modifiche della 1. r. 27 novembre 1984, n. 58 "Disciplina degli interventi regionali in materia di protezione civile.""

35/1998

l.r.

10 luglio 1998
23
"Conferimento agli enti locali di funzioni amministrative regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione,"

64/1998
DGR
4 agosto 1998
2935
"Comitato regionale di controllo - Sezione provinciale di Treviso. Nomina funzionario delegato."
112/S
l.r,
30 ottobre 1998
25
"Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico locale."
99/1998

l.r.

16 dicembre 1998
31
"Norme in materia di politiche attive del lavoro, formazione e servizi all'impiego in attuazione del d. Igs. 23 dicembre 1997, n. 469."

113/1998
DGR
29 dicembre 1998
5210
"Istituzione Ufficio di coordinamento e di osservatorio."
12/1999
l.r.
18 gennaio 1999
1
"Interventi regionali per agevolare l'accesso al credito nel settore del commercio."
6/1999
l.r.
26 marzo 1999
10
"Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazone d'impatto ambientale."
29/1999
l.r.
6 aprile 1999
13
"Interventi regionali per i patti territoriali."
32/1999
l.r.
10 maggio 1999
21
"Norme in materia di inquinamento acustico."
42/1999
l.r.
9 agosto 1999
32
"Organizzazione dei servizi di sviluppo agricolo."
69/1999
l.r.
9 agosto 1999
37
"Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nel veneto."
69/1999
DGR
30 novembre 1999
4303
"Osservatori regionali per la sicurezza sociale: costituzione osservatorio sull'handicap."
1/2000
Provvedimento
Titolo

BUR
Tipo
Data
n.
l.r.
24 dicembre 1999
57
"Interventi regionali per lo sviluppo dell' imprenditoria giovanile veneta."
112/1999
DGR

28 dicembre 1999

5021
"Osservatori regionali per la sicurezza sociale: costituzione osservatorio sulla condizione delle persone anziane."

33/2000
l.r.
20 gennaio 2000
1
"Interventi per la promozione di nuove imprese e di innovazione dell'imprenditoria femminile."
8/2000
l.r.
21 gennaio 2000
3
"Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti."
8/2000
DGR

10 marzo 2000

876
"Osservatorio regionale per la sicurezza sociale: trasferimento dell'osservatorio sull'handicap dalt'ULSS N. 15 Cittadella (PD) all'ULSS N. 17 Este (PD)."

36/2000
DGR

22 dicembre 2000

4183
""Iniziative e coordinamento delle attività a favore dei giovani". Attivazione Osservatorio permanente sulla condizione giovanile (Ir n. 29/1998 - Ir n. 37/1994)."

13/2001
l.r.

27 dicembre 2000

25
"Norme per la pianificazione energetica regionale, l'incentivazione del risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia."

114/2000
l.r.
1 febbraio 2001
2
"Intervento regionale a favore dei centri storici dei comuni minori."
12/2001
l.r.

9 febbraio 2001

5
"Provvedimento generale di rifinanziamento e di modifica di leggi regionali per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2001)."

16/2001
l.r.
6 aprile 2001
10
"Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche."
32/2001
l.r.

13 aprile 2001

11
"Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112."

35/2001
CR

20 luglio 2001

75
"Determinazione della rete viaria di interesse regionale e piano triennale di interventi. Adempimenti (l.r. 11/2001 art. 95)."

l.r.

3 agosto 2001

16
"Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili in attuazione della 1. 12 marzo 1999, n. 68 e Istituzione servizio integrazione lavorativa presso le aziende ULSS."

71/2001
l.r.

25 ottobre 2001

29
"Costituzione di una società di capitali per la progettazione, esecuzione, manutenzione, gestione e vigilanza delle reti stradali."

99/2001
l.r.
9 novembre 2001
31
"Istituzione dell'Agenzia Veneta per i pagamenti in agricoltura."
103/2001
Provvedimento
Titolo

BUR
Tipo
Data
n.
l.r.
29 novembre 2001
32
"Agenzia Regionale Socio Sanitaria."
109/2001
l,r.
29 novembre 2001
35
"Nuove norme sulla programmazione."
109/2001
l.r.
29 novembre 2001
36
"Ordinamento del bilancio e della contabilità della Regione."
109/2001

DGR

18 gennaio 2002

56
"Sistema informativo Regionale "SIRV". Evoluzione del sistema, attuazione dell' e-government e approvazione del piano di sviluppo informatico e telematico del Veneto."

27/2002
p.d.l.
31 gennaio 2002
241
"Testo Organico per le politiche socialf della Regione Veneto (anche sulla spesa sanitaria)."


DGR

1 marzo 2002

358
"Protocollo di intesa tra Regione del Veneto, parti sociali e autonomie per l'istituzione e la disciplina del tavolo della concertazione regionale."

38/2002
l.r.
29 marzo 2002
8
"Norme sul sistema statistico regionale."
36/2002
l.r.
7 maggio 2002
9
"Interventi regionali per la promozione della legalità e della sicurezza."
47/2002
DGR
16 luglio 2002
1928
"Accertamento del disavanzo del SSR Veneto per l'esercizio 2001 (Is n. 405/2001 art. 4). "
81/2002

l.r.

9 agosto 2002

15
"Norme per la realizzazione di infrastrutture di trasporto, per la progettazione, realizzazione e gestione di autostrade e strade a pedaggio regionali e relative disposizioni in materia di finanza di progetto e conferenza di servizi."

78/2002
DGR
9 agosto 2002
2386
"DOCUP obiettivo 2 2000/2006. Strategia regionale per la diffusione della società dell'informazione."
101/2002
l.r.
4 novembre 2002
33
"Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo."
109/2002


DGR


20 dicembre 2002


3734
"Ciclo integrato dell'acqua. Annualità 2001. Programma degli interventi e iniziative di altri soggetti pubblici che la Regione intende prioritariamente finanziare. Approvazione del piano di finanziamento e delle modalità di erogazione dei contributi (l.r. n. 5/1988 art. 13, comma 6/bis - l.r. n. 3/2000 art. 48, comma lf lett e)." (Modificata con DGR n. 3052 del 10/10/2003 e con DGR n. 3747 del 05/12/2003)


9/2003

DGR

30 dicembre 2002

4019
"Fondo regionale di intervento lotta alla droga 2003/2005 (esercizi finanziari statali 2000/2002). Approvazione e finanziamento piani e progetti (Is n. 5/1999 - DGR n. 2265 del 9/8/2002)."

11/2003

DGR

30 dicembre 2002

4026
"Osservatorio regionale su Ha popolazione carceraria detenuta e in esecuzione penale esterna. Affidamento incarico all'Azienda ULSS N. 16 di Padova."

15/2003
Provvedimento
Titolo

BUR
Tipo
Data
n.
l.r.
9 gennaio 2003
2
"Nuove norme a favore dei veneti nel mondo e agevolazioni per il loro rientro."
4/2003
DGR
4 aprile 2003
902
"Piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera. Rielaborazione e adozione. "
50/2003
l.r.

4 aprile 2003

6
"Modifiche alla legge regionale 20 gennaio 2000, n. 1 "Interventi per la promozione di nuove imprese e di innovazione dell'imprenditoria femminile.""

36/2003
l.r.

4 aprile 2003

7
"Deroghe alte volumetrie previste dagli indici di zona degli strumenti urbanistici generali in favore delle persone handicappate gravi."

36/2003
l.r.
4 aprile 2003
8
"Disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale locale."
36/2003
DGR

13 giugno 2003

1836
"Costituzione Commissione regionale e provinciali per l'emersione del lavoro irregolare (1. 448/1998 art. 78)."

66/2003
l.r.

16 giugno 2003

15
"Norme per la tutela e la valorizzazione delle "città murate del veneto.""

59/2003
DGR

8 agosto 2003

2591
"Formazione della Carta tecnica regionale. "Terzo programma di attuazione". Approvazione definitiva (Ir n. 28/1976)."

89/2003
DGR
12 settembre 2003
2665
"Accertamento del risultato SSR Veneto per l'esercizio 2002. "
96/2003
DGR
3 ottobre 2003
2946
"Riorganizzazione della rete integrata degli osservatori sociali presso le ULSS."
108/2003
l.r.
23 ottobre 2003
23
"Norme per la razionalizzazione e l'ammodernamento della rete distributiva di carburanti."
102/2003
l.r.
23 ottobre 2003
24
"Interventi regionali a favore delle fondazioni la Fenice di Venezia e l'Arena di Verona per a promozione della lirica nel territorio del Veneto."
102/2003
l.r.
7 novembre 2003
27
"Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regiona e e per le costruzioni in zone classificate sismiche."
106/2003
l.r.
20 novembre 2003
32
"Partecipazione della Regione alla Società Veneto Nanotech società consortile per azioni (acpa)."
111/2003
l.r.
12 dicembre 2003
40
"Nuove norme per gli interventi in agricoltura."
117/2003
l.r.
19 dicembre 2003
42
"Iniziative per l'istituzione a Venezia di un'agenzia europea per la cultura."
120/2003
l.r.

9 aprile 2004

8
"Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 40 "Nuove norme per gli interventi in agricoltura."11

40/2004
Provvedimento
Titolo

BUR
Tipo
Data
n.
l.r.
23 aprile 2004
11
"Norme per il governo del territorio."
45/2004
DGR

26 aprile 2004
1
546
"Magistrato alle acque. Interventi alle bocche lagunari per la regolazione dei flussi di marea -diga foranea alla bocca di Lido - Comuni di Venezia e Cavallino Treporti (VE). Procedura di VIA ai sensi dell'alt. 10 della Ir n. 10/1999. Giudizio positivo di compatibilità ambientale."

64/2004
DGR
30 luglio 2004
2307
"Accertamento del risultato d'esercizio del SSR Veneto per l'esercizio 2003."
86/2004
l.r.
13 agosto 2004
15
"Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nel Veneto."
81/2004
Fonte Statale
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.
l.
17 agosto 1942
1150
"Legge urbanistica."
244/1942
l.
18 aprile 1962
167
"Disposizioni per favorire i'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare."
111/1962
d.p.r.
24 luglio 1977
616
"Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382."
234/1977 S.O.
l.
23 dicembre 1978
833
"Istituzione del servizio sanitario nazionale."
360/1978 S.O.

d.p.r.

10 settembre 1982

915
"Attuazione delle direttive (CEE) numero 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei poiiclorodifenili e dei polidorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi."

343/1982
l.
29 novembre 1984
798
"Nuovi interventi per la salvaguardia di Venezia."
332/1984

d.p.r.

17 maggio 1988

175
"Attuazione della direttiva CEE n. 82/501, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, ai sensi della 1. 16 aprile 1987, n. 183."

127/1988

d.p.r.

24 maggio 1988

203
"Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della 1.16 aprile 1987, n. 183."

140/1988 S.O.
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.
l.
18 maggio 1989
183
"Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo."
120/1989 S.O.

d.lgs.

6 settembre 1989

322
"Norme sul Sistema Statistico Nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell'ari. 24, della 1. 23 agosto 1988, n. 400."

222/1989
l.
17 febbraio 1992
179
"Norme per l'edilizia residenziale pubblica."
50/1992 S.O.
l.
25 febbraio 1992
215
"Azioni positive per l'imprenditoria femminile."
56/1992

d.lgs.

30 dicembre 1992

502
"Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della 1. 23 ottobre 1992, n. 421."

305/2002 S.O.
l.
5 gennaio 1994
36
"Disposizioni in materia di risorse idriche."
14/1994 S.O.
l.
26 ottobre 1995
447
"Legge quadro sull'inquinamento acustico."
254/1995 S.O.
l.
23 dicembre 1996
662
"Misure di razionalizzazione della finanza pubblica."
303/1996 S.O.

d.lgs.

5 febbraio 1997

22
"Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio."

38/1997 S.O.

l.

13 marzo 1997

59
"Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa."

63/1997 S.O

d.lgs.

23 dicembre 1997

469
"Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della 1. 15 marzo 1997, n. 59."

5/1998

d.lgs.

31 marzo 1998

112
"Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della 1. 15 marzo 1997, n. 59."

92/1998 S.O.

d.lgs.

31 marzo 1998

114
" Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della 1. 15 marzo 1997, n. 59"

95/1998 S.O.


d.l.


11 giugno 1998


180
"Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania." (Convertito in legge, con modificazioni, dall'ari 1, 1. 3 agosto 1998, n. 267 (G.U. 7 agosto 1998, n. 183), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione).


134/1998
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.
l.
3 agosto 1998
267
"Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 giugno 1998, n. 180, recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania."
183/1998
l.
9 dicembre 1998
426
"Nuovi interventi in campo ambientale."
291/1998
l.
23 dicembre 1998
448
"Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo."
302/1998 S.O.
l.
12 marzo 1999
68
"Norme per il diritto al lavoro dei disabili."
68/1999 S.O.
d.lgs.
16 marzo 1999
79
"Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica."
75/1999
d.lgs.
11 maggio 1999
152
"Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole."
124/1999 S.O.
d.lgs.
27 maggio 1999
165
"Soppressione dell'AI MA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della 1. 15 marzo 1997, n. 59."
137/1999
d.lgs.
19 giugno 1999
229
"Norme per la realizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, a norma dell' articolo 1 della 1. 30 novembre 1998 n. 419."
165/1999 S.O.
d.lgs.
30 luglio 1999
286
"Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della 1. 15 marzo 1997, n. 59."
193/1999
d.lgs.
4 agosto 1999
351
"Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente."
241/1999
d.lgs.
17 agosto 1999
334
"Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose."
228/1999 S.O.
d.m.
25 ottobre 1999
471
"Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni."
293/1999 S.O.
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.
d.lgs.
29 ottobre 1999
461
"Individuazione della rete autostradale e stradale nazionale, a norma dell'articolo 98, comma 2, del d. Igs. 31 marzo 1998, n. 112"
288/1999
l. cost
22 novembre 1999
1
"Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni."
299/1999
l.cost
23 novembre 1999
2
"Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione."
300/1999

d.lgs.

18 febbraio 2000

56
"Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell' articolo 10 della I. 13 maggio 1999, n. 133."

62/2000

d.p.c.m.

21 febbraio 2000

"Individuazione e trasferimento, ai sensi dell'art. 101, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, delle strade non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale."

136/2000

l.

8 marzo 2000

53
"Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città."

60/2000

d.lgs.

19 maggio 2000

169
"Disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 agosto 1998, n. 314 , recante attuazione della direttiva 94/57/CE in materia di ispezioni e visite di controllo delle navi e di attività conseguenti delle amministrazioni marittime, a norma dell'articolo 1, comma 4, della 1. 24 aprile 1998, n. 127."

145/2000

d.lgs.

23 maggio 2000

164
"Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della 1. 17 maggio 1999, n. 144."

142/2000
d. Igs.
18 agosto 2000
267
"Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali."
227/2000 S.O.
l.
8 novembre 2000
328
"Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali."
256/2000 S.O.

l.

23 dicembre 2000

388
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)."
302/2000 S.O. n.219
l.
29 marzo 2001
135
"Riforma della legislazione nazionale del turismo."
92/2001

d.p.c.m.

17 maggio 2001

"Determinazione delle quote di compartecipazione all'Imposta sul Valore Aggiunto previste dall'art. 2, comma 4, del d. Igs. 18 febbraio 2000, n.56."

128/2001

d.lgs.

18 maggio 2001

228
"Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della 1. 5 marzo 2001, n. 57."

137/2001 S.O.
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.
d.p.cm.
24 maggio 2001

"Linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra regioni e università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai sensi dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517. Intesa, ai sensi dell'art. 8 della 1. 15 marzo 1997, n. 59."
184/2001
d.m.
18 settembre 2001
468
"Regolamento recante: "Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale.""
13/2002 S.O.
d.p.c.m.
21 settembre 2001

"Modifiche al d.p.c.m. 21 febbraio 2000 recante individuazione e trasferimento, ai sensi dell'art. 101, comma 1, del d. Igs. n. 112 del 1998, delle strade non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale."
226/2001
l. cost.
18 ottobre 2001
3
"Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione,"
248/2001
l.
16 novembre 2001
405
"Conversione in legge, con modificazioni del d.l. 18 settembre 2001, n. 347, recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria."
268/2001
d.p.c.m.
29 novembre 2001

"Definizione dei livelli essenziali di assistenza."
33/2002 S.O.
l.
21 dicembre 2001
443
"Delega al Governo in materia di infrastnitture e di insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive."
299/2001 S.O.
d.m.
2 aprile 2002
60
"Recepimento della direttiva 1999/30/CE del 22 aprile 1999 del Consiglio concernente i valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particene e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell'aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio."
87/2002 S.O.
l.
9 aprile 2002
55
"Conversione in legge, con modificazioni, del d. 1. 7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale."
84/2002
del. CIPE
3 maggio 2002
36
"Ripartizione delle risorse per interventi nelle aree depresse triennio 2002-2004 (legge finanziaria 2002)."
167/2002
l.
1 giugno 2002
120
"Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto rii dicembre 1997."
142/2002 S.O.
l.
30 luglio 2002
189
"Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo."
199/2002 S.O.
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.

del. CIPE

2 agosto 2002

57
"Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia."

255/2002 S.O.

d.lgs.

20 agosto 2002

190
"Attuazione della l. 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale."

199/2002 S.O.

l.

27 dicembre 2002

289
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)."

305/2002 S.O.
l.
14 febbraio 2003
30
"Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro."
47/2003

l.

28 marzo 2003

53
"Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. "

77/2003
l.
7 aprile 2003
80
"Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale."
91/2003

del. CIPE

9 maggio 2003

17
"Ripartizione delle risorse per interventi nelle aree sottoutilizzate - rifinanziamento l. 208/1998 triennio 2003-2005".

155/2003

l.

5 giugno 2003

131
"Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3."

132/2003

D.L

24 dicembre 2003

355
"Testo del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355 (nella Gazzetta Ufficiale - serie generale --n. 300 del 29 dicembre 2003), coordinato con la legge di conversione 27 febbraio 2004, n. 47 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale - alla pag. 12), recante: "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative.""

48/2004

l.

24 dicembre 2003

350
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)."

299/2003 S.O.
l.
27 febbraio 2004
47
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative."

48/2004
d.p.c.m.
14 maggio 2004

"Determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - Anno 2002."

179/2004

l.

23 agosto 2004

239
"Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia."

215/2004
Fonte comunitaria
Provvedimento
Titolo

G.U.
Tipo
Data
n.

dir.

12 dicembre 1991

676
"Direttiva del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole."

L 375/1991
com.

23 luglio 1994

"Comunicazione della Commissione Europea sulla trasmissione delle PMI."

C 204/1994
racc.

7 dicembre 1994

1069
"Raccomandazione della Commissione sulla successione nelle piccole e medie imprese (Testo rilevante ai fini del SEE.)'1

L 385/1994
dec.

23 luglio 1996

1692
"Decisione n. 1692/96/CE del Parlamento Europeo E del Consiglio del 23 luglio 1996 sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti."

L 228/1996
dir.
24 settembre 1996
61
"Direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento."
L 257/1996
dir.

9 dicembre 1996

82
"Direttiva 96/82/CE del Consiglio sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose."

L 010/1997
com.
28 marzo 1998
93/02
"Comunicazione della Commissione relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese (1)."

C 93/1998
reg.
21 giugno 1999
1260
"Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio recante disposizioni generali sui Fondi strutturali."

L161/1999
reg.

12 luglio 1999

1784
"Regolamento (CE) n. 1784/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo,"

L 213/1999
libro

novembre 2000

769
Libro verde "Verso una strategia europea di sicurezza deil'approvvigionamento energetico" della Commissione delle Comunità Europee.

dir.

27 giugno 2001

42
"Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la vantazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente,"

L197/2001
libro

1 settembre 2001

370
Libro bianco "La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte" della Commissione delle Comunità Europee.

dir.

27 settembre 2001

77
"Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità."

L 283/2001
dec.

22 luglio 2002

1600
"Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e dei Consiglio che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente."

L 242/2002
dir.

16 dicembre 2002

91
"Direttiva 2002/91/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul rendimento energetico nell'edilizia."

C E 1/2003
dec.

29 aprile 2004

884
"Decisione n. 884/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica ia decisione n, 1692/96/CE sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti."

L 167/2004


SOMMARIO